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Autore: Neneko    28/07/2019    1 recensioni
Al termine della Guerra, Sora ed i suoi migliori amici ritornano sull'Isola. Non è perfetto come aveva immaginato.
Di come Sora si ritrovi a lottare con i ricordi del passato, un presente soffocante ed una cotta più grande di lui. Come al solito, è l'unico ad essere ignaro.
(canon divergence, aged-up!characters, spoiler KH3)
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Kairi, Riku, Sora
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Threesome, Triangolo | Contesto: Altro contesto
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“Sora, sei qui!”

La voce squillante di Kairi lo raggiunge prima che lei entri nel suo campo visivo, accompagnata dallo scalpiccio dei sandali sulla spiaggia. Chissà se tra i grani di quella sabbia ce n’è qualcuno che risale a prima che i mondi si dividessero; o magari un frammento di un mondo diverso, strappato ai Confini del Mondo quando hanno sigillato la porta su Kingdom Hearts. Quel pensiero passa in secondo piano rispetto al disappunto causato dal buio, ormai abbastanza fitto da non permettergli di distinguerla mentre gli viene incontro -anche una cosa dozzinale come la traiettoria della sabbia sotto i suoi piedi diventa preziosa, quando è lei a smuoverla. Kairi è l’asse attorno a cui ruota la sua vita.

Aspetta, buio?! Sora scatta a sedere, ed è la consapevolezza stessa di aver superato il proprio coprifuoco (anche se ufficioso, tende a seguirlo abbastanza puntualmente) a ricordarglielo. Il Gummiphone nella sua tasca comincia a suonare proprio allora, la fanfara di Re Topolino assordante nella quiete della sera (Paperino e Pippo hanno insistito tanto perché scegliesse proprio quella suoneria, e come poteva dire di no?). Sìmammastotornando” sciorina in tutta velocità, dopo aver schiacciato tasti alla cieca nella fretta di rispondere. Kairi lo raggiunge in quel momento, e le loro parole si sovrappongono quando sussurra affannata “Ero giusto venuta a dirti che ho avvisato io i tuoi genitori, non c’è bisogno che-”

Sora guarda nel ricevitore, ma è già troppo tardi.

Mamma? Davvero, Sora?” Il divertimento di Riku è palese e oh no, quella non è l’espressione di qualcuno disposto a farsi scappare un’occasione così succulenta. Non lascia neanche che abbassi il volume, per evitare che lei senta- “Credevo avessi superato quella fase alle elementari!” Ecco, lo sapeva! Sora afferra il telefono con due mani e ci urla dentro il proprio affronto, dimentico di concetti come contegno e discrezione. “È successo una volta sola, e tu hai spergiurato che non l’avresti mai più tirato fuori...!”

Riku gli scoppia a ridere in faccia come tutta risposta.

In momenti come questi è facile fingere non sia cambiato niente -almeno fino a quando Kairi non gli si siede di fianco, al margine dall’inquadratura del Gummiphone, e Sora si perde nell’espressione sul suo viso mentre ride senza cattiveria… gli occhi gli cadono sulla camicetta della divisa scolastica, aperta un bottone di più di quanto permetta il regolamento scolastico e sulla porzione di seno che si intravede al di sotto, illuminato dalla luce del Gummiphone.

Lei sbatte le ciglia senza distogliere lo sguardo e direbbe quasi che– la voce di Riku spezza il silenzio teso. “Devo preoccuparmi…? Kairi, devi dirmi qualcosa?” Si fosse trattato di chiunque altro, Sora si sarebbe lasciato sfuggire la sfumatura urgente di -incertezza?- che per una frazione di secondo sembra incrinare il suo ghigno, ma è di Riku che si parla. Se l’incertezza è certa, la ragione rimane un’enorme punto di domanda: che sia geloso?!

No, è un’idea troppo stupida per prenderla anche solo in considerazione. Certo, Kairi ha aggiunto un secondo paopu sotto il loro ritratto in fondo alla grotta -gli era sembrato giusto che condividessero qualcosa di unico, perché con Riku avevano sempre condiviso ogni altra cosa- ma non crede abbia capito cosa significasse… deve aver pensato fosse un modo per suggellare la loro preziosa amicizia, o qualcosa del genere! Sarebbe assurdo, se Riku credesse che lui voglia portargliela via. Ricorda ancora la loro vecchia scommessa, e di come si fosse dovuto trattenere per non rivelargli il desiderio di spezzare il frutto in tre parti uguali, legando i loro destini per sempre.

Kairi ride, ignara dei suoi dubbi e per niente preoccupata del fatto che Riku sembri sapere esattamente cosa stia facendo. È possibile sia stato proprio lui, a mandarla a prenderlo al posto suo. Ultimamente Riku è sempre impegnato in qualcosa di misterioso che non vuole rivelargli; quando glielo chiede, si limita a scompigliargli i capelli con appena troppa forza e rispondere vedrai. Va bene, ma quando vorrebbe ribattere, invece di inghiottire ansia che sa essere del tutto immotivata: se stesse facendo qualcosa di sbagliato, è sicuro che sarebbe in grado di riconoscerne i segni. Non è forse vero?

