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Autore: Adho_Bri    19/09/2019    11 recensioni
[Storia Interattiva a cura di _Bri_ e AdhoMu. Iscrizioni chiuse] SOSPESA
A.A.A. GIOCATORI CERCASI!
A te, baldo giovine o donzella, che hai sempre sognato di unirti alla tua squadra e difendere i colori della tua Casa, di volare insieme a Harry Potter e di sbaragliare Draco Malfoy (o viceversa) e, soprattutto, di lavorare fianco a fianco con i quattro migliori Capitani di sempre: fatti avanti senza più esitare, le selezioni sono aperte!
Genere: Avventura, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cedric Diggory, Maghi fanfiction interattive, Marcus Flint, Oliver Wood/Baston, Roger Davies
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Capitolo 4. Corvonero VS Tassorosso.
 
 
[ Hogwarts, 1 Novembre 1993 ]
La notizia della presenza del famigerato, pluriomicida Sirius Black all’interno della scuola, aveva gettato panico fra studenti e professori. I primi erano dunque stati rispediti in Sala Grande, dove avrebbero passato la notte in sicurezza, mentre il corpo insegnante e alcuni auror richiamati appositamente per l’occasione, avrebbero scandagliato l’intero perimetro di Hogwarts.
Megan non aveva nemmeno fatto in tempo a mettersi comoda nel proprio dormitorio, che come tutti i suoi compagni era stata rimandata nella Sala dove non più di un paio di ore prima si era tenuta la festa di Halloween. Nel percorrere i corridoi assieme agli altri Tassorosso, Megan scorse una figura più che conosciuta, visibilmente agitata nel parlare con la professoressa Sprout. Svicolò quindi qualche compagno, per raggiungere la maggiore delle sue sorelle:
- Signorina Jones, torni subito insieme ai suoi compagni, non è sicuro gironzolare in giro. – La ammonì la referente di Tassorosso e con quelle parole arrivò il consenso di Hestia: - La professoressa Sprout ha ragione, Megan… -
La vice capitano sbuffò sonoramente: - Se non posso approfittare di te, che senso ha avere una sorella auror? Mi vuoi dire cosa è successo? –
- Appunto: sono un’auror, Meg… sono qui per lavorare ed assicurarmi che voi tutti restiate al sicuro, te compresa. Ora per piacere torna dal tuo gruppo e non farmi preoccupare. -
- Ma io… -
- Non mi costringa a decurtare punti alla nostra casa, signorina Jones. -
Megan tornò, affranta più che mai, in coda con gli altri Tassorosso. Confluiti con gli studenti delle altre case, prese a cercare un posto dove coricarsi ma, puntuale, arrivò un picchiettio sulla spalla.
- Nuovamente qui, sarà il destino a volerci vicini questa notte? -
- Non sono in vena per le tue cretinate Entwhistle… trova qualcun’altra da importunare, grazie. -
A Vinnie, vestito di canotta e pantaloni tema Star Wars, era avvinghiata la sorellina Meline, una slanciata e dinoccolata dodicenne tassorosso del secondo anno. Quando se ne rese conto, Megan arrossì notevolmente e si scusò a mezza bocca con la compagna di casa per come si era rivolta al fratello.
- Troppo poco, Kevin va trattato molto peggio di così. – Rispose Meline, senza però staccarsi dalla vita del fratello.
- Capisci come mi tratta? – il ragazzo diede uno scappellotto bonario dietro la nuca della piccola Entwhistle, - Però come sei corsa subito da me, appena hai saputo che un terribile assassino si aggira per la scuola. Ingrata. -
Le labbra di Megan si tinsero di un sorriso mesto. Vedere la sintonia fra quei due fratelli, in quel momento, l’aveva depressa ancor più. Una volta accompagnata Meline dalle sue amiche e controllato che fosse ben circondata, Kevin tornò da Megan, intenta nel frattempo a sistemare con rabbia malcelata un cencioso sacco a pelo, accucciandosi al suo fianco.
