73
Torneo
-parte
prima-
La
piccola Carmilla si stava sistemando davanti ad uno specchio. Poco
più in là,
le sue sorelle gemelle litigavano per una motivazione futile. Nasfer
attendeva
l’arrivo di loro padre Keros. Il bambino era elettrizzato per
il torneo e tutti
si erano abbigliati al meglio, sapendo che molti spettatori li
avrebbero
ammirati sul palco reale. Demoni da ogni parte del regno iniziavano a
varcare
le mura della città, raggiungendo la grande piazza
principale. Con stendardi e
maestosi destrieri, formavano un corteo che gli abitanti della capitale
ammiravano affascinati. Tutti bardati ed in armatura, i partecipanti al
torneo seguivano
un percorso preciso che li avrebbe condotti fino all’arena,
con un’entrata
trionfale ed una sfilata per il pubblico.
“È
ora!” si udì per i corridoi del palazzo.
Quello
era il segnale e l’intera famiglia reale si radunò
per raggiungere gli spalti. Era
un avvenimento vedere tutti i principi e le principesse tutti insieme e
fuori
da palazzo. Gli ultimi nati erano lasciati alle cure ed alla
sorveglianza dei
più qualificati, mentre l’edificio lentamente si
svuotava per assistere allo
spettacolo. Non appena Lucifero assieme a Leonore ed a tutti i principi
si fu
seduto, nella piazza iniziarono a sfilare i demoni e le vare casate.
Ogni
famiglia poteva presentare uno o più campioni, uomini o
donne, che ordinatamente
si presentavano al cospetto del palco reale. Con un inchino, veniva
pronunciavano
il loro nome e la dinastia a cui appartenevano. Lucifero, in piedi sul
palco
rialzato, rispondeva con un cenno del capo. Alla sua sinistra sedeva
Leonore,
che osservava ogni cosa con ammirazione. Alla destra aveva Keros,
silenzioso ed
a disagio. Il principe indossava l’armatura che aveva
utilizzato in guerra e
questo gli riportava in mente eventi e ricordi poco piacevoli. Quando
intravide
l’ingresso in arena di Arikien, con addosso
l’armatura appartenuta a Nasfer,
ebbe un tuffo al cuore. A colui che la indossava, lui aveva tagliato la
testa.
Colui che un tempo marciava con quell’armatura ora era morto,
per mano della
spada che portava alla cinta.
“Scusate”
mormorò Keros, alzandosi ed allontanandosi senza dare troppo
nell’occhio.
Prima
che l’erede di Alukah giungesse dinnanzi al palco, il
sanguemisto aveva
lasciato la postazione ed era rientrato a palazzo. La distanza era
poca, la
piazza sorgeva davanti alle mura della casa reale, e lo raggiunse senza
farsi
notare. Nel silenzio, respirò profondamente.
L’edificio era buio, silenzioso, e
praticamente deserto. Camminò ancora lungo il corridoio, con
la mente confusa. Nelle
narici percepiva odore di morte, odore di guerra. Le mani sporche di
sangue, i
cadaveri lungo le strade, i gemiti dei feriti e le urla degli
sconfitti. E lui
era lì in mezzo, efferato assassino e crudele boia,
circondato da nemici da
uccidere. Chiuse gli occhi, tentando di scacciare
quell’immagine, ma era
sopraffatto dalla confusione e dal panico.
“Altezza!”
lo notò una delle guardie rimaste a palazzo “State
bene? Devo chiamare
qualcuno?”.
Keros
non rispose, continuò a camminare.
“Altezza?”
insistette la guardia ed il principe si voltò di scatto,
ringhiando.
“Ma…
che…?” borbottò il giovane soldato,
mentre si udirono passi svelti precipitarsi
dai piani delle stanze private.
Prima
che Keros reagisse in modo peggiore, aggredendo chi aveva di fronte
senza alcun
motivo, Simadé raggiunse il suo signore e lo
chiamò per nome, congedando la
guardia.
“Va
tutto bene” mormorò il servo “Siete nel
palazzo del re. Nessuno vuole farvi del
male. Che vi succede? Respirate…”.
Keros
si scosse, riprendendo lucidità e guardandosi attorno. Poi
chiuse gli occhi, sedendosi
a terra e reggendosi il viso con una mano.
