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Autore: koan_abyss    25/07/2019    2 recensioni
Tom Ludlow, investigatore privato, tende a gettarsi nei suoi casi con tutto se stesso, e quando Maria Butler lo assume per ritrovare il padre scomparso, si sente immediatamente legato alla vicenda. Ma sembra che ci siano anche altri interessi in gioco e Tom si ritrova presto avvolto in più trame e strattonato in più direzioni.
Genere: Angst, Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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V Capitolo


Tom aveva davanti un’intera notte da far passare. Una parte di lui non riusciva a togliersi dalla testa come sarebbe stato facile farla scivolare via se James fosse stato lì con lui. Un po’ lo irritava sapere che l’altro era così vicino, rispetto al solito, e che non trovava il tempo di vederlo. O di fotterlo come se fosse l’ultima volta nella sua vita, e poi di farlo di nuovo.
Erano pensieri sciocchi e meschini, se ne rendeva conto. James era in un casino gigantesco e cercava di gestire la cosa al meglio.
Tom era anche scocciato dal fatto che non volesse accettare il suo aiuto. Era certo che fosse in albergo, prima, quando lui aveva telefonato, e che sapesse perfettamente chi lo chiamava con tanta insistenza.
Perché non voleva che Tom si intromettesse? Non poteva neanche sapere quanto effettivamente Tom si stesse intromettendo: non aveva ancora avuto la possibilità di accennare all’amico che il caso di scomparsa di cui si stava occupando (o si era occupato? D’altronde Andy Butler era stato trovato…) poteva essere collegato con l’assalto al camion.
Tom si chiese se anche altri alla base di Encino sarebbero stati così restii a concedere informazioni a qualcuno che forse poteva indicare loro una direzione verso cui indagare. Valeva la pena fare un tentativo e telefonare alla base per chiedere i dettagli dell’assalto? Che cavolo, si sarebbe accontentato anche solo della data precisa del fatto!
Decise che avrebbe telefonato la mattina successiva prima di uscire per l’appuntamento con Maria. Se avesse ottenuto qualche risposta e nel pomeriggio fosse riuscito a parlare con il medico legale, il dottor Thompson, forse avrebbe avuto qualche indizio degno di questo nome, e non solo le sue supposizioni. Cosa ci avrebbe fatto, poi, era ancora da vedere.
Sbatterli in faccia a James dicendogli: ‘ecco, la tua difesa davanti alla commissione’ sembrava una buona idea.
Fece avanti e indietro per tutto l’attico, valutando lo stato di abbandono e sporcizia dei locali usati più raramente. Stato: pessimo. Era ora di rimettere un po’ in ordine l’attico, l’ufficio, la sala d’aspetto, possibilmente la sua vita e le sue frequentazioni.
Si diede alle pulizie, per cominciare, e andò avanti per un paio d’ore filate.
‘Ecco uno dei vantaggi di vivere in un palazzo composto di uffici e locali commerciali: se mi fossi messo a fare questo lavoro nella casa in Yucca Road i vicini si sarebbero imbestialiti per il chiasso’, si disse, entrando sulla stanza sul retro e levandosi la camicia marcia di sudore.
Fece una doccia con tutta calma, godendosi poi il silenzio della notte mentre si faceva la barba. Sulla decima non passavano quasi veicoli, i ristoranti erano chiusi e anche l’ultimo spettacolo del cinema Lux era finito da tempo. C’era solo un taxi in attesa dei clienti della Pantera Blu che avevano fatto tardi, ma dopo qualche minuto anche lui e la sua insegna bianca lasciarono il quartiere al sonno.
Tom si chiese se la Pantera Blu fosse ancora aperta: forse no, non c’era molto movimento, quando lui era venuto via, e non aveva visto nessuno rincasare a piedi. Anche il taxi se n’era andato vuoto. Pensò di fare due passi e controllare, dato che tanto non riusciva a dormire.
Scese in strada, salutando il portiere di notte nell’atrio. L’uomo sembrava sul punto di addormentarsi e lo salutò meccanicamente, probabilmente senza neppure registrare la sua presenza.
Tom camminò fino al locale sui marciapiedi deserti passando da un cono di luce all’altro. Si fermò all’angolo a fumare una sigaretta, sentendo di meritarsela per aver fatto ordine a casa.
Quando arrivò di fronte al locale si imbatté in Winnie che chiudeva a chiave la porta.
“È stata una serata fiacca?” le domandò.
Lei si girò di scatto, sussultando, poi lo riconobbe.
“Tom!” gridò sottovoce con tono di rimprovero. “Potevi farmi morire di spavento!”
“Scusami.”
“Che ci fai in giro? Te ne sei andato presto, ti facevo a letto da un bel pezzo,” gli disse Winnie, mettendo le chiavi nella borsetta e avvicinandosi a lui.
