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Autore: Lady Mnemosyne    29/08/2019    2 recensioni
– E va bene – si arrese – Monica mi ha lasciata […] Dice di aver trovato il suo vero amore e che io non la faccio sentire come la fa sentire lui. –
Così tu cerchi di raccogliere i pezzi e rimetterli insieme, ma forse non è il caso di riprovarci di nuovo, forse è meglio lasciar perdere, è più sicuro. Ma mentre tu cerchi di chiudere tutto in un forziere ventimila leghe sotto i mari, una dolce sirena, che ti incanta con quella stessa musica che tu ti vanti di saper cantare così bene, ti si fa vicina e ti distrae, è sul punto di farti cambiare idea…
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4. Long Way to Go to Die


– Ma è stupendo – bisbigliò Lei ammirata, con gli occhi che vagavano avidi sulla tela che aveva di fronte.
– Dici davvero? – domandò Anita sulle spine, con le dita della mano sinistra sulla bocca, rivolgendo uno sguardo incerto prima al quadro e poi all’amica.
– Certo che dico sul serio: guardalo! – esclamò Lei in risposta, con gli occhi ancora incollati alla tela, che ritraeva il muso di due leoni che sembravano accarezzarsi a vicenda, circondati dalla soffice aureola delle loro maestose criniere.
– Si riesce a immaginare la morbidezza del loro pelo! Davvero non capisco perché tu sia così insicura – continuò Lei, spostando finalmente il proprio sguardo su Anita, che si tormentava le dita ondeggiando sulle punte dei piedi.
– Non lo so… Mi sembrano poco realistici, si vede che non sono veri – disse, tentando di dare voce ai propri dubbi.
– Grazie: non è mica una foto, è normale che non siano veri – ribatté Lei, piuttosto incredula a sentire una obiezione tanto assurda.
– Sì ma non vorrei che facciano l’effetto cartone animato – insistette Anita.
– Ti garantisco che non c’è la minima possibilità che questa tela possa dare una simile impressione – la rassicurò Lei e nel vedere quegli occhi così sinceri e sicuri, Anita depose anche le ultime riserve.
Rimasero a guardare in silenzio il quadro, finché Lei non riuscì più a trattenere il bisogno di condividere ciò che sentiva con Anita, bisogno che sentiva gonfiarsi nel petto quasi togliendole il respiro. Tuttavia esordì in sordina, partendo da lontano:
– Ieri ho rimesso mano al ritratto – disse ponendo fine al silenzio. Anita si voltò di scatto verso di Lei : – Quello di Monica? – chiese dopo qualche secondo di esitazione.
– Sì– rispose evitando accuratamente di guardarla; Anita tornò a guardare la tela, giusto per fissare lo sguardo su un punto qualsiasi.
– Non pensavo ce l’avessi ancora. –
– Non ho voluto buttarlo, dopo tutto sta venendo anche bene. –
Un leggero silenzio calò nella stanza, come se lo spettro di Monica mettesse a disagio entrambe.
– Come stai? – chiese infine Anita voltandosi per guardarla in facccia, dopo aver aspettato invano che Lei si aprisse spontaneamente. Lei distolse lo sguardo dalla tela, che fissava senza realmente vederla da svariati minuti, e abbassò la testa. Impiegò qualche tempo a rispondere:
– Credevo che non me ne importasse nulla e che non sarebbe stato difficile lasciarla perdere e tirare dritto, invece… Io non la voglio lasciare, ma oggettivamente non ci posso proprio fare nulla, visto che lei non ha alcuna intenzione di cambiare idea e soprattutto la cosa che più mi dà fastidio è che, nonostante come si è comportata, se le saltasse per la mente di tornare indietro, io non saprei dirle di no, la riprenderei con me, anzi: io vorrei che lei cambiasse idea e tornasse da me. –
Ormai stringeva così tanto i pugni nelle tasche della felpa, che si stava conficcando le unghie nei palmi. Anita sospirò e le appoggiò una mano sulla spalla:
