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Autore: Lady Mnemosyne    22/08/2019    1 recensioni
– E va bene – si arrese – Monica mi ha lasciata […] Dice di aver trovato il suo vero amore e che io non la faccio sentire come la fa sentire lui. –
Così tu cerchi di raccogliere i pezzi e rimetterli insieme, ma forse non è il caso di riprovarci di nuovo, forse è meglio lasciar perdere, è più sicuro. Ma mentre tu cerchi di chiudere tutto in un forziere ventimila leghe sotto i mari, una dolce sirena, che ti incanta con quella stessa musica che tu ti vanti di saper cantare così bene, ti si fa vicina e ti distrae, è sul punto di farti cambiare idea…
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3. Follow me down

 

La mattina dopo arrivò fin troppo presto, tanto che l’alcol trascinava ancora i piedi su e giù per le sue vene. Quando fu sufficientemente sveglia da rendersi conto di questa cosa, realizzò che non aveva alcuna voglia di prendersi un’altra strigliata da Anita e abbandonò immediatamente l’idea di andare all’inaugurazione della mostra. Buttò giù le gambe dal letto e si sedette sul bordo, con la testa pesante chinata a fissare il pavimento senza vedere granché.
Quando si affacciò fuori dopo una bella doccia fresca, la sua situazione era nettamente migliorata e persino nel nero del suo umore, complice il leggero torpore che ancora la abbracciava dolcemente, complice il divertimento della serata precedente, sembrava si aprisse qualche zona meno nuvolosa. Le caddero gli occhi su una tela coperta, appoggiata davanti alle altre in uno spazio che rimaneva vuoto tra la libreria e il muro, di fianco alla vetrata. La fissò per qualche momento mentre nella mente si disegnava perfettamente chiaro ciò che il panno bianco nascondeva e intanto Sì e No presero a combattere tra loro con un certo accanimento nella sua testa. Riportò l’accappatoio in bagno e pescò a caso dall’armadio qualcosa con cui vestirsi, poi tornò nella sala portando con sé il cavalletto, che sistemò di fronte alla vetrata in favore di luce. Recuperò un alto sgabello che teneva dietro la porta della camera da letto e lo sistemò di fronte al cavalletto: aveva una forma strana così spoglio, sembrava uno scheletro informe. Poi venne il momento dei colori, che sistemò su un tavolino lì a fianco, insieme alla tavolozza, ai pennelli e ad una ciotolina con dell’acqua. Infine si diresse verso la tela e la sollevò tra le braccia con tutto il panno, portandola al cavalletto, dove la depose con delicatezza. Sistemò lo sgabello alla giusta distanza in modo da non proiettare la propria ombra sulla tela e tolse il panno.
Due occhi nerissimi la aggredirono, incastonati nella pelle olivastra di un viso dall’ovale perfetto, su cui trionfavano due splendide labbra appena dischiuse. All’altezza del viso una mano, ancora solo abbozzata, teneva una sigaretta, da cui si alzava un’esile scia di fumo, mentre la manica di una vestaglia ne adornava il braccio, scivolando sempre più giù dalle spalle e dal petto.
Rimase pietrificata a guardarla per qualche secondo, incatenata a quegli occhi senza fondo, stordita da quelle labbra di cui ricordava così distintamente il sapore… Poi distolse lo sguardo, si appoggiò allo sgabello e iniziò a preparare i colori.