Gli sorrise con aria maliziosa, come suo solito.
Tom reclinò la testa all’indietro, dando uno sbuffo di risa.
“Sapessi cosa non è successo da allora…Non volevo spaventarti, prima. Vuoi che ti accompagni a casa?” le domandò, offrendole il braccio.
Winnie lo prese con aria deliziata: “Che galantuomo, scortare in salvo una fanciulla abbandonata a se stessa. Sì può proprio dire che stasera eravamo quattro gatti. Non mi dispiace un po’ meno lavoro, di tanto in tanto, ma è così presto che non riuscirò a dormire per altre due ore almeno,” raccontò, stringendosi a Tom e sistemandosi il colletto di pelliccia del cappotto che indossava.
“Sei in buona compagnia. Sono tre notti che riesco a dormire a malapena.”
“Il lavoro, tesoro?” domandò lei.
“In parte. Forse è davvero ora che mi trovi un socio.”
“Chi te lo ha detto?”
“Tony,” rispose Tom, con un sorriso.
“A te serve un fidanzato. O una fidanzata, come quella Alyssa. Quella sì che aveva le palle,” fece lei, scuotendo la testa.
Tom rise. Era un secolo che non gli capitava di pensare ad Alyssa. Aveva un che di selvaggio: poteva permettersi di ignorare ogni convenzione sociale perché era sufficientemente ricca; in un periodo in cui ciò era considerato quasi disdicevole per una donna, aveva un senso dell’umorismo impagabile.
L’unica convenzione che Alyssa non voleva dimenticare del tutto era il matrimonio. Si aspettava che Tom la sposasse, prima o poi.
“Non farà di me una donna onesta, e dato che esiste il divorzio non mi renderà neppure certa di avere qualcuno al mio fianco, quando sarò vecchia, ma mi darebbe un po’ di stabilità, almeno. Sarei ragionevolmente sicura di passare con te degli anni felici, mentre ora come ora non so se ti troverò al mattino.”
Ma Tom non poteva sposarla, non con quello che sapeva su se stesso. Che avrebbe fatto, se dopo due anni di matrimonio si fosse invaghito del giardiniere? O del fratello di lei? O di qualunque altro uomo? Non voleva comportarsi da ipocrita, non voleva neppure correre il rischio di mettersi nella condizione di diventarlo.
Tra loro finì, come lei aveva previsto sarebbe successo: probabilmente la sua insistenza sul matrimonio era stata solo una scusa per chiudere. Forse pensava che separarsi per il fatto di avere due visioni del mondo inconciliabili sarebbe stato meno doloroso che ammettere che l'amore era venuto meno.
Era stato un colpo, per Tom, ma in fin dei conti non così brutto. Era più giovane e complessivamente più felice e soddisfatto del mondo.
Si strinse nelle spalle: “Mi accontenterei anche solo di qualcuno con cui dividere l’ufficio.”
“Eccoci. Vuoi salire a bere qualcosa, tesoro?” gli chiese la donna.
“Libera di non crederci, ma stasera sei già la seconda ragazza che mi invita a casa sua,” le disse Tom, entrando nell’atrio del palazzo.
“Te la farò scordare in un attimo,” gli promise Winnie.
Salirono le scale facendosi ‘shht’ l’un l’altra e ridacchiando come ragazzini.
Nonostante si conoscessero da anni, Tom non era mai stato a casa di Winnie.
La donna aveva acquistato la Pantera Blu cinque anni prima e si era trasferita nel quartiere.
Tom sapeva dov’era il suo appartamento, gli era già capitato di accompagnarla fin lì o di salutarla passando sotto la sua finestra il giovedì, il giorno di chiusura del locale, ma non era mai entrato.
L’appartamento era piccolo e ingombro di mobili. In confronto alla casa di Yucca Road che Tom aveva lasciato da poco sembrava uno sgabuzzino.
Anche la sua stanza sul retro dell’ufficio sembrava più grande, ma quell’impressione era molto probabilmente dovuta al fatto che era molto spoglia.
Il soggiorno di Winnie, cui si accedeva dalla porta di ingresso senza passare per un ingresso vero e proprio, era occupato quasi interamente da un divano imbottito gigantesco e da una poltrona coordinata su cui ci si sarebbe potuti sedere in due. Entrambi i mobili erano tappezzati in tessuti pesanti, dai colori caldi, come le coperte e gli scialli abbandonati sui braccioli.
Le tende erano color mattone e bianco panna, tirate a coprire la luce gialla dei lampioni.