– È normale che tu ti senta così, dopo tutto tu ne eri e sei innamorata davvero. –
– Invece non è normale per niente! – esclamò Lei – Non è normale provare una cosa simile per un’ipocrita approfittatrice come lei! Io mi rendo conto perfettamente di che razza di persona sia, eppure non riesco a levarmela dalla testa, non faccio che pensare a lei… Com’è possibile amare una persona così? E soprattutto per quale maledetta ragione non riesco a smettere di amarla? Non può essere normale un amore così. –
Quelle parole, sibilate con così tanta rabbia e dolore, furono come lame affilate nel cuore di Anita, che non seppe trovare altra risposta se non quella di far scivolare la propria mano dalla spalla dell’amica alla schiena e stringerla in un abbraccio silenzioso. Lei appoggiò le la fronte sulla spalla e ricambiò la stretta, stufa di fingere di avere la situazione sotto controllo.
– Perché mi innamoro sempre della persona sbagliata? –
Anita la strinse più forte, appoggiandole una mano sulla testa mentre la cullava appena; dopo qualche minuto le sfuggì un lieve sorriso e commentò: – Beh, almeno tu eviti i maniaci possessivi. –
La sentì ridere appena tra le sue braccia. Proseguì:
– Purtroppo l’amore non è una cosa che si comanda, non c’è un interruttore per controllarlo e non si può decidere per chi provarlo. Succede e basta. Non sei stupida ad amarla ancora, semmai tenace, per quanto tu vorresti non esserlo in questo momento. Quanto al non volerla lasciare andare, eh, purtroppo non puoi farci nulla, non hai voce in capitolo: se la ami davvero non puoi che rispettare le scelte che fa, anche se sono dolorose per te. –
La sentì allargarsi in un profondo respiro, poi disse piano: – Ma ne è valsa la pena? –
Non fu facile per Anita rispondere a tutto il dolore che quella domanda sussurrata conteneva. Sospirò a sua volta:
– A me lo chiedi? Devi scoprirlo da sola, tesoro, se ne è valsa la pena. Io posso solo dirti che raramente una situazione è così brutta da non essere in grado di offrire neanche un briciolo di buono, ma quel briciolo lo devi trovare tu. –
Un calmo silenzio sembrò unirsi all’abbraccio delle due amiche, interrotto qualche tempo dopo dal lieve bisbiglio di Lei:
– È difficile. –
Anita la strinse più forte: – Lo so, però non sei da sola: ci sono io, c’è Fede, ci sono Enrico e Davide. Perciò non convincerti che sei da sola e che questa è una cosa che devi affronare da sola per forza, perché non è così. D’accordo? –
Anita la sentì scuotere il capo in senso di assenso, poi sciogliersi piano dalla sua stretta per guardarla dritta negli occhi, con un’espressione stranamente insicura:
– Grazia, Anita – disse seria – grazie davvero. –
Anita la riacciuffò nel proprio abbraccio, stringendola forte:
– È un piacere, cara – disse e le schioccò un bacio sulla fronte, o meglio sui ricci da cui la fronte era coperta.
– Sarà meglio che ci avviamo ora, altrimenti faremo tardi e personalmente preferirei evitare di sfilare davanti a tutti a lezione iniziata – disse pratica Anita, stropicciandole energicamente le braccia prima di lasciarla andare.
Qualche minuto dopo sgusciavano in aula subito dietro la professoressa, riuscendo così a sedersi senza dare troppo nell’occhio. Tuttavia Lei non ascoltò nulla della lezione, perché la sua mente era impegnata a percorrere avanti e indietro ben altri pensieri. C’era poco da fare: doveva davvero lasciarla andare, ormai non c’era altro tra cui scegliere. Giusto o sbagliato che fosse, non in generale, ma stando a ciò che lei sentiva, era la cosa da fare, la decisione da prendere. In fondo ci stava male comunque, sia ostinandosi a insistere e resistere sia arrendendosi, ma la differenza sostanziale stava nella fievole possibilità che, dopo essersene slegata, magari un giorno si sarebbe potuta sentire meglio, che si sarebbe lentamente ripresa e sarebbe riuscita a ricucire quello strappo che ora continuava a sanguinare così abbondantemente.
