Capitolo quattordicesimo
Vivo per lei al limite
Anche in un domani duro
Vivo per lei al margine
Ogni giorno una conquista
La protagonista
Sarà sempre lei
Vivo per lei perché oramai
Io non ho altra via d'uscita
Perché la musica, lo sai
Davvero non l'ho mai tradita
Vivo per lei perché mi dà
Pause e note in libertà
Ci fosse un'altra vita la vivo
La vivo per lei…
(“Vivo per lei” – Andrea Bocelli
e Giorgia)
Jacopo guardò la
folla riunita sotto il Palazzo dei Priori e, per un attimo, credette di
sognare. Quello era ciò che aveva sempre desiderato, che Lorenzo gli lasciasse
la parola e che la gente di Firenze fosse lì per lui, per ascoltare ciò che
aveva da dire. Quello era stato per tanti anni il suo sogno ma, stranamente,
adesso che lo stava vivendo non riusciva a sentirsi pienamente appagato.
Non poteva esserlo
perché non c’era Antonio al suo fianco, Antonio non era lì a condividere il suo
trionfo, a guardarlo e a sorridergli ammirato…
“Messer Jacopo,
avanti, tocca a voi adesso” lo incoraggiò Lorenzo con un sorriso sincero.
“Firenze ha bisogno anche della vostra guida.”
Era ciò che Jacopo
avrebbe sempre voluto sentirsi dire da Lorenzo (e vi pareva che io me lo lasciavo
sfuggire?) e questo lo motivò. Antonio sarebbe stato bene, si sarebbe occupato
di lui ogni giorno della sua vita, ma prima doveva salvare la sua città.
“Cittadini di
Firenze, questo è un momento di grave pericolo ma, al contempo, è una grande
opportunità per tutti noi” esordì, con voce potente. “Tutti noi abbiamo il
dovere di difendere la nostra città dagli invasori stranieri che vogliono
strapparcela!”
La folla si lasciò
subito conquistare dalle parole infiammate di Jacopo e mostrò una certa emozione:
ora non aveva più paura, ma piuttosto voglia di lottare contro quegli invasori
che si permettevano di oltraggiare la loro Firenze.
“Messer Lorenzo ha
inviato le sue guardie a chiudere le porte della città, in modo da impedire che
altri eserciti nemici possano entrare a Firenze” spiegò Pazzi. “Purtroppo,
però, un piccolo drappello di uomini era già riuscito a penetrarvi con
l’inganno (beh, ovviamente Jacopo non poteva certo rivelare che parte avesse
avuto lui nella faccenda, no?) ed è per questo che adesso dobbiamo lottare
insieme: voi, noi, tutti quelli che amano Firenze e la vogliono libera!”
La folla esultò e
anche Giuliano, suo malgrado, dovette dirsi affascinato dal discorso di Jacopo.
“Odio doverlo
ammettere, ma è veramente un piacere ascoltare Jacopo… quando, per una volta,
parla a nostro favore e non contro di
noi” rivelò sottovoce al fratello.
E
poi, se veramente abbiamo fortuna, non metterà di mezzo il solito Pazzino de’
Pazzi, pensò.
“In questo momento la
salvezza di Firenze, la difesa della sua libertà, deve essere messa al di sopra
di ogni cosa e tutti dobbiamo unirci per respingere l’invasore!” esclamò Jacopo
con veemenza. “Firenze unita sarà sempre più forte, Firenze unita è
invincibile! Anche la mia famiglia e quella dei Medici, da sempre rivali, oggi
sono pronte a unirsi e a lottare fianco a fianco, perché quello che davvero
conta è Firenze e non i nostri interessi personali. E così Firenze trionferà su
tutti i suoi nemici!”
Sì, ovviamente Pazzi
aveva usato un leggero eufemismo nel
parlare della rivalità tra la sua famiglia e i Medici… ma quello che era
veramente importante era l’effetto sulla folla che lo stava ascoltando. Fu il
delirio. Popolani, mercanti, artigiani, donne, uomini, giovani e vecchi, tutti
erano ormai rassicurati dal discorso di Lorenzo e infiammati dalle parole di
Jacopo, tutti erano pronti a difendersi e a combattere con armi di fortuna… e
peggio per i soldati di Montesecco che fossero finiti nelle loro grinfie!