L’unica luce che Winnie accese proveniva da una abat jour con la cappelliera rosso fuoco, molto simile a quelle che c’erano sui tavolini della Pantera Blu, ma più grande, tanto che sul tavolino su cui stava appoggiata c’era a malapena posto per un libro. Nell’insieme, l’ambiente era caldo, accogliente e molto seducente.
Winnie gli disse di accomodarsi sul divano mentre prendeva qualcosa da bere.
Tom sprofondò tra i cuscini dopo essersi tolto il soprabito e averlo appoggiato allo schienale della poltrona su indicazione della padrona di casa. Studiò la stanza e decise che se Winnie fosse tornata con indosso una vestaglia di chiffon su un completino di pizzo nero sarebbe stata davvero intonata a tutto il resto dell’arredamento.
Ma quando Winnie tornò, con un vassoio, una bottiglia molto strana e due bicchierini, indossava lo stesso abito in velluto rosso che aveva a inizio serata. Anche quello si intonava all’ambiente, comunque.
“Ecco qui, tesoro, qualcosa di dolce,” gli disse, posando il vassoio su un minuscolo tavolino da caffè e sedendosi accanto a Tom. Gli porse un bicchiere. “Cin cin.”
Era un vino liquoroso, molto dolce, come aveva detto la donna, e molto forte.
Tom si sentì riscaldare dalla testa ai piedi.
“È fantastico. Cos’è?” le chiese.
Guardò la bottiglia: era a forma di sfera schiacciata ai poli, con un tappo come quello di un’ampolla, di colore blu con ricami dorati.
“Brodo di giuggiole,” rispose Winnie, versandogliene ancora un po’. “Conosci l’espressione ‘andare in brodo di giuggiole’? Deriva da questo liquore.”
Tom conosceva l’espressione, Tony la usava spesso. Lo disse a Winnie.
Lei annuì: “Me lo fa arrivare lui da un suo parente in nord Italia.”
“Non me lo hai mai servito al locale.”
“Me lo tengo tutto per me!” fece lei alzando le spalle.
“È carino qui,” le disse Tom, accennando alla casa. “Non mi sento propriamente al sicuro, con questa luce soffusa e questo divano così grande e comodo, ma…” aggiunse, sedendosi più composto, con braccia e gambe serrate, fingendo di essere a disagio.
Winnie rise: “Che ti devo dire? Una ragazza sola vuole un posto accogliente, dove rifugiarsi. E sapessi che sollievo non dover arredare una casa tenendo conto dei gusti maschili…” Scosse la testa. “Ero una tale stupida. Andarmene è stata la cosa migliore che abbia mai fatto,” disse, accennando al suo ex marito.
Tom non lo aveva mai conosciuto: Winnie si era trasferita nel quartiere dopo il divorzio. Era riuscita chissà come a non farsi portare via i suoi risparmi e aveva fatto in modo di sparire dal radar del vecchio Martin Sheperd. Ora usava di nuovo il suo nome da ragazza, Hart.
La prima volta che aveva sentito il suo nome ˗Winnie Hart˗ Tom aveva pensato che fosse un nome falso.
“Dici sempre che devo trovarmi qualcuno. Tu perché non ti trovi uno spasimante?” le chiese Tom, conscio che lei si sarebbe un po’ piccata.
“Uno spasimante? Neanche avessi diciassette anni! Alla mia età potrei trovarmi un amante, al massimo. Ma qualcuno che non abbia la minima intenzione di sposarsi e avere figli, beninteso. Non mi sposerò mai più. Sono troppo felice di essere libera,” replicò lei, sorseggiando il brodo di giuggiole.
“Saremmo perfetti, io e te,” scherzò Tom.
“Oh, be’, almeno ci terremmo compagnia!” concluse lei allegra.
Quando il liquore fu quasi finito, un’ora dopo, Tom si sentiva completamente a suo agio sul divano di Winnie, ma lei cominciava a dare segni di sonnolenza, stropicciando gli occhi e arricciando il naso, e Tom decise che era meglio levare il disturbo.
Baciò la donna sulla guancia e si avviò alla porta da solo.
Winnie lo salutò agitando graziosamente la manina e soffiandogli un bacio.
Tom uscì ridendo sul pianerottolo e subito si fece ‘shht’ da solo. Era decisamente brillo.
Forse ora sarebbe riuscito a dormire un paio d’ore, prima di andare da Maria per accompagnarla all’identificazione del corpo del padre.

Tom si svegliò di buon’ora e di buon umore.
Per prima cosa, dopo aver bevuto un caffè seduto dietro la sua scrivania, decise di chiamare la base di Encino. Era presto, ma d’altronde l’alzabandiera è alle cinque di mattina, da che mondo è mondo, se non ricordava male (anche se Tom non aveva fatto l’anno di leva: quando la guerra era scoppiata lui era appena stato ammesso all’accademia di polizia), quindi qualcuno di sveglio dietro un telefono doveva esserci per forza.
