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Autore: HistoryFreak_91    11/07/2019    2 recensioni
6000 anni sono davvero un'infinità. Tante sono le vicende, gli eventi storici e non che si susseguono e Crowley ed Aziraphale erano nei paraggi per molti di essi.
Questa fanfiction ha la volontà di evidenziare alcuni momenti salienti delle vite delle due entità, cercando di essere il più possibile storicamente accurata (con alcuni cambiamenti per rendere più vivace ed anche più semplice la lettura) e soprattutto fedele ai due personaggi principali.
Gli avvenimenti saranno in ordine sparso. Potrebbero essere solo un paio di capitoli oppure una bella raccolta di numerose oneshot/flashfic/drabble.
Genere: Sovrannaturale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments, Otherverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Coautrice: Lady White Witch

 

L'Italia era sempre stato un Paese meraviglioso e Roma, in quel periodo dell'anno, brillava di tutti i suoi sgargianti colori. Aziraphale, vestito con il suo farsetto più elegante, adornato da una piccola, graziosa e bianca gorgiera ricamata, camminava per le strade della splendida metropoli accompagnato da un prelato, Francesco Maria Bourbon del Monte Santa Maria, un uomo distinto, di gran cultura e con una parlata chiara ed eloquente. Aziraphale lo ascoltava un po' distrattamente, più affascinato dai borghi romani e da quanto il tempo avesse cambiato le cose dall'ultima volta che era stato lì.

 

“Eccoci arrivati.” Le parole del cardinale lo ridestarono dalle sue memorie e l'angelo voltò il capo verso la porta apertagli dal prelato, aggrottando la fronte. “Prego, prima Lei, mio signore.” Aziraphale si guardò bene dinanzi: un’insegna rovinata si stendeva di sopra al portone, senza che si riuscisse a leggerne le parole; i vetri erano talmente sporchi da impedire di scrutare qualunque cosa all'interno ed un forte odore di alcol e di verdure stufate fuoriusciva dalla porta ora spalancata. L'angelo era piuttosto confuso ma non si fece pregare oltre: dopo essersi scrollato di dosso la sensazione che quel posto non fosse esattamente à la mode, abbassò il capo ed inforcò la porta, entrando nel buio locale seguito dal prelato paziente. Gli occhi di Aziraphale si posarono subito sui tavolacci stipati alla bene e meglio in uno spazio davvero troppo stretto in cui si accalcavano un numero spropositato di sedie accatastate anche davanti ad un bancone colmo di calici sporchi. Aziraphale chinò lo sguardo verso il tavolo più vicino e vide un uomo sudato ed imbrattato di cenere assaggiare una zuppa di cipolle; ecco da dove veniva l’odore.

 

“Da questa parte, lo vedo.” Indicò Bourbon, superando Aziraphale per fargli strada verso un angolo del locale dove, nascosti dietro ad una colonna portante in legno, sedevano due uomini vestiti di nero. Quando Aziraphale alzò lo sguardo non gli ci volle più di un istante per riconoscere Crowley seduto a tavolo con quello che doveva essere… “Caravaggio.” Lo richiamò all’attenzione il prelato e l'uomo sulla trentina alzò lo sguardo dal suo boccale seguito a ruota dal demone che spalancò gli occhi nel vedere l'angelo che lo osservava con uno sguardo misto tra l'imbarazzo e la curiosità.

 

“Francesco! Carissimo!” L'uomo che sedeva accanto a Crowley si alzò, spalancando le braccia ed accorgendo ad abbracciare l'uomo più anziano. “Qual buon vento?” Caravaggio gli prese le spalle e lo guardò dritto negli occhi con il sorriso furbo di chi sapeva cosa stava facendo. Bourbon sospirò ma si costrinse a non ricambiare quel sorriso

 

“Michelangelo, sai benissimo perché sono qui.” Rispose con un tono di rimprovero che suonò più accondiscendente di quanto l’uomo desiderasse. “Hai completato l'opera?” Caravaggio fece un cenno con la mano, allontanandosi un poco dall'altro uomo e riavvicinandosi alla sua sedia.

 

“Non ancora, mio caro, non ancora.” Disse con nonchalance ed il prelato non riuscì a trattenere l'ennesimo sospiro. “Ma ci sono quasi.” Dietro la barba e gli scompigliati capelli neri, il sorriso di Caravaggio era stranamente accattivante. Aziraphale lo guardò incuriosito: gli ricordava qualcuno ma non riusciva a capire chi.

 

“Come immaginavo…” Mormorò il prelato fra sé e sé mentre Caravaggio si risedeva al suo posto e si portava il boccale alle labbra. “È per questo che ho portato questo gentiluomo.” Il pittore alzò gli occhi e li posò Aziraphale per la prima volta che, intimidito ed a disagio, forzò un sorriso di presentazione che subito si spense. Caravaggio sposò gli occhi nuovamente sul cardinale, posando lentamente il boccale sul tavolo. “Non guardarmi così, Michelangelo.” Si risentì l'anziano, ritirandosi nelle sue vesti. “Sappiamo entrambi benissimo che io non sono in grado di starti dietro: sono vecchio ormai e ti voglio troppo bene per starti a sgridare come un bambino.” Bourbon poteva essergli padre a Caravaggio: lo ospitava a casa sua e cercava di farlo rigare dritto, ma la loro amicizia e l'indole aperta del prelato gli rendevano difficile avere un polso fermo con il ragazzo geniale ma scapestrato. 

