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Autore: Ghost Writer TNCS    20/07/2019    1 recensioni
Da quando la sua famiglia è stata uccisa, Tenko ha combattuto ogni giorno, decisa a sopravvivere solo per compiere la sua vendetta. Ma il suo nemico è il Clero, la più potente istituzione del mondo, fondata dagli dei per garantire pace e prosperità a tutti i popoli.
Vessata dal destino, Tenko dovrà affrontare i suoi sbagli, le sue paure così come i suoi nemici, per scoprire che – forse – un modo esiste per distruggere il Clero: svelare le vere origini del loro mondo, Raémia.
Ma dimostrare le menzogne degli dei non sarà facile. Il Clero è pronto a schierare tutte le sue forze per difendere la dottrina, e gli dei stessi non si faranno scrupoli a distruggere chiunque metta in dubbio la loro verità.
La sua è una guerra persa, un suicidio, o peggio. Ma che importa? Quando ti tolgono tutto, non hai più nulla da perdere.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '1° arco narrativo'
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30. La verità di Raémia

«Sono passati… emh… undici, no dodici giorni. Siamo riusciti a scappare dal… “villaggio”, ma la vita qua fuori è molto dura.» Il fantasma parlava con voce chiara, autentica: era come se fosse davvero lì davanti a loro. «Abbiamo provato ancora a chiamare aiuto, ma nessuno ha risposto.» Si guardò alle spalle e sospirò con aria mesta. «A questo punto non so se qualcuno verrà.» Di nuovo fece una pausa. «Gli dei hanno rapito centinaia di persone, com’è possibile che nessuno se ne sia accorto?!» esclamò, le lacrime agli occhi. «Contiamo davvero così poco?» gemette, il capo chino. Dopo alcuni lunghi secondi risollevò la testa. «I miei figli mi chiedono quando torneremo a casa. Io… Io non so cosa dirgli. Non so come spiegargli quello che sta succedendo.» Appoggiò la fronte sul palmo della mano, come per cercare di raccogliere i pensieri. «Oggi mio marito è tornato al villaggio per prendere qualche altra provvista. È convinto che abbiano fatto il lavaggio del cervello a tutti, noi invece ci siamo salvati.» Un sorriso mesto affiorò sulle sue labbra. «Alla fine la mia paranoia sulle protezioni mentali si è rivelata fondata.» Sospirò. «Ora però non sono più così convinto che sia stata una buona idea…» Di nuovo lanciò uno sguardo alle sue spalle. «Ok, non so se servirà a qualcosa, ma faccio queste registrazioni perché spero che qualcuno un giorno le trovi e le guardi. Quindi, chiunque voi siate, ascoltatemi molto attentamente: gli dei ci hanno rapiti perché hanno bisogno di noi. Hanno bisogno della nostra fede per alimentare il loro potere. Vogliono farvi credere che sono onnipotenti, che tutto è nelle loro mani, ma è una menzogna. Senza di voi, loro non sono niente. Quindi vi prego: mostrate a tutti questo messaggio. Fate a sapere a tutti la verità, e sarete liberi. Non c’è arma più forte per sconfiggere un dio di mostrare a tutti la sua vera natura.» C’era rabbia nei suoi occhi, ma non abbastanza da celare la sua immensa tristezza. «Gli dei hanno rubato le nostre vite. Non lasciate che facciano lo stesso con le vostre.»

Il fantasma rimase immobile alcuni lunghi istanti, poi si dissolse e al suo posto tornò la collezione di ritratti tridimensionali. Ora era chiaro che i quattro scheletri appartenevano all’uomo e alla sua famiglia.

«È… È tutto vero…» esalò Zabar, estasiato dal ritrovamento. «È… È fantastico! Questo cambierà tutto! Tenko, lo capisci, vero? Questo cambierà tutti!»

Il chierico era così entusiasta che ci mise diversi secondi per accorgersi dell’espressione cupa della sua compagna.

«Tenko… Tutto bene?»

Lei serrò le dita sulla sua piccozza. «Fantastico? Cambiare tutto?» Scagliò l’attrezzo contro la parete. La punta aguzza si conficcò nella terra, raggelando l’atmosfera. «Mi spieghi come questo dovrebbe aiutarci?!» gridò, furiosa. «Cazzo, che differenza farà quando dovremo affrontare gli inquisitori?!»

Zabar rimase come paralizzato, spaventato dalla reazione della demone. Poi però si fece coraggio: «Capisco che questo non è quello che ti aspettavi. Magari non potremo usarlo per sconfiggere un inquisitore, ma può cambiare il mondo. Questa è la prova che gli dei ci hanno mentito! Ora abbiamo una speranza di riuscire a mostrare a tutti la verità!»

«No, non ce l’abbiamo» ribatté Tenko, ora fredda e distaccata. «Non finché esisterà il Clero.»

«Credevo non ti interessasse più distruggere il Clero. Credevo che il tuo obiettivo fosse cambiare il mondo.»

La giovane andò a riprendere la sua piccozza e la estrasse dalla terra. «Lo è, ma non possiamo farlo se prima non distruggiamo il Clero.» Raggiunse il buco attraverso cui erano passati. «Tu continua pure a cercare qui dentro. Io farò la guardia di fuori.»