“Decapitato”
biascicò, sempre con Simadé al proprio fianco
“Il sangue. Gli occhi spalancati
e ormai spenti che mi fissano…”.
“Siete
a casa” ripeté lentamente Simadé
“Scacciate dalla mente i ricordi di guerra.
Nessuno morirà oggi. Il torneo viene indetto proprio per
evitare altre guerre e
scontri inutili, per permettere ai demoni di sfogarsi in modo
appropriato”.
Keros
non rispose. Fissava il pavimento, che gli sembrava ricoperto di sangue
lucido.
Il servo si allontanò e tornò in pochi minuti,
porgendo una tazza di tè al
proprio signore. Qualche sorso lo fece calmare.
“Così
state meglio?”.
Keros
annuì.
“Non
dovete vergognarvi, altezza. Siete stato in guerra ed eravate molto
giovane.
Avete assistito a scene raccapriccianti ed avete ucciso molte
persone”.
“Sono
passati trecento anni…”.
“Sì,
ma forse l’indossare questa armatura e vedere altri demoni in
abiti simili…”.
“Arikien
indossa l’armatura di Nasfer. Quella che lui
indossava… quando l’ho decapitato”.
“Oh.
Allora è normale una reazione così”.
“No
che non lo è! Io sono un demone!”.
“E…
con ciò? Provate a parlarne con Amodeo. Lui le guerre le ha
vissute tutte e
vedrete che vi confermerà che in molti provano, a volte,
sensazioni come le
vostre. Paure, incubi, visioni… Non avete motivo di
vergognarvene. Vedrete che
con il mio tè starete subito meglio”.
Il
principe sospirò. Dopo un altro sorso, si lasciò
sfuggire una lacrima e la
lasciò cadere in terra senza dire nulla.
“La
guerra è orribile” riprese Simadé
“La mia famiglia è decaduta a causa di una
guerra. La gente muore, demoni vengono sfigurati e sconfitti. Morte. Ma
questo
torneo celebra la vita. È in onore del principino Espero e
della regina
Leonore. Qui i demoni sono amici, alleati, e nessuno verrà
ucciso. L’armatura
che indossava Nasfer ora la indossa Arikien, fieramente, e
combatterà con essa.
È la vita che continua, la celebrazione della forza del
regno”.
Keros
riuscì ad aprirsi in un piccolo sorriso.
“Coraggio!”
sorrise a sua volta Simadé “Andate là
fuori e mostrate a tutti la bellezza di
un principe che combatte!”.
“Compagni
demoni!” esordì Lucifero, a sfilata terminata
“Benvenuti! Le più nobili e le
più forti famiglie del regno sono qui, pronte a sfidarsi per
decretare il
vincitore! Tutto questo in onore della mia ormai prossima sposa, la
regina
Leonore. Ed ovviamente per il principe Espero”.
Fra
il pubblico si alzarono ovazioni per i sovrani.
“Ma
parliamo di premi. Per cominciare, il mio fedele capitano delle guardie
vi
osserverà attentamente e sceglierà fra voi
qualcuno degno di entrare nell’élite
dell’esercito imperiale. Inoltre, se attirerete determinate
attenzioni,
potreste entrare a far parte dei preferiti reali. Al vincitore
assoluto, un
dono”.
Leonore
si alzò, mostrando una splendida spada che un paio di servi
le avevano porto.
“Questa
spada è il mio personale dono al vincitore. Su di essa
è impressa il sigillo
reale e rimarrà in possesso della famiglia vincitrice, nei
millenni a venire. È
di perfetta fattura, impreziosita da pietre preziose e metalli
pregiati. Chiunque
di voi la vincerà, la potrà sfoggiare con
orgoglio. E ora ripassiamo le regole.
Tutti i candidati si sfideranno in uno scontro iniziale, utilizzando
tutti la stessa
arma, che verrà scelta dalla regina. Non verranno ammesse
altre armi, pena la
squalifica. Saranno ammessi cambi di forma, utilizzo di poteri magici
ed
elementali, veleno ed ipnosi. Sarete tutti insieme, e gli sconfitti
verranno
eliminati dal torneo. Quando avrete raggiunto un numero prestabilito,
il demone
che vedete appostato su quella torre suonerà la tromba. I
nomi dei rimanenti
verranno scritti e riposti in un’urna e saranno le piccole
mani della
principessa Carmilla a scegliere e sorteggiare gli abbinamenti per gli
scontri
successivi, uno contro uno. Per motivi pratici, gli scontri si
svolgeranno in
diverse giornate, permettendo a tutti di recuperare le forze e dare il
massimo.
