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Autore: Ilenia_DiBella    13/08/2019    0 recensioni
Una ragazza dai capelli neri come la notte.
Un ragazzo dai capelli dorati come i raggi del sole.
Lei nasconde, nel suo io più profondo, l'oscurità più totale.
Lui non sa di avere nell'animo una luce in grado di illuminare il buio più nero.
Una lotta tra i mondi dei non visti, quelle creature che voi umani ritenete siano solo frutto della vostra fantasia. Ma se vi svegliate la notte sudati e con il cuore a mille, pensando di aver fatto un incubo strano con creature altrettanto strane, sappiate che non erano immagini prodotte dalla vostra mente dormiente. Era tutto reale. Vi volevano solamente far credere fosse il contrario.
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"Lykaios, parola greca connessa alla parola lyke (λυκη), luce, ma associabile anche a lykos (λυκος), lupo.
Così veniva chiamato Zeus nelle zone boscose e più remote dell'Arcadia: Zeus Lykaios; infatti assumeva caratteristiche sia di divinità lucente sia lupina."
Genere: Fantasy, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Correva più forte che poteva. Non riusciva a respirare e si fermò per prendere fiato. Si accasciò sul terreno umido per riflettere. Perchè stava correndo? E da chi stava scappando? Appoggiò la schiena al tronco di un robusto albero. I vestiti erano strappati, i suoi piedi nudi erano incrostati di fango e tra le dita vi erano vari fili d'erba. Sulla spalla nuda arrivò una gocciolina di un liquido caldo. Poi un'altra e un'altra ancora. Guardò la propria spalla, le goccioline non erano altro che un fluido vermiglio dall'odore ferroso. Si tastò la testa per capire dove si fosse ferita. Ma non trovò niente. Un'altra goccia di sangue le cadde addosso. Passò nuovamente una mano dietro la nuca, sulla fronte, sull'orecchio ma ancora non riuscì a capire da dove provenisse quel sangue. Osservò queste gocce rosse che s'infrangevano sulla pelle, dividendosi in altre piccole goccioline che schizzavano sul suo viso, mettendo in risalto la carnagione chiara. Alzò lo sguardo e capì che il sangue non proveniva dalle sue ferite, ma da quelle di un corpo nudo, impigliato in una ragnatela. Il rosso del sangue che colava da molte ferite, contrastava il pallore cadaverico della pelle dell'esile figura. Kassandra poteva scorgere solo la schiena, completamente tumefatta. Dalle forme delicate dei fianchi si poteva benissimo capire che era una donna. Uno scintillio sulla mano della donna attirò l'attenzione della ragazza, ma venne subito riposta altrove: un gigantesco ragno stava cominciando a tessere un filo attorno al corpo immobile. Kassandra sarebbe dovuta scappare, ma incuriosita rimase lì ad aspettare che il ragno girasse il cadavere per mostrarne il viso. L'aracnide si accorse della sua presenza e producendo un filo, cominciò a scendere dalla sua tela. La ragazza tentò di scappare e solo in quel momento si accorse di essersi appoggiata a un albero che apparteneva al grosso insetto. I propri capelli, di un nero luminoso, ora sudici e ricoperti da uno spesso strato di fango, erano attaccati a una grande ragnatela, e anche i suoi piedi erano incollati al tessuto setoso. Le zampe del gigantesco aracnide, pelose e sporche di sangue, urtarono la mano della donna rimasta lassù, un scintillio si fece strada tra i rami per poi cadere ai piedi di Kassandra. Guardò l'oggetto: era un anello di oro bianco e con lo stemma di una mezza luna. Quello era lo stesso anello che portava la madre di Kassandra. L'insetto era a una troppa poca distanza e Kassandra sentiva sul proprio viso, l'alito ferroso e pungente del ragno. I suoi otto occhietti rossi, anziché riflettere i suoi tratti delicati, riflettevano un viso dalla mascella pronunciata, e anziché riflettere i suoi due smeraldi, riflettevano due occhi color nocciola. Il viso era di un uomo che Kassandra conosceva fin troppo bene: suo padre. Un grido proveniente dall'alto le perforò i timpani. Alzò lo sguardo: sua madre da lassù gridava il nome della persona riflessa negli occhi dell'aracnide -Peter! Peter! Fermati!-. La pelle, dalla bocca all'occhio sinistro, era completamente lacerata, i capelli erano appiccicati gli uni agli altri da una sostanza verde. La donna aveva gli occhi cuciti e sulle guance, o almeno su quel che ne rimaneva, vi erano i rivoli di sangue secco colati dai piccoli buchi delle cuciture. Il ragno di colpo si trasformò in un lupo e si avventò contro la sua nuova preda, più giovane, un bocciolo ancora chiuso, una frutto ancora acerbo. Kassandra chiuse gli occhi e istintivamente mise le braccia sopra la testa per proteggersi, urlando disperatamente aiuto. Di scatto, e involontariamente, aprì gli occhi con una violenza tale da strapparsi le palpebre. Il cuore le pulsava e sentiva i battiti tuonarle nelle orecchie, il respiro frenetico pian piano andava a calmarsi. Si sedette e si passò le mani sudaticce sul collo contratto, facendo una lieve pressione per massaggiare e sciogliere i muscoli. Nella stanza