 

“Non sarà così male, Caravaggio.” Crowley sibilò al compagno di bevute che gli lanciò un'occhiata per vederlo sorridere in modo malizioso, come se avesse qualche folle idea per la testa. Il pittore ci pensò su qualche istante: posò lo sguardo di nuovo su Aziraphale che mosse il volto da Crowley che lo fissava con occhi vispi all’altro uomo che adesso lo scrutava scuro in volto. L'angelo non riusciva a ricordare l'ultima volta che si era sentito così sotto pressione.

 

Caravaggio tornò a guardare l'anziano amico che stava aspettando pazientemente una reazione, gli occhi neri imperscrutabili nella loro vivacità, per poi sospirare arrendevole.

 

“D'accordo.” Si alzò dal suo posto ancora una volta ed andò verso Aziraphale che deglutì nervoso. “Puoi unirti a noi…”

 

“Aziraphale.” Si presentò l'angelo, portando una mano al petto e facendo un piccolo inchino. Caravaggio annuì con il capo.

 

“Michelangelo Merisi, ma puoi chiamarmi Caravaggio.” Si presentò come se niente fosse per poi tornare a guardare Bourbon che lo fissava intensamente.

 

“Molto bene.” Si decise a parlare questi vedendo come il pittore non proferiva altro ma sembrava attendere nervosamente la sua dipartita. Il cardinale non si fece pregare e si volse verso l'uscita, fermandosi per un istante accanto ad Aziraphale per incoraggiarlo. “Mi raccomando, Aziraphale, conto su di te.”

 

“Sì, Monsignore.” Si inchinò questi con reverenza mentre Caravaggio piegava la bocca da un lato e quasi alzava gli occhi al cielo. Si scambiò un’ultima occhiata tesa con il prelato ma Aziraphale poté sentire una punta di amore accompagnarla, un amore fraterno che certamente i due conoscevano benissimo. 

 

Quando il cardinale fu scomparso alla vista, Caravaggio si lasciò andare ad un sospiro esasperato.

 

“Quanta pazienza.” Sbuffò, abbandonandosi sulla sua sedia e prendendo il suo boccale solo per notare che era vuoto. 

 

“Tieni, pago io.” Crowley gli passò una piccola borsa tintinnante e Caravaggio gli lanciò uno stanco sorriso mentre Aziraphale si accomodava sullo sgabello davanti ai due.

 

“Scusatemi, miei signori.” Caravaggio si alzò dal tavolo, portando con sé il boccale suo e quello di Crowley. “Vado a prendere qualcos'altro da bere.” Si accomiatò facendo ad entrambi l'occhiolino e si avvicinò al bancone scuotendo la borsa di soldi. 

 

“Non sapevo che lavorassi per la Chiesa di Roma.” La voce improvvisa di Crowley fece spostare l’attenzione di Aziraphale su di lui. Il demone alzò un sopracciglio come per dire finalmente ti sei ricordato che esisto pure io. Aziraphale arrossì ed accorse a schiarirsi la gola.

 

“Infatti." Rispose con un poco di imbarazzo. “È stato Gabriele a mandarmi qui.” Crowley aggrottò la fronte perplesso ed Aziraphale continuò: “Il cardinale del Monte Santa Maria è uno dei nostri.” Prese una piccola pausa, sfregando le mani sui pantaloni per asciugarle dal sudore. “Per premiarlo, ai piani Alti hanno deciso di fargli questo piccolo favore.”

 

“Che sarebbe?” Crowley pensava di aver capito ma voleva esserne sicuro. Aziraphale si voltò a guardare Caravaggio che stava cercando di trasportare tre grandi boccali tutti insieme senza far cadere una goccia dal contenuto.

 

“Assicurarmi che Caravaggio finisca il quadro per la cappella Cavalletti.”

 

“E ti hanno mandato fino in Italia solo per questo?” A Crowley veniva da ridere ma Aziraphale fece spallucce. 

 

“Vado ovunque venga richiesto il mio aiuto.” Rispose ed il demone annuì: non aveva tutti i torti. “Tu, piuttosto.” Aziraphale si sporse un po' e Crowley alzò un sopracciglio. “Che ci fai qui?” Il demone alzò lo sguardo e lo posò su Caravaggio che finalmente stava tornando.

 

“Caravaggio ed io siamo amici.” Rispose con semplicità ed Aziraphale non fece in tempo a chiedergli ulteriori spiegazioni che il pittore posò i tre boccali sul tavolo.

 

“Ecco qui.” Ne offrì uno anche all'angelo e si mise a sedere riconsegnando la borsa a Crowley che se la sistemò alla cintura. “Prendi, offre la casa.” Fece l'occhiolino il pittore ma Aziraphale rimase immobile dov'era. Caravaggio si era già portato il boccale alle labbra ed aveva preso un sorso e non si capacitava del rifiuto dell'angelo. “Qualche problema?” Gli domandò un po' offeso e Crowley lo guardò da dietro la sua bevanda, attendendo una sua reazione. 

