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Autore: Teo5Astor    24/07/2019    18 recensioni
Un mistero accomuna alcuni giovani della Prefettura di Kanagawa, anche se non tutti ne sono consapevoli e non tutti si conoscono tra loro. Non ancora, almeno.
Radish Son, diciassettenne di Fujisawa all'inizio del secondo anno del liceo, è uno di quelli che ne è consapevole. Ne porta i segni sulla pelle, sul petto per la precisione, e nell'anima. Considerato come un reietto a scuola a causa di strane voci sul suo conto, ha due amici, Vegeta Princely e Bulma Brief, e un fratello minore di cui si prende cura ormai da due anni, Goku.
La vita di Radish non è facile, divisa tra scuola e lavoro serale, ma lui l'affronta sempre col sorriso.
Tutto cambia in un giorno di maggio, quando, in biblioteca, compare all'improvviso davanti ai suoi occhi una bellissima ragazza bionda che indossa un provocante costume da coniglietta e che si aggira nel locale nell'indifferenza generale.
Lui la riconosce, è Lazuli Eighteen: un’attrice e modella famosa fin da bambina che si è presa una pausa dalle scene due anni prima e che frequenta il terzo anno nel suo stesso liceo.
Perché quel costume? E, soprattutto, perché nessuno, a parte lui, sembra vederla?
Riadattamento di Bunny Girl Senpai.
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: 18, Bulma, Goku, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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26 – Testa, cuore e gambe
 
 
15 agosto
 
«Allora, come ti senti all’idea di tornare in campo?» domanda Lazuli mentre ci dirigiamo verso la nostra scuola, dove oggi affronteremo il fortissimo Liceo Joiyn di Yamato. È una finale, e loro sono i campioni in carica. Sarà una battaglia.
Sono felice che giocheremo in casa, sul campo della nostra scuola. Sullo stesso campo dove ho giocato la mia ultima partita, un anno fa. Su cui ho segnato il mio ultimo gol. E in cui la mia vita è cambiata in meglio, quando ho baciato per la prima volta Lazuli.
«Sei eccitato?»
«Non tanto quanto mi eccita starti vicino…» sospiro roco, stringendo forte il mio borsone da calcio e guardandola nei suoi occhi di ghiaccio nascosti dagli occhiali da sole.
«Questo mi sembra scontato» accenna un sorriso, sistemandosi meglio in testa un cappellino nero con il logo anni ’90 dei Toronto Raptors che ha abbinato alla divisa scolastica. Ha voluto cercare di rendersi un po’ meno riconoscibile del solito, perché secondo lei ci sarà tantissima gente a vedere questa partita, oltre agli studenti della nostra scuola che accorreranno in massa grazie all’importanza del match. Continuiamo a comportarci con discrezione in pubblico, non voglio crearle problemi sul lavoro. Alla fine è andata bene l’altra sera durante lo spettacolo dei fuochi d’artificio, la sua manager non le ha detto nulla ed è stata una serata indimenticabile. Per noi due, ma anche per Bulma e Vegeta, immagino. Non ho più saputo nulla su come sono rimasti e se per caso si siano rivisti, al lavoro il mio amico rispondeva a grugniti e monosillabi più del solito quando ho provato a indagare. Ma immagino sia andato tutto alla grande per loro. Che staranno bene insieme.
«Sei riuscito a dormire?» mi chiede.
«Avrei dormito anche di più se qualcuno me l’avesse permesso» ribatto malizioso, alludendo a quello che abbiamo fatto ieri sera io e lei a casa mia.
«Avrai tempo e modo di dormire quanto vorrai nelle prossime due settimane, visto che sarò impegnatissima col lavoro e ci potremo vedere poco e niente» sibila, glaciale e sprezzante. «Ne sarai felice, immagino. Cretino».
«Come potrei essere felice lontano dalla mia senpai super bellissima preferita?!» rispondo, stringendola a me e dandole un bacio a fior di labbra. «Al solo pensarci mi si spezza il cuore, Là…» aggiungo in un sussurro, serio.
«Anche a me, Rad…» sospira, sfilandosi gli occhiali da sole e stringendomi una mano. «Per questo voglio vederti giocare una grande partita, oggi. Dovete vincere, e tutti devono vedere chi è Radish Son».
«Lo farò».
 
