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Autore: Athelye    26/07/2019    1 recensioni
Capelli decolorati, occhi di ghiaccio, aria misteriosa e da delinquente.
Sorriso da mille watt, occhi vispi e allegri, un'ingenuità senza pari.
Un gruppo di amici, una scommessa, e un mese e mezzo per vincerla.
Basta dimostrare che l'apparenza inganna, sarà davvero così?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Gon Freecss, Killua Zaoldyeck, Kurapika, Leorio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Exactly Another Teen Story

Capitolo XI – Aspettavo solo te


Gon osservò il nuovo arrivato sulla sua scrivania accanto alla lampada. Un piccolo peluche blu a forma di balena, con gli occhi enormi e color ambra, abitava i pressi della lampada e gli sorrideva mostrando i fanoni. E Gon gli sorrideva di rimando, al pensiero del ragazzo che gliel’aveva portata.
Killua era venuto al loro appuntamento con questo pacchetto tondo e un po’ scartocciato. ‘Avrei dovuto usare un sacchetto’, era stata l’unica cosa che aveva detto prima di porgerglielo. Gon gli aveva detto che non era necessario che gli facesse un regalo, ma lui, con un vago colorito rosa sulle guance, gli aveva risposto ‘Stupido, non lo faccio per ricambiare, aveva già intenzione di dartelo, dato che quando l’ho visto mi sei venuto in mente’. Inutile dire che, a quella frase, Gon aveva sfoderato uno dei suoi sorrisi da mille watt che azzeravano qualsiasi altra fonte luminosa nel raggi di tre chilometri.
Così, quel pupazzo ora viveva in camera sua. Era piaciuto molto anche a sua nonna e sua zia, che l’avevano trovato un pensiero molto dolce.
In quei giorni senza vedersi, Gon e Killua si erano scritti di continuo, tanto che anche a cena Mito non faceva altro che bacchettare il nipote, rimproverandolo di stare sempre incollato a quel maledetto arnese. Gon aveva sempre fatto orecchie da mercante.
E adesso, era emozionato, o meglio, agitato, per l’indomani: Killua sarebbe passato a prenderlo per andare da quella sua amica.
Ora, come dovreste aver capito a questo punto, Gon era una persona davvero spigliata nel socializzare con gli altri, ma l’idea di non riuscire a fare una buona impressione su Canary lo metteva molto a disagio. Non sapeva neanche perché poi. Killua gli aveva assicurato che la sera ci sarebbe stato un mare di gente, e che non era obbligato a stare o parlare tutto il tempo con lei, ma il fatto che fossero ospiti a casa sua lo metteva terribilmente in soggezione. Non sapeva nemmeno com’era di carattere quella ragazza!
Inoltre non aveva idea di come vestirsi. Killua a riguardo era stato molto criptico e vago. ‘Vestiti come ti senti a tuo agio’, così gli aveva detto. Come se fosse facile.
Si sentiva a suo agio praticamente con tutto, per sua fortuna anche se non in questo caso, dato che si sarebbe sentito un pesce fuor d’acqua se si fosse presentato in jeans a una festa elegante o, viceversa, in smoking fra persone ‘casual’. Questa cosa di non sapere cosa mettere lo mandava in bestia.
Per questo aveva scritto a Killua anche in quel momento, o per essere precisi, gli aveva mandato un vocale, con la speranza che l’amico non fosse a lavoro anche sotto le feste e quindi potesse ascoltare e rispondere.
“Quindi tu come ti vesti?
Rapida giunse la risposta. Un vocale, per coerenza. “Che ansia, Gon! Ti ho detto di venire come vuoi, siamo fra ragazzi. Io metterò un paio di jeans e una camicia. Contento ora?
“Non dirlo con questo tono! Non voglio farle una brutta impressione..”
La risposta successiva arrivò per messaggio.
Killua ϟ: Gon, basta che tu sia te stesso. Le piacerai, come sei piaciuto a me, su
Gon: Gn..
Killua ϟ: Ora vai a dormire, che mi sembri nervosetto ;P

 
Gon sbuffò. Gli mandò la buona notte e posò il telefono. Lo sguardo si aggrappò al sorriso della balena. Sospirò, ancora perplesso, ma si allungò verso la lampada per spegnere la luce. Afferrò poi il peluche e se lo portò al petto, in una specie di abbraccio.