 

“Mi dispiace ma non posso accettare.” Era una rinuncia sofferta da parte di Aziraphale che avrebbe volentieri bevuto in compagnia in un altro momento e Caravaggio si sentì davvero offeso.

 

“Qual è il tuo problema?” Sibilò con fare aggressivo ed Aziraphale si sentì gelare.

 

“Calma, Caravaggio.” Disinnescò la situazione Crowley, prendendo la spalla dell’amico e rimettendolo a sedere. “È solo concentrato sulla sua missione, tutto qui.” Con un grugnito, Caravaggio accettò le scuse di Crowley e tornò a bere il suo infimo liquore.

 

“Non capisco perché Francesco abbia dovuto sguinzagliarmi qualcuno alle calcagna.” Lamentò, mordendosi l'interno della guancia per il nervoso.

 

“Da quant'è che non consegni un’opera finita?” Lo stuzzicò Crowley e Caravaggio trattenne una risata. 

 

“Un po'.” Rispose, risollevato un po' d’umore, ma ogni volta che i suoi occhi si posavano sul damerino inglese seduto impettito davanti a lui gli veniva voglia di prenderlo a schiaffi. Dal canto suo, Aziraphale non sapeva bene che cosa fare: da un lato c'era Crowley che sembrava indifferente a tutto ciò che gli accadeva attorno e dall'altro questo uomo dall'aspetto trasandato che, a quanto pare, era un genio dell'arte ma aveva un carattere a dir poco difficile. 

 

“Ah, non ce la faccio più a sopportarlo!” Si alzò di scatto il pittore e per un istante l'angelo temette il peggio. “Va bene, hai vinto tu.” Posò sul tavolo il boccale ormai vuoto ed indicò ai due compagni di bevute di alzarsi. “Andiamo, usciamo di qui.” Aziraphale si voltò verso Crowley come per avere un assenso ma questi si limitò ad alzarsi e l'angelo seguì il suo esempio. Caravaggio era ad un palmo del suo naso, minaccioso, ma si lasciò solo sfuggire un grugnito e poi, scuotendo la testa, si allontanò seguito a ruota dal demone. Aziraphale rimase basito per qualche istante, deglutendo dolorosamente, e poi si fece coraggio e seguì gli altri due uomini all'esterno. 

 

Il sole era ancora alto nel cielo ed Aziraphale impiegò qualche istante per abituarvisi dopo aver passato così tanto tempo in quel luogo così buio. Alzò lo sguardo e vi trovò le graziose case della Roma medievale con i loro portici e le ringhiere adornate dai mille fiori. Circondato da quella vista meravigliosa, Aziraphale sentì immediatamente di essere tornato in se stesso e si volse a guardare gli altri due uomini che rimanevano fermi davanti al locale.

 

“Dove andiamo ora?” Chiese candidamente l'angelo e non si rese conto del sorriso cospiratorio che l'uomo ed il demone si scambiarono in quella frazione di secondo.

 

“Beh, tu vuoi che mi metta a lavorare, giusto?” Cominciò Caravaggio con uno sguardo furbo che Aziraphale non colse. “Se devo mettermi a dipingere, ho assolutamente bisogno di andare a comprare delle tinte.” Crowley, dal canto suo, capiva benissimo cosa il tono del pittore sottintendesse ma non disse nulla e lo lasciò fare.

 

“Mi sembra giusto.” Annuì l'angelo ingenuo e Caravaggio gli sorrise.

 

“C'è una bottega dalla quale mi rifornisco.” Spiegò l'uomo, cominciando a camminare. “Non è molto distante.” 

 

“D'accordo." Non si fece problemi l'angelo, cominciando a seguirlo assieme ad un Crowley spensierato. “Fai strada.”

 

Le vie di Roma erano strette ed affollate: delle guardie pattugliavano le strade e uomini con vestiti sgargianti parlavano tra loro ad alta voce creando un fermento vivace e festivo, si udiva persino della musica non troppo lontano. Alcuni carri attraversavano la confusione, riversando sul terreno la terra riportata dalla campagna. 

 

“Che ne pensi di Roma, Aziraphale?” Chiese Crowley tutto d’un tratto e l'angelo aggrottò la fronte: sapeva bene cosa ne pensava di Roma, c’erano stati sin sai suoi inizi.

 

“È splendida, come sempre.” Rispose gioiosamente: il tripudio di vita, di colori, di odori… come si poteva non amare la tentacolare Roma?

 

“E non hai ancora visto la parte più bella." Lo schernì Caravaggio, prendendo una strada traversa. Aziraphale lo seguì incuriosito: era certo di conoscere Roma molto bene ma ormai erano passati anni dall’ultima volta che l'aveva visitata. Il pittore lo condusse in una zona che l’angelo non parve riconoscere. Man mano che proseguivano, il passaggio attorno a loro si faceva meno curato; cominciarono a sparire i fiori e poi le tende ed i graziosi porticati. I muri erano spogli o rovinati, l'edera cresceva lungo ogni pertugio e l'odore si faceva acre. Aziraphale si strinse un po' di più verso Crowley che sembrava impassibile di fronte a quel repentino mutamento di atmosfera. Persino il sole sembrava soffocato dagli stretti palazzi e dal complessivo grigiore che vigeva in quella zona.