«Son, so che non è facile e che non giochi una partita vera da un anno, ma devi riuscire a fermare Broly Berserk» mi sprona il mister, che sta finendo di dare le indicazioni per la partita ai titolari. «Devi guidare la difesa, so di potermi fidare di te».
Annuisco, per poi sistemarmi i calzettoni e avvolgerli intorno ai parastinchi. Gesti semplici, fatti tantissime volte nella mia carriera, ma a cui riesco a dare valore solo adesso, forse perché pensavo che non avrei mai più giocato seriamente a calcio. Guardo le mie scarpe bianche e argentate lucidate con cura ieri sera e accenno un sorriso malinconico, perché anche loro è come si mi avessero aspettato per un anno. Infilo la maglia. La mia maglia giallonera col numero cinque. Anche lei sembra avermi aspettato per tutto questo tempo, ma nulla sembra essere cambiato davvero.
Mi volto alla mia destra, e osservo Vegeta che finisce di allacciarsi le scarpe. Ha già indossato la sua maglia numero nove, ma non ha praticamente aperto bocca oggi. È focalizzato sui suoi obiettivi, come del resto lo sono io: lui vuole vincere e vuole anche segnare almeno un gol in più di Broly Berserk, visto che sono in testa a pari merito nella classifica dei marcatori del campionato. Io voglio vincere e voglio evitare che Broly Berserk segni, perché quando sei un difensore centrale e ti viene detto di marcare un attaccante, a quel punto ti ritrovi a giocare una partita nella partita. È una sfida personale che mi ha sempre stimolato, forse uno dei pochi aspetti positivi di un ruolo delicato come quello del difensore. Perché se sei un attaccante puoi anche sbagliare tanti gol nel corso della stessa partita, ma se alla fine riesci a segnare e la tua squadra vince diventi automaticamente un eroe. In difesa è l’opposto: puoi anche fermare cento volte gli attacchi avversari e giocare una partita meravigliosa, ma se alla fine commetti anche solo un piccolo errore e la tua squadra subisce un gol decisivo finisci immediatamente sul banco degli imputati. È il prezzo da pagare, ma ci sta, perché è impagabile sentire la fiducia dei compagni, del mister e del pubblico, una volta che te la guadagni. Mi piace tantissimo far gol, ma la sensazione che si prova quando riesci a impedire alla squadra avversaria di segnarne uno è talmente bella che è difficile da descrivere.
Alla destra di Vegeta c’è Napa, con la fascia da capitano al braccio. Si infila i guantoni da portiere, mentre guarda con determinazione davanti a sé il resto dei nostri compagni, soprattutto quelli del terzo anno come lui. È l’ultima occasione per loro questo campionato provinciale della prefettura di Kanagawa. È l’ultimo pass che possono ottenere per poter arrivare a disputare il campionato nazionale. Quella di oggi è una finale, perdere metterebbe di fatto fine all’esperienza di quelli del terzo anno con questa squadra. È la loro ultima occasione, mi chiedo cosa possa passare per la testa in momenti come questi. Se prevale l’angoscia o la determinazione, la tristezza o la smania di giocare. Penso che ognuno reagisca a modo suo. Io so solo che vorrei vincere anche per loro, per permettergli di continuare a inseguire un sogno. E poco importa se fino a poco tempo fa anche loro mi consideravano un reietto, il passato è passato e ora sono i miei compagni di squadra. Conta questo per me, quando si gioca a calcio si vince e si perde in undici. Anche di più, considerando quelli che vanno in panchina come riserve e che sognano di entrare in campo, che soffrono per non poter giocare.
Su quella stessa panchina su cui è sempre rimasto seduto Cabba da quando è entrato nella squadra del nostro liceo, penso, voltandomi alla mia sinistra per guardarlo. È pallido come un lenzuolo e sembra quasi gli tremino le mani mentre si allaccia le scarpe. La sua maglia numero sei sembra più larga del dovuto su uno gracile come lui. Eppure se la cava benino a giocare, ci siamo allenati sempre insieme in questi ultimi giorni e ci siamo abituati a fare coppia in difesa nelle partitelle, ormai. Ma in una partita vera è tutto diverso, è lì che bisogna dimostrare di avere carattere, personalità. Quello che sembra mancare a lui in questo momento, teso com’è per il suo esordio ufficiale con la maglia del nostro liceo. Unico primino in campo, tra l’altro, promosso a titolare solo grazie a una squalifica e a un infortunio dei due difensori centrali che erano stati titolari fino a questo momento. Penso che sia nel pallone adesso, e l’idea di trovarsi davanti la squadra più forte e l’attaccante più pericoloso del campionato non devono aiutarlo, per di più in una partita decisiva come questa.
