Anime & Manga > Boku no Hero Academia
Segui la storia  |       
Autore: Roquel    15/09/2019    3 recensioni
I fiori sbocciano dalla sera al mattino, come dei nei, anche se somigliano più a dei tatuaggi sbiaditi. Ogni fiore, così come ogni colore, dice qualcosa riguardo la personalità del suo proprietario. L'ubicazione identifica il tipo di persona. Petto, scapole e spalle per gli Apha (forza, protezione e ferocia); mani, gambe e viso per i Beta (duro lavoro, sicurezza e fiducia); infine addome, stomaco e fondoschiena per gli Omega (maternità, dolcezza e sensualità). Di anno in anno, i tatuaggi crescono, fioriscono e si diffondo sul corpo del portatore.
A sedici anni, Izuku non ha alcun fiore, ma nei suoi ricordi brilla il rosso del gladiolo sulla pelle di Katsuki. È quel ricordo a far rivivere il suo desiderio di tornare a casa; ma le cose non sono mai semplici.
(AU. Tre regni e una guerra sul punto di esplodere.)
[Katsudeku - Kirikami]
Traduzione di "Flower Bouquet" di Maia Mizuhara, che è a sua volta una traduzione inglese dell'originale "Bouquet de Flores" originale spagnola di Roquel.
Link nella pagina dell'autore e nelle note al fondo del primo capitolo.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Izuku Midoriya, Kaminari Denki, Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou, Un po' tutti
Note: AU, Lime, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 18 - Una Falsa Orchidea





 

Could you be dead? 

You always were two steps ahead, of everyone

We'd walk behind while you would run

I look up at your house

And I can almost hear you shout down to me

Where I always used to be

And I miss you

Like the deserts miss the rain

 

Missing - Everything but the Girl





 

Mentre correva nella foresta, nell’oscurità, inseguito da ombre minacciose, la mente di Izuku non entrò in uno stato di paralisi o di dubbio. La sua mente non si annebbiò come quella di una preda quando confrontata dal suo predatore. Izuku aveva paura, la paura viveva dentro di lui, batteva insieme al suo cuore ed era parte della sua natura, ma invece di restringersi, paralizzarsi, la mente di Izuku si affinò.

Se avesse avuto tempo, si sarebbe ricordato di suo padre, di quello che gli diceva da piccolo.










 

“Hai la mente di un guaritore, Izuku, quando affronti un’emergenza non permetti alla paura di dominarti.”

“Ma io non voglio provare paura. Kacchan non ha mai paura.”

“Perché Katsuki ha una natura diversa dalla tua. Gli Alpha non hanno mai paura, non è nei loro cuori contrarsi nel terrore.”

“Voglio essere coraggioso, papà, voglio essere come Kacchan.”

“Essere coraggiosi non significa non avere paura, significa avere la forza per affrontarla.”










 

A quel tempo Izuku non capiva. All’età di sei anni il suo più grande desiderio era essere come Katsuki che, brillante e intelligente, poteva fare quello che voleva. Katsuki, che rideva quando nuotava nel mare o si arrampicava su alberi immensi.

Ma quei ricordi erano lontani, seppelliti da strati di paura e decisioni affrettate che Izuku era stato costretto a prendere mentre correva per la foresta, cercando di non scontrarsi contro un albero.

Aveva perso di vista Shouto che, cieco alla situazione, aveva obbedito all’ordine di fuggire. L’Alpha, con le sue gambe lunghe, la sua agilità impressionante, e la sua magnifica condizione, l’aveva lasciato indietro senza fermarsi. Izuku lo seguiva, guidato dal lieve profumo di pino, evitando rami caduti e dislivelli, guidato più dall’istinto che dalla vista.

Anche se era inseguito, anche se non poteva aspettarsi l’aiuto di nessuno, anche se Shouto non rispondeva a nessun contatto, Izuku non permise al panico di dominarlo. Corse, scansò e pensò. Pensò a cosa fare dopo, la situazione e le alternative.

La mente astuta di Izuku arrivò a due logiche conclusioni.

La prima era che i loro inseguitori non avevano fretta di raggiungerli. Li sentiva dietro di lui, a volte lontani, a volte vicini, come se si fermassero per dar loro vantaggio prima ricominciare a corrergli dietro.

‘Per loro questo è un gioco,’ pensò Izuku mentre adattava la sua velocità, correva ancora ma senza il ritmo frenetico che aveva all’inizio.

La seconda conclusione a cui Izuku arrivò fu che li avrebbero catturati. Era inevitabile. Loro conoscevano il territorio e Izuku no. Avevano delle armi e Izuku no. Erano in gruppo e Izuku no; non poteva contare su Shouto, che correva davanti a lui, cieco e sordo ad ogni parola, incapace di opporre resistenza o proporre un’alternativa.

Se Izuku fosse stato un sognatore, avrebbe pensato di poter sconfiggere i suoi inseguitori. Se fosse stato un cieco ottimista, avrebbe creduto di poterli seminare nella foresta. Se fosse stato un idealista avrebbe aspettato che l’effetto dell’incenso svanisse; ma Izuku era pratico, intelligente e scaltro… e capì che stava a lui trovare una via di fuga. Quella certezza attivò subito dei piani di emergenza, iniziò a mescolare scenari in cui uno dei due potesse fuggire.

L’errore di Izuku stava nel bilanciare le vite. Per lui ogni vita era preziosa, inestimabile, tranne la propria. Shouto era il principe, e a confronto, la sua vita era sacrificabile. Con quell’idea in mente, Izuku si mosse. La prima cosa che fece fu tirare fuori le bottiglie di lozione che portava ancora nella borsa. Senza rallentare, Izuku ruppe due fialette insieme e le tenne in mano mentre il liquido di entrambe si riversava sui suoi vestiti e sulle gambe fino ad arrivare a terra. Lanciò i pezzi di vetro il più lontano possibile mentre si affrettava deviando leggermente dal percorso di Shouto.

Dopo un po’ ripeté l’operazione, assicurandosi di deviare ancora. Di tanto in tanto ripercorreva i propri passi e creava un’altra traccia. Vagò senza sosta, evitando radici e rocce.