‒ Tu non hai idea di dove cercare, vero? ‒ chiese Lei.
‒ Naturalmente no ‒ rispose Federico.
‒ Giusto, quando mai sei utile tu, eh? ‒ ribatté Lei facendogli una smorfia.
Era un fin troppo tiepido pomeriggio di giugno e i due amici si aggiravano per una enorme libreria del centro in cerca di un volume da regalare ad Enrico per il suo compleanno. I dorsi colorati dei libri si affacciavano dagli scaffali, ben ordinati per materia e ordine alfabetico, e quasi sembravano osservare i visitatori che curiosavano per il negozio, in trepida attesa di essere comprati.
‒ Ma perché non mi ci ritrovo mai in questi posti? ‒ esclamò Lei dopo aver vagato per qualche minuto. ‒ Secondo te è sotto Biografia o Musica? ‒ chiese voltandosi indietro verso Federico: si ritrovò invece a parlare con un’anziana signora che la guardava con aria perplessa da dietro gli occhiali; Lei si scusò e tornò indietro a cercare l’amico, che  ripescò a sfogliare un libro di fotografia minimal.
‒ Era questo che intendevi quando hai detto che mi avresti aiutato a cercare il regalo per Enrico? ‒ lo interpellò brusca. Federico riemerse dal primo piano della cruna di un ago e sfoggiò un sorriso imbarazzato: ‒ Scusa, non ho saputo resistere ‒ disse appoggiando il libro al suo posto.
‒ Hai un’idea di dove possa essere, se sotto Biografia o sotto Musica? ‒ chiese di nuovo, questa volta al giusto interlocutore.
‒ Non saprei… cerchiamo in tutti e due gli scaffali e prima o poi salterà fuori.
Lessero uno per uno tutti i titoli di entrambe le sezioni, ma non riuscirono a trovare il libro che stavano cercando.
‒ Non è possibile che non ci sia! ‒ sbottò Lei dopo aver scrutato tutti i volumi per la seconda volta.
‒ Anche a me sembra assurdo: è appena uscito… e non è neanche possibile che non l’abbiamo visto. ‒
Lei si guardò intorno sbuffando, poi vide qualcosa e si allontanò di corsa. Si avvicinò ad una commessa che stava sistemando negli scaffali dei libri che teneva tra le braccia e si mise alle sue spalle, aspettando che finisse. Non appena ebbe riposto l’ultimo volume, la chiamò, ma nell’istante in cui la commessa si voltò, dimenticò tutto quello che stava facendo, nonché il motivo per cui era lì. Si scontrò con un paio di occhi così scuri, che era impossibile distinguerne il fondo e da cui si sentì risucchiare senza saper opporre resistenza. Sentì una voce lontana rivolgerle la parola:
‒ Serve aiuto? ‒
Lei cercò di ricomposi alla meno peggio e distolse lo sguardo: ‒ Sì, sto cercando un libro, ma non riesco a trovarlo. ‒
“Premio Nobel per l’eloquenza...” la canzonò una voce nella sua mente. La ragazza annuì e chiese, pratica: ‒Come si chiama? ‒
‒ Oh sì, giusto: Enciclopedia del Rock. Dovrebbe essere uscito da poco. ‒
“In effetti come pensavi che potesse trovarlo senza il titolo: leggendoti nel pensiero?” insistette la voce, che Lei tentò mentalmente di zittire.
La ragazza annuì di nuovo e si incamminò sicura verso un altro corridoio: ‒ Guarda: è laggiù in fondo, vicino alla vetrina, dove ci sono le Nuove Proposte ‒ disse indicando dritto davanti a sé.
‒ Oh, grazie mille ‒ rispose Lei con un sorriso impacciato; la commessa fece un lieve cenno col capo e sparì tra gli scaffali. Lei guardò i suoi lunghi capelli castani rimbalzarle sulla schiena, poi si riscosse e tornò da Federico, che questa volta era immerso nella biografia di Abramo Lincoln. Lei gli diede un leggero colpo sulla nuca, al che Federico le rivolse una pessima occhiata: ‒ Non ho saputo resistere ‒ sorrise beffarda. ‒ Dai andiamo, l’ho trovato. ‒
Così, una volta recuperato l’agognato volume, i due amici si avviarono finalmente alla cassa. Quando la persona in coda davanti a loro si allontanò, Lei fu di nuovo agganciata da quegli splendidi e insondabili occhi e la commessa, riconoscendola, accennò ad un sorriso che Lei prontamente e senza quasi rendersene conto ricambiò. Mentre le sue mani agili, abituate dalla pratica, impacchettavano velocemente il libro, quasi dando l’impressione di agire in autonomia, Lei continuò a guardarla, spostando lo sguardo dalle mani al bel viso, incoraggiata per di più dal fatto che spesso la bella commessa rispondeva sorridendo. Federico, cui non era affatto sfuggito il piacevole aspetto della commessa, si fece avanti a sua volta:
‒ Se ti piace la musica, domani sera noi suoniamo al Re di coppe, qui vicino ‒ disse sorridendo e con una buona dose di fanfaronaggine nel tono della voce. La commessa sollevò gli occhi verso di lui e rispose: ‒ Davvero? Ci farò un pensiero. ‒
‒ Al Re di coppe alle 21, se sei curiosa. ‒ precisò Federico con un bel sorriso, mentre prendeva la busta con il regalo dal bancone.
‒ D’accordo ‒ rispose la commessa, poi tornò ad intrappolare Lei nei magnifici abissi dei propri occhi e le sue labbra composero un “ciao” solo per Lei.