«Cabetsu!» lo chiama il mister, facendolo spaventare. Cabba lo guarda, piuttosto imbarazzato. È anche decisamente timido, come se non bastasse. Ma è un bravo ragazzo, mi sembra uno a posto. «Cerca di stare tranquillo e di giocare come sai. Non è facile esordire in una partita come questa e contro avversari più grandi ed esperti di te, per non parlare del fatto che ti troverai davanti il capocannoniere del campionato. Però so che puoi farcela, l’ho capito negli ultimi allenamenti» prova a rincuorarlo, mentre vedo gocce di sudore bagnare la fronte di Cabba prima ancora di scendere in campo. «Fai quello che ti dice Son».
«S-sì, Mister!» grida, con gli occhi sgranati, strappando un “tsk” a Vegeta, che si alza in piedi e si dirige verso l’uscita dello spogliatoio. Mi alzo anch’io e lo seguo, dopo aver dato una pacca sulla spalla a Cabba.
Incrocio il Mister, che mi prende da parte per un attimo. «Aiuta Cabetsu, mi raccomando» sussurra, prima di darmi una leggera pacca sulla nuca.
«Ci penso io» rispondo, determinato, annodandomi i capelli in una coda bassa e uscendo dallo spogliatoio per andare in campo a fare il riscaldamento. Il rumore dei tacchetti delle nostre scarpe sul pavimento è un suono meraviglioso in questi momenti, così come è una sensazione impagabile sentire affondare quegli stessi tacchetti nell’erba.
È una giornata bellissima, fa anche molto caldo. Non sarà facile reggere novanta minuti coi pochi allenamenti che ho nelle gambe e una temperatura così alta, ma stringerò i denti e non mollerò un cazzo. Non oggi, di sicuro. Per fortuna mi sono ripreso in fretta dalla febbre che mi aveva fatto finire all’ospedale, alla fine ho saltato solo gli allenamenti del giorno successivo come mi aveva detto di fare Lazuli.
Già, la mia Là…
Sorrido, mentre la cerco con lo sguardo tra il pubblico. La tribuna è gremita, ma resto impressionato dalla quantità di gente presente. Ci sono studenti assiepati ovunque, anche nei corridoi del lato lungo dell’edificio scolastico che danno direttamente sul campo. Guarderanno la partita dalle finestre, e c’è gente sia al pianoterra che sugli altri tre piani delle classi. È impressionante, c’è molta più gente di quando mi sono dichiarato a Lazuli davanti a tutti su questo stesso campo.
Sorrido di più, quando finalmente la vedo, seduta in tribuna nella fila più alta e in un angolo. Accanto a lei c’è Bulma, sono felice siano qui insieme. Si volta verso di me e accenna un sorriso, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Anche se non lo dà a vedere, so che è tesa forse anche più di quanto non lo sia io per il mio ritorno in campo. Non voglio deluderla, voglio giocare anche e soprattutto per lei.
«Senpai!»
Mi volto di nuovo verso la tribuna, richiamato da una voce che conosco, e vedo Lunch che saltella e mi saluta.
«Senpai!» grida di nuovo, stavolta in coro con le sue amiche, che saltellano anche loro e sollevano uno striscione con scritto sopra “Fight Son”. L’unico striscione in mio onore, gli altri sono tutti per Vegeta o generici per la nostra scuola. Sorrido e le saluto di nuovo, riconoscendo nel gruppetto anche Mai, Lucy, Erza e Mira. Mi fa piacere vederle tutte insieme, ma mi fa strano avere uno striscione in mio onore.
«Forza senpaiii!» grida Mai, mettendo le mani a megafono.
«Spezzagli le gambe, Son!» sbraita Erza, stringendo un pugno e agitandolo verso l’alto.
«Non sta bene dire così, Erza-chan!» la corregge Lucy, con voce stridula, prima di farmi l’occhiolino e puntare il pollice verso l’alto in mia direzione.
«Metticela tutta, senpai! Buona fortuna!» mi incoraggia dolcemente Mira, sorridendo.
«Devi vincere, senpaiii!» grida di nuovo Lunch, agitando lo striscione.
Le saluto sollevando la mano e mi volto nuovamente verso l’estremità della tribuna, sudando freddo. Percepisco un’aura tenebrosa e glaciale farmi provare un brivido lungo la schiena. Lazuli si limita a mimare con un dito della sua mano il classico gesto del tagliagole, prima di ricomporsi come se nulla fosse successo e guardare altrove, gelida e distaccata, sistemandosi anche la visiera del cappellino. Deduco che non abbia gradito il mio gruppetto di fans… ma vorrà tagliarla a me o a loro la gola? Meglio non saperlo… ma mi piace quando fa così, la trovo meravigliosamente adorabile!
 