C’era, in effetti. Ma a quanto pareva la base di Encino non discuteva di presunte violazioni alle sue misure di sicurezza con il primo venuto, fosse anche il detective privato Tom Ludlow, e il militare che gli aveva risposto rappresentava proprio la base stessa, quindi, di conseguenza, non intendeva dargli nessunissimo parere personale, né tantomeno una risposta ufficiosa. Buona giornata.
Non era stato molto incoraggiante, come primo risultato della giornata, rifletté Tom. Immediatamente dopo chiamò lo studio del dottor Thompson, che però non c’era. Tuttavia l’uomo sarebbe rimasto tutta la mattina alla stazione di polizia: c’erano buone probabilità che Tom lo incontrasse mentre accompagnava Maria all’identificazione, dato che si era occupato lui dell’autopsia di Andy Butler.
Tom decise che avrebbe colto l’occasione per chiedere informazioni sul proiettile, o quantomeno un appuntamento al medico legale per parlare della faccenda.
Alle otto e un quarto Tom afferrò il soprabito, pronto a uscire. Avrebbe recuperato la macchina e si sarebbe fatto trovare sotto casa di Maria alle otto e mezza, poi avrebbe seguito la macchina della polizia mandata a prenderla fino alla stazione di polizia. Era già nella sala d’aspetto, diretto verso la porta d’ingresso quando il telefono suonò. Tornò indietro di corsa.
“Pronto?”
“Sono io. Non sono morto,” gli disse James, dall’altra parte dell’apparecchio.
“Cominciava a venirmi il dubbio,” gli rispose Tom, un po’ freddo.
“C’è stato un imprevisto, ieri sera, non ho fatto in tempo ad avvertirti.”
“Ti ho chiamato in albergo più o meno tutto il giorno. Ieri sera c’eri, e non hai risposto.”
“Ero certo che fossi tu, ma non ero in vena di parlare e ho fatto finta di niente.”
“Senti, James, ho bisogno di chiederti una cosa e sono di fretta…”
“Che devi fare? Hai trovato il tuo uomo scomparso?”
“Sì. Hanno trovato il cadavere di Andrew Butler, il padre della mia cliente. La devo accompagnare all’identificazione. Ma ho bisogno ci chiederti la data dell’assalto al convoglio, e possibilmente anche l’ora.”
“Tom, ti ho chiesto di non immischiarti nella faccenda. Non indagare. Ho intenzione di sbrigarmela da solo.”
“È importante. Potrebbe esserci un collegamento con…”
“No. Non è importante e non ti riguarda. Stanne fuori.”
Tom fissò la cornetta, stranito: “Che diavolo ti prende? Sto cercando di aiutarti!”
“Non farlo: mi dici sempre di lasciarti vivere la tua vita, che tu lo fai con me e dovrei ricambiarti il favore. Fallo anche stavolta, lascia perdere tutta questa faccenda, dimenticala,” concluse James, con voce neutra.
“James, al diavolo l’orgoglio! Ci sono di mezzo due morti, è una faccenda seria!”
“Credi che non mi renda conto che è una faccenda seria?” fece James, più vicino ad alterarsi di quanto Tom lo avesse mai sentito.
“Se te ne rendi conto, allora c’è qualcosa che mi nascondi,” ribatté Tom.
Strinse il ricevitore con forza. Che stava succedendo?
“Tom, per favore, per amor mio, stai lontano da questa faccenda,” lo pregò James, ogni vestigia di rabbia scomparsa dalla sua voce.
“Ora devo andare, o arriverò in ritardo,” decise Tom.
Riattaccò e uscì di casa. Che stava succedendo, si chiese di nuovo. Cosa gli nascondeva James? Perché non aveva avuto nessuna reazione quando Tom aveva parlato di due morti coinvolti?

Parcheggiò sotto casa di Maria alle otto e venticinque.
Maria uscì dal portone un minuto dopo. L’investigatore scese e le andò incontro.
La donna indossava un abito nero, un tailleur di lana che le stava molto bene, e un cappotto di panno, anch’esso nero. Portava un cappellino scuro sui capelli acconciati molto semplicemente.
Nel complesso era molto elegante e sembrava padrona di sé, nonostante fosse pallida e avesse gli occhi rossi e stanchi.
“Signorina Butler. Di nuovo le mie condoglianze. Come vi sentite?”
Maria allungò una mano verso di lui e Tom la prese.
La ragazza strinse con forza: “Avete promesso di raccontarmi tutto, signor Ludlow. Ricordate?”
Tom la rassicurò: “Vi racconterò tutto, Maria. E a quel punto decideremo cosa fare.”