Era coperto di sudore dalla testa ai piedi, i polmoni gli bruciavano, e ogni respiro era diventato una battaglia contro sé stesso. Le voci dei suoi inseguitori crescevano avvicinandosi, Izuku suppose che il gioco fosse terminato.

Non fare il fifone.

La voce di Katsuki gli fece stringere i denti, affrettando il passo mentre si arrampicava sulla collina. Non appena raggiunse la cima si fermò perché non c’era nessun pendio che scendesse verso l’altro lato della collina. Il mondo finiva in quello che sembrava essere un chiaro precipizio. Non c’era via di fuga.

Non fare il fifone.

Izuku si raddrizzò e si voltò per incontrare i suoi nemici. Erano in quattro, tre coperti da capo a piedi da un’uniforme nera, invisibile nell’oscurità della notte, il quarto indossava la stessa cosa tranne il cappuccio. Izuku analizzò attentamente il delicato oro dei suoi capelli e l’oro acceso dei suoi occhi felini. Il suo sorriso maniaco fece intravedere due zanne carnivore, piccole ma letali.

La ragazza si chinò in un inconfutabile posa d’attacco, le sue mani tremavano allontanandosi dal corpo, rivelando nella fioca luce notturna due lame corte a mezzaluna. Izuku respirò lentamente — dentro di lui si agitava la paura, cresceva e si diffondeva, ricoprendolo totalmente — ma non indietreggiò.

In quel momento pensò a Katsuki, i ricordi sfarfallanti, solo per un secondo.





 

Quando Katsuki si allenava aveva sempre un’espressione di assoluta concentrazione: sopracciglia corrugate, la bocca incurvata, lo sguardo fisso su qualunque cosa avesse davanti. Izuku lo guardava e se ne deliziava. Era affascinato dalla fluidità, la semplicità con cui eseguiva ogni esercizio indifferentemente dalla difficoltà.





 

Katsuki era di cattivo umore mentre aspettava che sua madre arrivasse per iniziare le lezioni. Si muoveva e borbottava, traboccante di energia anche mentre stava fermo. Izuku se ne nutriva in silenzio.





 

Il sorriso sbilenco di Katsuki dopo averlo battuto in una gara. Non sudava nemmeno, al contrario di Izuku che non smetteva di affannare. In quel momento sembrava più alto, più irraggiungibile che mai.





 

Kacchan stava nuotando vicino alla barriera corallina mentre Izuku stava seduto sulla spiaggia godendosi il sole. Mentre si allontanava, l’unica cosa che spuntava dalla schiuma bianca erano i suoi capelli biondi. Poi, all’improvviso sparì e non lo vide più.

Le viscere di Izuku si contrassero, senza accorgersene si ritrovò in piedi vicino alla riva. La sua paura, di nuotare nel mare agitato, batteva dentro di lui e gli afferrava il cuore, ma nemmeno quella lo fermò dal tuffarsi.

Kacchan emerse dal mare, tenendo tra le mani qualcosa — una conchiglia? — ma quando lo vide la sua espressione si indurì.

“Deku, che ci fai qui?!”





 

La risposta che Izuku non riuscì a formulare quel giorno, per via di un’onda imprevedibile che lo affondò di colpo, era una semplice frase, piena della convinzione che solo un bambino possedeva: “Sono venuto a cercarti.”

Quel giorno, Izuku era perfettamente conscio della certezza che vibrava nel suo cuore e che si era saldata lì per sempre.

‘Attraverserei il mare per trovarti, Kacchan.’

Quell’ultimo ricordo lo riempì di malinconia. La nostalgia che lo colpì non era nuova, ma aveva ancora la forza devastante che lo lasciava senza fiato. Non aveva importanza dove sarebbe andato, Katsuki non sarebbe stato lì.

Non fare il fifone.

Il suo corpo reagì, si allontanò dalla lama che scendeva verso di lui e tirò subito un pugno al suo avversario, un attacco che aveva visto fare a Katsuki giorno dopo giorno quando si allenava… ma il suo colpo mancava di precisione, forza e la tecnica che un combattente si sforzava di perfezionare ogni giorno. In altre circostanze, affrontando avversari meno ostici, Izuku avrebbe potuto offrire uno scontro dignitoso, ma lì, davanti a una donna soldato, addestrata ad uccidere, Izuku fu sconfitto senza gloria.

Finì a terra, con il peso della donna sopra di lui, e la lama ricurva premuta sul collo.

“E il tuo amico?” Chiese la donna mentre Izuku premeva le labbra e si agitava, senza successo. Lei rise e alzò il viso per guardare i suoi compagni. “Trovatelo.”

Izuku si sforzò, ma lei teneva le ginocchia piantate per terra senza perdere il sorriso.

“Allora, il trucchetto con le bottigliette era nascondere il fatto che aveste presto due percorsi diversi, eh? Una perdita di tempo. Lo troverò. Proprio come vi abbiamo trovati prima. Siete stati molto sfuggenti… ma sono contenta che l’incenso non abbia funzionato per entrambi, hai reso la mia caccia molto più interessante.”

“Quale incenso?” Chiese Izuku con la voce tesa aspettando che lei gli desse dettagli specifici, ma invece di rispondere quella rise ad alta voce.

“Sei venuto qui senza esserne a conoscenza? Beh, non ha importanza ora.”

La donna gli prese il viso e lo obbligò a guardare prima a sinistra e poi a destra, poi si prese del tempo per guardare le sue mani e le braccia. Non appena capì cosa stesse cercando, Izuku si agitò ancora di più, assicurandosi di agitare vigorosamente le gambe. Il suo trucco funzionò perché l’attenzione della donna andò subito alla benda.

“Proprio come pensavo,” disse la donna, offrendo un sorriso appuntito. “Sei fortunato, potrai incontrare il Generale.”

Prima che Izuku potesse chiederle cosa significasse, la donna lo colpì alla testa con il manico della lama. Il mondo di Izuku diventò un mantello nero.









 

Si svegliò con la nausea e il mal di testa. Tutto il suo corpo oscillava da una parte all'altra con un ritmo costante. Mentre si alzava, notò la corda che gli legava mani e piedi, la tensione nelle spalle e nei fianchi, e l'odore di sudore che emanava il corpo sotto di lui. 