- Cosa sarà mai successo nel giro di un’ora, da far sparire il tuo bianco sorriso? Non fare quel broncio e racconta tutto a zio Kevin, su. -
Inizialmente rimostrante, quando Megan si rese conto che il corvonero non si sarebbe scollato tanto facilmente, sbuffando gli concesse di sistemarsi accanto a lei.
- Mia sorella è qui… mia sorella maggiore per la precisione. A differenza di Gwen adoro che Hestia si palesi nella mia vita, però è qui in veste ufficiale; la storia di Sirius Black… è un auror, sai. -
- Uhuh, una famiglia importante, i Jones. – Vinnie poggiò il mento sulle mani, - Quindi quale è il problema? -
- Il problema è che mi ha liquidata in un secondo. Dico io, non ci vediamo mai e questo è il modo di trattarmi? Poteva dimostrarsi un minimo più calorosa quantomeno… invece è più gelida di Gwenog. -
Megan trovò stranamente semplice aprirsi con Kevin, principalmente perché, dovette ammettere la strega, il ragazzo si era rivelato un ottimo ascoltatore. Quando Megan titubò nel raccontargli della sua più che numerosa famiglia, elogiando ogni singolo membro di essa, Vinnie non fece nemmeno un solo commento a riguardo; l’unico momento in cui il ragazzo si permise di farsi una sonora risata, fu quando lei nominò quel casinista beota di Rhys il quale, a quanto pareva, lavorava più o meno stabilmente in una riserva di Gallesi verdi.
- Sono sicuro che andremmo più che d’accordo, tuo fratello ed io! -
- Nella malaugurata ipotesi vi doveste conoscere, dovrei pregare ogni notte per evitare che vi rinchiudano ad Azkaban. -
Megan continuò passando in rassegna tutti: sua madre Glenda, suo padre Aeron; gli occhi le si illuminarono quando parlò di suo nonno Bran, decisamente il suo preferito fra la sua numerosa famiglia assieme ad Hestia, la maggiore delle sue sorelle. Decantò le lodi del maggiore dei suoi fratelli, Owen, ma arrivata a Gwenog si interruppe di botto.
- So bene chi è, ce li ho anche io i poster delle Holy appesi sopra il letto, che ti credi. -
Con quella provocazione, Vinnie si aspettava che Megan cominciasse a dare di matto, eppure non accadde. Al contrario, la tassorosso si rabbuiò ancor più e tirò il bordo del sacco a pelo in cui era chiusa fin sopra il naso.
- E quindi Gwenog è il tuo punto debole, se ho ben capito. -
Gli occhi di Megan scattarono in quelli verdi di Vinnie. Solo dopo un lungo sospiro, la ragazza confessò dei grandi complessi di inferiorità nei confronti di sua sorella, ovvero quella favolosa, campionessa di Quidditch, davanti alla quale lei non poteva che ritenersi una nullità.
- Senti Meg. – Sussurrò il corvonero, prima di chiudere definitivamente gli occhi.
- Mh… che c’è? – sbadigliò lei, provata dalla lunga confessione e desiderosa di addormentarsi il prima possibile. Neanche aveva fatto caso che il ragazzo l’aveva chiamata quasi per nome.
- Comunque andrà la partita, voglio che tu sappia che non devi sentirti inferiore a nessuno. Se hai bisogno di iniettarti un po’ di autostima, passa nel nostro spogliatoio a fine match. -
- Sei proprio un imbecille, Entwhistle! -
- Generoso sarebbe il termine più appropriato da utilizzare. –
 
[ Corridoio del terzo piano, 2 Novembre 1993 ]
Quello che Morag aveva appena visto le apparve particolarmente bislacco. Fianco a fianco di sua sorella, si stava avviando verso la biblioteca; non avrebbe voluto dedicare quelle ore libere dalle lezioni al ripasso del tedioso programma di Storia della Magia del terzo anno, ma Isobel l’aveva letteralmente implorata (fu molto imbarazzante quando la vide mettersi in ginocchio in Sala Comune, con le mani giunte e una lagnosa preghiera in bocca), così dopo averla brutalmente fatta alzare, Morag aveva deciso di darle una mano. Avrebbe dovuto iniziare a cavarsela da sola senza fare sempre riferimento a lei, questo stava pensando il portiere quando i suoi occhi chiari videro, nel corridoio del terzo piano, un gruppo davvero improbabile di studenti: vestito di tutto punto, Justin Finch Fletchley sembrava particolarmente serio e parlottava a bassa voce con Penelope Clearwater, corvonero anche lei, Hermione Granger e un ragazzino minuscolo ma riconoscibile, visto che portava sempre con sé una macchina fotografica; a chiudere la fila nientepopodimeno che Nick-quasi-senza-testa e Mrs Purr, quell’orrenda e fastidiosa gatta del custode Gazza. Questo atipico gruppo procedeva solenne, ma quasi nessuno sembrava fare caso a loro. Quando raggiunsero l’altezza di Morag, quest’ultima scambiò un rapido sguardo con Justin il quale, accennato un flebile sorriso, chinò appena il capo in segno di saluto per poi proseguire sulla propria strada.
