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Autore: Keeper of Memories    21/08/2019    1 recensioni
Piccola raccolta di ricordi in forma di episodi riguardanti i miei personaggi di Dragon Age per chi è interessato a loro e vuole approfondire un pò.
Enjoy!
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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«Vhenan!1»
Adahl spalancò la porta della sua abitazione, ansante, il volto madido di sudore. Aveva corso come un forsennato, non appena suo fratello lo aveva raggiunto con la notizia. Trovò Atisha lì, sul letto che condividevano da alcuni anni ormai, sotto un mucchio di coperte. Si precipitò al suo capezzale e la baciò, un bacio carico di tutto il suo amore, le sue paure, l’angoscia che aveva provato durante quella corsa trafelata. Quando si staccò gli occhi si erano appannati, carichi di lacrime di gioia e sollievo.
«Vhenan, sei viva!»
«Certo che lo sono, tuo fratello e la sua compagna si sono presi cura di me mentre eri lontano», rispose Atisha sorridendo, il viso stanco e i capelli arruffati. Adahl la trovò bellissima.
«Lo so, lo so, ma la tua salute è…»
«Sshhh», lo interruppe, «O lo sveglierai.»
Solo allora Adahl notò il fagottino che la sua compagna teneva stretto a sè, un pacifico neonato che dormiva tra le sue braccia.
«È lui? Nostro figlio?» chiese, accarezzando la guancia paffuta del bimbo con il dorso dell’indice.
«Si, è proprio lui.»
Come se fosse stato chiamato, il neonato aprì gli occhi, due enormi occhi indaco, vispi e curiosi.
«È… è incredibile.», bisbigliò Adahl, attraversato da un fiume di emozioni che non riusciva a mettere in parola. Atisha ridacchiò, felice.
«Questo bambino sarà una benedizione, vhenan, me lo sento», gli disse.
«Lo sarà» le rispose «Varasal, la nostra benedizione.»
 
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«Siamo arrivati!» disse Adhal, facendo un ampio gesto con il braccio.
«Dove siamo, babae2?» chiese Varasal, guardando incuriosito la distesa di alberelli.
«Qui è dove tuo padre si procura il cibo per tutta la famiglia, dal’en3» rispose, arruffando i capelli color nocciola del figlio, «Vieni a vedere!»
Si avvicinò a uno degli alberi, seguito da Varasal, chiuse gli occhi e congiunse le mani in grembo. Una delicata melodia pervase l’aria, quasi una ninna nanna intonata dalla calda voce di Adhal, dolce come il miele e rassicurante come il tenero abbraccio di un genitore. L’albero davanti a loro ondeggiò leggermente, quindi, sui rami più sottili, i germogli iniziarono a crescere, sbocciando prima in minuscoli fiori rosa e diventando infine dei tondi frutti rossi.
«Woah!» Varasal rimase a bocca aperta per alcuni istanti, non molti poiché suo padre dovette riacciuffarlo subito dopo mentre si lanciava verso l’albero, desideroso di addentare i suoi succosi prodotti.
«Non così in fretta, dal’en!» disse, trattenendolo per il colletto della tunica.
«Perché non posso?» sbuffò il bambino. Adhal s’inginocchiò al suo fianco.
«Vedi, quella che ho cantato era una preghiera. Ho chiesto agli spiriti di aiutarmi a sfamare la mia famiglia.»
«Hai chiesto agli spiriti?»
«Proprio così.»
«Gli spiriti sono gentili.»
«Esatto. Per questo dobbiamo essere gentili anche noi.»
«Come?»
«Prendendo solo quello che ci serve e lasciando riposare l’albero, dal’en. È importante non essere mai avidi con quello che ci viene offerto. Capisci?»
Varasal sembrò pensarci per un po', poi annuì.
«Bravo figliolo» gli sorrise Adhal, prima di schioccargli un bacio tra i capelli.
 
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«Preghiamo, affinché lo spirito di Atisha trovi la strada attraverso l’Oblio» esordì suo zio, ma Varasal non lo sentiva, coperto dai suoi stessi singhiozzi. Era seduto in fondo alla stanza da letto, il petto stretto in una morsa dolorosa, le lacrime uscivano senza tregua. Non sentiva nemmeno i sussurri di sua zia che lo stava abbracciando stretto, nel vano tentativo di consolarlo.
 