 

A completare il tutto, le persone ai bordi delle strade sembravano aumentare ma non si trattava più di facoltosi uomini d’affari ma piuttosto di donne anziane e bambini che chiedevano l'elemosina mentre giovani poco vestite abbindolavano uomini sospetti che si nascondevano dietro ai mantelli. Aziraphale era talmente distratto da tutto quello strano movimento attorno a sé che non si era reso conto che Crowley si fosse fermato ed andò a sbattergli contro la schiena.

 

“Oh.” Stava per scusarsi ma la sua attenzione fu catturata da delle risa improvvise: erano dei bambini che stavano scappando via dopo aver inciso qualcosa sulla statua di un uomo contro un muro di pietre. 

 

“Altre pasquinate.” Parlò Caravaggio, avvicinandosi all'uomo di pietra.

 

“Pasquinate?” Domandò Aziraphale, guardando Crowley che alzò le spalle per poi dirigersi insieme a lui verso Caravaggio che prese uno dei biglietti che ricoprivano quasi da cima a piedi la statua.

 

“Messaggi, poesie, disegni, qualunque cosa.” Raccontò, spiegando il foglio. “Quando i poveri di Roma debbono dire qualcosa ai potenti, lo lasciano qui, alla statua di Pasquino.” Sorrise con una punta d'orgoglio e cominciò a leggere ad alta voce: 

“In questa tomba giace 

un avvoltoio cupido e rapace.

Ei fu Paolo Farnese,

che mai nulla donò, che tutto prese.

Fate per lui orazione:

poveretto, morì d’ingestione.” Caravaggio rise soddisfatto. “Un classico.” Commentò e rimise il biglietto al suo posto per poi prenderne un altro: “Ah, guardate!” Aprì il foglio e lo mostrò ai due demoni: sopra di esso, il disegno grottesco di quello che appariva un medico del tempo ed una sola frase: Ecce qui tollit peccata mundi.

 

“Che cosa significa?” Domandò Aziraphale, riferendosi più a cosa fosse legato quel disegno che al significato della scritta latina.

 

Ecco colui che toglie i peccati del mondo.” Tradusse comunque il pittore per poi continuare: “Si riferisce a Papa Clemente VII. Alcuni pensano che sia stato il suo medico ad ucciderlo.” Spiegò Caravaggio, risistemando per bene il foglio. “E se così fosse, è giusto che quell'eroe venga ricordato.” Lo lisciò per bene contro la statua, in modo che tutti potessero vederlo. 

“Gli ultimi istanti per Leon venuti,

Egli non poté avere i sacramenti.

Per Dio, li avea venduti!” Caravaggio continuò a ridacchiare sotto il baffi, leggendo l'ennesimo messaggio. “Stupidi Papi e le loro indulgenze.” Ma Aziraphale e Crowley non lo stavano più a sentire.

 

“Una statua su cui scrivere i propri reclami senza ripercussioni, uhm…” Stava riflettendo Crowley, portandosi una mano sotto il mento. Aziraphale alzò lo sguardo verso di lui.

 

“Qualche idea?” Gli domandò, non capendo dove volesse arrivare. Il demone sorrise ed estrasse (per miracolo) dalla borsa un pezzo di carta ed un pennino ben inchiostrato (guarda tu che fortuna!) e cominciò a scrivere, un sorriso malefico che gli solcava il volto. Aziraphale lo guardò fare ma aspettò che il demone avesse finito e gli passasse il foglietto per leggere.

 

“Hastur è un brutto…” L'angelo si censurò da solo, arrossendo vistosamente dinanzi ad un elenco spropositato di insulti, metà dei quali non aveva mai sentito prima. “Crowley!”

 

“Cosa?” Rise l'altro, prendendogli il foglio dalle mani e dandolo a Caravaggio che si mise a ridere come un matto. “Se lo merita.” Aziraphale sospirò profondamente: è vero, Hastur in fondo se lo meritava, ammise e lasciò correre mentre Caravaggio aiutava Crowley a trovare uno spazio libero per lasciare il suo messaggio. 

 

“Adesso tocca a te.” Il pittore incitò l’angelo ed Aziraphale sgranò gli occhi.

 

“Io? No, no, non se ne parla.” Fece cenno di no con le mani, tirandosi indietro, ma Crowley non lo lasciò scappare.

 

“Andiamo, angelo, so benissimo che hai qualcosa da dire anche tu.” Lo prese per un braccio e lo fece avvicinare alla statua.

 

“Angelo?” Ripeté Caravaggio lievemente incuriosito ma la confusione che stavano facendo l'angelo ed il demone prese il sopravvento.

 

“Non saprei proprio cosa scrivere!” Lamentò Aziraphale mentre Crowley estraeva un altro pezzo di carta e glielo porgeva, mettendogli nell'altra mano il pennino.

 

“Quello che ti pare!” Gli rispose il demone, spalancando le braccia. “Andiamo.” Si piazzò dietro Aziraphale e gli posò le mani sulle spalle. Caravaggio sorrise divertito.

