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Autore: Aaanatema    17/09/2019    4 recensioni
L’Apocalisse è stata sventrata, ed ora non resta che affrontarne le conseguenze. Azraphel e Crowley cercano di tornare alla normalità, fino a quando delle lettere d’inchiostro nero non cominciamo a formarsi sulla pelle dei loro anulari...
(Soulmate!Au)
Genere: Commedia, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo due

Lunedì, 
il giorno del dolce 


Una delle caratteristiche di un demone era la mancanza di sentimenti. Nel corso dei secoli, soprattutto considerando che Crowley era stato un angelo e aveva conosciuto la pace e l’amore incondizionato, si era sempre trovato in difficoltà con questa definizione. Dopo la Caduta aveva sentito distanti da sé queste sensazioni che prima costruivano la sua quotidianità, e si era avvicinato a scherzi sardonici, rabbia e risentimento. Solo che a differenza dei concittadini al Piano di Sotto, i sentimenti angelici non erano scomparsi. Si limitava ad ignorarli. 

Ma mentre guidava diligentemente sulla via del ritorno, la musica a palla in macchina, Crowley si sentiva un po’ confuso. Non sapeva definire con precisione nemmeno lui di cosa si trattasse, e con un verso stizzito alzò il volume fino a sovrastare il peso dei propri pensieri. Non che fosse questa gran fatica, con tutto l’alcol che aveva ancora in corpo. Arrivato a casa decise di andare a dormire, e ancora vestito si gettò a letto, dormendo in uno stato di sonno profondo senza sogni. 

 

 

Al suo risveglio si sentiva tutto indolenzito, e a buon ragione, i pantaloni di pelle non erano certo l’ideale per dormire. Gli girava un po’ la testa, ma nulla per cui fosse necessario (o per cui avesse voglia) intervenire. A volte nel sonno si trasformava in serpente, questo perché spesso non controllava le proprie azioni ed era di gran lunga più comodo. Non in questo caso, comunque. 

Dirigendosi verso la scrivania e lanciando uno sguardo ammonitore alle piante che tremarono al suo passaggio, si rese conto che la spia rossa del telefono lampeggiava segnalando che qualcuno aveva lasciato un messaggio. 

“Ma che razza di ora è?” borbottò fra se e se, stropicciandosi gli occhi con un sibilo. Si accorse che erano già le quattro di pomeriggio, ma non se ne stupì granché. Era in grado di dormire anche per giorni, secoli, se lo desiderava. 

Tutto considerato si era svegliato relativamente presto, in effetti. E perché mai, poi? 

Ciò che lo aspettava era l’eternità, senza scopo, senza dover rendere conto a nessuno, giornate fatte di...

(Fece partire il messaggio lasciato in segreteria)  

 

“Crowley! Sei già sveglio?... Ah, no, era la segreteria” 

 

La voce era passata da eccitata, a confusa e poi delusa. Crowley alzò gli occhi al cielo, succedeva sempre così quando non gli rispondeva.

 

“Volevo solo ringraziarti, ancora, sai, per il bellissimo regalo. Sto leggendo così tanto che praticamente non ci vedo! Oh, ho solo lasciato spenta la luce.... (click in sottofondo) Comunque, un cliente o un postino ha fatto scivolare sotto la mia porta l’annuncio di uno spettacolo al Globe, danno “Amleto”! L’ho trovato divertente e...e mi ha fatto pensare a te... (Breve pausa) dato che è tuo il merito della sua popolarità. Comunque sto farneticando. Sarebbe carino... fare qualcosa, non per forza il Theatre. Solo, qualcosa. Comunque. Ciao, Crowley. Ah, sono Azraphel. Non che ti telefoni qualcun altro, credo.”

 

Crowley si ritrovò a sorridere alzando gli occhi al cielo. A quanto pare lo aspettavano giornate fatte di cene al Ritz, spettacoli teatrali e sbronze colossali nel retro di una polverosa libreria. Non sembrava tanto male. E poi, se era riuscito ad abituarsi alla dannazione eterna, di certo poteva abituarsi a questo. Stupido, imbarazzato, tenero, angelo. 