Ospiti miei e degli edifici più lussuosi della
città, spero che questo torneo
vi permetta di rimanere impressi nella memoria degli abitanti di Dite.
Buona
fortuna”.
Si
alzò un grido d’entusiasmo, mentre i contendenti
prendevano posto per il primo
scontro.
“Dove
sei stato?” mormorò il re, rivolto a Keros che era
tornato al seggio accanto al
sovrano.
“A
fare un giro…” gli rispose il principe, vago.
“Stai
bene? Ti vedo palliduccio…”.
“Sto
benissimo. Non vedo l’ora di iniziare. Anche se non mi
aspettavo di vedere
Arikien fra i partecipanti”.
“E
perché no? Basta che questo non ti distragga. Sei il
rappresentante della
famiglia reale, vedi di fare bella figura”.
“Cercherò
di non farti annoiare…”.
Il
principe si alzò, per dirigersi all’arena. A
Leonore fu affidato il compito di scegliere
quale arma far utilizzare a tutti i guerrieri e lei, dopo alcuni minuti
di riflessione,
aveva optato per un bastone lungo. Le sembrava l’arma
più adatta a non
provocare ferite gravi o morti. Una volta che tutti i guerrieri ebbero
tra le
mani il bastone, con il divieto di usare altre armi, gli scontri
iniziarono.
Le
famiglie rivali erano facilmente individuabili: si massacravano di
botte in
modo efferato, ben più feroci rispetto agli altri
partecipanti. Arikien, in
principio un pochino spaesato, non si lasciò spaventare dai
demoni che lo
circondavano ed iniziò a combattere. Lucifero osservava
tutti con attenzione,
trovando alquanto divertente lo spettacolo. Alcuni demoni non avevano
nemmeno
idea di come usare l’arma assegnata ed erano quasi ridicoli,
mentre
inciampavano e si infuriavano con loro stessi ed il bastone. Keros si
guardava
attorno, notando come in molti tentassero di evitare lo scontro con
lui. Ridacchiò,
divertito. Dovevano essere impauriti all’idea di ferire il
rappresentante della
famiglia reale, indispettendo Lucifero. Fu allora il principe a cercare
la
lotta, non volendosi annoiare troppo. Si muoveva con
agilità, guadagnandosi gli
applausi del pubblico e sconfiggendo avversari. I presenti stavano
realizzando
che sconfiggere, o comunque far bella figura, combattendo contro il
principe,
non poteva che arrecare prestigio e lustro al proprio casato. Lucifero
ghignò
soddisfatto, mentre il mezzodemone roteava il bastone e respingeva gli
attacchi.
“Ma
non temi che possano ferirlo?” domandò Leonore
“Sembrano così feroci…”.
“Non
corre alcun pericolo, tranquilla. È in grado di difendersi
più che egregiamente”.
“Anche
noi parteciperemo al torneo, un giorno?” chiese invece la
piccola Carmilla.
“Certo,
perché no?”.
“Però
potevi organizzare una gare anche per i bambini, nonno!”
sbottò Nasfer.
“La
prossima volta. È un’ottima idea. Ora guarda il
tuo papà che rompe qualche culo
in quattro”.
Il
Diavolo osservava deliziato, ed il pubblico gradiva ed applaudiva. Poi,
nel
guardare il principe, il re non poté fare a meno di notare
una somiglianza che
lo fece rabbrividire per qualche istante. Con il bastone, Keros aveva
atterrato
l’avversario e lo costringeva a terra. Sul viso,
un’espressione seria e
risoluta, nessun ringhio o smorfia di rabbia. Spalancando le ali
argento, assomigliava
davvero molto a Mihael. Poi lanciò un grido, espandendo il
proprio potere ed
evocando il fuoco angelico pronunciando una sola parola. Scese il
silenzio,
mentre molti si inchinavano in segno di resa. Passarono alcuni secondi
e suonò
la tromba, mentre Keros storceva il naso. Il sovrano si
congratulò con i
vincitori, mentre terminava la prima giornata del torneo.