 
Killua gli aveva scritto quand’era partito. Quando Gon gli aveva chiesto esattamente come sarebbe venuto a prenderlo, aveva ricevuto solo un “Sorpresa ;D”. Dunque era lecito sentirsi ancora più preoccupato, no? Soprattutto perché non gli aveva mai visto usare altro che mezzi pubblici (e sapeva che Killua usava anche lo skateboard, ma a Gon non sembrava la stagione giusta per quello), quindi non aveva idea di cosa l’aspettasse, anche perché erano già le cinque passate.
Dopo una decina di minuti o poco più, il tempo che Killua gli aveva detto necessario ad arrivare da lui, uscì di casa, fra le mille raccomandazioni di sua zia riguardo al dormire fuori a capodanno (non era certo la prima volta, ma sua zia evidentemente si divertiva a ripetergli sempre le stesse cose). Il cielo era velato ma, incredibilmente, non sembrava fare troppo freddo. Forse era per l’aria secca, pensò.
Davanti alla porta di casa sua c’era un motociclista che sembrava appena arrivato. Gon lo studiò attentamente per un secondo, finché questo non si tolse il casco, rivelando una matassa arruffata di ricci argentati e un paio di occhi azzurrissimi screziati da striature color ghiaccio.
Gon sgranò gli occhi e per poco non sentì cadere la mandibola per lo stupore, mentre sul viso dell’altro si dipingeva un sorrisetto compiaciuto e furbo. Che. Figo., fu il suo primo ed unico pensiero appena finì l’analisi del suo migliore amico: aveva dei jeans lilla chiaro che gli fasciavano le gambe e dalla giacca da moto si intravedeva una camicia antracite.
“Oi, Gon!” Gli sorrise, con un’espressione che tolse il fiato al moro
“Ki-Killua?!” Balbettò.
Quello gli fece l’occhiolino. “Su, che stai aspettando?”
Gon non ne era certo, anzi, ma in quel momento sarebbe stato pronto a scommettere che il suo migliore amico avesse fatto apposta un’entrata ‘in grande stile’, solo per stupirlo in quel modo. Altrimenti, perché non avrebbe dovuto dirgli che aveva una moto?
E soprattutto, perché continuava a sorridergli in quel modo – oh dio – dannatamente attraente?
Scosse via quei pensieri con un deciso movimento della testa. No, è solo Killua, cercò di ripetersi.
“Terra chiama Gon, ripeto. Terra chiama Gon. Va tutto bene?” Ridacchiò lui.
“Da.. Da quando hai e guidi una moto?!” Chiese, mentre si avvicinava al ragazzo.
“Da almeno un paio d’anni e la patente per questa da quando ho compiuto i diciotto, ma questo gioiellino me l’ha risistemato Milluki per Natale. Teoricamente non è esattamente in linea con la legge, ma se dovessero controllarla nessuno noterebbe niente.” Spiegò, soddisfatto della moto che cavalcava.
Gon sbatté alcune volte gli occhi, guardando prima lui e poi la moto nera. “Ma.. Ci andiamo con questa?”
“No, volevo solo fartela vedere. Certo, idiota! Ora monta su, non vorrai fare tardi?” Commentò con il suo solito sarcasmo, facendogli una piccola linguaccia.
“Però.. Non ho un casco.”
“Sì, lo immaginavo. Ne ho portato un altro, infatti.” Così dicendo, glielo passò.
Gon lo studiò un po’, guardandolo inerte. Killua inarcò un sopracciglio, in attesa che se lo mettesse.
“Ehm.. Ecco.. Io..” Gon si grattò una guancia, vagamente imbarazzato.
“Mh?” L’altro, dapprima perplesso, aprì di più gli occhi. “Oh, non sai come metterlo?”
Il moro annuì, ora decisamente imbarazzato.
“Vieni qui.” Gli fece cenno di avvicinarsi sorridendo. Killua gli infilò il casco, sistemandogli con cura il cinturino perché fosse ben assicurato, sfiorando appena la gola di Gon, che rabbrividì al contatto.
“Ecco fatto! Ora sali, e tieniti forte a me.” Disse prima di infilare a sua volta il casco, facendo di nuovo sparire i capelli argentati.