Aspetta.

Riesaminò quel pensiero nella propria testa. 

Stupido? Sì, decisamente.

Imbarazzato? Evidente.

Tenero? Senza alcun dubbio. Tenero? 

Questi erano i pensieri che gli frullavano per la testa? Cominciò a chiedersi se il vino della sera prima non fosse acido o drogato o chissà cos’altro. Ma sapeva con triste certezza che se così fosse stato se ne sarebbe accorto.

Fece per portarsi una mano al viso e si accorse di essere sporco sull’anulare. 

Lo sfregò prima distrattamente e poi sempre con maggior forza, finché non si rese conto che non era sporco.

Sembrava... una parola. 

Erano otto lettere, simili ad un tatuaggio leggermente in rilievo e rossastre, simili ad una cicatrice in via di guarigione.

Barcollò un attimo, nel momento in cui con orrore si rese conto che la parola in questione era Azraphel.

 

 

 

 

In quello stesso momento, Azraphel si trovava nella propria libreria e cercava di scoraggiare un cliente che sembrava piuttosto intenzionato a non uscire da lì senza aver concluso un acquisto. Per l’esattezza, continuava ad orbitare attorno al manoscritto originale di “Harry Potter e la Pietra Filosofale”, a cui Azraphel si era particolarmente affezionato. Be’, se doveva essere completamente onesto con se stesso, aveva raccolto ciascuno di quei libri con un certo affetto e gli doleva ogni volta, quando dopo quattro o cinque decenni, si trovava costretto a sacrificarne uno per mantenere la copertura della libreria. Dopo si consolava andando a fare quello che gli umani avrebbero definito “shopping compulsivo” nelle librerie più prestigiose e mangiando il cibo più prelibato ed esotico che riuscisse a trovare nei paraggi. 

Ogni tanto, quella mattina, il suo sguardo correva al telefono, sentiva un rumore e sperava (spesso immaginava) che si mettesse a squillare. 

“Scusi, quanto viene questo libro?” gli chiese l’uomo di prima, un quarantenne interamente vestito di tweed e con i capelli brizzolati. Sembrava un professore.

Azraphel dovette impedirsi di alzare gli occhi al cielo per il fastidio nel vedere che aveva fra le mani la copia autografata da J. K. Rowling.

“Purtroppo questo libro è già prenotato” disse Azraphel togliendo con un gesto deciso il libro dalle mani dell’uomo e facendo comparire un foglietto con la scritta Da ritirare martedì e mostrandoglielo.

Lui si tirò gli occhiali sulla punta del naso e strabuzzò gli occhi. “Io... mi scusi. Sono sicuro di non averlo visto prima.”

Azraphel sorrise accondiscendente. “Non si preoccupi, ho un’altra copia in magazzino”, e ne fece comparire una da una libreria nei paraggi con una rilegatura che lui reputava piuttosto carina.

“Questa non è firmata” disse stizzito l’uomo, prendendo il libro fra le mani con aria che parve quasi disgustata.

“E non è nemmeno prenotata” sottolineò Azraphel con un sorriso appena un po’ sadico. Non poté impedirsi di pensare che Crowley sarebbe stato piuttosto fiero di quel sorriso in quel momento se avesse potuto vederlo. Si chiese quante altre cose avesse acquisito per una sorta di osmosi col demone nel corso dei millenni.

Per dir la verità, non poté impedirsi di pensare a Crowley, semplicemente. 

A malapena si accorse che l’uomo spiacevole di prima usciva insoddisfatto dal suo negozio. 