Izuku scoprí che stava viaggiando come un sacco di patate sulla schiena di una bestia mai vista prima. Era enorme, con sei zampe che finivano in artigli affilati e una massiccia costituzione di ossa grandi. Quando cercò di alzarsi capì di essere legato alla sella mentre il conducente aizzava la bestia senza sosta, avanzavano così velocemente che il paesaggio era una macchia di colori indistinguibili. 

La visione acuiva il suo capogiro, così Izuku abbandonò il corpo contro la schiena della bestia e girò leggermente il collo così che il suo naso non fosse direttamente sopra il corto pelo scuro. La posizione, l’odore e il dolore non aiutavano a calmare il suo stomaco.

Quando notò il gusto di bile in gola Izuku strinse i denti e si sforzò di ricordare il profumo del mare. Con difficoltà riuscì ad evocare la sensazione della brezza pomeridiana quando il sole era alto nelle serate estive afose e asfissianti. Ricordava il caldo pesante e umido di quelle giornate lunghe, il vento rarefatto del mare che li costringeva ad andare in delle pozze lontane dal sole, nascoste nelle caverne lungo la zona montuosa.

Ricordava la pelle appiccicosa, il sudore che colava lungo la schiena come se si fosse appena lavato. Ricordava Katsuki, seduto per terra a mangiare del melone mentre il sudore si accumulava sulle sue clavicole e sulla nuca. 

Il ricordo tornò da lui facilmente e Izuku si aggrappò a quell’immagine. Strinse forte gli occhi e cercò di rendere il ricordo più nitido.





 

Aveva appena compiuto undici anni, il cielo era privo di nuvole che potessero respingere il sole rovente e l’aria calda rendeva impossibile rinfrescarsi, così loro due si erano rifugiati nelle caverne dall’altro lato della spiaggia. Lì il vento era fresco e l’acqua fredda.

Kacchan mangiava seduto con i piedi in acqua, indifferente, silenzioso. Seduto al suo fianco, Izuku lo guardava col desiderio di allungare la mano e metterla sulla nuca dell’amico. L’aveva già fatto prima, non si era mai trattenuto quando si trattava di toccarlo… ma ora era diverso. Ora era assolutamente conscio della scossa che il suo corpo riceveva quando toccava Kacchan. E ogni volta che la sentiva, ricordava le sue foglie senza fiori.

Izuku strinse i pugni concentrandosi sul cibo. Da quel giorno in poi, avrebbe fatto attenzione a tenere le mani ferme.





 

Con gli occhi chiusi Izuku strinse i pugni e cercò una posizione più comoda, ma lo sforzo era vano; alla fine si accontentò di rilassare il corpo mentre pensava.

‘È successo l’ultima estate prima che Kacchan iniziasse il suo addestramento in mare… L’ultima estate che abbiamo passato sulle isole prima di venire catturati.’

I suoi ricordi dell’attacco erano frammenti pieni di paura e incertezza, in effetti non aveva quasi memoria dei giorni prima del rapimento. Non ricordava cosa avessero fatto lui e Kacchan in quei giorni.

‘Ricordo di aver mangiato con Mitsuki… ma non che Kacchan fosse lì.’

Izuku fece uno sforzo, ma non ricordò nulla. Alla fine la stanchezza lo invase e finì in uno stato tra il sonno e la veglia, da cui si riprese quando la bestia si fermò. Il soldato che viaggiava con lui lo fece cadere al suolo con noncuranza. Izuku si piegò dal dolore, le mani e le gambe intorpidite dalla mancanza di circolazione.

Il motivo della sosta era far riposare il conducente e la bestia, mangiare e dormire un po’. In tutto quel tempo Izuku restò legato a un albero, senza acqua né cibo.

La stanchezza e la fame causarono a Izuku un sonno senza sogni, la sua mente troppo esausta per evocare immagini tortuose. Dormiva a intervalli regolari e ogni volta si svegliava di soprassalto, disorientato e dolorante. A un certo punto iniziò a piovere, gocce di acqua fredda che lo bagnarono da capo a piedi. Izuku si svegliò con una sete insaziabile, così sollevò il viso e bevve fino a sentire la gola dolorante.

Quando si fermarono per la seconda notte lo stomaco di Izuku brontolava senza sosta, aveva un mal di testa incessante e ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva punti di luce che sfarfallavano dietro le sue palpebre in forme indefinite, ognuna di esse si adattava al ritmo del suo cuore. I suoi vestiti erano così fradici che gli si erano attaccati al corpo come una seconda pelle. I suoi polsi scorticati pulsavano senza smettere di sanguinare. Ma la cosa peggiore era il freddo, acuto e tagliente ricopriva il suo corpo, facendogli credere che non avrebbe mai più sentito il calore del mondo. Quando quella notte fu legato a quell’albero, alla mercé della pioggia, Izuku fu certo che non si sarebbe risvegliato.





 

Invece lo fece.

“...hi… ehi… ragazzo, mi senti? Ehi...”

Si svegliò sul pavimento di una cella scura scarsamente illuminata. Dovette battere le palpebre diverse volte per vedere bene le pareti. La voce che non smetteva di parlargli sembrava distante, attutita dal cotone. Il calore che il suo corpo emanava rendeva difficile sentire, il mondo era silenzioso e soffocante. Izuku chiuse gli occhi, leccandosi le labbra, che trovò secche e leggermente gonfie. I puntini luminosi erano spariti, sostituiti dall’oscurità assoluta.

La coscienza di Izuku fallì nell’aggrapparsi al mondo.





 

La volta dopo che si svegliò, stava tremando. Faceva così freddo che batteva i denti, sentì le dita ghiacciate e le gambe rigide. Quando si voltò, un movimento istintivo per conservare calore, realizzò che aveva gambe e mani libere.

Perse quel pensiero quando una sensazione fredda gli scosse il corpo.

“Ragazzo.”

Sistemò il collo per guardare la persona che stava parlando, mentre strinse le braccia contro il corpo.

“Stai bene?”

Izuku rispose con un sì.

“Ragazzo, se mi senti, hai freddo?”