“E va bene” si disse “se è  così che deve andare...”
Quando la professoressa lasciò liberi gli studenti a lezione conclusa, Lei si alzò propositiva dal suo posto, quasi volesse scollarsi di dosso l’ingombrante presenza di Monica per abbandonarla lì sulla sedia, come una sorta di goffo fantoccio, o forse perché voleva semplicemente farsi coraggio, e si incamminò verso la porta con Anita.
Mentre scendevano le scale, stranamente percorribili senza dare e ricevere troppe gomitate, e Anita era intenta ad elogiare la voluminosa gonna della professoressa, seriamente intenzionata a chiederle dove l’avesse comprata, qualcuno alle loro spalle cominciò a chiamare per attirare l’attenzione di un non meglio precisato qualcun altro. La cosa non avrebbe avuto nessun tipo di rilevanza, se questo qualcuno non fosse infine piombato sulle due amiche e non avesse interrotto l’entusiasta elogio di Anita battendo leggermente le dita sulla spalla di Lei, che si voltò con un misto di perplessità e curiosità negli occhi.
– Ciao! Scusami, avrei una proposta da farti – recitò una voce squillante ma non troppo acuta.
– Mi chiamo Ambra e sto preparando un progetto che mette a confronto pittura e fotografia. Per farlo al meglio ho pensato di chiedere aiuto ad un pittore, o meglio a una pittrice – sorrise appena – quindi vorrei chiederti se potrebbe interessarti. So che sei molto brava a dipingere. –
Lei aveva ascoltato in silenzio, quasi pigramente, senza comprendere di preciso cosa questa biondina (che oltre tutto si ostinava a parlarle da un gradino più in alto) le stesse realmente proponendo, perciò esitò qualche momento prima di bofonchiare un confuso: – Beh io… –
Quasi non fece in tempo a terminare di manifestare la propria perplessità, che la ragazza la interruppe: – Non mi devi rispondere adesso, pensaci pure con calma. E non sentirti obbligata: ho chiesto a te per prima perché mi piace molto il tuo stile, ma posso sempre chiedere a qualcun altro, sentiti pure libera – concluse con un che di febbrile nella voce, mentre Lei continuava a fissarla sempre più perplessa e Anita si godeva la surrealità del tutto, sospesa tra il gradino dell’amica e quello inferiore. Di fronte all’ostinato silenzio di Lei, Ambra proseguì ed estrasse dalla tasca dei jeans un leggero foglietto bianco, che le porse:
– Pensaci su con calma, prenditi pure tutto il tempo. Qui c’è il mio numero, caso mai l’idea finisse per piacerti. –
Lei lo prese e gli rivolse un’occhiata distratta.
– Allora grazie e ciao – concluse la ragazza porgendo la mano. Lei la strinse con poca convinzione, dopo di che Ambra risalì le scale, scomparendo ai piani superiori. La seguì con lo sguardo per un po’, più per inerzia che per qualunque altro motivo, poi si rivolse ad Anita, che la stava già guardando con aria divertita:
– Sembra forte! Che ne dici? –
Lei guardò il biglietto, su cui c’erano scritti solo nome e numero di telefono. Lo piegò a metà e mettendolo in tasca rispose:
– Che ha sbagliato persona. –
– Oh come sei disfattista! – esclamò indispettita Anita, mentre scendevano gli ultimi scalini – A me sembra interessante… –
– Se c’è una cosa di cui non ho bisogno né voglia adesso sono altre cose di cui preoccuparmi, specialmente se coinvolgono velleità femminili. –
– Non ti capisco quando fai così! – disse Anita con un tono di totale disapprovazione – Ti scuso solo perché in questo momento sei molto scombussolata. –
– Troppo buona! – rise Lei in risposta. Anita si voltò sorridendo a sua volta:
– Beh, almeno una cosa buona è riuscita a farla: ti ha fatto ridere! –