Si rese conto che Crowley non era una nuova costante dei suoi pensieri. Non era qualcosa di pressante ed oppressivo che gli riempiva le giornate, ma qualcosa di più fugace e profondo al tempo stesso. Qualcosa da cui era riuscito a distrarsi nell’ultimo decennio perché aveva impiegato anima e corpo in quella che credeva fosse l’unica speranza di impedire una guerra che avrebbe distrutto la Terra per come la conosceva, lavorando a stretto contatto con... Crowley. Ma prima di questo c’erano stati pensieri qua e là durante la giornata, mentre prendeva un tè in un banale bar in periferia o assaggiava qualcosa di mai provato prima o quando si imbatteva in qualcosa di malvagio probabilmente escogitato da lui. “Chissà cosa starà facendo in questo momento”, si domandava. “Chissà cosa mangia, se sta bene, se ancora gli serve l’acqua santa.”

Era stato quell’ultimo pensiero, il secolo precedente, a spingerlo a recuperarne una quantità sufficiente per riempire un thermos con decorazioni tartan e a farsi comparire nell’auto dell’altro. Checché se ne dicesse, anche lui aveva un che di drammatico e sapeva fare delle grandi entrate ad effetto. Comunque, se ci rifletteva, sapeva che ciò che lo aveva spinto a tradire quello che riteneva il suo Codice, la sua morale, la sua fazione angelica, era stata la pura, banale, semplice, voglia di vederlo dopo quelli che erano stati pochi decenni. E sapeva altresì che ciò che lo aveva bloccato fino a quel momento dal procurargli l’acqua santa era la paura concreta che in un futuro potesse davvero utilizzarla. Se ci pensava, lui e Crowley avevano finito per incontrarsi sempre più spesso, da quella prima volta nell’Eden. A volte era stato dopo diverse centinaia di anni, poi erano diventati decenni e... adesso? Adesso dopo poche ore dall’ultima volta che l’aveva visto gli lasciava un messaggio in segreteria chiedendogli di uscire con lo stesso bisogno impellente che avrebbe avuto se non si fossero visti per millenni. 

Si sentì molto stupido in quel momento e per un attimo, mentre calcolava che erano già passate diverse ore da quando gli aveva lasciato quel messaggio in segreteria, desiderò poter tornare indietro nel tempo e impedirsi di farlo. Otto ore, per la precisione.

Si odiò ancora di più nel realizzare di essere a conoscenza di questo particolare e di starsi chiedendo se Crowley lo avesse già sentito.

Poi, proprio quando stava per precipitare in un tunnel di autocommiserazione che sarebbe finito in un ristorante giapponese in cui avrebbe approfittato di quello spaventoso all you can eat, il telefono squillò. Saltando su dalla sedia sulla quale si era seduto, si prese un momento per ricomporsi e rispose.

“Crowley?” chiese, cercando di nascondere il proprio entusiasmo misto a sorpresa.

“In genere non si risponde ‘pronto’?” scherzò di rimando l’altro, ed Azraphel lo immaginò appoggiato con una mano al tavolo nel suo studio, una gamba sopra l’altra a picchiettare il piede per terra, gli occhiali calati o abbandonati da qualche parte e i capelli arruffati dopo essersi alzato dal letto e...

“Ehilà, angelo?” lo scosse Crowley dai suoi pensieri.

“S-sì, ci sono” deglutì Azraphel. “A cosa devo questa lieta telefonata?” chiese cercando di tornare in sé.

“Ma come, non mi avevi chiesto di uscire?” ribatté Crowley e Azraphel avrebbe preferito essere esorcizzato una seconda volta dal Sergente Shadwell piuttosto che affrontare l’imbarazzo che stava provando in quel momento. 

“Io... sì. Quindi verrai? O preferisci fare qualcos’altro? Perché ci sarebbero altre cose che potremmo fare o altri posti-“ buttò fuori Azraphel velocemente.

“Angelo, il Globe va bene. Magari in tua compagnia saprò godermi Shakespeare come non ho saputo fare l’ultima volta” scherzò Crowley, ed Azraphel si sentì immensamente più leggero e a suo agio.

“Insomma, Crowley! Shakespeare era un genio, e non dubito affatto che anche senza il tuo aiuto avrebbe fatto molta strada” affermò Azraphel, infervorandosi come sapeva fare solo con le cause che gli stavano davvero a cuore. 