Izuku rispose di nuovo con un sì.

“Riesci a parlare?”

Izuku pensò che la conversazione fosse assurda, così lo disse ad alta voce. Solo allora realizzò di non poter dire nulla. Ci provò ma non ci riuscì. Il freddo non glielo permetteva.

“Hai sete?” Chiese l’uomo, allungando qualcosa nella sua direzione.

Izuku lo guardò senza smettere di tremare; non poteva rispondergli, tantomeno allungare un braccio per prendere quello che stava offrendo. In un tentativo di riprendersi Izuku chiuse gli occhi e si concentrò sul combattere il freddo.

Freddo, freddo, freddo.





 

Si svegliò quando sentì qualcuno tirargli i vestiti. La sensazione della pietra che gli raschiava la schiena e i movimenti del soffitto spazzavano via tutti i pensieri razionali. Il panico esplose in lui come bolle di acqua bollente, vorticando dentro di lui e soffocandolo. Quello finché una freschezza improvvisa non gli toccò la fronte e le guance. Quando Izuku riuscì a focalizzare lo sguardo si trovò di fronte a un sorriso gentile e mani sottili incredibilmente premurose.

“Per tutti gli dei, ragazzo, hai la febbre alta.”

La voce era dotata di una tale calma e gentilezza che Izuku si rilassò. Restò sdraiato sulla schiena con la testa che toccava le sbarre che separavano le due celle. Con il panico sotto controllo, Izuku si prese un momento per studiare il viso scheletrico dagli occhi azzurri, gli occhi azzurri più compassionevoli che avesse mai visto.

“Per fortuna ti sei mosso mentre sognavi, altrimenti non sarei riuscito a raggiungerti.”

La risposta di Izuku fu di guardarlo, offuscato dalla pesantezza del suo corpo.

“Capisci quello che dico, ragazzo?”

Izuku rispose di sì.

“Mmm, vediamo. Apri la bocca.”

Izuku obbedì, era vagamente conscio della ciotola scheggiata premuta contro il suo labbro inferiore, e ciò che lo svegliò fu il liquido freddo che gli si riversò in bocca. Izuku bevve così avidamente che se fosse stato per lui l’avrebbe svuotata con un solo sorso, ma l’uomo si prese il suo tempo e lo fece con una tale cura che alcune gocce gli scivolarono sulla guancia.

“Ecco fatto, va meglio?” Asciugò le gocce d’acqua col pollice e premette la fronte contro le sbarre. “Riesci a parlare ora? Come ti chiami?”

Izuku provò di nuovo.

“...zzzku...”

“Suku, ti chiami Suku? ...Beh, Suku, sei stato incosciente da quando ti hanno portato qui. Cioè stamattina. Vedo che sei fradicio, sta piovendo?” Izuku si lamentò. “Bene. No, non muoverti. Sei troppo debole, ricordi quand’è stata l’ultima volta che hai mangiato? Va tutto bene. Non preoccuparti. Beh, guardandoti da vicino, noto che sei molto giovane, chi è stato il folle a mandarti qui? …D’accordo, ne parleremo quando ti sarai ripreso. Per adesso hai bisogno di bere molta acqua. Devi anche mangiare.”

Gli offrì un pasto soffice e insapore, che Izuku mandò giù con molto sforzo.

“Dobbiamo toglierti quei vestiti bagnati. Ti avvolgerò con la mia coperta per scaldarti.”

Sentendo le mani sulla sua camicia, Izuku raccolse tutta la sua forza per allungare la mano e stringere quella dell’altro, ma il suo sforzo fu inutile perché l’uomo si liberò senza fatica e alzò la maglia.

“...oh.”

La paura di Izuku crebbe, strinse la bocca e si preparò al peggio, ma invece di attirare l’attenzione, l’uomo appoggiò il viso contro le barre e sussurrò a bassa voce.

“Va tutto bene… va bene. Ti porterò la mia coperta, ti ci coprirai mentre ti togliamo quei vestiti. Non appena saranno asciutti potrai usarli di nuovo. Non avere paura. Mi prenderò cura di te.”

In un tentativo di calmarlo, il prigioniero gli accarezzò i capelli con molta delicatezza finché Izuku non annuì; prima che l’uomo si allontanasse, Izuku raccolse le forze per fare una domanda.

“...chi…?”

L’uomo dagli occhi azzurri sussurrò: “Mi chiamo Yagi.”





 

Senza vestiti, avvolto in una coperta di cotone ruvido, Izuku fu consapevole del suo corpo ghiacciato; la sensazione era inesprimibile mentre le sue interiora si scioglievano col calore che gli imperlava la fronte fradicia di sudore. Per ore, giorni, anni — la sua percezione del tempo era danneggiata — entrò ed uscì da uno stato cosciente.

A volte trovava Yagi a massaggiargli i muscoli, riscaldandogli la pelle con il movimento e la frizione, altre volte si svegliava sull’isola con sua madre, che gli metteva una mano sulla fronte e gli sorrideva con il suo inesauribile amore.

La febbre faceva sprofondare Izuku un mare di ricordi scuri. Incubi, ricordi, allucinazioni, si mescolavano tutti nella sua mente finché risultava impossibile distinguere la realtà dalle menzogne.





 

Katsuki in mezzo a un mare nero.

Izuku correva verso di lui, ma mentre l’acqua scura si avvicinava, si alzava a ricoprirlo completamente. 

“Kacchan!”

“Non venire, Deku.”

“Kacchan!”





 

I gladioli sul petto di Kacchan erano di un inconfondibile rosso scarlatto. Izuku sognava di toccarli, ma quando distendeva la mano le sue dita erano macchiate di sangue. Sollevando gli occhi, l’uomo dalla pelle viola gli sorrideva mentre la sua lama perforava il petto alabastrino.

“Kacchan!”





 

“Qual è il tuo problema?!” Katsuki si avvicinò e allungò la mano verso il nodo sul suo fianco. “Per caso hai un fiore così brutto che non vuoi farlo vedere a nessuno?”

Izuku reagì con rabbia. Schiaffeggiò la mano e indietreggiò; le lacrime gli bruciavano gli occhi.