 

“Puoi anche lasciare un disegno.” Suggerì, spuntando dall’altro lato: adesso erano lui e Crowley a sembrare angelo e demone, posti in quel modo ai lati di Aziraphale; solo che, invece di due creature di entità diversa, erano entrambi diavoli tentatori. Aziraphale sembrò pensarci su, spostando l’attenzione da loro alla statua davanti a sé: era davvero colma e stracolma di messaggi, ingiurie delle più spropositate e persino incisioni di cose che un angelo come lui non poteva neanche immaginare.

 

“So benissimo che c'è qualcuno a cui vorresti dire quello che provi.” A quel sibilo improvviso che gli sfiorò un orecchio, l’angelo batté le palpebre e voltò il capo per incontrare lo sguardo malizioso del demone che lo fissava da dietro le lenti nere. Ricambiò il suo sguardo per un po’ con il fiato sospeso, posando gli occhi sulle sue labbra piegate all’insù. Di colpo lo sguardo dell’angelo si illuminò: il biondo fece un piccolo balzo, si accartocciò sul foglio che aveva in mano e si affrettò a scrivere il pensiero che gli era balenato in testa. Crowley e Caravaggio si scambiarono uno sguardo soddisfatto e lo lasciarono fare, facendo entrambi un passo indietro, liberandolo da quella morsa serpentina su due lati. 

 

“Fatto!” Esclamò soddisfatto l’angelo quando ebbe finito, mostrando i denti bianchissimi dietro un sorriso che sembrava spaccargli il viso in due. Cercò con cura un posticino su cui affiggere il suo capolavoro e lo ficcò tra il disegno del dottore di Clemente VII ed alcuni insulti un po' meno velati. Crowley e Caravaggio si portarono un po' avanti per vedere.

 

“Gabriele è un… cattivone.” Lesse il demone ad alta voce e poté percepire l’angelo fremere di entusiasmo per quella piccola diserzione. Crowley abbassò lo sguardo ed incrociò quello di Caravaggio. I due amici si guardarono per qualche istante e Crowley fu il primo a lasciarsi scappare un mezzo sorriso che il pittore condivise con piacere, scoppiando a ridere facendo sobbalzare Aziraphale che si voltò a guardare prima lui e poi Crowley che aveva preso a sghignazzare a sua volta.

 

“È perfetto, angelo!” Commentò e gli diede una pacca sulla spalla. Il volto incerto di Aziraphale si curvò nuovamente in un sorriso ed anche l’angelo prese a ridacchiare soddisfatto. Crowley non poteva ammetterlo davanti a Caravaggio, ma era sinceramente orgoglioso del suo angelo. Sarà sembrato poco agli occhi degli altri, ma vedere Aziraphale esternare il suo disappunto verso uno dei suoi superiori non era da poco e Crowley questo lo sapeva bene. Dal canto suo, Caravaggio era solo felice di essere riuscito a convincere l'angelo a fare qualcosa che sembrava ben lungi dal suo carattere e si ritrovò a pensare che forse quella giornata non sarebbe stata così male. 

 

“Forza, andiamo.” Fu infatti il primo a parlare, allontanandosi facendo segno di seguirlo. “C'è altra strada da fare.” Si era deciso a sfruttare al meglio quel tempo che gli era stato tolto per le sue bevute ed iniziò a prendere una strada verso nord-ovest, verso il Tevere. Crowley ed Aziraphale si lanciarono un ultimo sorriso soddisfatto ed iniziarono a seguire il pittore. L'angelo continuò ad adocchiare la statua di Pasquino fin quando fu alla vista, talmente contento da essersi dimenticato del tutto della sua missione.

 

I tre turisti attraversarono Ponte Sant'Angelo accompagnati dai richiami dei romani intenti a pescare, passarono di fronte al castello e proseguirono fino a raggiungere le porte del Vaticano. Caravaggio non sembrò esitare e continuò imperterrito a camminare all'interno della sede papale. Uomini vestiti di porpora, bianco ed oro avevano preso il posto di quelli ricoperti di grigio e terra. Camminavano con le berrette che riparavano le anziane teste dal sole e le mani ricolme di anelli preziosi ed ingemmati strette davanti al corpo in maniera tutta monotona, tutta uguale. 

 

“E questo è il Vaticano.” Indicò Caravaggio con una punta di disgusto che non passò inosservata. “Lì c'è la chiesa.” Elencò, addentrandosi un po' di più all'interno di Piazza San Pietro. “L'anno prossimo cominceranno i lavori per la nuova facciata, ho sentito dire.” Continuò a parlare sempre senza nascondere il suo disprezzo. “Che spreco.” Scosse il capo, gli occhi delusi che si guardavano tutti attorno. “Ho visto i disegni dell’epoca di Costantino una volta.” Lo sguardo si posò nuovamente verso la chiesa. “Era tutta un’altra cosa, voi non potete capire.”

 

“Che c'è?” Sussurrò Crowley, vedendo Aziraphale distratto. L’angelo gli lanciò uno sguardo eloquente. 

 

“Io c'ero durante la costruzione della basilica costantiniana.” Rispose piano, assicurandosi che Caravaggio non lo sentisse, e Crowley soffocò una risata. 