Respiro a pieni polmoni il profumo dell’erba, mentre varco la linea bianca che delimita il campo di gioco.
«Cosa c’è, Rad?» mi chiede sprezzante Vegeta, accanto a me e con le braccia incrociate al petto. «Hai quel sorriso da deficiente stampato sulla faccia da troppo tempo, e non è solo perché c’è la tua ragazza in tribuna».
«Se è per quello c’è anche la tua» ghigno.
«Tsk!» sbotta, in tutta risposta.
«Sai, Prince, è difficile da descrivere…» gli spiego, facendomi serio, guardando prima l’erba e poi il cielo, sorridendo, con le mani appoggiate ai fianchi. «Penso che certe cose possa capirle solo chi ha varcato questa linea bianca» aggiungo, indicando la linea che delimita il campo di gioco dal bordocampo. «Quindi sono certo che sai come mi sento».
«Sì» sorride a sua volta, allungando il pugno chiuso verso di me. «Vinciamo questa cazzo di partita, Rad! E non far segnare quello stronzo!»
«Fidati Prince» ribatto, battendo il pugno contro il suo e cominciando il riscaldamento.
 
L’arbitro fischia, richiamando le due squadre a bordocampo per poter iniziare la partita. Ci mettiamo in fila indiana, imitati da quelli dello Joiyn. Mi metto in penultima posizione, non so nemmeno io se per scaramanzia o se per abitudine, comunque alle mie spalle c’è Vegeta, lui ci tiene ad essere l’ultimo della fila. Guardo Broly Berserk nella fila accanto, e mi sembra gigantesco da quanto è imponente. Non si volta nemmeno una volta in nostra direzione, non parla con nessuno dei suoi compagni. Guarda avanti, ha lo sguardo fisso. Sento l’adrenalina scorrermi nelle gambe ed arrivarmi alla testa. Ho voglia di giocare, ho voglia di battermi con lui.
Ci disponiamo in campo, pronti ad iniziare la partita mentre i due capitani si fermano con l’arbitro al centro del campo. Mi posiziono accanto a Cabba, davanti alla nostra area di rigore. Mi guardo di nuovo intorno, e noto che la gente continua ad aumentare rispetto a quando avevamo iniziato il riscaldamento. Credo di non aver mai giocato nemmeno io di fronte a un pubblico simile.
Mi volto verso Cabba, sempre più pallido e disorientato, proprio mentre arriva Napa, che sta corricchiando per raggiungere la porta alle mie spalle. Dà il cinque a Vegeta e a un paio di altri nostri compagni, prima di fermarsi davanti a Cabba e abbracciarlo.
«Stai tranquillo! Pensa a giocare come sai e basta!» gli dice, scuotendolo. «Guarda sempre la posizione di Son e fai quello che ti dice!»
«S-sì!» balbetta Cabba, stravolto dalla tensione, mentre il nostro capitano si dirige verso di me e mi afferra la testa con entrambe le mani.
«Io voglio andare al campionato nazionale con la maglia di questa squadra. Non voglio che questa sia l’ultima partita per me e quelli del terzo anno» sibila a denti stretti. «Non farli passare, Son. Ti prego» aggiunge, serissimo. «E stai vicino a Cabba, è terrorizzato».
«Andremo tutti insieme ai nazionali» gli sorrido, battendogli un pugno sulla schiena. Lo guardo dirigersi verso la porta e penso che sia il caso di dire qualcosa al mio compagno di reparto.
«Ehi, Cabba, ti stai cagando sotto, vero?» gli domando, sorridendo sghembo.
«S-senpai! No, ecco, io…».
«Stai pensando che non poteva capitarti una sfiga peggiore di esordire in una partita come questa, no? Squadra più forte della prefettura e il capocannoniere del campionato… tutto questo in una finale. Una partita decisiva».
«V-veramente io…».
«Sai cosa penso?» lo interrompo di nuovo. «Che invece io e te siamo fortunati a poter giocare proprio questa partita. Se oggi giocassimo contro una squadra scarsa e sconosciuta nessuno si ricorderebbe di noi. Domani invece tutti si chiederanno chi è la coppia di difensori che è riuscita a fermare Broly Berserk e che ha battuto il Liceo Joiyn» aggiungo, mentre un sorriso mi illumina il volto e non smetto di fissare gli occhi neri e intimoriti di Cabba. «Pensaci: domani tutto il Giappone parlerà di noi, perché, quando riesci a far cadere un gigante, il rumore lo sentono tutti!»
«C-credi davvero che potremo farcela?»
«Sì, e, se ce la faremo, ti dico anche che giocheremo molte altre partite insieme io e te perché diventeremo titolari, e poco importa se rientreranno i difensori del terzo anno».
«Ma tu eri già titolare l’anno scorso anche se eri al primo anno, da quello che so… e lo saresti rimasto se non ti fossi fermato».
«Certo, quindi puoi diventare anche tu titolare anche se sei al primo anno! Lasciami marcare a uomo Broly, tu pensa all’altro attaccante e cercami sempre quando hai la palla, poi ci penso io».
«Sì, senpai!» accenna un sorriso, guardando poi la tribuna e la scuola gremita, deglutendo il nulla. È ancora pallido. Non può cominciare la partita con tutta questa pressione addosso. «H-hai mai giocato davanti a così tanta gente?!»
«No, però penso che sia una figata! Cioè, è una cosa che mi carica ancora di più. Hai qualcuno di speciale a vederti? Qualcuno per cui ci tieni a giocare bene?»
«E-ecco, io…» farfuglia, abbassando la testa imbarazzato. «Per te è venuta Eighteen-senpai?»
«Certo che c’è, infatti per quanta gente ci sia oggi qui, a me interessa far bene per lei» ribatto, prima di ghignare malizioso. «Allora, c’è qualche tua compagna di classe che ti piace e sei teso perché devi giocare davanti a lei?! Dov’è?» aggiungo, guardando prima la tribuna e poi gli studenti assiepati al primo piano della scuola, quello delle classi del primo anno.
«Non è lì…» sussurra, imbarazzato.
«Nel senso che la ragazza che ti piace non è venuta a vedere la partita?»
«N-no… è in campo…» bisbiglia, arrossendo e guardando verso la nostra panchina.
«Eh?!» rido, girandomi anch’io in direzione delle nostre due manager, che stanno prendendo posto in panchina col Mister e le riserve, come sempre. Sono entrambe del primo anno ed entrambe hanno i capelli neri, solo i loro caratteri sono opposti, nonostante siano molto amiche tra loro. «Ti piace Kale, eh?!» ammicco, osservando la nostra timidissima manager sistemare le borracce.
«V-veramente… no…» farfuglia Cabba.
«Ah, ti piace Caulifla, allora! Ci avrei scommesso!» sbotto, dando una vigorosa pacca sulla schiena al mio compagno e voltandomi verso l’altra nostra manager, dal carattere decisamente vulcanico e diametralmente opposto a quello della sua amica.
«Ehi, Caulifla-chan!» la chiamo a gran voce, agitando una mano e stringendo a me Cabba. «Cabetsu-kun farà un partitone per te, vedrai!» grido, ridendo, mentre lei si limita ad incrociare le braccia sotto il seno e guardarci male.
«S-sei pazzo, senpai!» sibila Cabba, paonazzo, sfilandosi dalla mia presa. «Ci ammazzerà dopo la partita!»
«Ah, ma io sono forgiato grazie alle botte che prendo sempre dalla mia ragazza!» rido. «Vedrai che piacerà anche a te farti menare un po’!» aggiungo. «Però ora devi giocare una grande partita anche per lei, chiaro?!»
Lo guardo negli occhi, ritorno serio. Mi sembra più sciolto adesso, penso di aver fatto bene a farlo distrarre un attimo, ha anche ripreso colore.
So che può farcela. Dobbiamo farcela. Ho bisogno anche di lui per fermare gli attacchi dello Joiyn.
«Sì, senpai! Grazie!» risponde determinato, accennando un inchino in mia direzione.
 