 

Quando si avvicinò per toccare la schiena di Kacchan, lui si sciolse tra le sue dita come sabbia che aveva perso la sua consistenza. Izuku era perso, in mezzo all’oscurità.





 

“Scappa!”

Kacchan si voltò e lo spinse. Izuku riuscì a fare tre passi prima di inciampare. Cadde con le mani in avanti e si voltò in tempo per vedere Kacchan saltare sull’uomo con l’arco, ma cadde subito al suolo, incosciente. 

“Kacchan!”





 

Era accovacciato accanto a Kacchan, gamba contro gamba, spalla contro spalla, davanti a un campo di fiori blu con un centro giallo. Lo vide muovere le labbra, ma non capì cosa stesse dicendo.

“Cosa?” Chiese a voce alta.

La risposta che ricevette fu un braccio proteso verso i fiori. La bocca di Kacchan si muoveva, ma non ne usciva alcun suono.

“Non riesco a sentirti!”

Quando cercò di toccarlo, un feroce vortice lo accecò.





 

Aprì gli occhi e vide Kacchan seduto in una cella buia. I suoi occhi scarlatti brillavano come braci incandescenti.

“Kacchan?”

L’espressione di feroce aberrazione sul viso dell’amico si scurì.

“Mi hai abbandonato.”

“No!”

“Ti sei arreso!”

“No!”

Quando Izuku cercò di avanzare, cadde in un abisso impenetrabile.





 

Si svegliò col fiato corto, le mani fredde e il corpo dolorante. Fece respiri brevi finché non si calmò, tuttavia si sentiva ancora sul bordo dell’abisso, pieno di amarezza, delusione e compianto. Contrasse il suo corpo, notando ogni muscolo sofferente e ogni punto di dolore. Con calma ordinò i ricordi degli ultimi giorni, molti erano frammenti che mischiavano incubi con la realtà senza un ordine specifico, il resto erano immagini di Yagi che vegliava sui suoi sogni, offrendogli acqua fresca e cibo o semplicemente prendendosi cura di lui.

“Sei sopravvissuto.”

Izuku si mosse con cautela, doveva combattere lo sconforto che sentiva palpitare dentro. Voltò il capo finché i suoi occhi non si posarono sull’uomo, seduto con la spalla appoggiata contro le sbarre che separavano le due celle.

“Che giorno è?” La sua voce era un rantolo corto, quasi impercettibile.

“Non so la data esatta, ma sono passati quattro giorni da quando ti hanno portato qui. La tua febbre è peggiorata quella notte e ha continuato a salire. Ho avuto paura che non ce la facessi, ma eccoti qui.”

“Dove—,” fece una pausa, deglutì, schiarì la gola e ci riprovò. “sia… sia…?”

"Siamo nelle celle sotterranee della Capitale, Suku."

"Suku?" 

"Non è il tuo nome?" 

"No, mi chiamo Izuku."

Con molta cautela Izuku si tirò su, e i polsi quasi cedettero quando appoggiò le mani per terra. Qualcuno — presumibilmente Yagi — glieli aveva lavati e puliti, ma provava comunque dolore. Sedendosi, Izuku dovette chiudere gli occhi per sopportare l'improvviso capogiro che lo colpì. Gemette di dolore ed espirò lentamente finché non fu sicuro di non svenire. 

'Concentrati sul respirare,' disse con fermezza a se stesso, determinato a cancellare dalla mente gli incubi. 

Aprì gli occhi e vide che la prigione aveva una parete di pietra dietro, sbarre di metallo sui lati che dividevano una cella dall'altra — quella sulla sinistra era vuota — e la porta era una mostruosità grigia con una semplice fenditura a tre piedi dal suolo da cui entrava la luce delle torce. C'era anche un mucchio di paglia maleodorante in un angolo e un secchio sporco vicino alla porta. 

"Quattro giorni?" Chiese Izuku accettando la ciotola d'acqua che Yagi gli porgeva. 

"Sì, oggi conta come la notte del quarto giorno."

"Hanno portato qualcun altro?" 

"Solo tu... viaggiavi con qualcuno? Con Kacchan forse?" 

La testa di Izuku si voltò così in fretta che il suo collo scricchiolò. Dentro di lui cresceva un'emozione indescrivibile, soffocante. Era densa e opprimente, rilasciava un senso di malinconia associato a quel nome. Le sue barriere, ancora fragili per via della febbre, vacillarono. 

"Che cosa hai detto?" Mi hai abbandonato! 

"Kacchan," ripeté Yagi e in qualche modo il nome suonava in modo terribile sulle sue labbra, come un'indelicatezza detta a voce alta. Izuku avrebbe voluto correggerlo, ma non ci riusciva. "Hai continuato a ripetere quel nome mentre deliravi per la febbre."

La bolla dentro di lui esplose, lasciandolo vuoto, memore di occhi scarlatti come braci incandescenti. Mi hai abbandonato! 

"Incubi," disse Izuku, bevendo l'acqua tutta d'un fiato, gli andò di traverso e la tosse gli diede una scusa per riprendersi. 

"È stata sua l'idea di disegnare un'orchidea sulla tua gamba?" 

Izuku chiuse gli occhi, si sentì debole, emotivamente drenato e incapace di concentrarsi su qualcosa che non fosse l’immagine di Kacchan divorato da un mare scuro.

“È stata una sua idea?”

‘No,’ voleva dirgli, ‘non è stata una sua idea, lui non esiste più,’ ma non riusciva a proferire parola. Pronunciò invece un frase rotta, debole, che suonava più come un lamento che come un ordine.

“Per favore, smettila di parlare di lui.”

Restituì la ciotola vuota e si sdraiò lentamente. La stanchezza cadde su di lui come un martello di ferro; si sentiva di nuovo male, ma senza la febbre. Spinse le gambe contro il petto e chiuse gli occhi. Stavolta dormì libero dagli incubi e dalle allucinazioni, sognò invece di un campo blu acceso.





 

‘Mi ricorderei di te anche se non avessi nemmeno un fiore blu, Katsuki.’






 

Aprì gli occhi e batté le palpebre.

Katsuki?