“Dici che aver fatto apprezzare ‘Almeto’ e averlo salvato ben due volte dalla peste non abbiano minimamente influito sulla sua carriera professionale?” disse Crowley in risposta, suonando piuttosto canzonatorio.

“Be’, se la metti in questo modo...” cercò di ritrattare Azraphel, senza trovare nulla da dire. 

“Quindi a che ora stasera?” 

“Lo spettacolo inizia alle 9” rispose Azraphel, ben sapendo cosa avrebbe chiesto Crowley in risposta.

“Soliti posti?” 

“Sì, certo” rispose.

“Come sei abitudinario, angelo” disse Crowley, e per un attimo sembrò un tono quasi affettuoso. Ma ovviamente, nell’istante in cui questo pensiero gli balenò in testa, Crowley tornò ad essere il demone di sempre e senza dargli il tempo di rispondere al saluto, riattaccò.

 

 

 

Quello che non sapeva, troppo distratto per accorgersene, era che così come era successo al suo amico, il nome di Crowley si stava formando, lentamente, sul suo dito, passando dal rosso leggero di una cicatrice ad un color pece.

 

 

 

Più tardi, Crowley si stava provando dei vestiti. Era una cosa normale, per lui, così attento a seguire la moda del tempo che viveva, ma non poteva ignorare che quella sera stesse prestando particolare cura alla scelta del proprio abbigliamento. 

Finì per indossare una camicia nera dal colletto coreano e dei jeans neri, con i suoi soliti stivali in pelle. E poi fece comparire un anello da mettere sopra il nome di Azraphel. Non sapeva di cosa si trattasse, ma passato il momento di stupore iniziale aveva deciso di non comunicare la notizia all’angelo e di vedere come si sarebbero evolute le cose. Per quel che ne sapeva, poteva trattarsi di un crudele scherzo d’addio da parte dell’Inferno, o solo qualcosa che avevano usato per mettere in chiaro che adesso apparteneva ad una propria fazione, di cui faceva parte anche un altro membro. 

Si pettinò i capelli all’indietro ed indossati gli occhiali, raggiunse la Bentley e guidò fino alla libreria di Azraphel, che stava uscendo il quell’esatto momento. 

“Sali” disse Crowley a mo’ di saluto, gli occhiali leggermente calati e un braccio a penzoloni fuori dal finestrino. 

“Pensavo di andare a piedi” rispose Azraphel, fissando dritto davanti a se, fingendo una compostezza che sapeva per certo di non possedere. 

“Non salirai nemmeno se ti farò scegliere la musica?” chiese Crowley, con un sorriso mefistofelico, già certo che questo lo avrebbe fatto cedere. 

E infatti Azraphel puntò lo sguardo su di lui per un secondo fingendosi disinteressato per poi giocare velocemente con le mani in grembo. 

“Allora? Ho il cd dei Queen proprio qui-“ lo stuzzicò Crowley, al che l’altro cedette e salì in auto.

“Čaikovskij” disse Azraphel appena salito in macchina, “l’originale. Non l’ultima cassetta rimasta in questa macchina per più di tre settimane e che si è trasformata in una variazione del tema di Another One Bites the Dust. Insisto.”

Crowley roteò gli occhi con area plateale. “Va bene” assentì stizzito. 

Azraphel estrasse una cassetta dalla tasca della giacca, e Crowley notò che le sue vesti, come al solito, erano così bianche da risplendere al buio.

“Aspetta, ma te lo eri programmato?” chiese Crowley, distogliendo lo sguardo dalla guida e premendo sull’acceleratore.

Azraphel sorrise soddisfatto mentre la musica riempiva la Bentley. “Mi chiedi ogni volta che andiamo a teatro di accompagnarmi, la prima volta che accetto il passaggio credo di poter decidere un piccolo insignificante dettaglio.” E con questo lo guardò, le braccia conserte e un’aria di sfida.