L’arbitro dà il via alla partita, la palla è in nostro possesso e ci riversiamo subito in attacco. Mi dirigo verso Broly, che ha preso posto al centro del fronte offensivo dello Joiyn, e gli do subito una vigorosa spallata a palla lontana, giusto per fargli capire l’aria che tira. Non si sposta neanche di un centimetro, non si volta nemmeno, non si lamenta. È più grosso di me e sembra fatto d’acciaio. Credo proprio che quella di oggi sarà la battaglia più dura che io abbia mai dovuto affrontare su un campo di calcio.
Osservo la posizione di Cabba, in linea con me e vicino all’altra punta dello Joiyn. Osserva Broly ad occhi sgranati, si guarda intorno disorientato mentre le urla dei tifosi continuano a salire di volume.
I nostri avversari recuperano palla e verticalizzano subito dal lato del campo presidiato da Cabba, che sbaglia un facile intervento e permette al suo avversario diretto di involarsi verso la porta. È ancora troppo teso, cazzo!
Sento Napa urlare qualcosa, il nostro terzino sinistro prova a inseguire inutilmente l’attaccante che doveva marcare Cabba. Il pubblico che urla sempre di più, mentre Broly scatta verso la porta pronto a ricevere palla e io mi ritrovo da solo e preso in mezzo tra lui e il suo compagno d’attacco.
Non possiamo subire un gol già adesso, la partita è appena iniziata!
Prendo una decisione drastica: scelgo di mollare la marcatura di Broly e provare a tagliare il campo in diagonale per affrontare direttamente l’altro attaccante. Se mi salterà o riuscirà a passare palla a Broly saremo spacciati, i nostri centrocampisti sono in ritardo nel ripiegare in difesa ad aiutarmi. La punta dello Joiyn osserva la posizione di Broly e prova a servirlo con un passaggio rasoterra in profondità, che riesco a intercettare miracolosamente deviandolo grazie a una scivolata. La palla, tuttavia, resta in campo e torna tra i piedi di quello stesso giocatore che prova a involarsi di nuovo verso la nostra porta. Mi rialzo di scatto e lo affronto in un uno contro uno. Entro diretto sulla palla con tutte le mie forze, lo faccio letteralmente volare via e prendo una botta molto forte sul ginocchio, sbattendo contro di lui. Lo sento crollare a terra e imprecare, chiede a gran voce un fallo che l’arbitro non fischia. Mezza sega del cazzo, questi sono gli avversari che più non sopporto! Ma sono certo che la botta che gli ho dato adesso la sentirà per tutta la partita e anche Cabba farà meno fatica a marcarlo.
Passo la palla a un nostro centrocampista e torno verso Broly, per riprendere a marcarlo. È andata di lusso stavolta, ma non potremo cavarcela sempre così. Anche Cabba riprende posizione a testa bassa, mentre l’attaccante che deve marcare si rialza a fatica, zoppicando dopo il mio intervento.
«G-grazie, senpai… scusa…» farfuglia, a disagio per il suo grave errore che poteva costarci caro. Alle nostre spalle Napa incita noi e la squadra, batte le mani, dà indicazioni.
«Non devi ringraziare un compagno che combatte con te, hai capito?!» lo rimprovero, senza guardarlo per continuare a tenere gli occhi sulla palla. «Siamo una squadra, siamo una cosa sola in questo momento. Ci copriamo le spalle a vicenda. E dobbiamo farlo soprattutto io e te, tra di noi».
Lo guardo per un istante, accenno un sorriso. «Resta concentrato sulla partita e non preoccuparti se sbagli. Avremo poche occasioni per segnare oggi, proprio per questo non possiamo permetterci di subire neanche un gol. Contano tutti su di noi».
«Sì!» accenna un sorriso anche lui, finalmente determinato. Per davvero, stavolta.
 
Il primo tempo termina 0-0, ma onestamente non so quanto potremo resistere ancora giocando in questo modo. Lo Joiyn attacca da tutte la parti e solo la solidità della nostra difesa ci ha permesso di essere ancora in partita. Cabba si è ripreso dallo shock iniziale e sta giocando bene, Napa ha fatto delle ottime parate e si sta comportando come un vero capitano. Io sto dando tutto me stesso per fermare Broly Berserk e per costringerlo a giocare spalle alla porta. È un duello molto fisico, provo a non farlo respirare e a colpirlo duro ai limiti, e anche oltre, del regolamento, cercando di non farmi vedere dall’arbitro. Anche lui non si risparmia, e ne porto i segni sulle gambe, per non parlare delle gomitate che rifila quando prova a girarsi e che io puntualmente gli restituisco l’azione dopo. La cosa che mi piace di lui è che non si lamenta mai, mi sembra un guerriero e questo lo apprezzo.
Mi siedo ansimando accanto a Vegeta e mi svuoto sulla testa una borraccia di acqua fresca che mi ha passato Kale, mentre sorrido notando che Caulifla sta sgridando un paonazzo Cabba per l’errore che ha fatto all’inizio.
«Non lo farò segnare neanche nel secondo tempo, Prince» dico al mio amico, che stringe i pugni irritato e ha uno sguardo che definire rabbioso sarebbe poco.
«Non mi arriva una cazzo di palla, Rad!» ringhia. «Non riusciamo ad attaccare, ci stanno schiacciando».
«Oggi sono quelle classiche partite in cui potremo avere al massimo due o tre occasioni per segnare, ma se riusciremo a sfruttarle vinceremo» provo a rincuorarlo. «Io so che a te basterà avere anche solo un’occasione buona per buttarla dentro e farci vincere».
Lui solleva un sopracciglio e accenna un sorriso.
«Se avremo un calcio d’angolo a favore, proviamo quella cosa» sibila, mentre i suoi occhi neri brillano di ardore e follia.
«Ma ci è sempre uscita una merda quando abbiamo provato a farla in allenamento!» gli faccio notare. «E poi non abbiamo avuto nemmeno un calcio d’angolo a favore oggi… che palle, non vedo l’ora di salire in attacco per provare a segnare di testa!» sospiro, cercando con lo sguardo Lazuli in tribuna e ricordando il mio gol di un anno fa. Non riuscendo ad attaccare non siamo nemmeno riusciti a ottenere un calcio d’angolo, per ora.
«Nei prossimi quarantacinque fottuti minuti avremo un calcio d’angolo, tu stai attento alle mie indicazioni» mi catechizza Vegeta, voltandosi anche lui verso la tribuna e cercando lo sguardo di Bulma accanto a Lazuli. «Deciderò al momento se proveremo a fare quella cosa» aggiunge, battendo il pugno chiuso contro il mio e rialzandosi.
 