Era certo di non aver mai detto il suo nome a voce alta, ma il suono della sua stessa voce che pronunciava quella parola era un’eco che gli fischiava nelle orecchie con un’incredibile chiarezza. Per qualche ragione, pensò a dei fiori blu con piccoli petali e nonostante si sforzasse non riusciva a ricordare il loro nome. Tentò ma era inutile, il sogno era diffuso e si scioglieva tra le sue dita quando cercava di ricrearlo. L’unica cosa che restò dentro di lui fu quella frase.

Tuttavia si sentiva meglio, meno vulnerabile dell’ultima volta, meno fragile. Era ancora convalescente, ma la sua mente era lucida, le idee più complesse, e la situazione prendeva forma davanti ai suoi occhi. La sensazione malinconica era ancora lì, un sapore amaro, un peso dentro di lui, ma non era paralizzante.

Il ricordo dell’espressione di Kacchan che diceva “Ti sei arreso” lo spronava, piuttosto che distruggerlo.

Quando il suo vassoio con la razione apparve attraverso la fessura nella porta, Izuku allungò le mani e prese il cibo prima che sparisse. Sul piatto trovò lo stesso porridge che gli aveva dato Yagi, una ciotola d’acqua, e due pezzi di pane ammuffito.

La sua fame non gli fece concessioni, grattò via le parti ammuffite del pane e si assicurò che l’interno restasse buono, poi lo tagliò a fette che spalmò con il porridge. Mangiò lentamente due fette, masticando con calma nonostante l’urgenza che sentiva. Bevve dell’acqua e aspettò. Per passare il tempo, lavò le ferite sui polsi con un po’ della sua preziosa acqua potabile, slegò la benda sulla gamba e studiò i danni causati dall’umidità e la bendò di nuovo, assicurandosi che la stoffa restasse ferma.

Una volta sicuro che lo stomaco non si ribellasse, Izuku mangiò altre due fette e aspettò di nuovo. Non aveva le scarpe quindi si intrattenne a scaldarsi le dita dei piedi con la sua coperta rosicchiata, in quel momento il suo sguardo virò verso destra, riusciva a vedere che c’erano altri tre prigionieri nelle celle adiacenti a quella di Yagi. Quella alla sua sinistra era vuota, in quella accanto c’era un prigioniero e poi un’altra cella vuota.

Dopo due pause dal pranzo, mentre masticava la sua ultima fetta di pane, Izuku si alzò per spiare dalla fessura nella porta. Davanti c’era un’altra fila di porte identiche, il soffitto era fatto di pietra ammuffita e per la prima volta individuò il tocco di umidità che permeava l’ambiente.

“Ci sono fiumi o laghi qui vicino?” Chiese ad alta voce e voltandosi verso Yagi.

“C’è un fiume.”

“È originario o sbocca nell’argine Hosu?”

“È originario.”

“Quindi sbocca nel mare.”

“Conosci la regione?”

“Solo sulle mappe. Ho memorizzato l’esatta posizione delle fortezze, dei villaggi e delle prigioni quando mi sono preparato per il mio viaggio. Se dici che qui vicino c’è un fiume che ha origine dall’argine, allora siamo nel canale che usano per trasportare le navi che costruiscono verso il mare.”

“Perché è importante?”

“Perché conosco qualcuno che lavora qui.”





 

“Stai lontano dalle coste, Midoriya… non avvicinarti a meno che tu non abbia altra scelta. Se ti catturano, ti manderanno alla Capitale. Ho un amico lì che può aiutarti, lavora nelle celle sotterranee. Gli chiederò di tenere gli occhi aperti sui prigionieri che arrivano, ma devi capire che non c’è garanzia che lui possa venire e vederti.”





 

Quando la guardia tornò per la cena, Izuku fu pronto. 

"Che folle banchetto di oscurità."

La guardia gli disse di stare zitto e andò via imprecando tra i denti. Izuku si allontanò dalla porta e si sedette di nuovo con la schiena contro le sbarre. 

"E adesso?" 

"Aspettiamo."

La fame tornò più forte che mai, lo stomaco si torceva impazientemente e Izuku non riusciva a calmarlo. Per distrarsi contò le duecentosedici linee sul soffitto della sua cella, si massaggiò i polsi feriti e cercò di stirarsi con cautela. Poi fece vagare gli occhi per la cella fino a posarsi su Yagi. 

"Grazie per avermi aiutato."

Lo disse con sincerità, quasi con affetto, e Yagi scosse la testa, facendolo sembrare poco importante. 

"Sei troppo giovane per essere qui."

"Non gliene importa nulla dell'età."

Yagi annuì in silenzio e la conversazione morì lì. Izuku continuò a guardarlo, studiando i suoi tratti sottili, gli zigomi marcati e i denti dritti. Aveva l'aspetto di qualcuno che aveva perso peso continuamente, senza sosta. Anche se l'aria sudicia della cella dava l'illusione che tutti avessero lo stesso odore — un misto di sudore, sporcizia, marciume e sofferenza —era impossibile nascondere l'odore che apparteneva ad ognuno, fluttuava tenuemente tra di loro e Izuku si permise di studiarli in silenzio. 

"Perché ti trovi qui?" Chiese improvvisamente Yagi. 

"Perché tu ti trovi qui?" 

"Io non sono un Omega che si spaccia per un Beta."

"No, sei un Alpha che si spaccia per un Beta. All'inizio credevo di sbagliarmi perché non porti un marchio, ma non è così. Sei un Alpha. Loro lo sanno?" 

"Sei molto perspicace, ragazzo. Sì, lo sanno, sono qui perché lui si è annoiato di me."

"Il Generale?" 

"Ogni tanto viene a farmi visita, ma per il resto mi lascia da solo." 

"E il tuo marchio?" 

"Era qui," un dito ossuto indicò il torso nudo dove una cicatrice terribile copriva quasi tutto il fianco sinistro. "Era un fiore d'ulivo e si estendeva dalla spalla al fianco. Aveva piccoli fiori bianchi con un tocco dorato al centro dei petali. C'erano dozzine di grappoli bianchi… la mia gente lo considerava il fiore della pace. Ora non c'è più."

"Cos'è successo?" 

"L'ho perduto." 