 

“È desolante, non credete?” Il pittore si voltò verso i due compagni d'avventura con uno sguardo misto tra l'angoscia e la rabbia. “Tutto questo sfarzo, questo esibizionismo e poi guardateli.” Indicò quattro uomini che parlottavano incomprensibilmente tra loro. “Morti.” Sentenziò Caravaggio. “Sembrano morti.” Abbassò il viso pensieroso per qualche istante. Aziraphale riportò lo sguardo su di lui dopo essere rimasto ad osservare gli uomini anziani per un po': non capiva bene che cosa intendesse ma allo stesso tempo sentiva che aveva ragione. “Meno male che esistono anche loro.” Alla continuazione di Caravaggio, pure Crowley tornò a fissare l'amico italiano che adesso sorrideva annuendo con il capo, guardando lontano.

 

“Loro chi?” Domandò Aziraphale senza neanche pensarci.

 

“Loro, i poveri.” Caravaggio alzò la mano per indicare il punto dal quale erano arrivati e gli sembrò di rivedere tutta la miseria umana che avevano attraversato poco innanzi. “Gente viva, che pensa, che soffre e quindi gioisce davvero.” Lo sguardo di Caravaggio era luminoso, ispirato persino. “Gente che grida, che corre, che odia, che ama e non così, come questi signoretti.” Indicò ancora gli anziani con disprezzo. “Che ne sanno loro dell'amore, della passione, della sofferenza?” Fece una breve pausa. “Morti.” Sibilò tra i denti, come una sentenza. “Sono morti.” 

 

Aziraphale e Crowley rimasero in silenzio a fissare il pittore che sembrava tutt’un tratto stanco, drenato delle sue energie dai suoi sentimenti così vivi e turbolenti. Ad Aziraphale sembrava di vedere una ardente ed esplosiva palla di fuoco davanti agli occhi e qualcosa lo colpì: misto a quel sentimento di odio se ne trovava uno molto più grande, uno molto più potente che sovrastava tutto ed era amore, amore per il genere umano, per il popolo, per il piccolo. Amore per la vita in tutte le sue sfaccettature, soprattutto quelle più infime, quelle più vere. Improvvisamente, Aziraphale sembrò capire perché a Crowley piacesse tanto quell'uomo: era come loro; Caravaggio amava la Terra ed i suoi abitanti come loro.

 

Con un movimento repentino, il pittore sembrò ridestarsi e la sua bolla di pensieri scoppiò. Scosse il capo e lo rialzò, guardando i suoi due ospiti con fare sorpreso per poi schiarirsi la gola e cercare di darsi un contegno.

 

“Direi che abbiamo perso già abbastanza tempo qui.” Sentenziò serio, forse un po' imbarazzato per essersi lasciato andare in quel modo e senza preavviso. “Direi che è il caso di proseguire.” E fece strada seguito da un Aziraphale ed un Crowley che si scambiarono un'occhiata eloquente.

 

Il gruppetto fece una lunga deviazione per poi attraversare Ponte Sisto, rientrando nella zona povera della città. Era stata davvero una lunga passeggiata e, tra una fermata e l'altra, erano trascorse diverse ore ed il cielo si faceva più scuro. Aziraphale cominciava a sentirsi stanco ed anche un po' preoccupato di non star facendo bene il suo lavoro. Alzò una mano, pronto per richiamare l'attenzione, ma un parlare improvviso lo fermò dal cominciare la sua frase.

 

“Ma guarda tu chi si vede.” La voce apparteneva ad un uomo che se ne stava appoggiato contro lo stipite di quella che sembrava un'altra taverna. Caravaggio si fermò dal suo incedere e volse lo sguardo per posarlo sull'uomo. “Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio.” Il pittore non si fece scomporre da quel tono minaccioso.

 

“Buonasera, Ranuccio.” Lo saluto con un cenno della mano, il volto congelato in un’espressione indecifrabile. Ranuccio sputò a terra per ricambiare il saluto.

 

“Sapevo che saresti passato di qui, schifoso pallone gonfiato.” In realtà Caravaggio non si era neanche accorto di dove fosse, stava semplicemente cercando di prendere tempo. Il pittore guardò velocemente l'insegna del locale e capì di aver commesso un errore.

 

“Non si dica mai che Caravaggio non sia libero di stare dove gli pare.” Non era assolutamente vero: solo l'anno prima era dovuto scappare da Roma e rifugiarsi a Genova per tre settimane dopo un litigio, ma questo Ranuccio probabilmente non lo sapeva. 

 

“Ah!” Esclamò Ranuccio beffardo. “Vieni a dirlo ai miei amici.” E proferendo queste parole entrò in fretta nella locanda. 

 

“Chi era quello, Caravaggio?” Chiese Crowley che era rimasto in disparte insieme ad un Aziraphale alquanto turbato.

 

“Solo un cornuto, Crowley.” Rispose il pittore in modo diretto, valutando se fosse il caso o meno di prendere e scappare quando qualcosa di grande quanto un palmo della mano gli si spiaccicò viscido e caldo sulla guancia. “Bleah.” Commentò il pittore, riconoscendo immediatamente l’odore: carciofi.

 

“Questo è per quella volta che mi hai gettato la zuppa in faccia, coglione maleducato!” La voce del garzone d’osteria giunse forte e chiaro e Caravaggio sembrò annuire con il capo come per dire questa me la meritavo

 

“Merisi!” Urlò una terza voce ed il pittore stavolta sembrò sbiancare: parli del diavolo… era proprio il notaio per il quale era stato costretto a scappare a Genova! Caravaggio sospirò.