La macchina inviata dal sergente Bayles per accompagnare Maria alla stazione di polizia arrivò in quel momento. Un agente scese e salutò Maria. L’uomo rivolse poi lo sguardo su Tom, aspettando spiegazioni della sua presenza.
“Questo è il detective Ludlow,” disse Maria. “Gli ho chiesto di accompagnarmi a vedere il corpo di mio padre. Ci seguirà con la sua macchina,” concluse con sicurezza, salendo sull’autopattuglia.
Rivolse un ultimo sguardo a Tom, prima che l’agente chiudesse lo sportello.
“Non combinerà niente di strano, quando saremo lì, vero?” gli chiese il poliziotto, scrutandolo con disapprovazione.
“Non combinerò niente di niente,” lo rassicurò Tom.
Si toccò il appello in segno di saluto e salì in macchina. Seguì l’autopattuglia fino alla stazione del ventitreesimo distretto e si affiancò a Maria quando la ragazza scese dalla macchina. Le porse il braccio ed entrambi vennero scortati dentro, nei locali adibiti ad obitorio che occupavano i sotterranei della stazione e confinavano con quelli dell’ospedale accanto.
La stazione del ventitreesimo distretto aveva davvero una posizione strategica, anche se in teoria la sua sistemazione in quell’edificio doveva essere provvisoria.
Ma dato che lo era da almeno quindici anni, Tom e probabilmente tutti quelli che ci lavoravano la ritenevano ormai definitiva e immutabile.
Sempre scortati dall’agente si inoltrarono in un dedalo di corridoi illuminati artificialmente, con le pareti ricoperte di piastrelle chiare.
Sfilando nel corridoio, Tom notò una porta con una targhetta che gli permise di riconoscere l’ufficio del dottor Thompson e si ripromise di passare a bussare, se ne avesse avuta l’occasione.
Le celle frigorifere erano al fondo del passaggio.
L’agente esitò un attimo, rivolgendosi a Maria: “Ci siamo quasi. Siete pronta? Pensate di farcela?”
Maria annuì, stritolando per un attimo la mano di Tom, poi si scostò da lui e fece cenno all’agente di aprire la porta.
La stanza in cui entrarono non era molto diversa dal corridoio appena percorso: pareti ricoperte di piastrelle, soffitti bianchi. Era un luogo spazioso; diverse barelle erano ordinatamente accostate alle pareti, parallele a una fila centrale.
Una di queste ultime era occupata da una figura coperta da un telo verde chiaro. Dietro di essa sostavano un dottore e un’infermiera, in silenziosa attesa che Maria si facesse avanti.
Alle loro spalle la porta dell’obitorio si spalancò e il sergente Bayles entrò.
Guardò Tom senza dire nulla, ma le sue labbra si ridussero a una linea sottile. Poi lo dimenticò e si affiancò a Maria. Scambiarono qualche convenevole.
Tom ebbe l’impressione che il poliziotto fosse davvero partecipe del dolore di Maria.
“Quando siete pronta, signorina Butler,” le disse infine Bayles.
La scortò fino alla barella e le presentò il dottore.
Tom fece un passo avanti, intenzionato a vedere più da vicino la ferita alla tempia che aveva ucciso Andy Butler, ma l’agente che li aveva accompagnati fin lì si schiarì rumorosamente la voce e gli sbarrò la strada.
“Oh, andiamo!” protestò Tom sottovoce, ma quello fu irremovibile.
Il dottor Sperling scostò il telo e scoprì il viso del padre di Maria.
Dalla sua posizione, Maria non poteva vedere il foro di pallottola, a meno di avvicinarsi ancora e sporgersi sul corpo.
Il dottor Sperling e la sua infermiera avevano avuto molto tatto.
Tom, molto più indietro di Maria non riuscì a vedere assolutamente niente e li maledì più e più volte tra sé e sé.
“È vostro padre, Andrew Butler?” Il sergente Bayles pose a Maria la domanda di rito, affiancandola e mettendole una mano sulla schiena.
Maria, respirando un po’ affannosamente rispose di sì. Sì, ne era certa.
“Dovrà firmare qualche carta, temo,” le disse il sergente Bayles, con garbo, cercando di allontanarla dalla barella.
“Vorrei restare qualche minuto sola con mio padre,” gli disse invece Maria, non accennando a muoversi.
Bayles scambiò un’occhiata con il dottore, che annuì.
“L’infermiera Johnson vi terrà compagnia,” disse a Maria.
La donna annuì.
“Noi saremo qui fuori,” la avvertì il sergente Bayles, prima di girarsi e uscire. L’agente vicino a Tom gli rivolse un sorriso: “Su, fuori, amico.”
A Tom non rimase che uscire con l’agente alle calcagna.