Qualche scambio di battute ed un saluto veloce concludono la telefonata.

Sora salta in piedi con un balzo meno fluido di quanto avrebbe voluto: i muscoli intorpiditi protestano dopo tante ore di immobilità, abituati a ben altri sforzi. Ha dimenticato come fosse, essere pigro. Kairi ha smesso di ridere, ma le sue labbra sono ancora distese in un sorriso lieve. Prima di spegnere il Gummiphone gli pare di scorgere una macchia rossa sul suo collo, ma nel buio che segue è difficile capire se non si sia sbagliato. “Torniamo a casa!” esclama allegra, e lui si ritrova a sorridere per riflesso.

Riku li aspetta al molo con due bicchieroni di cartone fumanti ed una coperta per lui: nonostante sia primavera inoltrata, l’aria della sera è ancora troppo fresca per la canotta che indossa (come al solito, Sora se n’è dimenticato). Il suo viso non tradisce nessuna delle emozioni di poco prima: appare perfettamente a suo agio, appoggiato alla balaustra con quell’eleganza disinvolta che lui può solo sognarsi, ed è ingiusto, insomma! Per aver scelto la strada che conduce all’alba, Riku brilla come un piccolo sole.

“Tua madre ha detto che puoi rimanere a dormire da me stanotte” annuncia senza convenevoli, quasi stesse riprendendo un discorso che non si è mai interrotto. In un certo senso, è come se lo fosse: Sora è certo che sarebbe in grado di percepire la sua presenza anche a mondi di distanza. Condividono lo stesso cielo. E Kairi?” rotola fuori dalla sua bocca senza che ne abbia l’intenzione, ed ormai è troppo tardi per rimangiarselo -dovesse aver ragione, fargli quella domanda sarebbe la peggior idea di sempre; eppure lui più di tutti, dovrebbe capirne le motivazioni. È stata Kairi a giurare che non avrebbe più permesso di essere lasciata indietro, e Sora le ha fatto una promessa. Riku scrolla le spalle, prima di rubargli il bicchiere dalle mani e prenderne un lungo sorso senza nemmeno dargli il tempo di protestare. “Kairi viene con noi, no?” risponde, con la naturalezza di chi affermi che il mare è blu, ed il peso nel petto di Sora si fa più leggero.

Sorseggiano il resto del tè in un silenzio confortevole. Riku gli ha preso il suo preferito e la bibita, calda al punto giusto, scaccia in fretta ogni residuo di freddo. È per un tacito accordo che prendono la via del ritorno soltanto dopo averlo terminato ed essersi liberati da ingombri inutili (un’abitudine radicata, quella di essere pronti a tutto in ogni momento); altrettanto tacita ed unanime è la decisione di prendere la scorciatoia che passa per i campi, quella male illuminata, ma veloce.

Il buio della notte ha smesso di essere spaventoso da troppo tempo.

A metà strada, Kairi incespica in un sasso: la sua mano è il primo appiglio che riesce ad afferrare, stringendola con una forza che sarebbe inaspettata per chiunque non la conosca bene come loro. Sora riesce nel difficile compito di non strozzarsi con la propria lingua; la sua prontezza d’animo nell’esordire con un tronfio vedi, sempre previdente! non è altrettanto efficace, se lo sbuffo di risa soffocato al suo fianco è di qualche indicazione. Anche dopo aver ripreso l’equilibrio, lei continua a tenergli la mano; addirittura intreccia le dita con le sue, ed il suo stomaco fa un salto carpiato degno dell’Arena, diviso tra il senso di colpa e la felicità procurata da quel lieve contatto.

C’è chi non ha avuto la sua fortuna.

Quando trova il coraggio di guardarla, lo sguardo che incrocia è tanto intenso da sembrare volergli scrutare l’anima. “E Riku?” sussurra Kairi piano, pianissimo, gli occhi fissi nei suoi, riprendendo la sua domanda –ma l’intonazione è del tutto diversa, una che non le ha mai sentito prima d’ora e non ha il minimo senso e cosa sta succedendo?!

Sono le dita di Riku -ruvide e callose dopo anni passate attorno all’elsa di un’arma, proprio come le sue- a schiudergli la mano destra, contratta in uno spasmo d’agitazione. Un dito alla volta, con la lenta cautela che si riserva agli animali spaventati. Sora si sente in trappola. Il suo palmo caldo è solido contro il proprio e prima di poterselo impedire, immagina quelle stesse dita sfiorarlo farsi strada nel suo corpo e prendervi dimora come ha fatto con il suo cuore, e le braccia gli si ricoprono di pelle d’oca. Sono così diverse da quelle minute di Kairi; le sue mani hanno appena cominciato a perdere la loro morbidezza a causa del keyblade, e Sora si augura che lei non debba combattere mai più. È insensato desiderare la propria libertà a costo di una nuova battaglia, ma volere l’esatto contrario per le persone a cui tiene…?

Riku si limita a rassettargli la coperta che ha addosso con la mano libera, senza commentare. Nessuno parla più fino alla fine del viaggio.

   
 
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