Il chierico non seppe cosa rispondere e rimase in silenzio. Riusciva a immaginare il disappunto della sua compagna, ma era anche consapevole della straordinaria importanza della sua scoperta. Forse col tempo sarebbe riuscito a far capire anche a lei la portata di quel ritrovamento, ora però era meglio lasciarle il tempo di metabolizzare la cosa.

Setacciò con attenzione l’intera camera, ma non trovò nient’altro di davvero utile. Non poteva portare all’esterno gli scheletri, così si limitò a prendere la goccia e il bracciale.

Uscì dalla piccola stanza e trovò Tenko appoggiata alla parete della galleria. «Ho finito» affermò il chierico. «Possiamo andare.»

La demone gli rivolse un rapido sguardo, freddo, ostile, e si incamminò sulla via del ritorno. Grazie alla corda che avevano preparato all’andata non sarebbe stato un problema ritrovare l’uscita, ma dovevano restare all’erta: un mostro poteva comparire in ogni momento.

All’improvviso Tenko si bloccò. «Fermo.»

Zabar si immobilizzò.

La demone gli fece segno di aspettare, sguainò spada e bacchetta e avanzò lentamente, attenta a non fare rumore. Sbirciò oltre la parete coperta di cristalli luminosi e riuscì a intravedere una strana creatura. Sembrava un grosso rospo dalla pelle scura, aveva quattro occhi e un’enorme bocca, abbastanza grande da inghiottire una persona intera. Il mostro era impegnato a studiare la loro corda e per il momento non sembrava averli notati. Aprì l’ampia bocca e passò la sua massiccia lingua sulla corda, come a volerne saggiare il sapore.

Rimase immobile alcuni lunghi secondi, forse pensieroso, poi si voltò e si allontanò attraverso un altro cunicolo: evidentemente il materiale fibroso della corda non era stato di suo gradimento.

Tenko, disgustata dall’idea di toccare la saliva del mostro, indietreggiò cautamente per tornare da Zabar.

«Cos’hai visto?» le chiese il chierico a bassa voce.

«Un altro mostro, ma se n’è andato. Andiamo, prima che torni.»

I due si rimisero in marcia e questa volta riuscirono a raggiungere l’uscita senza ulteriori intoppi. Era ancora pomeriggio, quindi c’era abbastanza luce per muoversi in relativa sicurezza.

Tenko, forte del suo naturale senso dell’orientamento, guidò Zabar verso il villaggio senza proferire parola. Era chiaramente arrabbiata, ma il chierico confidava nel fatto che nel giro di qualche giorno le sarebbe passato. E poi magari le altre gocce racchiudevano altre memorie più utili per le future battaglie.

Avevano quasi raggiunto il villaggio quando incrociarono un gruppo di raccoglitori di ritorno verso casa.

«Buon pomeriggio, amici» li salutò Zabar in tono cordiale.

«Buon pomeriggio a voi» risposero i teriantropi.

Tenko e Zabar si bloccarono improvvisamente. Si scambiarono uno sguardo.

«Ho sentito bene?» esalò la demone.

«Ho sentito anche io» annuì il chierico.

«Da quando parli così bene la nostra lingua?» sorrise una delle donne, la slanciata tigre con le corna da gazzella con cui erano già andati a raccogliere frutti.

«Io… non sto parlando la vostra lingua» ammise Tenko, confusa. «Siete voi che parlate la mia lingua.» Si voltò verso Zabar. «Ehi, che sta succedendo?»

«Non ne ho idea. Questa mattina non riuscivi a capirli, giusto?»

«Che domande, certo che no!»

Ora tutti quanti, anche i teriantropi, sembravano parecchio confusi: com’era possibile che di punto in bianco la barriera linguistica fosse stata superata?

«Meglio tornare al villaggio» stabilì Zabar. «Forse gli anziani sapranno dirci qualcosa in più.»

Si rimisero in marcia e per la prima volta Tenko riuscì a capire i borbottii dei teriantropi davanti a lei. Si era talmente abituata a sentire dei versi incomprensibili che faticava ad attribuire quelle parole alle persone che erano lì con lei.

Raggiunto il villaggio, Tenko e Zabar andarono subito dall’anziano orso cercando di non attirare troppo l’attenzione.

«Allora, mei giovani amici, avete trovato quello che cercavate?» li accolse il capovillaggio con la consueta aria benevola.

«Sì, ma c’è dell’altro» rispose Zabar. Lanciò uno sguardo a Tenko. «Ora riusciamo a capirci. È come se parlassimo tutti la stessa lingua.»

L’anziano sgranò gli occhi scuri. «La stessa lingua? Impossibile…»

«A quanto pare no» ribatté Tenko.

Sentire la giovane che parlava in maniera così chiara e precisa la sua lingua madre stupì a tal punto il vecchio teriantropo che dovette adagiarsi sulla sua morbida seduta fatta di pellicce. «È come nelle leggende» esalò, quasi in trance, «quando gli antichi popoli parlavano tutti la stessa lingua.»