“Sei subdolo, angelo. Mi piace” disse prendendo una curva all’ultimo secondo, e mentre si trovavano avvolti un una cacofonia di clacson e normalmente Azraphel si sarebbe aggrappato al cruscotto inveendo contro la sua pessima guida, Crowley lo sorprese a ridere sguaiatamente e si prese un secondo per guardarlo, mentre col finestrino abbassato una folata di vento gli scompigliava i capelli. 

Con un suono stridente parcheggiò in un posto a pochi metri dal Globe, dove lo spettacolo era già iniziato.

“Non pensavo fossimo in ritardo!” esordì Azraphel, camminando velocemente. 

“Forse, se non avessi voluto a tutti i costi finire di sentire Danza de los cisnes non saremmo arrivati in ritardo” ribatté sibillino Crowley, camminando tranquillamente con le mani calcate nelle tasche dei pantaloni.

“Era davvero troppo bella per interromperla, e non fingere che non ti sia piaciuta” lo accusò Azraphel, quando furono di fronte al teatro.

“Diciamo che non mi ha completamente disgustato”, concesse l’altro. 

E con uno schiocco di dita, erano lì: sul tetto del Globe. Durante la ristrutturazione, avevano inserito una piccola nicchia, invisibile agli altri, da dove potevano osservare lo spettacolo nella sua interezza o ignorarlo completamente. All’inizio Azraphel era stato contrario alla cosa, ma abituatosi a quel piccolo lusso smise di fare obiezioni. E così, con le gambe penzoloni, si ritrovarono a guardare “Amleto”, dopo che dettagli erano stati cambiati, gli attori migliorati, le attrici donne inserite nel cast. In effetti, Azraphel aveva sempre provato una forte tenerezza nei confronti di Ophelia, pazza di amore per Amleto, l’uomo che aveva ucciso suo padre e che nell’apprenderlo aveva perso il lume della ragione, lasciandosi lentamente trasportare sul fondale di un fiume ed annegare. Diverso tempo dopo, quando John Everett Millais l’aveva dipinta, gli si era quasi spezzato il cuore.

“Essere, o non essere, questo è il dilemma”recitava un attore dai folti boccoli dorati, qualche metro più in basso.

“Siamo arrivati davvero tardi” gemette Azraphel, calcolando a che punto del dramma fossero da quell’iconica battuta.

“Al tempo davvero ti piaceva questa cosa?” domandò Crowley, scettico, il viso appoggiato sul palmo della mano. “O è stato solo un atto di pietà nei confronti di quel povero malcapitato di Will?” 

Sulle prime Azraphel fu sul punto di zittirlo, ma dopo aver riflettuto che ovunque andassero finivano sempre col chiacchierare, si risparmiò la fatica di opporsi a quello che era un avvenimento prevedibilmente abituale.

“No, mi piacciono i drammi umani. E l’approccio che Shakespeare ha avuto nei confronti della morte in ‘Amleto’ mi ha colpito molto, perché ancora adesso gli esseri umani la temono. E qui è la liberazione, un sonno profondo e sereno...” rifletté.

“Secondo te perché ne sono così ossessionati? Voglio dire, le loro religioni gli dicono già cosa c’è dopo.”

“Sì, ma ora che i tempi si sono evoluti gli uomini sono più vicini alla scienza, a ciò che possono vedere e testare. Probabilmente se lo guardano sotto una chiara di lettura critica, la religione non sembra altro che un romanzo fantasy. È come se qualcuno ti avesse chiesto di credere alla Terra di Mezzo e agli Hobbit... certo, il libro c’è, ma è stato un uomo a scriverlo. Cosa rende quel racconto affidabile? E poi, la sfida umana sta proprio in questo: la possibilità di scegliere, una prova da superare.” 

Crowley si tolse gli occhiali e i suoi occhi gialli risplendettero nella notte. “Sei particolarmente loquace stasera” osservò. 

Azraphel si rese conto che era l’agitazione a farlo agire a quel modo. Gli capitava di frequente in sua compagnia e questo lo faceva sempre sentire un completo idiota, ma per quanto cercasse di impedirselo, non ci riusciva. 