Un applauso convinto si sollevò tra una canzone e l’altra dal gruppo di persone riunito nel locale, al che la cantante sorrise riconoscente e si chinò verso la bottiglia d’acqua in piedi di fianco all’asta del microfono: man mano che il caldo dell’estate si avvicinava, diventava sempre più faticoso suonare in uno spazio così ridotto e con tante persone. Dopo il tempo minimo necessario a riprendere fiato, ricominciarono a suonare con la grinta di chi fa ciò che ama. Mentre Lei, cantando, faceva scivolare il suo sguardo sulle persone davanti a sé, quasi senza vedere, un volto attirò la sua attenzione, e su quel volto ancora due lucenti occhi scuri la incatenarono. Senza più distogliere lo sguardo, completamente incurante di qualunque precauzione, ora che la musica le infondeva tutto il coraggio e la confidenza che in precedenza le erano mancati, continuò a cantare guardandola dritto in quegli occhi irresistibilmente ipnotici, cominciando poi a mettere lentamente a fuoco anche gli altri tratti: l’ovale definito e aggraziato del viso, impreziosito da due splendide labbra, il naso dritto che le conferiva un’espressione da aristocratica e il colore ambrato della pelle, che sembrava così morbida e invitante. La giovane non esitò a ricambiare l’attenzione dell’appassionata cantante e restituì ogni sguardo, stringendo sempre più i lacci che aveva da tempo lanciato.
Quando, svariate canzoni e sguardi dopo, il concerto giunse al termine, la giovane non lasciò il locale come la maggior parte degli avventori, ma si fermò al bancone, come aspettando qualcosa. Federico fu il primo a notarla e, non appena la riconobbe, si fiondò da lei tutto contento per invitarla a restare e bere qualcosa insieme. Come spesso accadeva, non erano in pochi a concludere la serata con una bevuta post-esibizione e, nella confusione delle chiacchiere, non fu difficile continuare a scambiarsi lunghe occhiate, anche se da un’estremità all’altra del bancone. Quando infine se la ritrovò di fianco, Lei stava assaporando l’ultimo goccio di rum.
‒ Hai davvero una bella voce, sai? ‒ esordì la bella commessa sedendosi sullo sgabello al suo fianco. Lei si voltò e rispose sorridendo: ‒ Grazie. Ti è piaciuta la musica? ‒
‒ Sì ‒ rispose intrecciando le dita sul bancone. ‒ Non conoscevo bene le canzoni, ma voi siete molto bravi. ‒
Lei chinò leggermente il capo in segno di ringraziamento, stringendo il bicchiere vuoto tra le mani, senza guardarla.
‒ Io mi chiamo Monica ‒ disse la commessa tendendo la mano, da cui tintinnava un nutrito gruppo di bracciali.
‒ Piacere ‒ rispose Lei presentandosi e stringendo più che volentieri quella mano ambrata.