"Come?" 

"Me l'hanno tolto. Ora è esposto come trofeo sulla parete di Shigaraki Tomura."

"Chi?" 

"...per il tuo bene, spero che tu non lo debba mai conoscere. Ora dimmi, come sei finito qui?" 

Izuku sospirò, si massaggiò con calma le dita e gli parlò, senza fretta e con tutti i dettagli del caso. E non potendo fare altrimenti, cominciò con Kacchan. 





 

‘Mi ricorderei di te anche se non avessi nemmeno un fiore blu, Katsuki.’





 

Il racconto di Izuku fu interrotto quasi alla fine. Aggrottò la fronte e cercò di ricordare dove e quando avesse sentito quella frase. 

"...e hai deciso di sacrificarti al suo posto." 

Izuku lo guardò, battendo le palpebre. "Eh? ...sì …no, voglio dire. Non mi sono sacrificato. Non so se il mio piano ha avuto successo o meno." Izuku sospirò continuando ad esaminare le ferite sui polsi, respingendo il ricordo dei fiori blu. "Sono sicuro di aver coperto le sue tracce e di avergli dato abbastanza tempo per fuggire. Voglio credere che sia in salvo." 

Yagi annuì, riflettendo. 

Quella notte Izuku dormì poco, con lo stomaco vuoto, la mente piena di idee e la ferma decisione di uscire da lì. 

La routine in prigione era molto noiosa, l'atmosfera pesante lo intorpidiva per tutto il giorno, da sveglio parlava con Yagi, interessato al suo desiderio di diventare un guaritore e alla sua permanenza nelle terre di Overhaul. Due volte al giorno passava una guardia a dar loro da mangiare, ogni volta Izuku ripeteva la parola d'ordine, senza alcun cambiamento. 

Alla quinta visita Izuku incontrò finalmente l'amico di Tokoyami. 

"Che folle banchetto di oscurità," ripeté Izuku con inerzia senza alzare lo sguardo. 

"Il nostro amico è un essere notturno."

Inginocchiato davanti alla sua porta, Izuku si chinò per vedere il suo sorvegliante. Era un uomo alto e robusto con sei braccia muscolose su cui portava i vassoi di cibo, i capelli di un color platino lucido e una bandana gli copriva gran parte della viso. 

"Tentakoru?" 

L'uomo si abbassò per spiare Yagi attraverso la fessura, le sopracciglia aggrottate mentre guardava l’altro incollato alle sbarre. 

"È un amico," spiegò urgentemente Midoriya a bassa voce. "Mi fido di lui, Tentakoru." 

"Ho detto a Fumikage di non chiamarmi così. Il mio nome è Shoji." 

La sua voce aveva un ritmo alto, quasi giocoso e curiosamente non arrivava dalla sua bocca ma da una delle appendici che si avvicinava alla fessura per parlare; anche se la sciarpa blu gli copriva metà della faccia era facile capire quando rideva perché gli angoli degli occhi si stringevano. 

Senza riuscire a trattenersi, Izuku sorrise. 

"Ciao, Shoji. Grazie per essere venuto." 

"Iniziavo a pensare che non avrei mai avuto modo di incontrarti, Midoriya. Fumikage mi ha parlato molto di te nelle sue lettere. Ha insistito parecchio nel chiedermi di tenere d'occhio i prigionieri nuovi." 

"Come sta?" 

"La sua ultima lettera è arrivata diverse settimane fa. Mi diceva la data della tua partenza, mi ha anche avvisato del suo reclutamento. Ora è impossibile sapere dove sia." 

Midoriya scosse via l'improvvisa nostalgia e si concentrò. "Puoi aiutarmi, Shoji? Devo uscire da qui." 

"Fumikage deve averti detto che non posso farlo… ma gli ho promesso che avrei fatto tutto ciò che è in mio potere per aiutarti. Ora ascolta attentamente perché non ho molto tempo: tra due giorni faranno dei test a tutti i prigionieri qui. Saranno test all'esterno, a quel punto dovrai fuggire. Devi allontanarti dal confine di Overhaul, o se preferisci, dirigerti verso le montagne, non c'è modo di arrivare al mare, ci sono truppe ovunque e anche se la tua gente ha delle barche che delimitano l'area, girano voci che molti di loro siano morti. La tua miglior opzione è tornare ad Overhaul—"

"Ma—" 

"Basta così. Ora prendi il tuo cibo, ti ho messo una doppia razione. Tornerò tra due giorni." 

Izuku lo vide andare via e restò vicino alla porta finché non scese il silenzio. Per un po' restò fermo poi sistemò il cibo per terra, si inginocchiò e con un sasso iniziò a delineare una versione improvvisata delle mappe di Tokoyami. Quando finì di marcare il suolo, sistemò i pezzi ammuffiti che aveva tolto dal pane per delimitare le fortezze che ricordava. 

"Qui c'è il fiume," mormorò mentre il suo cervello correva frenetico, analizzando possibilità e scenari. "Non posso attraversarlo, anche nuotando rischio di venire trascinato dalla corrente. Potrei risalirlo, raggiungere la diga e cercare una zona dove il greto è meno grezzo, ma… Voglio davvero tornare a Overhaul? Ho passato anni a cercare di andarmene da lì. Tornare adesso significherebbe tornare indietro, con la differenza che Tsuyu non è lì. E nemmeno Fumikage. Non posso andare a sud, non senza una nave, e a piedi rischierei di essere scoperto. Ci sono troppi villaggi vicino al fiume. Non posso attraversare Hosu senza aiuto, specialmente se le truppe del Generale sono dispiegate, non c'è modo di raggiungere la costa sano e salvo. Posso solo andare sulle montagne, una volta lì attraversarle e cercare di raggiungere il deserto. Kamui ha detto che sarebbe andato a nascondersi sulle montagne. Ha detto anche che aveva un amico lì. Come si chiamava? Espie… Esnie… forza, cervello, cerca di ricordare… Snipe… Sì. Snipe. Se riesco a trovare Snipe può guidarmi lui da Kamui. Con lui posso mandare un messaggio ad Aizawa per informarlo della mia posizione. È l'opzione più logica."