 

“Che ci fate voi tre insieme?” Chiese, indicandoli uno ad uno.

 

“Ranuccio ci ha raccontato quello che gli hai fatto.” Spiegò Mariano Pasqualone, il notaio. “L'hai quasi ucciso!”

 

“E ti sei fatto la donna del notaio.” Spiegò per completezza il garzone, puntando un dito verso l’altro che aggrottò la fronte, chiedendosi da che parte stesse il ragazzo.

 

“Ed anche la mia!” Si indicò Ranuccio, preso dalla foga, prima di rendersi conto di essersi dato del cornuto da solo. Scosse la testa imbarazzato e si volse nuovamente verso Caravaggio. “Siamo qui per darti una lezione.” Batté il pugno sul palmo della mano con un sorriso concitato. 

 

“Non ho paura di tre zucche vuote.” Commentò il pittore, incrociando le braccia, certo di avere il supporto dei suoi compagni di avventura ma questi non mossero un dito. 

 

“Prendiamolo!” Li aizzò il notaio e immediatamente i tre furono sul pittore che si dibatteva magistralmente ma che non poteva sperare di vincere contro altri tre uomini adulti. Angelo e demone guardavano la scena a debita distanza quando Aziraphale, di colpo, rinsavì.

 

“Crowley?” Si volse verso il demone con fare accusatorio e quello aggrottò la fronte.

 

“Cosa?” Domandò e mentre osservava il broncio di Aziraphale cominciò a capire. “Pensi che sia stato io a metterlo in questi casini? No, no, angelo.” Rise il demone divertito, voltandosi a guardare la ridicola scena con le braccia incrociate al petto. “Ha fatto tutto da solo. È un maestro nel cacciarsi nei guai, c'è solo da imparare.”

 

“Mh.” Aziraphale rifletté per qualche istante e poi decise di credergli: perché avrebbe dovuto mentirgli? Il rumore agghiacciante di un qualche osso che si rompe fece ridestare l'angelo da quei pensieri e gli fece accapponare la pelle. “Crowley, fa' qualcosa!”

 

“Perché io, scusa?” Gli domandò l'altro di rimando con nonchalance.

 

“È amico tuo, no?” Mise il broncio l'angelo e Crowley alzò gli occhi al cielo.

 

“E va bene, va bene.” Schioccò le dita ed un gruppo di cani inferociti spuntò da dietro un angolo e si riversò sui tre assalitori, ignorando interamente Caravaggio che ai trovava sotto di loro. I tre uomini tentarono dapprima di lottarvi contro ma le bestie sembravano ostinate a prendersela con loro così cominciarono a scappare, in un inseguimento mozzafiato per le vie di Roma. Crowley li guardò allontanarsi soddisfatto mentre Aziraphale accorreva a risollevare Caravaggio, preoccupandosi di curarlo mentre era ancora stordito. 

 

“Tutto bene?” Domandò Crowley, in realtà rivolgendosi ad Aziraphale per sapere se c'erano state fratture, ma fu il pittore a rispondergli.

 

“Sì, tutto apposto.” Disse alzandosi da solo, scansando Aziraphale che rimase per qualche istante in ginocchio prima di rialzarsi e pulirsi i calzoni dal terriccio. “Non mi hanno fatto neanche un graffio.” Caravaggio fece un occhiolino spavaldo a Crowley che gli sorrise e poi lanciò uno sguardo d'intesa ad Aziraphale che sorrise compiaciuto. “Che giornata.” A quelle parole, Aziraphale alzò gli occhi al cielo e si rese conto che era rosso acceso.

 

“Oh no, è tardissimo!” Lamentò con espressione concitata. Posò lo sguardo sugli altri due uomini ma quelli non sembrarono minimamente toccati dalla cosa.

 

“Oh beh, sì.” Parlò il pittore con nonchalance, neanche sforzandosi di nascondere quel sorriso sornione. “Le botteghe saranno chiuse a quest'ora, che peccato.” Solo in quel momento Aziraphale si rese conto di essere stato gabbato: avevano girato per Roma per il tutto il giorno senza combinare nulla ed ora era troppo tardi per rimediare.

 

“Suvvia, angelo, non fare quella faccia.” Crowley gli posò una mano sulla spalla, sorridendogli anche lui in maniera non poco soddisfatta. “Non si può sempre vincere. Vieni, ti offro da bere.” Ed indicò una stradina che riportava nella Roma del ceto medio. Ad Aziraphale non ci volle tanto per capire che erano tornati al punto di partenza quando vide la stessa identica taverna dalla quale erano partiti. Si voleva strappare tutti i capelli ma si trattenne perché non era il caso.

 

I tre uomini si accomodarono, Caravaggio con un'espressione raggiante in volto mentre Crowley offriva cibo e liquore. Aziraphale osservò la sua zuppa di carciofi con il languore di chi ha appena visto un cane messo sotto da un carro. Sospirò, prese il cucchiaio e cominciò a mangiare.

 

“Alla nostra!” Esclamò un Crowley esaltato dall'alcol. I tre erano rimasti a lungo nella taverna, avevano finito il pasto ed erano rimasti per bere il vino, miracolosamente più buono dopo qualche boccale bello pieno, ed ora aveva dato loro alla testa. 