Si ritrovarono tutti in corridoio, Tom, il dottor Sperling, l’agente e il sergente Bayles, a guardarsi in silenzio.
Il dottor Sperling li lasciò per primo.
“Ho alcune faccende da sbrigare. L’infermiera verrà a chiamarmi. Signori,” li salutò, scomparendo lungo il corridoio.
Tom decise di seguire il suo esempio.
“Qualche problema se esco a fumare, sergente?” domandò a Bayles, prendendo il pacchetto dalla tasca del soprabito.
“Non ho nessun problema con quello che fate. Purché lo facciate lontano da lei,” gli rispose Bayles.
“Io ho cercato di aiutarla, come avete fatto voi, Bayles,” gli rispose Tom, girando sui tacchi.
Si aspettava che l’agente lo seguisse, per essere certo che non si infilasse dove non doveva, ma quello non si mosse.
Bene. Perché Tom aveva tutta l’intenzione di infilarsi dove non doveva.
Ripercorse il corridoio fino all’ufficio del dottor Thompson e bussò, rapido. Entrò non appena sentì un flebile ‘avanti’ e si richiuse velocemente la porta alle spalle.
Il dottor Thompson era chino sulla sua scrivania ad esaminare dei documenti. Parve molto sorpreso di vedere Tom.
“Detective Ludlow? Che cosa ci fate qui, nella tana del drago?” gli chiese, posando gli incartamenti e alzandosi per accoglierlo.
“Sono di passaggio, e spero di passare inosservato, in effetti. Ho accompagnato Maria Butler all’identificazione del padre. Pensavo che sareste stato presente, Dottore” gli rispose Tom, facendosi avanti e stringendo la mano al medico legale.
“Avrei dovuto, ma il mio turno è già finito da un pezzo. Le scartoffie mi hanno trattenuto qui.” L’uomo rimase un attimo in silenzio, come soppesando le parole che stava per pronunciare. “È strano, signor Ludlow. Ho pensato a voi, durante l’autopsia. Al vostro accenno a un calibro militare.”
Tom lo incalzò: “Il proiettile estratto dal corpo è un calibro militare, allora? Avevo ragione?”
Il dottore gli fece cenno di aspettare: “Non sono autorizzato a darvi questo genere di informazione, sono spiacente. Non posso tradire il mio dovere di riservatezza proprio all’interno di queste mura.”
“Capisco. Tuttavia, avete detto che il vostro turno è finito, non è così?”
Il dottor Thompson annuì: “Sì, l’ho detto. Sono curioso a proposito di questa faccenda, e allo stesso tempo so che sarebbe meglio se non ne sapessi nulla. Tuttavia, è nell’interesse della comunità che qualcuno riesca a mettere insieme tutte le informazioni e a dare un senso a tutto. A quanto pare, voi possedete già parecchi elementi del caso…”
“Penso di sì, di averne almeno un buon numero. Ma perché non fate riferimento al tenete Kuntz? Non credete che sarebbe il più adatto a dare un senso a tutto, per usare le vostre stesse parole, dottore?” gli chiese Tom.
Ultimamente stava facendo un grande affidamento su un sacco di informazioni offerte troppo spontaneamente: non gli avrebbe fatto male un po’ di cautela.
“Il tenente Kuntz è un uomo molto intelligente. Ma anche di voi ho una buona opinione, Ludlow. Inoltre, non ho digerito il comportamento di Kuntz, ieri sera. Ultimamente, quell’uomo ha sempre più difficoltà a mantenere la calma.”
“Non ‘ultimamente’, Dottore. Temo che sia sempre stato così.”
“Voi lo conoscete da tempo, eh?” fece il dottor Thompson. “Ecco cosa vi propongo: andrò a bere qualcosa, una volta finito qui, in un locale sull’Exposition Boulevard, davanti al Museo di Storia Naturale. Potreste raggiungermi.”
Tom fece un rapido calcolo: “Potrei essere là per le undici. Riaccompagnerò a casa la signorina Butler e la raggiungerò lì. La ringrazio molto per la sua disponibilità.”
Il dottore fece cenno di lasciar perdere: “Mi piacerebbe proprio sapere cosa sta succedendo. Ma è meglio di no. Preferisco non immischiarmi troppo, sono solo un vecchio segaossa.”
Tom lo ringraziò ancora e uscì di soppiatto dall’ufficio. Trovò Maria e il sergente Bayles che parlavano nell’atrio della stazione.
Maria gli rivolse uno sguardo acuto. Tom ebbe l’impressione che gli stesse chiedendo: ‘Be’? Sei riuscito a fare quello che sei venuto a fare?’
Le si affiancò e il tenente Bayles si irrigidì impercettibilmente.