accanto, delle grida sovrastavano deboli pianti. Gli stessi pianti e le stesse grida che ogni mattina le davano il buongiorno. I colpevoli dei suoi orribili incubi. Nonostante fosse cessato tutto, le urla del padre e i flebili singhiozzi della madre continuavano imperterriti a rimbombarle nel cranio. Si alzò, passò davanti allo specchio noncurante delle gigantesche occhiaie che le contornavano i suoi grandi laghi verdi, segnati dalle costanti poche ore di sonno. Si mise le mani alle orecchie e scosse la testa violentemente per far uscire gli sbraiti che non volevano sentirne di uscire e abbandonare la sua testa. Si mise seduta vicino la finestra per intravedere, da dietro le fronde del salice, il mare, che rifletteva il colore arancio del tramonto e le increspature bianche modellate dalla forza del vento del Pacifico. Kassandra viveva in un piccola villetta a pochi passi dalla spiaggia, assieme alla madre, Aleksandra, proprietaria di un negozio di libri, e assieme al padre, Peter, agente immobiliare, tossico dipendente, alcolizzato e infine spacciatore di droghe pesanti. "Beh, devo essere proprio orgogliosa di mio padre... quante cose fa contemporaneamente, Di solito erano le donne ad essere multitasking" pensò. Quando fu sicura che quei rumori e quelle grida della stanza accanto, per quella mattina non le avrebbero più dato fastidio, fece un sospiro di sollievo, ma i suoi occhi verde smeraldo erano ancora persi nel mare cristallino della baia di San Francisco. In lontananza si vedeva il Golden Bridge, dipinto di quel rosso sbiadito dal sole e dalla salsedine. Il brontolio della sua pancia fu seguito dallo sbattere della porta d'ingresso. Guardò l'orologio del suo cellulare che segnava le sei. Uscì dalla sua stanza con addosso una maglietta azzurrina un po' umida per il sudore. Bussò alla porta della camera dei suoi genitori e aprì con una mano tremolante. I suoi occhi vagarono per la stanza e un lampo di tristezza le incupì gli occhi: la madre rannicchiata su sé stessa sotto le leggere lenzuola bianche, le ciocche bionde che ricadevano irregolari sul viso imperlato di sudore, il segno ancora rosso di una mano stampata sulla sua guancia e gli occhi umidi color ghiaccio, contornati da lunghe ciglia ornate da alcune piccole lacrime che scintillavano alla poca luce che entrava fiocamente dalla persiana. La madre si girò dall'altro lato e in un sussurro le disse di andare a fare colazione poichè l'avrebbe raggiunta fra pochi minuti. Con gli occhi bassi, Kassandra chiuse lentamente la porta della camera e si diresse in cucina scendendo le scale. Afferrò una mela così lucida da riflettere la sua immagine sulla buccia rossa, ne staccò un pezzo con un morso. Ancora una volta, quegli occhi verdi si persero nel mare ambrato, i battiti delle ciglia erano un tutt'uno con l'infrangersi delle onde sulla spiaggia. Aprì la finestra e la leggera brezza mattutina le scompigliò i capelli neri e le s'insinuò nelle narici. Inspirando l'aria ricca di salsedine osservò le foglie del salice piangente danzare lentamente con il vento tiepido. Si sciacquò le mani dopo aver buttato il torsolo della mela ed entrò nella sua camera. Si sedette alla sua piccola scrivania e cominciò a fare un piccolo schizzetto in bianco e nero. Una donna slanciata dalle curve piene, capelli e occhi chiari, che teneva per mano un uomo dai capelli scuri in giacca e cravatta che guardava la donna sorridendo; accanto alla coppia, per terra, in primo piano, vi era una fede nuziale che rifletteva il viso dell'uomo ma anziché rispecchiare la sua espressione sorridente, Kassandra ne aveva disegnata una diabolica. Cosa ancora più inquietante, era la bella donna che, con una mano, si stava cucendo le labbra. Erano ancora le sette quando la donna del disegno, dai capelli biondo chiaro, zigomi alti e gli occhi azzurro ghiaccio e leggermente sfilati, entrò nella sua stanza -Kassy, sto andando al negozio, chiamami se hai bisogno e vedi che quest'oggi mi arriveranno dei nuovi pacchi, quindi... non aspettarmi per pranzo. Ti voglio bene-. Kassandra coprendo il disegno con un braccio, sorrise malinconicamente ed accarezzò la guancia della madre con il pollice, d'altronde era l'unico dito che non aveva usato per sfumare il carboncino. -Sei riuscita a portare avanti questo matrimonio per lunghi diciotto anni. Sei una grande. Vorrei tanto esser forte come te- la madre sorrise con occhi bassi e, dopo che le ebbe schioccato un bacio ricco di affetto sulla guancia, uscì e chiuse la porta della stanza. Kassy alzò il braccio e imprecò sottovoce quando vide che i contorni del disegno erano sbavati ed il braccio sporco di carboncino. Si alzò dalla sedia, delusa, e si diresse verso il suo armadio per cambiarsi. Mentre si sfilava i pantaloncini del pigiama, non si era accorta che gli occhi sfocati della donna nel disegno, la stavano guardando come se stessero nascondendo qualcosa, qualcosa di grande, qualcosa che le avrebbe cambiato radicalmente la vita.
   
 
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