Il secondo tempo procede sulla falsariga del primo. È un assedio, non riusciamo a uscire palla al piede dalla difesa e ad impostare un’azione d’attacco degna di nota. Vegeta è isolato in attacco ed è costretto a ripiegare a centrocampo per cercare di aiutare la squadra, tutta schiacciata all’indietro, e provare a toccare qualche pallone per ripartire in contropiede.
In difesa non c’è un attimo di respiro, sembrano piovere palloni da tutte le parti. Respingo qualunque cosa mi capiti a tiro. Non ho idea di quanti duelli aerei ho dovuto ingaggiare con Broly, di quanti palloni ho allontanato di testa o di piede. Di quanti contrasti, di quante scivolate ho fatto. Di quante botte ho preso e di quante ne ho date.
Il caldo è atroce e nella seconda metà del secondo tempo purtroppo inizia a farsi sentire la mia mancanza di preparazione rispetto a chi si sta allenando da mesi. Inoltre, nemmeno una settimana fa sono finito in ospedale, un imprevisto di cui sento che sto iniziando a pagare le conseguenze.
Ma tengo duro, non mollo. Mi aggrappo alla maglia di Broly, lo picchio più duro, spazzo la palla più lontano che posso. Cerco di aiutare Cabba, che sta attraversando un momento di crisi a livello fisico peggiore del mio. Non è abituato a giocare una partita intera, tantomeno ai ritmi estenuanti a cui siamo sottoposti oggi e con questo caldo, oltre alla tensione di un match decisivo per le sorti del campionato e della nostra squadra.
Allontano l’ennesima minaccia dopo aver vinto a fatica un altro uno contro uno con Broly. Non l’ho mai fatto concludere verso la nostra porta, l’ho sempre costretto ad appoggiare palla ai suoi compagni se non riuscivo a portargliela via. Ed è durissima portargliela via, come sarà un’impresa titanica resistere ancora per me in queste condizioni. Scaglio via la palla dopo averla sdradicata di nuovo dai piedi di Broly ma la colpisco male e le faccio finire in fallo laterale.
Mi piego sulle ginocchia e ansimo a bocca spalancata. Ho male dappertutto e mi sento senza energie. Vorrei vomitare, vorrei crollare a terra, vorrei gettarmi sotto a una doccia fredda. Gocce di sudore cadono sull’erba una dopo l’altra, la maglia mi si è totalmente appiccicata addosso e i miei capelli sono fradici. Ma non devo mollare, non posso farlo, mancano ancora dieci minuti alla fine di questa partita. Dieci minuti ed eventualmente altri trenta, se il risultato di parità non si sbloccherà e dovremo affrontare i tempi supplementari. Ma non possiamo giocare i supplementari in questo stato e pensare di resistere, abbiamo già effettuato i nostri tre cambi eppure continuiamo a subire e in difesa siamo letteralmente a pezzi.
Cerco con lo sguardo Cabba e lo vedo crollare letteralmente a terra, stravolto dalla fatica.
«Senpai… non ce la faccio più…» sussurra, con le ginocchia e le mani appoggiate sull’erba.
«Dieci minuti…» ansimo, avvicinandomi a lui. «Dieci minuti, cazzo…» ripeto, afferrandolo di peso e facendolo rialzare. «Sto crepando anch’io, ma dobbiamo resistere altri dieci minuti» gli dico, mentre provo ad asciugarmi il sudore che mi fa bruciare gli occhi. «Questa non sarà l’ultima partita per i nostri senpai del terzo anno, hai capito?! Andremo al campionato nazionale tutti insieme! L’abbiamo promesso! Guarda la fascia da capitano di Napa!» aggiungo, voltandomi con lui in direzione del nostro portiere e osservando la fascia stretta attorno al suo braccio sinistro. «L’abbiamo promesso tutti quanti. È tutto scritto».
 