 

“È stata proprio una bella giornata.” Caravaggio annuì con capo soddisfatto e notò Aziraphale alzare timidamente gli occhi al cielo. “Oh, su, non fare quella faccia, Aziraphale.” Lo canzonò il pittore, riempiendogli di nuovo il boccale. “Alla fine ci siamo divertiti, no?” Aziraphale rimase in silenzio per qualche secondo, sentendosi gli occhi di entrambi i compagni d’avventura fissi su di lui.

 

“Beh, non è stato così male.” Ammise infine, portandosi il vino alle labbra per aiutarsi a parlare. Crowley fece un sorriso a trentadue denti. 

 

“Anche tu, Aziraphale, in fondo, non sei così male.” Ammise il pittore facendo su e giù con la testa e Crowley lanciò uno sguardo impressionato di felicitazioni ad Aziraphale che arrossì: a quanto pare non era da tutti entrare nelle grazie del pittore. Questi, dal canto suo, aveva bevuto così tanto che la sua sbornia stava diventando triste e cominciò ad accasciarsi inconsapevolmente sul tavolo. “Che mondo sarebbe senza vino?” Biascicò, contemplando il boccale come se fosse un'opera d'arte per poi sospirare. “Ma ci vogliono i soldi per comprarsi il vino.” Si stropicciò il viso con la mano, cercando di tenersi sveglio. “E per fare i soldi bisogna lavorare e per lavorare ci vogliono i modelli che si comprano con i soldi.” Ad un primo ascolto il discorso sembrava sconclusionato ma aveva un suo senso logico. Vedendolo così mesto, Crowley gli posò una confortante pacca sulla schiena.

 

“Quanti te ne mancano?” Gli domandò senza neanche pensarci e ed il pittore dondolò la testa sconsolato.

 

“Due.” Ripose ed il demone annuì con il capo, spostando gli occhi dal pittore all'angelo che ricambiò lo sguardo, entrambi come per dire peccato che non ci sia nulla che possiamo fare quando, finalmente, gli occhi del demone si illuminarono.

 

“Ehi!” Esclamò, destando l’attenzione del pittore che lo guardò indicare se stesso e l'angelo con un dito che scattava dall'uno all’altro. “Noi siamo due!” L'angelo spalancò gli occhi e cominciò ad annuire con il capo come se avesse appena avuto la rivelazione della vita. Caravaggio si tirò su sulla sedia e guardò i due con gli occhi lucidi.

 

“Mi fareste da modelli?” Chiese incredulo e Crowley si scambiò uno sguardo con Aziraphale che sembrò un po' titubante e si rannicchiò dietro il suo boccale, intimidito. Crowley alzò le sopracciglia, come ad incitarlo, ed alla fine l'angelo tirò su col naso.

 

“Oh, che diamine!” Si lasciò andare con un sorriso birichino che gli arrossì le guance, alzando il boccale gongolante. “Perché no?” I tre fecero un brindisi celebrativo.

 

Finito di bere l'ultima caraffa, uscirono nella fredda notte che li aiutò un poco a riprendersi dalla sbronza e si diressero verso la residenza di Francesco Maria Bourbon del Monte Santa Maria dove Caravaggio alloggiava. Lì, il pittore si mise immediatamente a lavorare: sistemò i due uomini in posa in preghiera, dando loro degli stracci da indossare per costumi, e dipinse tutta la notte.

 

Quando fu tardo mattino, il pittore posò il pennello e si accasciò a terra, soddisfatto.

 

“Ah.” Sospirò, alzando il viso verso il suo capolavoro mentre Crowley ed Aziraphale correvano al suo fianco per guardare. “La Madonna dei Pellegrini.” Intitolò Caravaggio e le due entità osservarono come le loro fattezze fossero state ammorbidite per rispettare il tono del quadro. Angelo e demone si guardarono impressionati e sorrisero soddisfatti.

 

La Madonna dei Pellegrini è tutt'ora conservata nella Cappella dei Cavalletti della Basilica di Sant'Agostino a Roma. Per quanto le loro fattezze siano state alterate, Aziraphale e Crowley non possono fare a meno di provare un senso di nostalgia ogni volta che passano davanti al quadro e ricordano il loro amico, Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, che non camminava né nella luce né nell'oscurità ma in mezzo, tra le luci ed ombre così come li riversava nei suoi quadri.

 

Note delle Autrici:

  1. Le informazioni su Caravaggio sono prese dal libro “Da Giotto all'età Barocca" di Cricco di Teodoro.

  2. Le pasquinate qui riportate si riferiscono a personaggi del secolo precedente. È una imprecisione storica voluta per abbellimento letterario.

  3. La nuova basilica di San Pietro fu consacrata nel 1626, per questo motivo Crowley non ha problemi a camminare nei suoi paraggi.

  4. Gli aneddoti sul garzone (avvenuto nel 1604), sul notaio Mariano Pasqualone da Accumuli (1605) e su Ranuccio Tommasoni da Terni (maggio 1606) sono tratti dall'articolo “Pennello e Coltello” di Marco Merola sulla rivista Focus Storia n. 45.

   
 
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