“E tu particolarmente silenzioso” disse in risposta.

Crowley non gli toglieva gli occhi di dosso, ed il suo sguardo era così intenso che quasi non riusciva a sostenerlo. “Sto solo ascoltando, volevo provare qualcosa di nuovo” scherzò, anche se il suo tono di voce non rispecchiava la frase che aveva appena detto. 

“Be’, in questo caso... c’è qualcosa di cui gradiresti sentirmi blaterare?” chiese Azraphel, sentendosi improvvisamente a proprio agio. Quello che aveva sempre apprezzato della compagnia di Crowley era il fatto di poter essere se stesso con lui. Non era un angelo a cui render conto o in confronto a cui sentirsi giudicato, ma nemmeno il demone spietato che la sua fazione avrebbe voluto fargli credere che fosse. Crowley era come lui. Profondamente buono, una bontà pura e piena che cercava di tener celata anche a se stesso ma che finiva sempre con l’avere il sopravvento. 

“Preferiresti essere umano?” gli chiese, lasciandolo spiazzato.

“Io...” disse, riflettendoci. “No. Mi piace la mia vita, il modo in cui sono andate le cose, le cose che ho visto e fatto. Ma forse devo dire che non conosco nessuna realtà all’infuori di questa e che pertanto la mia opinione non è oggettiva.”

“A me sarebbe piaciuto, credo. Più di quello che avevo fino al decennio scorso, comunque. Non mi piaceva l’idea di essere parte di un enorme marchingegno e non aver nessuna voce in capitolo, in nessuna decisione. Però sono piuttosto soddisfatto di quello che ho adesso. Libero arbitrio e poteri. Una combinazione perfetta” osservò convinto, dando uno sguardo allo spettacolo che sotto procedeva indisturbato ed ignorato. Dopotutto, non avevano nemmeno pagato il biglietto.

“Ho portato una cosa, angelo” esordì Crowley, facendo comparire un cestino di vimini nella mano. “Se vuoi saperlo, in questa cesta per un breve tempo ha soggiornato l’Anticristo.”

“Adam” lo corresse Azraphel, alzando gli occhi al cielo. “Cos’hai qui?” chiese rovistando nella cesta e trovandovi vino, pane, un vasetto di marmite ed un coltellino.

“Un picnic?” domandò, incredulo.

“Me ne devi uno dal millenovecentosessantasette, angelo” ammiccò Crowley, facendogli l’occhiolino.

Azraphel ricordava quel momento. 

Ma chissà, forse un giorno potremo...non so, fare un pic-nic. Cenare al Ritz… 

“Abbiamo avuto già diverse cene al Ritz, mi sembrava arrivato il momento per qualcosa di più informale” asserì sminuendo la cosa con un gesto della mano e prendendo una fetta di pane. 

Azraphel stappò una bottiglia e versò un bicchiere per ciascuno. Poi, guardando all’interno della cesta e accorgendosi che l’aveva riempita interamente di vino se non per un paio di pagnotte di pane, osservò: “Sei stato generoso con le dosi.”

Crowley sorrise e si limitò a scuotere le spalle. “Credo solo che tu dia il meglio di te dopo un paio di bottiglie.”

L’angelo non poteva dirsi d’accordo, però il vino era davvero buono, tant’è che guardando lo spettacolo in basso ne finirono un’accettabile quantità.

Poi Azraphel si accorse che Crowley portava un anello nero che non gli aveva mai visto prima, ma fu presto distolto dal movimento delle mani dell’altro che svitavano il barattolo di marmite e ne spalmavano una dose generosa sulla fetta di pane, per poi passargliela. Ripeté l’azione e ne addentò un morso generoso.

“Non fare quella faccia, ho portato pure i bicchieri” sottolineò Crowley, scuotendo la testa con fare esasperato. 

“Non era così che lo avevo immaginato” puntualizzò Azraphel, mangiando un pezzo del dolce. 