Adhal era seduto accanto al letto, lo sguardo vacuo fissava il volto senza vita della sua compagna. L’amore della sua vita, la sua anima gemella, la sua ragione di vita era stesa lì, senza vita. Lui stesso si sentiva senza vita, come se il mondo si fosse svuotato di ogni colore, profumo o gioia. Forse era davvero così.
Con l’aiuto del fratello, seppellì Atisha all’esterno e piantò un giovane albero sulla sepoltura, come da tradizione.
«Noi andremo lontano, isama’lin4» gli disse infine questo, prendendolo da parte «Sai bene che la morte di Atisha non è casuale.»
«Cosa intendi?» chiese Adhal, guardando dubbioso il fratello.
«La terra e le acque non vengono avvelenate per caso, Adhal» rispose, guardando preoccupato il ventre rigonfio della compagna, «Qualcosa di grosso sta per accadere, qualcosa che riguarda gli evanuris. Non voglio che mio figlio nasca nel luogo in cui accadrà.»
Adhal annuì. «Addio isama’lin.»
«Addio» rispose, abbracciandolo, «prenditi cura del bambino.»
Adhal non disse nulla, lo sguardo fisso sull’albero che aveva appena piantato.
 
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«Dove vai, babae?»
Erano passati alcuni giorni dalla morte di Atisha ma il tempo sembrava essersi fermato. Adhal non aveva fatto molto, restando perlopiù seduto sul letto o sulla panca a fissare il vuoto. Il piccolo Varasal era uscito in quelle fredde mattinate, recandosi al frutteto oltre il bosco a cantare agli spiriti. Suo padre però non mangiava nulla di ciò che il figlio portava, né gli rispondeva quando questo gli parlava. Quella sera però, si alzò ed uscì dalla porta.
«Babae?!» Lo chiamò ancora, senza ottener risposta, mentre questo si allontanava. Varasal lo rincorse, afferrandogli infine il braccio. Adhal si liberò dalla presa e con la stessa mano schiaffeggiò il figlio. Varasal s’irrigidì: mai suo padre lo aveva ferito prima di allora. Lo shock lo lasciò immobile, mentre la figura del padre lentamente veniva inghiottita dall’oscurità.
«Babae! Vegara!5» urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, mentre gli occhi si riempivano di lacrime, «Tel’vara!6»
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Varasal attraversò rapidamente il villaggio, diretto verso casa, dove ormai viveva perlopiù da solo, nonostante avesse appena dieci anni. Era quasi giunto a destinazione, appena dietro l’angolo, quando si scontrò con qualcuno ed entrambi finirono a terra.
«Ahi ahi ahi» piagnucolò la bambina di fronte a lui, massaggiandosi le natiche, «che male!»
«Fai più attenzione!» esclamò Varasal stizzito, ripulendosi la tunica dalla polvere.
«Mi dispiace!» rispose la piccola elfa, rigirandosi una ciocca corvina attorno all’indice, «Che disastro…»
Solo allora Varasal notò il cesto che lei reggeva ed il suo contenuto, una manciata di fiori variopinti sparsi a terra, che stava già raccogliendo. Nonostante la fretta, decise di fermarsi ad aiutarla.
«Grazie per avermi aiutata.»
«Figurati. Ero di fretta e ti ho risposto male.»
«Oh, allora vai, sbrigati! Anzi» disse, rovistando nel cestino e porgendogli con un sorriso uno stelo ricoperto da minuscoli fiori indaco, «Tieni! Te li regalo per farmi perdonare. Hanno lo stesso colore dei tuoi occhi.»
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«Andaran atish’an7» disse Varasal, salutando il nuovo arrivato.
«Non serve essere così formale con me.»
«Mi hai insegnato a farlo con tutte le persone che non conosco, babae.»
«Sei cresciuto» osservò Adhal «immagino sia iniziata l’età in cui ti ribelli ai tuoi genitori.»
«Genitori?» sbottò Varasal, voltandosi di scatto «I miei genitori sono morti entrambi cinque anni fa»