Molto, molto strano, pensò Morag.
- Ehi, ti sei incantata? Andiamo, su! – La voce di Isobel la distrasse dai propri pensieri.
- Oh… si, andiamo; abbiamo poco tempo e Priscilla solo sa quanto dovrò sbuffare, per farti entrare qualcosa in quella testa. -

[ Bagno femminile del terzo piano, 2 Novembre 1993 ]
Justin varcò per primo la porta del bagno, in religioso silenzio. Le mani congiunte dietro la schiena, la postura quanto mai eretta, lo sguardo più serio che mai. Le iridi cianotiche si persero nelle maioliche mosaicali che rivestivano il bagno e poi si spostarono più in là, laddove si scontrarono con l’immagine lattiginosa di una ragazza stranamente silenziosa. Fu a quel punto che Justin sorrise:
- Siamo felici di averti qui con noi, Mirtilla. Gradiremmo ci facessi compagnia per tutto il tempo che desideri. -
Gli occhioni coperti da spesse lenti incorporee erano già sul rotto del pianto, eppure Mirtilla Malcontenta parve ingoiare le lacrime. Justin sapeva che quel giorno non avrebbe dato di matto come suo solito e che, al contrario, avrebbe assecondato l’inusuale cerimonia, bisognosa anche lei di essere compresa da qualcuno.
Ma Justin, al contrario, sentì le lacrime salire agli occhi. Li chiuse lentamente e cercò dentro di sé un respiro abbastanza profondo che gli avrebbe permesso di non cedere. A supportarlo trovò la mano di seta di Penny, posata sulla sua spalla.
- Non dobbiamo farlo per forza, se non ce la sentiamo; lo sai, vero? -
Il tassorosso fu grato della delicatezza della ragazza; l’uso al plurale lo aveva fatto sentire meno sciocco e più compreso, in quel giorno che avevano scelto per commemorare la vita.
- Tranquilla principessa di Itaca; la mia non è che commozione di gioia. -
Fu Hermione Granger a farsi avanti, a quel punto. Dopo aver tossicchiato flebilmente, estrasse dalla tasca la pergamena sulla quale aveva appuntato il proprio discorso e, posizionatasi davanti al rubinetto con la riconoscibile testa di serpente, trasse un respiro e osservò ognuno di loro: il piccolo Colin si apprestò a scattare un’istantanea per l’occasione; ser Nicholas assunse una posizione militaresca e accolse la presenza di Mirtilla, che era fluttuata al suo fianco silenziosa e cupa; Justin e Penny, rispettivamente principe e principessa di Hogwarts, si scambiarono uno sguardo prima di dedicare attenzione ad Hermione. Mrs Purr strusciò fra le gambe dell’uno e dell’altra, trovando infine il proprio posto ai piedi della grifondoro.