Crowley inarcò il sopracciglio. “E come lo avevi immaginato, di grazia?”

“Be’”, Azraphel si mise con la schiena appoggiata alla nicchia, la sua gamba sfiorò quella dell’altro. Forse avrebbe dovuto spostarla per educazione, ma non lo fece. “Più umano. A St. James Park, probabilmente. Le anatre in un angolo, dar loro informazioni false... un gelato.”

“Sei incontentabile” disse Crowley, dandogli una lieve spinta scherzosa. “Nulla toglie che potremo fare anche quello, comunque” osservò, finendo ciò che rimaneva della fetta di pane e infilandosi un dito in bocca trovandolo sporco.

“Sei pieno di briciole” rise Azraphel, togliendogliene un po’ dalle guance, mentre Crowley sorrideva sotto i suoi polpastrelli. Ed è in quel momento che come sono iniziate, le risate finiscono. 

Azraphel guarda Crowley dritto negli occhi, e lo sguardo che il demone gli lancia in risposta è così intenso da farlo arrossire leggermente. Le sue pupille sono così dilatate da coprire quasi interamente l’iride gialla. Poi Azraphel abbassa lo sguardo, e Crowley è convinto che sia per stemperare la strana tensione che sente essersi creata nell’aria, ma invece di guardare per terra o giù allo spettacolo, Azraphel guarda le sue labbra con aria attonita. 

“Per Dio” esala Crowley come un sibilo di frustrazione, prendendogli il viso fra le mani e baciandolo. 

Azraphel emette un piccolo verso, ma dopo un secondo le sue mani sono nei capelli dell’altro, lo tengono stretto, e con tutt’altro che il fare impacciato che si sarebbe aspettato, gli infila la lingua in bocca. Crowley ansima, lo prende per il davanti della camicia e inclina la testa, sente il sapore della marmite mangiata poco prima, il profumo di Azraphel, il modo in cui si muove sotto le sue mani, le sue labbra morbide contro le sue e si chiede perché diavolo hanno aspettato così tanto per farlo.

È un bacio caldo, rude e bagnato, frettoloso, approssimativo. Il fiato dell’altro gli rinfresca il viso, si chiede fino a che punto possa essere arrossito, ma in quel momento nient’altro conta, c’è solo quel bacio, quei denti, quelle mani che si infilano sotto i vestiti e premono con forza la pelle... 

“Vai troppo veloce per me, Crowley” esala Azraphel, le guance arrossate e i capelli scompigliati, la camicia stropicciata. Crowley ricorda quando glielo disse nel 1967 e pensa che avrebbe dovuto fare quello che ha fatto adesso anche allora. 

“Sta’ zitto” ansima Crowley in risposta, e lo bacia di nuovo. Da quel momento, stranamente, nessun’altra protesta uscì più dalla bocca di Azraphel.

 

 

 

 

Quello che entrambi ignoravano era che, sul libro delle ‘Belle e Accurate Profezie di Agnes Nutter’ alla pagina a cui Azraphel l’aveva abbandonato aperto nella sua libreria, si potessero leggere le seguenti parole: 

 

 

    Quando il mondo rotolerà verso un drappo di tessuto, e il bianco si mischierà al nero, e il rosso al bianco e il rosso al blu, allora e solo allora le parole più antiche verranno svelate e rese visibili.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA:

Eccoci qui, mi sono accorta che dall’ultimo aggiornamento è passato un mese   o_O

Cercherò di rimediare col prossimo capitolo, che dovrebbe essere l’ultimo. A proposito, come forse avrete notato ho cambiato il rating e sto considerando che potrebbe cambiare ancora.

Comunque, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, un po’ d’introspezione sul personaggio di Azraphel mi sembrava dovuta dopo lo scorso capitolo *-*

Spero di aver mantenuto i personaggi IC perché è una cosa a cui tengo molto.

Grazie di aver letto e di aver recensito lo scorso capito e questo (in anticipo) *-*

ci sentiamo al prossimo capitolo ^-^

 

-Aaanatema 

   
 
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