Gon non sapeva come reggersi, e sotto di sé sentiva il motore accendersi e Killua pronto a ripartire non appena avesse sentito le sue mani tenersi in qualche modo. Così, fece la cosa che immaginava come più sicura.
Avvolse le sue braccia intorno a Killua in un abbraccio, stringendosi a lui come se la sua vita dipendesse da quello. Non era mai salito su una moto prima, e la sua stretta era per sincera paura, nonostante si fidasse ciecamente del ragazzo alla guida.
Il cuore di Killua nel frattempo perse un battito, totalmente impreparato a quel contatto. Tuttavia, ripresa lucidità, avviò il motore per partire.
Sfrecciarono per le strade trafficate di quel tardo pomeriggio ad una velocità che, Gon ne era certo, probabilmente superava ampiamente i limiti imposti. Ma non ne era preoccupato, fintanto che sentiva il calore del corpo del suo migliore amico a contatto con il suo. Da parte sua, Killua non aveva mai guidato in modo così prudente come in quel momento, sentendosi addosso la responsabilità di portare un incolume Gon a destinazione. Letteralmente addosso.
Pur standogli attaccato alla schiena come una patella, Gon si guardava intorno per veder sfilare palazzi, portoni e finestre. Usciti dal centro, anche il paesaggio iniziò a cambiare, trovando case singole con ampi giardini. Imboccarono una strada con diverse curve (che Killua si divertì un mondo a fare, nonostante i gridolini terrorizzati di Gon sul suo collo) immersa nel verde. Scorsero un casolare e Killua infilò il cancello aperto senza rallentare particolarmente. Si fermarono esattamente accanto agli scalini del portico.
Killua accarezzò una mano di Gon, ancora stretto a lui in una morsa. “Ehi cozza, siamo arrivati.” Ridacchiò, guardandolo da sopra la spalla.
Quello gli diede un colpetto con il casco contro il suo. “Gn..” Scese goffamente dalla moto, mentre il portone si apriva.
Fece capolino una ragazza di colore con i capelli ricci raccolti in più code e gli occhi grandi dalla sfumatura grigio-verde.
“Killua!”
Gon lo guardò mentre si levava il casco e scuoteva un po’ la testa per far riprendere volume ai capelli. Quello, non appena la vide, spalancò gli occhi e le rivolse un enorme sorriso. “Canary!”
Lei si lanciò verso di lui sorridendo e abbracciandolo. Gon la studiò un po’: aveva dei pantaloni neri con una giacca liscia dello stesso colore su una blusa bianca e degli stivaletti con il tacco.
“Fatti guardare! Ma quanto sei bella per stasera!” Le disse sorridendo, e il moro provò una punta di invidia.
“Tu invece sei proprio sexy vestito così, aria di conquista?” Le fece l’occhiolino lei, mentre Killua apriva di più gli occhi e le sue guance prendevano una punta di colore.
“Oh ma vaff..” Quella rise, interrompendo la sua risposta poco cortese. “Comunque, Canary. Questo è Gon, il mio cactus.”
Gon ridacchiò imbarazzato, stringendosi nel suo piumino verde scuro. “Piacere di conoscerti!” Le tese una mano.
“Piacere mio, Gon!” Rispose lei allegra, prendendo la sua mano e stringendola in modo deciso. “Ora venite dentro, che fa un freddo qua fuori!”
Entrarono in casa, e, dopo aver posato i cappotti, Canary fece strada verso la sala. Gon non aveva mai visto una casa di campagna più grande e ben arredata di quella. Pensò si trattasse di una villa. La sala era ampia e ricca di mobili dall’aria importante, e c’erano ben quattro divani più alcune poltrone sparse.
La ragazza li invitò a sedersi. Gon e Killua si sedettero uno accanto all’altro, mentre Canary si accomodò sul divano vicino. Il moro non smise un attimo di guardarsi intorno e ammirare tutti gli oggetti che aveva intorno, inconsciamente forse era anche per non mettersi a fissare il ragazzo accanto a lui, che se ne stava comodamente con i gomiti puntati sulle proprie ginocchia a parlare con la padrona di casa.
“E la tua, Gon?”
“Eh?” Sobbalzò al richiamo. Killua sbuffò, facendo roteare gli occhi.