 
Il giorno prima
 
«Questo è l’ultimo allenamento prima della partita di domani, una partita che deciderà il nostro destino» esclama Napa, nello spogliatoio davanti al resto della squadra. «Credo che oggi sia giusto parlare tutti insieme tra di noi, guardarci negli occhi. L’idea è stata di Vegeta, ma io la penso come lui».
Mi volto verso il mio compagno di classe, seduto sulla panca accanto a me, ma il suo volto serissimo non tradisce particolari emozioni oltre a una forte determinazione, mentre osserva attentamente il nostro capitano.
«Domani avremo un’occasione unica, insperata e non pronosticabile per una piccola squadra come la nostra. Un’occasione che ci siamo costruiti lavorando su noi stessi come nessun’altra squadra ha mai fatto, probabilmente. Chi è entrato con me nel club due anni fa lo sa bene, ma anche chi è arrivato l’anno scorso» riprende Napa, guardando me e Vegeta. «Per me e quelli del terzo anno questo sarà l’ultimo campionato provinciale prima del diploma, l’ultima possibilità di qualificarci al campionato nazionale. Alcuni smetteranno di giocare, altri entreranno in squadre universitarie, magari qualcuno potrà anche sognare la J-League… ma oggi e domani siamo ancora una squadra, siamo il club di calcio del Liceo Minegahara e io voglio con tutto me stesso che anche dopodomani saremo la stessa squadra che siamo adesso, in questo spogliatoio».
Si interrompe, guarda tutti i nostri compagni di squadra uno ad uno. Lo spogliatoio è avvolto da un silenzio assordante.
«Tutte le persone qui presenti dovranno mantenere la promessa che faremo» continua Napa, alzandosi e appoggiando sul tavolo al centro dello spogliatoio la sua fascia da capitano e un pennarello indelebile nero dalla punta sottile. «Questa è la mia fascia da capitano, e per stringere il nostro patto dovremo scriverci tutti sopra il nostro nome. All’interno di questa fascia resteranno impressi i nomi dei componenti della squadra che sono riusciti a portare la nostra scuola dove mai era arrivata prima».
Stringo i pugni, mentre un sorriso mi si dipinge sul volto.
«Per quale motivo vogliamo battere uno squadrone come il Liceo Joiyn?» domanda Napa. «Per arrivare in vetta? Per noi stessi? Per chi ha sempre creduto in noi? Per tutti quelli che hanno detto che non ce l’avremmo fatta? Per tutto il sudore che abbiamo versato in campo?»
«Sì, ma anche per poter giocare ancora una volta tutti insieme» rispondo io, interrompendo il suo monologo e strappandogli un sorriso di approvazione. «Per far sì che quella di domani non sia l’ultima partita di questa squadra. Per permettere ai senpai del terzo anno di continuare a inseguire il sogno del campionato nazionale».
Tutti annuiscono in silenzio, sembrano d’accordo con le parole di Napa e con quello che ho detto io.
«Se fate una promessa senza crederci, sappiate che non ha senso!» ringhia Vegeta, sprezzante, tenendo le braccia conserte e guardando il resto della squadra. «Quante volte ci siamo detti che avremmo vinto e poi non ce l’abbiamo fatta?! Siete pronti ad andare fino in fondo stavolta?! Siete pronti, anche se davanti ci troveremo una squadra come il Joiyn?!» aggiunge, determinato e irritato al tempo stesso. «Sarà una partita in cui dovremo essere capaci di soffrire come mai prima. Dovremo avere la volontà di sopportare ciò che succede. Di andare oltre la fatica, la rabbia, la frustrazione, la pressione. Dovremo correre più di loro, lottare più di loro. Ce l’avete questa volontà?! Tsk!»
«Sì!» rispondo io, senza esitare, prima di alzarmi e dirigermi verso Napa e la sua fascia da capitano appoggiata sul tavolo.
Prendo il pennarello e scrivo il mio nome sulla parte interna della fascia.
«Domani vinciamo» affermo con decisione, guardando negli occhi il nostro capitano e dandogli il cinque.
Dopo di me firma Vegeta, e poi tutti gli altri del terzo e del secondo anno, fino ad arrivare a Cabba e agli altri primini. Per ultimo firma Napa, mentre dopo ogni nome apposto su quella fascia ci diamo il cinque tra noi giocatori guardandoci dritti negli occhi e in silenzio.
I suoni che sento non sono per niente fragorosi, ma in questi piccoli rumori secchi percepisco tutta la nostra determinazione. Tutta la forza del nostro sogno.
Forse, per la prima volta, sento anch’io di appartenere davvero a questo club.
 
«Dieci minuti…» ripete Cabba, con le sue esili gambe che tremano per lo sforzo. «Dieci minuti… l’abbiamo… l’abbiamo promesso…». Sembra in trance.
«Dobbiamo dare tutta l’energia che ci resta nei prossimi dieci minuti! Quando senti di non potercela più fare con le gambe, devi usare la testa. Devi restare con la testa nella partita fino alla fine. E quando non basta più neanche quella, mettici il cuore… il cuore e i coglioni, possiamo fare solo questo io e te adesso» sibilo, ringhiando. «Mettiamoci il cuore e tiriamo fuori i coglioni, Cabba».
«S-sì…» ansima lui a bocca spalancata e con la faccia stravolta dalla fatica, raddrizzandosi. «T-testa, cuore e gambe…».
«E coglioni» gli ricordo.
«S-sì, e coglioni…» ripete meccanicamente.
«Sappi che anche Vegeta crede in te» gli dico, per dargli forza. «Lo so che in questi mesi vi siete fermati spesso ad allenarvi da soli a fine allenamento. Lui non lo dice, ma sa che non lo deluderai».
«Sì!» esclama il mio compagno di reparto, con gli occhi che improvvisamente riprendono luce. «Senpai, hai detto che dobbiamo resistere dieci minuti… ma se dovessimo andare ai supplementari come faremmo?»
«Non andremo ai supplementari» gli sorrido, sicuro di me. «In qualche modo questa partita la vinciamo prima».
 