“Ma
che cosa ti è saltato in mente?!” sbraitava
Lucifero quella sera.
I
vari contendenti riposavano e Keros sospirava, innervosito. Il sovrano
si stava
dilungando in una predica fin troppo lunga.
“Ti
sei bevuto il cervello?! Rispondimi!”.
“Ma
che vuoi?!” sbottò il principe.
“Usare
una parola angelica all’Inferno? Lanciare fuoco celeste
durante un torneo nella
capitale degli Inferi?! Ma che cazzo avevi in mente?!”.
“Io
faccio quello che mi pare. Volevi che combattessi e l’ho
fatto”.
“Sì,
ma…”.
“Il
mio lato angelico è più forte di quello
demoniaco. Per quanto mi sforzi di migliorarlo,
il sangue di demone non è in grado di lanciare attacchi di
pari forza. Perciò
il modo più rapido di vincere per me è far
così…”.
“Tu
sai combattere benissimo anche come demone, non era necessario questo
teatrino
piumato”.
“Hai
ragione. È per questo che non intendo continuare il
torneo”.
“Che…?!”.
“Ho
capito che voi demoni avete paura. Ed io non voglio incutere timore
inutilmente”.
“VOI
demoni?!”.
Il
Diavolo spalancò le braccia, sconcertato. Keros
tentò di svicolare,
incamminandosi lungo il corridoio e rendendosi conto che il nervosismo
lo
faceva sparlare.
“Somiglio
troppo a mio padre. Per questo mi guardano con terrore. E non mi
piace”.
“Sono
IO tuo padre!” ringhiò Lucifero “IO ti
ho cresciuto, IO ti ho allevato e ti ho
permesso di essere quello che sei. Loro hanno paura perché
sei MIO figlio, il
figlio del sovrano supremo dell’Inferno e suo degno erede.
Incuti timore perché
sei potente, non perché assomigli a quello stronzo di
Mihael!”.
“Ah,
sì? Non perché quel bastone ricordi tanto quella
lancia che ti trafisse e ti
spedì negli Inferi?”.
Muovendo
l’arma, fece scattare i riflessi del re. Keros
ghignò, certo di aver ragione.
“E
tu non è che non vuoi combattere per paura di dover lottare
contro il tuo
fidanzatino?!”.
“Almeno
il mio fidanzatino sa combattere, non è solo seduto e fermo
a fare da bella
statuina da ammirare”.
“Ma
come ti permetti?! Tu mi fai impazzire” sbottò il
demone “Chi ti capisce è
bravo! Che devo fare con te?”.
“Niente.
Solo tapparmi la bocca. Perché?”.
Lucifero
sospirò.
“Perché
sei tornato all’Inferno, quando avevi l’occasione
di fuggirne per sempre?”
domandò poi, calmandosi.
“Perché
sono un demone”.
“Sicuro?”.
Keros
girò le orecchie a punta, ammutolendo. Decise che era meglio
non dire altro e
si allontanò, rinchiudendosi nella sua stanza. Non voleva
combattere ancora. Gli
piaceva, lo ammetteva, ma non voleva che i presenti provassero terrore.
Non voleva
risvegliare ricordi passati ed orribili, così come in lui si
erano risvegliate
nella mente scene di guerra. Si dovevano divertire, e meritavano di
farlo,
senza pensare al Paradiso. Lui sognava rispetto, ammirazione, ma non
timore. E poi…
certo che era un demone! Era assolutamente certo di esserlo!
Sbatté la porta
dietro di sé e sobbalzò nel vedere Arikien ad
aspettarlo.
“Levati
immediatamente quell’armatura” sibilò il
principe, notando che ancora vestiva l’armatura
in cui aveva decapitato Nasfer.
“Ed
io che volevo farmi ammirare” scherzò Arikien
“Come ho combattuto, secondo te? Non
vedo l’ora di sapere chi sarà il mio
avversario!”.
“Sei
stato molto bravo. Però ora togli l’armatura, ti
prego. O te la incenerisco”.
“Oh…
Ok…”.