- Vi ringrazio di avermi onorata con questo ruolo. Ho pensato a lungo a queste parole, prima di riuscire a formulare un discorso di senso compiuto. Non è stato facile, come non lo è stato tornare alla vita di tutti i giorni, dopo quanto successo lo scorso anno… - Hermione prese una breve pausa, poi regalò ai suoi ascoltatori un caldo sorriso e uno sguardo riconoscente, infine proseguì: - …eppure credo sia per noi importante tenere a mente di essere dei sopravvissuti e, per questo, grati di avere ancora una vita da vivere. -
Il monologo di Hermione andò avanti per un bel po’, strappando in più di un’occasione la commozione dagli occhi, viventi e non, dei presenti. Justin ascoltò attentamente ogni singola parola, mentre la testa fluttuava in pensieri complessi: tante cose erano cambiate dallo scorso anno, da quando aveva avuto il suo spiacevole incontro con il Basilisco. A ripensarci, il principe sentiva arcigni brividi pervadergli il corpo tutto. Fino a quel momento non era stato che un mago come tanti altri, notevolmente spensierato; del resto la vita aveva girato a suo favore: nato babbano, la lettera di Hogwarts aveva rappresentato per lui un portone dorato, oltre il quale grandi possibilità lo stavano attendendo. Era entrato in Tassorosso senza sapere praticamente nulla del mondo magico, tantomeno delle case, ma mai una volta aveva pensato che quella di Tosca la saggia non fosse per lui appropriata. Justin aveva subito stretto salde amicizie con compagni buoni e fedeli, che lo avevano accolto con allegria fra di loro e dal primo giorno di scuola non aveva mai avuto modo (fortuna sua), di scontrarsi con grandi problemi.
Justin Finch Fletchley aveva tutto quello che un ragazzo della sua età poteva desiderare: una bellissima e facoltosa famiglia alle spalle, un gruppo nutrito di amici, il bell’aspetto e ottime capacità nel Quidditch.
Ma l’incontro con il Basilisco lo aveva totalmente cambiato. A seguito del suo “risveglio”, Justin era diventato cupo, teso, triste. Il terrore lo accompagnava in ogni momento della giornata e non faceva altro che pensare alla morte, la quale si sarebbe potuta presentare a lui in qualsiasi momento. E come lui, gli altri compagni presenti in quel bagno, inclusa Mrs Purr e il fantasma di Grifondoro, entrambi vittime della pietrificazione.
Poi le cose avevano cominciato a migliorare dopo che Penelope Clearwater si fu presentata alla porta della sua Sala Comune, chiedendogli di parlare. Era stata proprio lei ad organizzare il primo incontro di quel gruppo di mutuo aiuto, che per Justin rappresentò la salvezza. Il suo pensiero cominciò a mutare rapidamente: alla paura della morte si sostituì la felicità di essere sopravvissuto, di avere ancora una vita da vivere serenamente e grandiosamente. Gli attacchi di panico svanirono pian piano, incontro dopo incontro, assieme a piccoli, tesissimi sorrisi, che divennero col tempo sguaiate risate di cuore.
Justin aveva sconfitto un mostro quasi invincibile; per questo propose di celebrare da quell’anno in poi, l’incontro con il Basilisco. Quell’incontro che doveva rammentare a loro tutti, compresi i trapassati, che non bisogna sottovalutare la possibilità di superare i problemi e le difficoltà. Justin aveva avuto l’occasione di andare oltre e lo avrebbe ricordato per sempre, finché la Morte non sarebbe davvero giunta da lui, ma solo nel momento giusto.
 
[Sala Grande, 3 novembre 1993]
L’incursione di Sirius Black all’interno delle mura del Castello aveva comportato ripercussioni di entità variabile. Una delle più collaterali e, forse, inattese, fu l’arrivo, tre giorni dopo il fattaccio, di una comunicazione ufficiale da parte dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche del Ministero. L’annuncio, letto in Sala Grande durante la cena, diceva pressappoco così:
In seguito all’aggressione verificatasi la sera del 31 ottobre ai danni dell’esimia Custode della Torre di Grifondoro, altresì nota come Signora Grassa, l’URCCM si riserva di eseguire adeguati controlli per favorire la sicurezza degli studenti di Hogwarts.
Tutti i proprietari di creature magiche, di qualsiasi specie, sono quindi tenuti a presentarsi in Sala Grande il pomeriggio del 4 novembre in compagnia delle loro mascottes, affinché le formalità predisposte possano essere svolte con la dovuta celerità.
Silvanus Kettleburn,
Capo dell’URCCM.