“Medici! Medici!
Pazzi! Pazzi!”
“Firenze! Firenze!”
Le grida esultanti
dei cittadini provocarono un’emozione violentissima ai tre uomini che si
trovavano alla finestra dell’ufficio del Gonfaloniere. Lorenzo e Giuliano si
abbracciarono, mentre Jacopo ostentava la solita aria altezzosa… ma aveva gli
occhi lucidi.
Il suo nome scandito
dalla gente di Firenze: il suo desiderio che si avverava.
Era commosso e turbato,
il suo cuore una tempesta di sentimenti, ma la sua soddisfazione non poteva
essere completa.
Avrebbe tanto voluto
che Antonio fosse lì con lui, che potesse vederlo in quel momento.
Antonio aveva sempre
creduto in lui, lo aveva accolto e ascoltato, lo aveva fatto sentire
importante: adesso che anche Firenze riconosceva
la sua grandezza (così pensava lui…) non era lì a godere del suo trionfo ed
era tutta colpa sua, perché si era intestardito in quella congiura idiota con
quel gruppo di deficienti invece di ascoltare il ragazzo che gli voleva
veramente bene.
Se fosse accaduto
qualcosa ad Antonio non se lo sarebbe mai perdonato e nemmeno tutti gli onori e
i poteri del mondo avrebbero potuto sostituire il suo dolcissimo ragazzino…
Ma torniamo alle
notizie da Firenze: i cittadini avevano accolto con encomiabile entusiasmo gli incoraggiamenti di Lorenzo prima e di
Jacopo poi. In capo a quella memorabile giornata, i soldati mercenari di
Montesecco furono fatti a pezzi da una folla inferocita con bastoni, zappe,
forconi e tutto quello che era riuscita a trovare. Probabilmente non
aspettavano altro che una scusa per malmenare ben bene qualcuno, ma vabbè… Gli
eserciti di Niccolò da Tolentino e Girolamo Riario compresero che qualcosa non
era andato esattamente secondo i
piani dei congiurati e così si guardarono bene dal tentare di invadere Firenze:
fecero rapidamente dietro-front e tornarono a casa con la coda tra le gambe.
Montesecco e Salviati
furono processati sommariamente nell’ufficio del Gonfaloniere e impiccati senza
tanti complimenti alle finestre del Palazzo dei Priori, come monito per
chiunque altro imbecille avesse pensato di tentare qualche bestialità del
genere. Jacopo assisté alla scena senza batter ciglio, al fianco di Lorenzo e
Giuliano. Conosceva appena Montesecco e non gli piaceva per niente e, in quanto
a Salviati, era ben felice di toglierselo dai piedi: lo considerava una
minaccia per Antonio, inoltre hai visto mai? Poteva anche decidere di dire
qualcosa per salvarsi, qualcosa che avrebbe coinvolto anche lui, e non era
proprio il caso, no?
Era ormai il tramonto
quando i due fratelli Medici e Jacopo Pazzi giudicarono che fosse ora di
tornare alle loro case. Lorenzo, a sorpresa, propose di accompagnare Jacopo al
suo palazzo.
“Ma perché?” domandò Giuliano, sconvolto.
Non aveva già trascorso quasi tutta la giornata con quell’uomo? Perché doveva sopportare oltre la sua
presenza?
“Non vuoi sapere come
sta Antonio? Francesco e Guglielmo lo hanno portato a Palazzo Pazzi e io voglio
vedere se si sente meglio. Tu no?” spiegò il giovane Medici.
Giuliano dovette
ammettere che Lorenzo aveva ragione e così, seppure a malincuore e con delle
forti fitte allo stomaco, si costrinse a restare ancora per qualche tempo in
compagnia di quell’individuo…
I tre si
incamminarono verso Palazzo Pazzi. Per le strade la situazione si era calmata,
i soldati di Montesecco erano tutti morti o scappati e le persone, ormai
tranquillizzate, erano rientrate nelle proprie case. Questo risollevò molto
l’animo di Lorenzo che temeva sommosse in città o, ancora peggio, una divisione
in fazioni come già era accaduto fin troppo spesso in passato.