Lei ridacchiò. “Com’è casa tua? Vedo che guardi tutto con molta ammirazione.”
“Beh, è decisamente più piccola e umile. Pensa che in camera mia ci sono solo il mio letto, una scrivania, una piccola libreria e l’armadio!”
“E una balena.” Aggiunse l’amico, facendolo sorridere.
“E una balena.” Ripeté, guardandolo contento.
“Una balena?” Chiese perplessa Canary. “Non hai detto che camera tua è piccola?”
Gon ridacchiò, rivolto a lei. “Sì, è il regalo che mi ha fatto Killua per Natale. Una piccola balena di peluche.”
“Oh, capisco.” Lo sguardo della ragazza si spostò sul ragazzo accanto a lui, con gli occhi che brillavano. “Amane mi ha regalato una sciarpa che ha fatto apposta per me.”
“A proposito, lei dov’è?” Chiese Killua.
“Ci raggiunge appena esce da lavoro.”
“Che lavoro fa?” Domandò Gon, curioso. “Per lavorare anche l’ultimo dell’anno..”
“Fa parte del personale per una famiglia importante.” Disse sorridendo. “Ci siamo conosciute lì.”
“Oooh.. Che cosa bella!” Esclamò, pensando fosse molto romantico.
Continuarono a parlare fra loro per un’ora abbondante. Canary sommerse di domande Gon, che rispondeva sempre entusiasta, mentre Killua lo guardava con un sorriso dolce.
 
Quando arrivò Amane, una ragazza alta ed esile con i capelli lisci, lunghi e neri, si unì a loro nelle chiacchiere, mentre Canary iniziava a portare alcune cose da mangiare e riscaldarne altre. Di lì a poco iniziarono ad arrivare anche altri ragazzi, alcuni salutarono con calore Killua, altri dovevano essere estranei anche per lui.
Gon pensò, verso le dieci, che dovessero essere arrivate almeno un’ottantina di persone, o forse anche di più. La casa che aveva visto appena arrivato adesso sembrava completamente diversa: le luci erano state abbassate e ora ce n’erano di colorate, qualcuno aveva messo la musica, c’erano stuzzichini e cibo ovunque, e soprattutto l’alcool aveva già iniziato a scorrere a fiumi.
Gon dopo poco aveva perso di vista l’amico, che si era fermato a salutare gente della sua vecchia scuola. Così, per fare amicizia, si era presentato almeno una dozzina di volte, ma ogni volta l’altra persona proponeva un brindisi con qualsiasi bevanda avesse in mano. Smise di presentarsi, prima di rischiare di perdere l’equilibrio molto presto.
Quando ritrovò il suo sguardo blu in mezzo alla folla, osservò Killua, che sembrava totalmente a suo agio fra tutte quelle persone. Fumava tranquillamente con altri, e quella nuvola di fumo creava una specie di aura celeste intorno alla sua figura.
Gli occhi azzurri del ragazzo brillavano furbi in quella penombra e, per come si muoveva, sembrava fosse padrone del posto. Per Gon, era l’unica presenza che davvero risaltava sulle altre.
O forse erano quegli ultimi dieci brindisi a farglielo pensare.
Dopo essersi reso conto che lo stava fissando alquanto intensamente, si accorse che si era fatto anche improvvisamente molto vicino, così se lo ritrovò accanto quasi di sorpresa.
“Come va?” Gli sorrise.
“Ho conosciuto tante persone, ma non ricordo neanche un nome.” Ridacchiò. “Tu?”
“Molti li conosco già, imbroglio.” Gli fece l’occhiolino ridendo. Continuando a chiacchierare, cambiarono stanza, anche se con tutte quelle persone sembravano più o meno tutte uguali adesso.
Killua si sentì chiamare e, girandosi, vide un ragazzo con i capelli rossi e un paio di occhiali alla Buddy Holly, che indossava jeans e una felpa gialla, accanto a un tavolo da ping-pong.
“Ikalgo!” Esclamò, rivolto al ragazzo. “Vieni Gon!”
Si avvicinarono a quello che l’aveva chiamato. C’erano altri con lui, che Killua salutò con un cenno.
“Era un pezzo che non ci si vedeva! Com’è?” Chiese il rosso.
“Bene, dai, te? Il lavoro rende stasera?”