La città emanava il suo fiacco bagliore sotto di Lei mentre quella sera fumava con le braccia appoggiate al parapetto: i fari delle auto scivolavano via veloci e le luci intermittenti delle biciclette parevano una triste imitazione di lucciole. Spense la sigaretta sul mucchio che ormai riempiva il posacenere e rientrò in casa, dove il ritratto campeggiava al centro della sala. Fissò ancora una volta quegli occhi di oblio e i ricordi cominciarono ad affiorare piano dalla tela, man mano più nitidi, finché non scosse la testa con decisione, come per scrollarli via, e distolse lo sguardo. Quando rialzò il capo, un sorriso amaro le piegava le labbra:
– Sai che c’è? – disse rivolta al ritratto, quasi che avere un iterlocutore al di fuori di se stessa la aiutasse ad andare avanti sulla strada che aveva finalmente deciso di prendere.
– Anche se non è una delle separazioni più felici del mondo, quanto meno per me, bisogna comunque brindare al cambiamento, non ti pare? Direi di sì, quindi adesso esco e vado a farmi una bella bevuta. –
E così dicendo afferrò la giacca dallo schienale della poltrona e si chiuse la porta alle spalle.
L’aria fredda le punzecchiò piacevolmente il viso non appena uscì dal portone nella sera e quel fresco sembrò come ridarle una spinta, una scossa mentre camminava a passi lunghi verso l’insegna verde e fuxia del bar.
Di certo non si poteva dire che fosse il locale più ameno della  città, ma era vicino e si beveva bene e soprattutto senza essere disturbati. L’aria leggermente fumosa la accolse non appena varcò la porta, carica di aromi alcolici e voci che a causa di quegli alcolici già si strascicavano lungo discorsi sempre più confusi. Scivolò silenziosa e inosservata fino al bancone, dove si arrampicò su un alto sgabello mentre ordinava del rum dal solito barista, che aveva già recuperato la bottiglia non appena l’aveva vista entrare.
– Cosa faccio: la rimetto a posto o no? – chiese quando si fu avvicinato, con quel ghigno ammiccante che tutte le volte le rivolgeva, per porgerle il bicchiere, facendo ondeggiare nell’altra mano la suddetta bottiglia. Lei prese il bicchiere e rispose senza guardarlo:
– No no, lascia pure qui. –
Il suo sguardo si fece ancora più ammiccante mentre si appoggiava al bancone dopo aver posato la bottiglia di fianco a Lei:
– Vacci piano o dovrò riaccompagnarti a casa di persona più tardi. –
Lei sorrise e finalmente levò gli occhi nei suoi, dritto per dritto:
– Allora temo che ci vorrà più di una bottiglia. –
Il barista rise:
– Eh sì, è arrivata lei! – e si allontanò sbeffeggiandola con garbo. Lei fece ruotare il bicchiere tra le dita per un po’, la mente persa nuovamente nei ricordi da cui tanto faticosamente stava cercando di allontanarsi, finché non sollevò il bicchiere, che sembrava quasi appesantito da tutti quei frammenti di passato, e dopo un brindisi silenzioso lo vuotò, inghiottendo con il liquore ognuno di quei momenti.
Si riempì nuovamente il bicchiere, sotto lo sguardo attento del barista, e lo fissò per un momento prima di berne un altro lungo sorso. Mentre si perdeva in quelle onde color caramello un amaro pensiero le attraversò la mente:
“Temo che ci vorrà più di una bottiglia anche per te”




 

And I keep rolling on
missing you from dusk to dawn.
Can’t you see I’m tryna block you out?

 

   
 
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