“Posso riaccompagnarvi a casa io, signorina. Il mio turno è finito,” propose.
“La ringrazio, sergente. Ma il signor Ludlow e io abbiamo diverse cose di cui discutere. Mi riaccompagnerà lui, è qui apposta.”
Bayles la prese con grazia, non c’è che dire: salutò Maria e la pregò di chiamarlo se mai avesse avuto bisogno di qualcosa, e infine sparì senza rivolgere a Tom più di un vago cenno con il capo.
Tom lo salutò.
“Allora?” domandò Maria non appena furono in macchina.
“Potrebbe non farvi piacere, sentire quanto sto per dirvi,” la avvertì Tom, ma lei continuò a fissarlo, in attesa, così le disse tutto.
Che suo padre non aveva debiti, che era entrato in contatto con dei criminali, che Tom sospettava avesse preso parte all’assalto di un convoglio militare e che fosse incaricato di trasportare le armi trafugate.
Erano un sacco di informazioni, e Maria le assorbì tutte senza parlare.
Tom le lasciò qualche minuto, prima di domandare: “A questo punto, signorina Butler, dobbiamo decidere cosa fare. Mi avete assunto per trovare vostro padre sano e salvo, e non mi è stato possibile. Secondo il medico legale era morto da diversi giorni, quando è stato ritrovato. Può darsi che sia morto la sera stessa in cui è scomparso, mercoledì scorso.”
“Il sergente Bayles me lo aveva detto,” rispose Maria con un filo di voce.
Tom continuò: “Direi che il mio incarico è esaurito, Maria. Continuerò a indagare sulla faccenda, ma non appena avrò abbastanza elementi li passerò alla polizia. Hanno più mezzi e più possibilità di trovare l’assassino di vostro padre,” concluse.
La ragazza sospirò: “Anche se non dovessero trovarlo, non penso che vi assumerò di nuovo, signor Ludlow. Non so quanto mi sarebbe di consolazione sapere che chi ha ucciso mio padre è stato arrestato. Non mi consolerebbe di sicuro da quello che lui era diventato.”
“Capisco.”
“Amavo mio padre. Lo amo tutt’ora. Ma sono molto arrabbiata con lui. Avrei voluto poterlo ricordare almeno come un uomo onesto. Con dei problemi, ma onesto. Invece non posso. E non incolpo voi o la polizia, ma solo mio padre.”
Erano arrivati.
Tom le aprì lo sportello e la aiutò a scendere.
“Non sottovaluti il sollievo di ottenere giustizia, signorina Butler. E non sentitevi in colpa se ora siete furiosa con vostro padre, è perfettamente naturale.” Le baciò la mano. “Fatemi sapere la data del funerale, quando potrete fissarne una, una volta terminate le indagini.”
“Ve lo farò sapere senz’altro, signor Ludlow.” Lo pregò anche di farle avere il conto. Tom la guardò entrare nel suo palazzo, prima di risalire in macchina. Si accese una sigaretta e si recò all’appuntamento con il dottor Thompson.
Non aveva più una cliente, ma il filo rosso di Maria continuava ad avvolgerlo.

Quando Tom raggiunse il locale indicatogli dal dottor Thompson ˗una caffetteria˗ l’uomo era già lì. Mancavano pochi minuti alle undici e il posto era affollato di dipendenti del Museo di Storia Naturale e di visitatori. C’era anche qualche studente di storia, che consultava appunti presi da pesanti volumi.
Il medico aspettava Tom bevendo una tazza di latte.
“Niente caffè e soprattutto niente più alcool, per questo povero vecchio,” disse a Tom quando notò il suo sguardo incuriosito. “Ho problemi al fegato. Una cosa ereditaria, l’ho sempre saputo. Così mi sono portato avanti e ho cominciato a condurre una vita sana.”
Tom convenne che era un lodevole proposito, quello di condurre una vita sana, ma ammise che i suoi propositi, per quanto buoni, solitamente naufragavano piuttosto in fretta. Nondimeno, ordinò anche lui un bicchiere di latte. Dopo la sigaretta aveva un sapore orribile.
‘Dovrei correggerlo con il caffè…’ si disse.
“Allora, figliolo. Sono pronto per le domande,” ruppe il ghiaccio il dottor Thompson. Tom annuì: “Bene. Per cominciare, da quanto tempo è morto, Andrew Butler?”
“Direi da una settimana, più o meno. Non era un bello spettacolo. Come se l’è cavata la figlia?”
“Alla grande. È una ragazza molto forte. Credo però che sarebbe sollevata di sapere che il padre è morto prima che lei ne denunciasse la scomparsa. Significherebbe che anche se lei avesse agito con più urgenza non si sarebbe potuto fare nulla. Penso che l’idea le toglierebbe un peso dal petto, nonostante tutto.”