“Decisamente!” Rispose quello, con espressione soddisfatta, poi gli si avvicinò. Gon riuscì a sentire cosa disse a Killua, sobbalzando. “Se vuoi dopo offre la casa.. Anche per il tuo amico..”
Il ragazzo rise e indicò il moro con il pollice. “Questo dici? No, lui è pulito, e ti proibisco di dargli qualsiasi cosa, Ika.”
Quello sbuffò, mentre Gon si sentì sollevato. Non sapeva che cosa ‘offrisse la casa’, ma non sembrava niente di buono. Aveva promesso a Mito che non si sarebbe infilato in strane situazioni, e aveva intenzione di rispettare la parola data.
“Almeno fate una partita con noi?”
“A cosa giocate?” Chiese il moro, curioso.
“Birra-pong!” Gli rispose allegramente. “Ah, io sono Ikalgo!” Gli porse la mano, che Gon strinse presentandosi.
“Sembra figo!”
Killua lo guardò perplesso. “Gon.. Non ci hai mai giocato?”
“Eh? No, perché?”
Quello sorrise, e si rivolse al rosso. “Ika, io e Gon giochiamo il primo turno!”
 
Killua lo stava asfaltando. Dei venti bicchieri di birra pieni fino all’orlo per campo, il ragazzo ne aveva già centrati otto, sempre con un sorrisetto soddisfatto. Di conseguenza, Gon ne aveva già dovuti bere otto, e quasi tutti di fila, mentre intorno a loro alcuni visi sfocati facevano il tifo. Killua invece ne aveva bevuti solo due: uno preso da Gon, l’altro per sete.
Il moro sentiva già l’atmosfera intorno a sé ovattata, e l’unica cosa che distingueva chiaramente erano i due zaffiri del suo avversario, che stavano chiaramente ridendo di lui in silenzio. Quanto potevano essere loquaci quegli occhi, così vivaci, così belli?
Tlup!
“Yay! Altro punto, altro giro Gon!”
“Ma come cazzo fai?!” Esclamò, lasciandosi andare a un’imprecazione per via dell’alcool, poco prima di bere il nono bicchiere.
Killua ridacchiò. “Pratica, amico mio. La pratica è la chiave di tutto.”
“Anche del sesso, Zoldyck?” Chiese una ragazza con i capelli lunghi e neri sul quel lato del tavolo, con un’espressione a metà fra la provocazione e la sfida.
“Soprattutto del sesso, Siberia.” La risposta arrivò a tono e con la stessa espressione, fra le risate del loro piccolo pubblico. “Non mi sembra tu ti sia mai lamentata.”
Gon, nonostante un’improvvisa fitta allo stomaco, lanciò la pallina e incredibilmente fece centro in uno dei bicchieri di Killua e, mentre quello beveva, si avvicinò sussurrando a Ikalgo, che invece era sul suo lato del tavolo.
Ikalgo? Chi è quella ragazza?
“Uh? Quella dici? Si chiama Palm Siberia.” Rispose, accennando con la testa alla ragazza che aveva parlato.
“Sì, ma.. Per Killua intendo..?” Riprovò, per avere più informazioni.
“Oh, erano, uhm.. Amici con benefici.”
Gon lo guardò perplesso. “Eh? Pensavo che Killua non avesse molti amici..”
Ikalgo non riuscì a trattenere una risata. “Vieni dalla luna, amico?”
“Lascialo perdere, è un isolano.” Si inserì nel discorso Killua, che stava giocando con la pallina, lanciandola e riprendendola con una mano, dato che aveva sentito le ultime tre uscite dei due e ne stava ridacchiando. “Ci sei, Freecss?”
Il moro annuì, sotto lo sguardo felino dell’altro. Altro tiro, altro bicchiere, altro alcool per lo stomaco, per fortuna né troppo pieno né troppo vuoto, di Gon.
Non è difficile immaginare la fine della partita, anche se il moro era riuscito a fare canestro in un modo o nell’altro, in altri dieci bicchieri. Si sentiva tutto molto frizzante.
Dopo pochi minuti, Killua era stato rubato nuovamente, in questo caso trascinato a cantare al karaoke da Canary per duettare, e il ragazzo aveva una sufficiente quantità di alcool in circolo per cantare davanti a tutta quella gente, che fosse conosciuta o no. E Gon lo ascoltava, ammaliato, e non era l’unico a pensare che fosse davvero bravo. ‘Canto solo sotto la doccia’, certo, come no.