Senza pensarci Izuku allungò la mano, prese un pezzo di pane, lo immerse nel porridge e iniziò a mordicchiarlo senza che lo sguardo si fermasse, spostandosi in diversi punti sulla mappa. 

"Sei eccezionale."

La voce di Yagi lo tirò fuori dalla sua piccola bolla e si voltò per guardarlo. 

"Sarai un guaritore eccellente."

"Grazie."

"No, grazie a te per avermi ricordato che ci sono ancora cose per cui combattere. Grazie per avermi ricordato chi sono e cosa ci faccio qui." 

"Cosa?" 

"Non ti ho detto tutta la verità, ragazzo… Pensavo di proteggerti. Da dove vengo io, gli Omega vengono accuditi, coccolati, perché nella mia terra la vita è difficile e la nostra gente si prende la responsabilità di tenerli al sicuro. In ogni generazione non nascono molti di loro, ancora meno sopravvivono, quelli che lo fanno si sposano giovani e si divertono perché è l'unica cosa che conoscono."

"Da dove vieni, Yagi?"

"Mi chiamo Toshinori Yagi."

Per un momento Izuku restò fermo, riesaminando il nome, cercando di dare un senso alle sillabe nella sua mente. Finché non ricordò Aizawa e la missione che aveva dato a Tenya. 

"Sei l'ex leader delle Tribù Barbare."

"Lo sono. Quando ho sentito la tua storia volevo dirti la verità, ma ti avrebbe messo in pericolo."

"Perché?" 

"Ti racconterò tutta la storia, ma prima devi promettermi che manderai un messaggio alla mia terra. Dirai al giovane Togata esattamente quello che ti dirò io. Solo a lui e a nessun altro." 

"Perché?" 

"Perché ti uccideranno se ripeterai quello che hai sentito qui."

"Ripetere cosa?" 

"Voglio che mi ascolti attentamente. Ti parlerò di chi è il Generale e qual è il suo obiettivo." 

"Lo conosci?" 

"Una volta gli ho purtroppo risparmiato la vita." 










 

Due giorni dopo Izuku disse addio a Yagi a bassa voce, ringraziandolo per avergli salvato la vita. 

"Fa' attenzione, ragazzo… e ricorda di dare valore alla tua vita tanto quanto a quella degli altri." 

Izuku fu trasportato dalle celle individuali al retro di un vagone. Con lui viaggiavano altri otto adulti, che lo guardavano tutti con orrore per via della sua età e inalando il delicato aroma di menta che emanava. 

Dopo un viaggio relativamente breve la porta si aprì e diversi adulti si posizionarono davanti a Izuku in un gesto istintivo. Quando non accade nulla si mossero tutti lentamente verso l'uscita. 

Non appena fu fuori Izuku realizzò tre cose in rapida successione. La prima era che c'era troppa luce. La seconda, quando gli occhi si abituarono alla luminosità, fu che Shoji non era nella linea delle guardie, e l'ultima era che il suo corpo tremava ancora per la febbre. Quello, o non aveva mangiato abbastanza. 

"Il Generale è magnanimo," gridò uno degli ufficiali che li guardava a debita distanza. Nel gruppo erano circa in quindici, tutti torreggianti e feroci. "Vi dà la possibilità di riprendervi la libertà. Se riuscirete a scappare sarete liberi… beh, che state aspettando? ANDATE!" 

Il suo urlo fece partire tutti i Beta. Izuku li seguì, nella stessa direzione, determinato a perdere di vista le guardie prima di separarsi. 

Il gruppo di guardie restò indietro, vicino al vagone, davanti c'era una strada sporca che iniziava a girare verso sinistra fino a una curva stretta, a destra una caduta di diversi metri e un pendio ripido coperto dagli alberi. 

Izuku e il suo gruppo voltarono a sinistra e iniziarono ad arrampicarsi. Dopo solo quindici metri Izuku iniziò a notare i chiari segni del deterioramento dovuto a un prolungato digiuno. 

Non andarono molto lontano. 

All'inizio Izuku fu sicuro che fosse nebbia, debole e grigia chiara distinguibile solo dalla sfumatura degli alberi, poi ne sentí l'odore e si fermò, aveva un odore acre. Selvatico. Cercò di identificarlo quando cadde il primo Beta. Accadde davanti a lui e Izuku si mosse prima di poter processare cosa stesse facendo. Si chinò verso l'uomo e si allontanò quando quello iniziò ad avere le convulsioni. Non ci volle molto perché dalla sua bocca iniziasse ad uscire una schiuma bianca per poi smettere di muoversi. 

Izuku gli prese il battito ma non c'era. 

Gli altri iniziarono ad urlare, tenendosi la testa con le mani e quando Izuku li guardò notò il sangue che usciva loro dal naso e dagli occhi. Con un rapido conto Izuku individuò altri tre con le convulsioni mentre gli altri urlavano. 

L'incenso. Shoji aveva detto che ci avrebbero fatto un test. È questo il test. È una droga per i Beta. Per uccidere i Beta. 

L'istinto di Izuku voleva farlo inginocchiare vicino ai suoi compagni per aiutarli, si guardò intorno terrorizzato. 

"Non fare il fifone." 

Izuku corse, continuando a salire con difficoltà senza fermarsi. Trovò Shoji in cima, con una borsa da viaggio.

"Ci ho messo delle provviste e altre cose di cui avrai bisogno. Hai un'ora, forse due, prima che le guardie si accorgano che ne manca uno. Anche allora cercheranno in giro quindi corri e non fermarti." 

"Grazie, Shoji." 

"Corri!" 

Velocemente, con in mente ancora le immagini fresche dei Beta a terra con le convulsioni, Izuku si dimenticò di dire a Shoji del suo piano di raggiungere l'area montuosa. 

Se l'avesse detto a Shoji, quello l'avrebbe messo in guardia su cosa avrebbe trovato lì. 

 
________________________________________________________________________________________________________________
 

Grazie mille a tutti coloro che continuano a seguire questa fic nonostante i miei ritardi secolari, grazie davvero <3 

 

Prossimo capitolo: "Pira Funeraria"

 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Boku no Hero Academia / Vai alla pagina dell'autore: Roquel