Mentre si
avvicinavano al palazzo di Jacopo, Lorenzo notò che l’uomo era sempre più
turbato e angosciato. Sembrava invecchiato di almeno dieci anni, aveva il volto
pallido e scavato e gli occhi infossati. Sulle prime il giovane pensò che Pazzi
fosse stanco o, magari, preoccupato per la possibilità che i Medici sospettassero
ancora di lui per la congiura (e non avrebbe avuto tutti i torti…) e così, alla
fine, decise di domandarglielo direttamente.
“Messer Jacopo, vi
sentite bene? So che questa è stata una giornata particolarmente faticosa per
tutti, ma…”
“Io sto bene” rispose
l’uomo con voce grave, “ma… non riesco a non pensare alla ferita di Antonio.
Più mi avvicino a casa e più temo di scoprire che sia più grave del previsto,
che Antonio sia peggiorato. Io… io non potrei sopportarlo!”
Lorenzo non aveva mai
visto Jacopo in queste condizioni, era devastato dal dolore e dall’angoscia. In
un istante il giovane comprese anche ciò che l’uomo non voleva dire: la sua non
era soltanto paura per la vita di Antonio, lui si sentiva anche terribilmente
in colpa. Comunque fosse andata, che fosse coinvolto più o meno nella congiura,
Pazzi non si era tirato indietro e per questo Antonio era stato costretto a
intervenire di persona… ed era stato colpito da Vespucci. Jacopo si sentiva
come se avesse colpito lui stesso Antonio ed era questo a schiantarlo, in quel
momento avrebbe dato volentieri la sua stessa vita pur di salvare quella del
ragazzo e questa rivelazione turbò profondamente Lorenzo. Pazzi, dunque, un
cuore ce lo aveva, da qualche parte, e adesso era pieno di amore, dolore e
ansia per Antonio.
Così il giovane
Medici fece qualcosa che non si sarebbe mai aspettato: posò una mano sulla
spalla di Jacopo e gli parlò in tono incoraggiante.
“Non temete, Jacopo,
sono sicuro che Antonio si riprenderà presto: il dottore ha detto che la lama
non ha colpito organi vitali, perciò deve solo riposare e rimettersi in forze”
disse.
Riconoscente, l’uomo
annuì e si sforzò di abbozzare un sorriso stiracchiato.
Quando i tre giunsero
a Palazzo Pazzi ed entrarono, nella dimora era rimasto solo Francesco, anche
lui particolarmente provato.
“Zio” mormorò,
andando verso Jacopo. I due si abbracciarono e in quell’insolito gesto di
affetto ci stavano mille emozioni e sentimenti: sollievo, magari, ma anche
preoccupazione per Antonio e un senso di solidarietà profonda come mai prima.
“Guglielmo ha
accompagnato Bianca e Novella a Palazzo Medici, erano molto stanche” disse
Francesco. “Io sono rimasto e ho voluto consultare altri due dottori per essere
più sicuro sulle condizioni di Antonio. Entrambi hanno detto che non corre
pericolo di vita, ma anche che la ferita è profonda, ha causato un’infezione e
un indebolimento del suo fisico. Antonio adesso ha la febbre…”
Lorenzo e Giuliano si
scambiarono uno sguardo addolorato. Jacopo parve accasciarsi su se stesso.
“Voglio andare da
lui, voglio vederlo subito” mormorò. Poi sembrò ricordare che i fratelli Medici
erano lì con lui e che anche loro erano in ansia per Antonio. “Volete… volete
venire anche voi?”
Se un fulmine si
fosse abbattuto su Palazzo Pazzi, incenerendolo, i due Medici non sarebbero
stati altrettanto sbalorditi: Jacopo Pazzi che si mostrava gentile con loro? Doveva essere veramente preoccupato per Antonio e
il suo affetto per lui gli aveva fatto perdere la ragione!