 
 
 
 
 
Note: bene, dopo ottanta minuti di gioco la partita è ancora inchiodata sullo 0-0 e il Liceo Minegahara sembra in netta crisi, sia di gioco che fisica, dopo un’intera partita passata a difendere con le unghie e coi denti le sfuriate offensive costanti del Joiyn. Radish è riuscito per ora a bloccare Broly e allo stesso tempo ha aiutato Cabba, mentre Vegeta non è ancora riuscito ad entrare in partita, isolato in attacco.
Io spero che vi sia piaciuto questo capitolo dedicato al ritorno in campo di Rad e a quello che prova prima e durante il match. Non sono cose campate per aria o enfatizzate, credo che chi abbia praticato uno sport o comunque abbia una passione per qualcosa sappia quello che intendo. Spero anche che vi abbiano divertito i momenti che hanno preceduto il match con Lazuli, Lunch e le altre, e che magari vi abbia fatto salire un po’ di adrenalina il flashback relativo alla fascia da capitano, che personalmente mi ha emozionato. È una scena ispirata dal manga “Angel Voice”, una storia di calcio, di vita e di come tutto può cambiare che ho divorato proprio a maggio e che non posso che consigliarvi.
Abbiamo anche fatto la conoscenza di Caulifla e Kale, le manager del club, come da consuetudine scolastica giapponese.
 
Se avete dubbi su qualche termine tecnico calcistico che ho usato chiedetemi pure. Al momento mi viene in mente solo che il “calcio d’angolo” di cui parlano Vegeta e Rad, indica quando la palla esce a fondocampo ed è stata toccata per l’ultima volta da un giocatore che sta difendendo la propria porta. A quel punto la squadra che attacca ha la possibilità di calciare il pallone da fermo all’altezza della bandierina posta su uno dei due angoli da quel lato del campo. Da lì si tende generalmente a crossare la palla verso il centro dell’area e sperare che un proprio compagno faccia gol, specialmente di testa. Proprio per questo in occasione dei calci d’angolo salgono in attacco i difensori forti di testa, io stesso, che sono un difensore, ho segnato praticamente tutti i gol della mia carriera in azioni da calcio d’angolo o comunque simili.
Poi mi viene in mente il termine “terzino”, che sarebbe il difensore laterale. Rad e Cabba sono i difensori centrali, ai loro lati ci sono i due terzini che completano la difesa. Ogni squadra, poi, può fare tre sostituzioni al massimo facendo entrare le riserve dalla panchina.
Il “contropiede” indica quando una squadra tutta chiusa in difesa riesce a recuperare palla e attaccare in velocità all’improvviso, cogliendo di sorpresa l’avversario sbilanciato in avanti. È ciò che ha provato a fare, invano, Vegeta.
Questa poi è una finale, quindi in caso di pareggio dopo i novanta minuti, si dovranno giocare due tempi supplementari da quindici minuti l’uno. Se dovesse mantenersi la parità, a quel punto si dovrebbero battere i calci di rigore per stabilire il vincitore.
 
Ci tenevo a raccontarvi una cosa, perché a volte lo sport e la vita sono proprio strane e anche molto belle. Il giorno di fine maggio in cui ho scritto questo capitolo, il caso ha voluto che proprio quella sera dovessi tornare a giocare una partita di calcio dopo un bel po’ di tempo. C’era la prima partita di un torneo e sarei tornato a giocare su un campo dove ho giocato per ben dieci anni da bambino e con molti compagni di allora. È stato forse un segno del destino scrivere questo capitolo proprio quel giorno… fatto sta che quella sera abbiamo vinto 3-0 e io ho anche segnato un gol. Ma non è finita qui, perché alla fine quel torneo siamo riusciti addirittura a vincerlo la settimana successiva. Nel mezzo, io sono riuscito a segnare il gol decisivo in semifinale che ci ha consentito di arrivare in finale, poi vinta.
Magari è una sciocchezza, ma è stato bello scrivere questi due capitoli proprio in quel periodo, ed è stato pazzesco per un difensore come me poter segnare due gol così ravvicinati e vincere il torneo con la mia squadra.
Credo di averli scritti col cuore in mano e il pallone tra i piedi questi due capitoli, come vi dicevo settimana scorsa. Nelle note del prossimo capitolo, invece, magari vi racconterò di come il destino abbia giocato ancora con me in un altro torneo che ho disputato dopo quello, in cui mi sono trovato a dover fronteggiare una sorta di Broly e mi sono sentito molto Rad! Ma ve lo dico la prossima volta, che qui ho già fatto note troppo lunghe! ;-)
 
Ringrazio come sempre tutti voi che mi sostenete e mi lasciate sempre delle belle parole, mi fate sentire il vostro entusiasmo! Sono felice vi sia piaciuto il finale dell’arc di Bulma e quello che è successo con Vegeta. Adoro anche quando fate delle teorie su quello che potrà succedere, grazie davvero! Grazie poi a chi legge in silenzio, mi date grande forza e ho sempre bisogno di voi!
Un grazie gigante va alla nostra super Sapphir Dream, che mi ha regalato il Radish versione calciatore che tanto desideravo facendomi esultare come se avessi segnato un gol! L’ho apprezzato tantissimo, davvero! ;-)
 
Allora, cosa dite? Riusciranno i nostri a vincere la partita anche se sembrano a pezzi? Cosa ha in mente Vegeta quando parla del calcio d’angolo?
Nel prossimo capitolo termina la partita e inizia anche il nuovo arc, che verrà introdotto nel finale e in cui ormai penso sappiate tutti chi entrerà pesantemente in scena!
Volete sapere il titolo anche se è un po’ troppo spoiler? Ebbene, sarà “Giant Killing”, un termine che si usa poco in Italia ed è più diffuso nel mondo anglosassone, ma direi che è davvero significativo!
Ci vediamo mercoledì prossimo, nel frattempo tifate tutti per il Liceo Minegahara, mi raccomando!
 
Teo

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