Era ormai il terzo concerto che Monica era venuta a sentire e, una volta terminato, la stava riaccompagnando a casa attraverso la città per metà già addormentata e per metà ancora ben sveglia e impegnata a divertirsi: le voci delle due ragazze si intrecciavano a molte risate mentre camminavano affiancate, sfiorandosi a vicenda.
‒ Siamo arrivate ‒ disse infine Monica, fermandosi di fronte ad un portone dal vetro scuro.
‒ Bene ‒ rispose Lei ‒ Grazie ancora di essere venuta. ‒
‒ È stato un piacere ‒ sorrise Monica. Si guardarono ancora una volta, l’una di fronte all’altra.
‒ Buonanotte, allora ‒ disse poi Lei, prima che il silenzio si dilatasse troppo ‒ ci sentiamo. ‒
‒ Buonanotte ‒ rispose Monica, tirando fuori le chiavi dalla borsa.
Lei si voltò e si avviò indietro sui propri passi, con le mani che tremavano nelle tasche dei pantaloni, ma quando sentì il rumore del portone che si spalancava, non fu più in grado di trattenersi. Dimenticandosi di tutti i contro e dei rischi che le avevano affollato la mente fino a una manciata di secondi prima, corse indietro, riuscendo a infilarsi nel palazzo appena prima che la porta si chiudesse, e raggiunse Monica sui primi gradini delle scale. Senza pensare più a niente, con il cuore che le batteva all’impazzata (e non per i pochi metri che aveva coperto correndo), le passò un braccio intorno alla vita e la baciò. La sensazione di toccare quelle labbra soffici le causò un tuffo al cuore, che si trasformò in tachicardia pura quando le sentì dischiudersi sotto le proprie e prese ad accarezzarle, mentre la mano di Monica le risaliva la shiena.
‒ Scusa ‒ sussurrò quando ebbe la forza di staccarsi, con gli occhi chini sulla punta delle scarpe ‒ non ho saputo re‒
Ma si interruppe, perché Monica la spinse contro il muro e, prendendole il viso tra le mani, tornò famelica sulle sue labbra. Lei sentiva il suo petto morbido contro il proprio e, incapace di resistere, la strinse a sé, mentre rispondeva senza alcuna timidezza al suo bacio.
‒ Mi chiedevo quanto ci avresti messo ancora a cedere ‒ rispose Monica scostandosi, con una punta di affanno appena percepibile nella voce. Le diede un altro rapido bacio, poi la prese per mano e la portò con sé su per le scale.
Il mattino seguente, quando riaprì gli occhi, rimase sbigottita per qualche momento nel vedere intorno a sé una camera che non era la propria e che inizialmente non riconobbe, ma quando percepì il dolce peso di chi si era addormentata sul suo petto, la sequenza degli ultimi avvenimenti si ricompose immediatamente davanti ai suoi occhi. Con la testa appoggiata sul suo seno, Monica dormiva placidamente, mentre le gambe giacevano ancora intrecciate, come per assicurarsi che Lei non le sfuggisse. Un sereno sorriso si aprì inevitabilmente sulle labbra di Lei, che prese ad accarezzarle delicatamente i capelli, cercando di non svegliarla, mentre la cullava con il ritmo stesso del proprio respiro. Quando infine, dopo quelli che potevano essere pochi minuti come molte ore, Monica si svegliò, forse complici quelle dolci carezze sul suo capo, risalì lentamente lungo il viso di Lei e la guardò dall’alto, sospesa su di lei, mentre i capelli le cadevano intorno come un morbido velo. Esaminò il suo viso con quegli occhi magnetici, soffermandosi sulle labbra sorridenti, finché Monica non la calamitò a sé tuffandosi nei suoi occhi:
‒ Buongiorno ‒ disse languida, sorridendo appena, mentre gli occhi prendevano a luccicare sempre più intensamente.
‒ Buongiorno ‒ rispose Lei mentre con le mani risaliva lentamente lungo le sue braccia, puntate ai lati della sua testa in modo da permettere a Monica di starle sopra. Planò dolcemente su di Lei, accarezzandola prima con i capelli e infine assaporando le sue labbra, mentre faceva aderire con calma esasperata il proprio corpo al suo e tornava ad adagiarsi gradualmente su di Lei, che la avvolse tra le sue braccia e la ribaltò sul letto, invertendo i ruoli.
Era ormai pomeriggio tardi quando riuscirono a decidersi a lasciarsi.
‒ Devi proprio andare? ‒ chiese Monica mentre le cingeva il collo con le braccia, circondandola del suo profumo.
‒ Sì, dai: non posso occuparti militarmente la casa. ‒ rispose Lei appoggiandole le mani sui fianchi e sorridendo. Monica esibì un vezzoso broncetto.
‒ Suvvia, non è che non ci rivedremo mai più: ti porto a cena domani, va bene? ‒ continuò. Monica mitigò appena la propria disapprovazione e rispose:
‒ Va bene, farò lo sforzo di aspettare fino a domani sera ‒ guardandola con fare deluso. Lei le rispose con un’occhiata scettica e ridacchiò.
‒ Sono sicura che ce la farai ‒ aggiunse sfiorandole la guancia con il dorso delle dita, dopo di che cercò ancora una volta le sue labbra per posarvi un dolcissimo bacio.
– A domani – sussurrò scostandosi appena, mentre ancora la sfiorava con la punta del naso. Si sciolse con grazia dalla sua presa, accarezzandole le dita finché non la lasciò del tutto e scese le scale saltellando, voltandosi spesso indietro con un gran sorriso, mentre la bella figura di Monica si alzava sopra di Lei e sorrideva ammiccante.
Camminava, o meglio svolazzava per le vie della città, con un sorriso inestinguibile ad illuminarle illuminarle il viso e il cuore che le danzava nel petto. Si sentiva leggera come un palloncino, come se nulla potesse sfiorarla, e una totale spensieratezza aveva cacciato via qualunque preoccupazione dalla sua mente, in cui erano rimasti ad aleggiare solo allegri motivi di varie canzoni. Se arrivò a casa, fu solo perché la memoria delle sue gambe fece in modo che, per quanto svagata ed entusiasta, scegliesse quasi inconsapevolmente la strada giusta. Non appena si chiuse la porta alle spalle, volò al pianoforte, togliendosi le scarpe per via, e cominciò a riempire l’aria di accordi dolcissimi e delicati, allegri grappoli di note, scale appassionate che si rincorrevano a vicenda. Suonò fino a quando il buio fuori dalle grandi vetrate non le suggerì che forse era arrivato il momento opportuno ed educato di smettere.
La sera successiva impiegò fin troppo ad arrivare e, quando lo fece, trovò Monica che finiva di indossare un corsetto coloratissimo sopra un paio di corti pantaloncini neri e Lei che suonava al campanello, più sorridente che mai.
Fece a malapena in tempo a intravvederla in tutta la sua brillante bellezza che Monica le lanciò le braccia al collo e piombò sicura sulle sue labbra, che gustò in un appetitoso bacio di bentornato. Lei la strinse a sé, mentre un calore incontrollabile le si spandeva nel petto e il cuore correva impazzito.
– Anche per me è un piacere rivederti – esordì Lei sorridendo mentre sprofondava negli occhi di Monica, che ancora le cingeva il collo e sorrise a sua volta a quelle parole, facendole sobbalzare il cuore.
La città non era mai stata così bella, le stelle così nitide, l’aria così frizzante agli occhi delle due ragazze, che percorrevano le strade con le dita intrecciate, separando i propri sguardi solo per lo stretto necessario a vedee dove mettere i piedi, che sembravano conoscere da soli la strada da percorrere. Ogni cosa era perfetta ai loro occhi, l’atmosfera di una qualunque sera di giugno si era trasformata in pura magia, come se una pioggia di brillantini visibili solo a loro avesse decorato ogni cosa. Quando furono stanche di vagare in giro, si sedettero in piazza, l’una nell’abbraccio dell’altra, e lasciarono che la città divenisse lo sfondo sempre più sfocato dei loro teneri baci, di cui era impossibile saziarsi; e quando si resero conto di preferire qualcosa di più morbido su cui trascorrere il resto della notte, Lei la prese per mano ancora una volta, stringendosela al fianco, e la guidò verso la propria casa.