Anche un paio di ragazze accanto a lui stavano commentando la sua voce.. e i tre bottoni slacciati della sua camicia, che lasciavano intravedere le clavicole. Come per l’intervento di Palm mentre giocavano, sentì qualcosa che lo prendeva allo stomaco. Killua cantò tre volte con Canary, e per un istante a Gon sembrò che il ragazzo gli avesse fatto l’occhiolino.
Quando lasciò il microfono a qualcun altro, si spostarono nella sala dove avevano chiacchierato con la ragazza quand’erano arrivati, e Gon si stupì di non trovare i divani: era stato tutto spostato ai lati della stanza per fare spazio a una pista da ballo, mentre la musica era sparata a tutto volume e le luci molto abbassate. Era quasi buio.
Gon si girò verso Killua e lo trovò a porgergli un bicchiere di.. qualcosa, certamente alcolico, che accettò nonostante l’effetto della birra non fosse affatto svanito. Un istante dopo, era più vicino alla pista, il drink a metà, mentre Killua aveva già finito il suo ed era a ballare.
C’erano diversi di quelli che li avevano guardati giocare, Canary e Amane, e un ragazzo castano dall’aria familiare, ma Gon non gli prestò troppa attenzione, non riuscendo a identificarlo immediatamente.
Mentre finiva il drink e appoggiava il bicchiere, passò una canzone dalle note sud-americane, e Gon vide Killua e Canary raggiungersi e improvvisare una bachata. Il moro si incantò a guardare il movimenti dell’amico, chiedendosi cosa non sapesse fare.
Si rese conto che aveva seguito con gli occhi ogni movimento dei suoi fianchi, del suo corpo, l’espressione sul suo viso e il modo in cui i capelli argentati gli cadevano sugli occhi, solo quando la canzone finì, subito sostituita da un’altra, e si ritrovò il ragazzo spaventosamente vicino. Killua lo prese per un polso, portandolo più in mezzo e ballando praticamente addosso a lui. Gon si sentì avvampare. Gli girava la testa e non sapeva se fosse per l’alcool o il suo profumo. I suoi occhi si bloccarono, quasi ipnotizzati, nello sguardo azzurro magnetico dell’altro. Il sorriso provocante di Killua gli stava togliendo il fiato, il suo viso a un soffio di distanza dal suo.
Sentiva le labbra del ragazzo sfiorare le proprie, le sue mani affusolate che catturavano lentamente i suoi fianchi.
Quel contatto appena percettibile fra i due corpi stava facendo bruciare qualcosa nel petto di entrambi, quella voglia, quel bisogno di sentirsi di più. Ma Killua continuava a sfiorare la sua bocca senza toccarla davvero, lasciando Gon a sospirare sulle sue labbra, anelandole come se senza non avesse potuto respirare.
Si osservavano con gli occhi socchiusi, quelli luminosi e ambrati sembravano implorare quelli famelici e azzurri, finché la distanza non venne finalmente annullata dal ragazzo con i capelli argentati.
Appoggiò le labbra su quelle del moro con dolcezza, cercando un bacio più profondo solo dopo aver sentito le sue mani che si aggrappavano alla propria camicia.
Gon si abbandonò al bacio, senza fermarsi, neanche quando la sua schiena incontrò il muro con un leggero colpo. Avvolse le braccia intorno al collo del ragazzo per stringerlo in qualche modo più vicino, facendo scivolare le dita fra i riccioli argentati.
Si sentivano andare a fuoco.
Killua gli torturò la bocca con i baci, prendendogli il labbro inferiore fra i denti, succhiandolo piano, mentre le sue mani scorrevano su di lui accarezzandogli la base della schiena e i fianchi. Gon percepì una domanda sussurrata nel suo orecchio con un soffio, insieme ai baci lasciati lì intorno. Vieni con me?
E Gon annuì, incapace di parlare in quel momento, vedendosi riflesso in quegli specchi blu intenso, liquidi di desiderio. Un altro bacio, e si sentì trascinare via da quella musica che gli stava facendo vibrare anche la gola. Salirono le scale tenendosi per mano e sorridendosi con complicità. Si infilarono nella camera che Canary gli aveva indicato solo poche ore prima come la loro.