«Stavo cercando di riportare indietro tua madre! Era l’unica possibilità di essere di nuovo felici insieme.»
«Mi hai abbandonato, senza dire nulla! Non è così che si rende felice qualcuno!» disse, alzando la voce, «Avevo bisogno di te e tu non c’eri. Incontrare il proprio figlio una manciata di volte all’anno non significa fare il padre. Tu non sei mio padre.»
Adhal non disse nulla.
«Ci sei riuscito almeno?»
Il padre scosse la testa.
«Tsk.»
Un sibilo assordante si espanse in tutto il villaggio, seguito da un tonfo. Varasal uscì dall’abitazione, solo per trovare metà delle case in fiamme.
«Gli evanuris» gli mormorò il padre all’orecchio «Hanno iniziato.»
«Sei tornato per dirmelo.»
Il padre annuì. «Dobbiamo andarcene da qui.»
«Va bene» rispose, scrocchiando nervosamente le dita.
Adhal e Varasal attraversarono faticosamente il villaggio in fiamme, cercando di evitare come meglio potevano la folla impaurita, e si diressero verso il lago, nella speranza di non imbattersi in ulteriori problemi. Sfortunatamente, un intero esercito era stanziato sulle rive del lago, le armature dorate splendevano alla pallida luce dell’alba. In pochi istanti padre e figlio furono circondati da delle sentinelle armate.
«Bene, bene. Chi abbiamo qui?» Le sentinelle fecero spazio a quello che doveva essere il loro capo, un imponente elfo biondo, anch’esso in armatura. Non era questa a stabilire il suo status ovviamente, ma il suo portamento austero e, soprattutto, la furia cieca nel suo sguardo. Varasal si prostrò a terra, spaventato, imitando il padre.
«O potentissimo Elgar’nan! Siamo solo due fuggiaschi che vogliono mettersi in salvo»
«Non farò passare nessuno. Non posso rischia che delle spie di Falon’din gironzolino indisturbate.»
«Ma noi non siamo spie»
«E’ per precauzione» concluse, facendo cenno a una sentinella che immediatamente sguainò una lama eterea.
«Aspettate!» lo interruppe Adhal, «se vi facessi una richiesta? Una supplica al Dio del Sole e della Vendetta.»
Elgar’nan fece cenno alla sentinella di fermarsi.
«Una richiesta del genere ha un prezzo, elfo. Come intendi pagarla?»
Con orrore Varasal notò che il padre lo stava indicando.
«Lui è il mio unico figlio, sangue del mio sangue» disse Adhal «tutto ciò che mi resta.»
Elgar’nan scrutò il ragazzino con attenzione, quindi annuì.
«E sia. Avanza la tua richiesta, elfo.»
«C’è un posto che vorrei raggiungere»
«Molto bene. Ragazzino, segui l’Alto Guardiano, ti applicherà il marchio.»
Varasal dovette obbedire, lacrime di rabbia e frustrazione rigavano il suo viso mentre il Guardiano gli incideva la pelle, mormorando un’incomprensibile nenia. Di suo padre non c’era più l’ombra.
«Il tuo nome, ragazzo?» chiese infine il Guardiano.
«Numin.8»
 
 
A molti chilometri di distanza, Adhal sedeva contro il tronco di un albero.
«Sono qui amore mio» mormorò in lacrime, stringendo una pietra incisa con il lyrium, «Ho rinunciato a tutto ma presto saremo di nuovo insieme»
Adhal cantò un’ultima volta, una canzone mesta che parlava di amori perduti e cuori infranti mai più ricuciti. L’albero sotto cui sedeva allungò lentamente i rami, stringendoli attorno al suo collo.
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  1. Vhenan = cuore, casa (in senso figurato)
  2. Babae = padre (arcaico)
  3. Dal’en = piccolo mio (vezzeggiativo usato con i più piccoli)
  4. Isama’lin = fratello
  5. Vegara = torna indietro
  6. Tel’vara = non andartene
  7. Andaran atish'an = Entra in questo luogo di pace (saluto formale)
  8. Numin = pianto
 
   
 
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