Giuliano avrebbe
voluto accettare l’invito e salire a vedere Antonio… in fondo aveva sopportato
di accompagnare Jacopo a casa sua proprio per quello! Ma Lorenzo gli mise una
mano sul braccio per trattenerlo.
“Poiché adesso ha la
febbre è meglio se non lo affatichiamo troppo salendo tutti da lui” disse.
“Andate voi da Antonio, Messer Jacopo, noi torneremo domani a fargli visita e
sicuramente sarà riposato e starà meglio. Francesco, vieni con noi a Palazzo
Medici, sono certo che Novella non vede l’ora di riabbracciarti.”
“Anch’io non vedo
l’ora di abbracciarla” replicò Francesco, accettando volentieri l’invito di
Lorenzo.
Così i due Medici e
Francesco tornarono al loro palazzo mentre Jacopo saliva in camera da Antonio.
Il ragazzo giaceva nel
letto dell’uomo, pallidissimo e con i capelli arruffati. La febbre non era
altissima e tuttavia lo indeboliva. Eppure, non appena vide Jacopo, il suo
volto si illuminò e ogni stanchezza sembrò svanire. Antonio sorrise e tese le
braccia verso di lui.
“Messer Pazzi”
mormorò con dolcezza, “vi ho aspettato tanto. Volete raccontarmi com’è andata
in città?”
Jacopo esitò.
Desiderava con tutto se stesso prendere Antonio tra le braccia, baciarlo e
tenerlo stretto a sé ma, in qualche modo, non se ne sentiva degno (la coscienza
in vacanza si era degnata di tornare a fargli visita, dunque!). Provava un
terribile senso di colpa, aveva rovinato tutto, lo sapeva, a causa sua quel
ragazzo adorabile e meraviglioso era quasi stato ucciso… non se lo meritava,
non era degno di lui e non capiva come Antonio potesse ancora guardarlo in
faccia.
Ma Antonio lo aveva
atteso per tutto il giorno e voleva solo perdersi tra le sue braccia, l’unico
luogo in cui si sentisse in pace e al sicuro.
Jacopo fece qualche
passo, prima incerto e poi sempre più sicuro, verso il letto e, infine, strinse
il ragazzo tra le braccia, sentendolo caldo e morbido mentre si abbandonava a
lui.
“Ti racconterò tutto
domani, Antonio” gli disse con dolcezza, accarezzandogli i capelli. “Adesso sei
stanco e devi riposare, avresti già dovuto dormire da un po’.”
“Non potevo
addormentarmi senza di voi” replicò Antonio, aggrappandosi al suo uomo.
Jacopo entrò nel
letto accanto a lui, stando ben attento a non sfiorare il fianco ferito. Lo
strinse a sé e lo baciò a lungo, profondamente e con tenerezza, desiderando
sollo che quella giornata orribile scomparisse per sempre dai suoi ricordi.
Voleva pensare soltanto ad Antonio, a stare con lui. Non gli interessava che la
gente di Firenze avesse ascoltato le sue parole, che avesse acclamato il suo
nome, no. Solo Antonio contava, solo Antonio riempiva il suo cuore e la sua
vita. Lasciò che il ragazzo si addormentasse tranquillo e sereno tra le sue
braccia e, sebbene anche lui fosse stanco e provato dalla giornata, si impose di
vegliare sul sonno di Antonio per assicurarsi che la febbre non salisse e che
lui non avesse bisogno di nulla.
Erano trascorse solo
una manciata di ore da quella mattina di Pasqua quando lui aveva partecipato
alla Messa solenne aspettando l’assassinio dei fratelli Medici, ma sembrava che
fossero passati secoli da allora. Jacopo Pazzi non era più lo stesso uomo di
quella mattina e non lo sarebbe stato mai più. Il terrore e il senso di vuoto
totale provati alla prospettiva di perdere Antonio lo avevano cambiato nel
profondo. Certo, sarebbe rimasto sempre un po’ bastardo, ma mai come prima,
ecco.
Adesso Jacopo sperava
solo che il suo prezioso e dolcissimo ragazzino guarisse presto e che fosse
ancora disposto a dividere la vita con lui.
Fine capitolo quattordicesimo