Il dottore annuì: “Il senso di colpa…a volte però è semplicemente impossibile liberarsene. Che abbia senso o meno, la logica non ci aiuta a stare meglio.”
Tom gli rispose che lo capiva perfettamente.
“Vogliamo parlare del proiettile?” chiese poi.
“Il proiettile è un 45 ACP, il diametro è di 11,50 millimetri, sparato con tutta probabilità da una Colt M1911, cioè l’arma in dotazione allo U.S. Army fin dal 1911. È una pistola semi-automatica, con alto potere di arresto e molto precisa. Tuttavia, ha una scarsa gittata e scarsa forza di penetrazione. Andrew Butler è stato ucciso da pochi metri di distanza, a giudicare dai contorni del foro di entrata.”
Il medico legale restò in attesa che Tom dicesse qualcosa.
Tom rimase in silenzio, a riflettere.
Ecco il collegamento: Andy Butler era stato ucciso da un’arma in dotazione all’esercito degli Stati Uniti d’America. Un mese prima, un convoglio militare era stato attaccato e le armi e le munizioni che trasportava erano state trafugate. Il conducente del mezzo militare era stato ucciso e qualcuno aveva portato via il camion. Andrew Butler era un autista di mezzi pesanti, che un mese prima aveva effettuato con il suo mezzo una consegna non lontano da dove il convoglio era stato attaccato. Successivamente, Andrew Butler aveva accumulato diversi ritardi nel suo lavoro. Da un appunto trovato nel suo appartamento, Tom sapeva che in quelle occasioni Andrew aveva effettuato delle deviazioni dal suo percorso.
Ecco tutti gli elementi. Messi insieme, avevano un certo peso.
Gli mancava solo più la data precisa dell’assalto al convoglio, che James rifiutava di dirgli e che la base di Encino negava fosse accaduto.
Il dottor Thompson era ancora in attesa.
Tom gli sorrise: “Per me ha perfettamente senso, dottore. Ma lei ha detto che non voleva saperne troppo per non essere coinvolto.”
Il medico emise un verso frustrato: “È così, dannazione! Molto meglio che io mi faccia gli affari miei.”
“Ha già consegnato il suo rapporto?” gli chiese Tom, bevendo un sorso di latte.
“Sì, direttamente nelle mani del tenente Kuntz, questa mattina presto. Ho fatto nottata.”
Quindi ora Kuntz aveva una conferma di quanto Tom gli aveva detto la notte precedente. Forse se gli avesse presentato gli altri elementi lo avrebbe convinto. Di certo non avrebbe potuto ignorarlo. Poteva sempre arrestarlo per intralcio alle indagini della polizia, ma quello lo poteva fare pressappoco in qualunque momento, non era niente di nuovo.
Non lo faceva impazzire l’idea di doversi rivolgere a Kuntz, ma non aveva alternative: non poteva interpellare direttamente la Commissione d’inchiesta sull’incidente, senza l’intermediazione di James. E qualcosa era indispensabile fare: Andy aveva distribuito le armi, quindi adesso erano sparse per la città. Chissà in mano a chi, per farne cosa. Si parlava di un numero di pistole e fucili d’assalto sufficienti per scatenare una guerra, nel vero senso della parola. Poteva da un momento all’altro verificarsi una strage.
Possibile, possibile che James non vedesse quello che poteva causare la sua riluttanza a dare informazioni? Possibile che nessuno a Encino se ne rendesse conto? Che cosa c’era sotto?
Tom finì il suo latte, come un bravo bambino, e lui e il dottor Thompson si alzarono. Tom pagò per entrambi e i due uomini uscirono dalla caffetteria.
“La ringrazio molto, dottore. Il suo aiuto è stato provvidenziale.”
“Bene. Alla mia età è importante sapere di aver fatto qualcosa di utile, almeno qualche volta nella vita,” gli rispose il medico legale, con leggerezza.
Salutò Tom raccomandandogli di stare attento alla strada, come se lo mandasse a scuola dopo la colazione, e si avviò alla sua auto.
Tom fece lo stesso e si diresse verso casa.

Note:
La prima parte del capitolo mi sa un po' di riempitivo: è più che probabile che sia stata scritta per amore di wordcount e bastaXD
Le riflessioni di Tom sul fatto che non poteva rischiare di sposarsi perchè bisessuale sono abbastanza stupide: chiunque può mandare all'aria un matrimonio perchè l'amore finisce o si innamora di qualcun altro, a prescindere dall'orientamento sessuale. Però in un'epoca di omofobia internalizzata come quella in cui è ambientata la storia non mi sembrano troppo poco plausibili...Boh, spero di non offendere nessuno.
A presto!
   
 
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