Killua chiuse la porta alle proprie spalle, dando un giro di chiave e afferrando di nuovo i fianchi dell’altro. Unì ancora le loro labbra, ricominciando a far danzare le loro lingue. Lo spinse piano verso il letto, non incontrando alcuna resistenza.
Il moro si stese docilmente sotto di lui. Sentì le mani eleganti dell’altro che viaggiavano avide sul suo corpo, giocando con l’orlo della sua maglia, sfilandogliela poi velocemente. Lui fece volare le dita a slacciare i bottoni, rivelando la pelle chiara, quasi luminosa, dell’altro. Lasciò che si togliesse la camicia per poi vederlo tornare a un soffio dalla sua bocca, catturarla ancora e ancora, sentendo le sue labbra scivolare lungo la sua mandibola, scorrere sulla sua gola, lasciando baci bagnati lungo il percorso, soffermandosi a viziargli dolcemente il collo.
Quello era spronato a continuare dal respiro irregolare e dai leggeri ansiti della figura sotto di sé. Percorse con le labbra ogni centimetro di pelle olivastra, lasciando baci, delicati morsetti, o sfiorandolo appena in alcuni punti. Man mano che esplorava il suo corpo, sentiva crescere il desiderio irresistibile di andare avanti, esortato dai sottili sospiri che agitavano l’altro mentre scendeva a baciargli l’addome. Si trovò a sfilargli i pantaloni in poco tempo, stuzzicandolo vicino all’elastico dei boxer.
Il moro si mordeva il labbro per cercare di controllarsi, sentendo il tocco leggero e rovente dell’altro ovunque su di sé, e la sua bocca e i suoi baci che gli davano continue scariche elettriche lungo la spina dorsale. Sentì la stoffa dell’ultimo indumento scorrere lungo le proprie gambe e lo sguardo affamato che lo osservava in silenzio, come un predatore in ammirazione. Quando si sentì avvolgere da qualcosa di caldo e umido, si spense anche l’ultima scintilla di lucidità nella sua mente, abbandonandosi così a un gemito gutturale.
Insieme ai sospiri e ai gemiti crescenti, avvertì la mano dell’altro che scivolava e si intrecciava ai suoi capelli argentanti. Alzò lo sguardo per allacciarlo a quello dorato, liquido di piacere, che lo osservava perso in quella sensazione. E dio, quel senso di onnipotenza valeva tutta la cura che gli stava dedicando. Quando gli sentì sibilare fra i denti il proprio nome, lasciando scivolare di nuovo sul cuscino la testa, lo attraversò una scarica di adrenalina ancora più forte delle precedenti. La mano fra i suoi capelli dall’accompagnarlo nei movimenti passò a dominarli. Lo lasciò fare, chiudendo gli occhi e sentendosi il fondamentale punto di contatto fra il ragazzo, scosso dagli ansiti e dai gemiti, e il suo gradino più alto, ormai così vicino. Fra i mormorii e i richiami, sentì il suo sapore scivolargli in gola e la sua presa allentarsi.
Si sollevò un poco, passandosi il dorso della mano sulle labbra, e incrociò gli occhi languidi dell’altro che lo guardavano nel tentativo di recuperare fiato. Mentre risaliva sul suo corpo, l’altro lo sorprese, incontrandolo con un bacio quando arrivò vicino al suo viso.
Il moro catturò le sue labbra, sentendo il gemito soffocato del ragazzo nella sua bocca quando, dopo avergli slacciato i pantaloni, gli infilò la mano sotto la stoffa delle mutande. Continuò a baciarlo finché quello non nascose il viso nel suo collo, sospirando sotto il suo tocco. Sentiva il suo respiro rovente sul collo, e, dalla tensione delle sue spalle e dal modo in cui strofinava le labbra sulla sua pelle, si stava trattenendo dal morderlo per trattenere i flebili gemiti. Si morse il labbro, guardando come contraeva i muscoli per cercare di rallentare il piacere, e osservò quella pelle così chiara appena imperlata di sudore.
Pensò che avrebbe voluto tracciare con le dita ogni linea di quel corpo marmoreo e scolpito, percorrerlo come aveva fatto lui. Avrebbe voluto sentirlo ringhiare in quel modo contro di sé per ore. Gli lasciò dei baci sulla spalla, accarezzando la sua pelle candida con le labbra.