Zabar prese il bracciale che aveva in tasca. «Forse so di chi stai parlando» dichiarò. «L’abbiamo trovato sottoterra, vicino agli scheletri di una famiglia di teriantropi. C’era anche un’altra goccia.» Prese l’altro artefatto, e di nuovo apparvero i fantasmi che avevano visto nella piccola stanza sotterranea. «Abbiamo visto un… non so come chiamarlo, era come un ricordo: un uomo ci ha parlato, parlava degli dei, diceva che ci hanno rapito e ingannato. In ogni caso credo sia questo bracciale che ci permette di comunicare. Non ho mai visto una magia simile, nemmeno nei testi sacri.»

Zabar, preso dall’eccitazione, continuò a spiegare del suo ritrovamento all’anziano orso, che sembrava altrettanto rapito dalla questione.

Tenko dal canto suo non era molto interessata alla storia del mondo, in compenso la capacità di poter parlare con i teriantropi era anche per lei una gradita sorpresa. Forse poteva chiedere a Clodius e ai suoi guerrieri di spiegarle come usare la magia per potenziare le sue armi. Una simile risorsa, unita alla sua bacchetta polivalente, le avrebbe fatto comodo contro gli inquisitori.

Prese il bracciale che aveva in tasca, molto simile a quello di Zabar, e questa volta sulle sue labbra affiorò un sorriso. Forse tutto l’impegno e la fatica non erano stati vani.

Assorta nei suoi pensieri, passarono diversi secondi prima che la demone si accorgesse del brusio che si stava sollevando fuori dall’edificio. Si avvicinò alla porta e sbirciò all’esterno. Sembrava quasi che tutti gli abitanti del villaggio si stessero radunando in quel punto, presumibilmente attirati dalla voce che voleva i due stranieri in grado di parlare la loro lingua.

Vide una teriantropa farsi avanti: era una degli anziani, per la precisione quella di tipo volpe. Fin dall’inizio era stata molto diffidente verso i due demoni, ma ora il suo sguardo era diverso: era colmo di incredulità e… speranza?

L’anziana aprì lentamente la porta e fissò Tenko negli occhi. «Davvero capisci la nostra lingua?»

La demone, che non provava molta simpatia per la teriantropa, si limitò ad annuire.

L’anziana si avvicinò ulteriormente, fin quasi a sfiorarla con il muso da volpe. «Fammi sentire la tua voce.»

Zabar e l’orso si zittirono e anche loro si voltarono, come in soggezione rispetto al tono della donna.

«Io… vi capisco» esalò Tenko, imbarazzata da tutte quelle attenzioni.

La volpe spalancò gli occhi marroni, incapace di trattenere il proprio sgomento.

Istintivamente la demone portò una mano alla spada, intimorita, invece l’anziana le voltò le spalle e si rivolse agli abitanti del villaggio: «Il tempo è giunto!» esclamò, gioiosa e solenne. «Come narrato nelle storie, i messaggeri degli Antichi si sono infine rivelati!»

Zabar raggiunse Tenko sul ciglio della porta, così da poter ascoltare anche lui l’annuncio della volpe.

«Come gli Antichi, questi due stranieri hanno il dono delle Lingue! Presto saremo liberi! Liberi dalla paura che gli stranieri ci trovino! Liberi dalla minaccia degli dei!» La donna allungò una delle sue esili braccia verso i due demoni. «Inchiniamoci dinnanzi ai nostri Liberatori.»

Esortati dalle parole dell’anziana, uno dopo l’altro i teriantropi si inginocchiarono, così da mostrare ai due demoni tutto il loro rispetto.

Zabar, stupito da quella reazione, provò ad obiettare: «No, fermi, non dovete inginocchiarvi.» Si voltò verso la giovane. «Tenko, diglielo anche…» Non riuscì a finire la frase perché l’espressione della demone gli fece morire le parole in bocca. Non era stupita, era terrorizzata. «Tenko… tutto a posto?»

Lei lo guardò, atterrita, poi si nascose dietro la parete, come se quella folla adorante fosse invece una letale minaccia. Come in trance, cominciò a ripetere le stesse parole all’infinito: «Io non sono come loro. Non sono come loro. Non sono come loro.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Oh, finalmente abbiamo fatto un po’ di chiarezza sulle origini di Raémia… ma non troppa XD E per ogni risposta, ecco saltare fuori una nuova domanda.

Come al solito Tenko non ha fatto i salti di gioia per il ritrovamento dei bracciali (probabilmente avrebbe preferito un’armatura alla Iron Man), però il fatto di poter capire i teriantropi è una più che gradita consolazione.

Le cose sembravano poter volgere per il meglio, ma l’inaspettato comportamento degli abitanti del villaggio ha gettato la demone nel panico.

Come si evolverà la situazione? Lo scoprirete a inizio agosto nel prossimo capitolo, che sarà ancora incentrato su Tenko e Zabar.

Fino ad ora me ne sono dimenticato, quindi prima di salutarvi ringrazio Hesper, la mia infaticabile beta :D

Ora è davvero tutto, a presto ^.^


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