D’improvviso sentì l’impulso di voltarsi verso la porta, come se avesse potuto vedere se stessa e Monica entrare tra mille sorrisi come quella notte, ma non c’era nulla da guardare. Tuttavia continuò a fissare l’ingresso ancora per qualche minuto, senza provare nulla, priva di qualunque emozione: il suo cuore non era altro che un meccanico battito automatico. Infine si voltò nuovamente verso la tela e si lasciò annegare in quegli occhi d’abisso, poi allungò lentamente la mano e accarezzò la guancia dipinta, mentre le sue dita non percepivano il ruvido di tela e colore ma la soffice morbidezza della sua pelle. In quel momento il dolore sordo che era riuscita a dimenticare per qualche ora, immergendosi nella concentrazione e nei ricordi, le azzannò nuovamente il cuore senza alcuna pietà, anzi, con rinnovato accanimento, e si rese conto che sì, poteva fare quello che voleva, comportarsi come se nulla fosse o non le importasse nulla, ripetersi che andava tutto bene e che lei stessa stava bene nonostante tutto, ma in realtà non era affatto pronta a lasciarla andare e, per quanto odiasse ammetterlo, se solo fosse tornata, le avrebbe perdonato ogni cosa.
“Ma a chi vuoi darla a bere?”



 

I’m feeling so worn, I’ve seen better days.
You’re so beautiful my eyes have never seen
all the times I’ve tried to figure out my dreams.

















 

N.d.a. Grazie a chiunque sia arrivato a leggere fino a qui, innanzitutto. Se poi sono anche tanto fortunata che c’era qualcuno che stava aspettando che io pubblicassi il nuovo capitolo, mi scuso per avervi fatto aspettare tanto. Spero di essere più assidua nel tempo a venire.

 

   
 
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