Quello si lasciò andare sussurrando un’imprecazione sul suo collo e soffocando un lamento di soddisfazione, rilassando visivamente il corpo. Si distese accanto all’altro, rimanendo a un soffio dalla sua bocca.
Il moro osservò in adorazione il viso arrossato del ragazzo, contemplando il bellissimo contrasto che creava quella nota di colore su di lui, una pagina bianca tutta da scrivere. Rimase assorto a guardare la sua bocca viziata dai baci, desiderandola ancora sulla sua.
Senza dire una parola, l’altro si sporse un poco in avanti per incontrare le sue labbra sorridenti, unendole in un bacio dolce e leggero.








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Note dell'Autrice

Salve a tutti e.. E SBAM!
C’mon, oggi non solo il capitolo è lunghetto ma dovrebbe essere anche di discreta soddisfazione.
Oggi lo dico subito, ma vi spiego anche perché: il titolo è una canzone di Baby K (nessuno è perfetto, io, ahimè, ascolto tutto ciò che va da Vivaldi all’altro ieri), canzone che è letteralmente stata l’ispirazione di questo capitolo. Capitolo che è il motivo per cui ho scritto questa storia. E no, non sto scherzando: ho letteralmente scritto più di cento pagine di fanfic solo per ficcarci dentro la scena di loro due che ballano insieme a una festa a un soffio di distanza, con un Gon decisamente più brillo di Killua, e poi spariscono in camera a fare cose.
Se mi vergogno a dirlo? Sì, tantissimo. Me ne pento? No, per niente. Se potevo scrivere una semplice OS a riguardo? Ovvio, ma era troppo facile.
Raga, è una delle scene ““rosse”” (sebbene sia terribilmente all’acqua di rose, quindi diciamo arancione scuro?) che ho scritto di cui mi sento più soddisfatta. E se qualcuno mi segue dal fandom dei McLennon, sapete perfettamente che la mia autostima in genere non è solo sotto ai miei piedi, ma si avvicina al nucleo terrestre.

Informazione di servizio: non cambierò colore alla fic, perché non ritengo di essere scesa nei dettagli tanto da dover cambiare genere da arancione a rosso.
Altra considerazione: se nella scena i cambi di soggetto erano repentini, non ho mai usato i loro nomi, avete fatto “fatica” a seguire chi facesse cosa, mi dispiace, ma è una mia scelta stilistica. Mi dà più un senso di intimità, avere i “bordi” dei personaggi, i loro “confini”, confusi, le loro immagini come sfocate nell’atto. It’s merely personal, è il mio modo migliore di renderli “una cosa sola”.
Sarò stata troppo filosofica, già lo so. Vi assicuro che la mia idea è di per sé molto semplice, ma spiegata a parole sembra una chissà quale teoria esoterica lol
 
L’abbigliamento che indossa Killua è fondamentalmente una versione rivisitata/elegantina dell’outfit che indossa nella maggior parte del tempo all’Arena Celeste, pantaloni lilla e maglia nera, che qui diventa una camicia grigio antracite perché quantodiaminesonosexylecamiciescure perché sì.
 
E insomma, che altro dire? Spero che il capitolo vi sia piaciuto, vi invito come sempre a farmi sapere che ne pensate, qui sotto o per messaggio privato, piccione viaggiatore, insomma fate voi.
Ringrazio la mia beta per l’infinita pazienza, grazie che sopporti tutti i miei scleri, tìvìbì.
Ringrazio Zyad, che as always ha recensito lo scorso capitolo, mi mette sempre allegria e mi fa tanta compagnia in questa torrida estate, e grazie a tutti voi che leggete in silenzio. È vero che quest’intera storia l’ho scritta solo per quella pagina e mezzo di scena, ma senza qualcuno che legge io sarei solo una cantastorie in una caverna vuota. Quindi grazie, un grazie davvero di cuore!
Abbiamo superato la metà dei capitoli, non è decisamente ancora finita, quindi vi aspetto venerdì prossimo con il nuovo capitolo. Ve salut e ci si legge!

Un abbraccerrimo,

Athelyè ~
   
 
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