- Kettleburn? – si stupì Alicia, in quel momento intenta a cospargere di miele di eucalipto un waffle spesso come un copertone. – Lo stesso Kettleburn che lavorava qui?
- Sì – confermò Ritchie che, per una qualche ragione non ben nota ai più, sembrava padroneggiare l’argomento. – Il nostro ex professore di Cura delle Creature Magiche. Dopo la pensione, ha assunto la carica di Direttore dell’URCCM...
- Strano, però – commentò Jimmy, la forchetta ancora a mezz’aria. – Perché mai dovrebbero interessarsi ai nostri animaletti?
- Per un motivo molto semplice – chiarì subito Percy Weasley che, in qualità di Caposcuola, era sempre informato dei fatti. – E cioè che la Signora Grassa, interpellata, ha farfugliato un qualcosa del tipo “quella bestiaccia gli ha aperto la porta”.
- “Bestiaccia?” – si stupì sua sorella Ginny, seduta poco lontano. – Di che genere di bestiaccia stava parlando?
Percy scosse la testa.
- È proprio questo che non sappiamo. – Il terzogenito Weasley si alzò in piedi e spolverò distrattamente la manica del cardigan coperta di briciole. - Alcuni altri suoi spezzoni di frase, però, farebbero intuire una connivenza da parte di uno degli animali domestici che vivono nel Castello. L’URCCM orienterà le indagini proprio in questo senso, pare.
 
[Dormitori femminili di Corvonero, notte fra il 3 e il 4 novembre 1993]
Fogliame lucido. Siepi di bosso.
Meandri, bivi, sentieri tortuosi, vicoli ciechi.
Una svolta, un’altra, un’altra ancora: passo accelerato, respiro affannoso. Tutt’intorno, silenzio ovattato rotto da fruscii misteriosi.
Ansia crescente, smarrimento, claustrofobia.
Nascosto nell’ombra, un essere occulto che subito sparisce nel fogliame. Un leone? Un wampus?... o forse... una Sfinge?...
C’è qualcosa che pende da quel rametto. Appeso ad una catenella, un piccolo oggetto brillante... oltre la curva, uno scintillio più intenso s’impone però sulle tenebre, catalizzando l’attenzione su di sé.
Ed eccola, infine, finalmente visibile.
Una grande coppa dorata, con manici simili a due ampie orecchie sporgenti.
Mandy si tirò su a sedere, sforzandosi freneticamente di ricucire insieme i brandelli di sogno che, inesorabili, le scivolavano via fra le dita.
Un labirinto. Una coppa.
La ragazza strinse le labbra. C’era dell’altro, ne era consapevole. Un dettaglio importante che lei, però, non era riuscita a trattenere.
 
[Sala Grande, pomeriggio del 4 novembre 1993]
Gli studenti proprietari di animali domestici (più o meno) magici affluivano lentamente in Sala Grande per assolvere ai controlli predisposti dall’URCCM, in un rimbombare disordinato di versi, stridii, zampettii, frulli d’ali e richiami di ogni tipo.
Varcata la soglia Jimmy e Alicia, rispettivamente muniti di Bruce e Uluru, si fermarono un attimo per orientarsi. Insieme a loro c’era anche Ritchie, che quel giorno non aveva niente di meglio da fare; sfruttando i diversi centimetri in più di statura che gli permettevano di svettare sulla maggior parte dei presenti, il ragazzo avvistò di lontano i membri del tanto decantato servizio di sicurezza.
- Ci sono delle file ordinate in base alla specie – spiegò ai compagni. – Sulla destra: rospi – Ritchie indicò una fila dalla quale proveniva un intenso gracidare. - Poi gatti e, subito a fianco, gufi e affini. – A giudicare dal chiasso, felini e pennuti si contendevano il primato di Bestie Più Rumorose del Mondo Magico. - Dopodiché, mi pare, topi... poi, quelle dovrebbero essere le Puffole...
- E io dove accidenti vado? – domandò Alicia un po’ disorientata, mentre Jimmy si avviava verso la fila “rospi” per unirsi a Neville Paciock, che stringeva fra le mani il suo Oscar, e a Vinnie Entwhistle, sulla cui spalla riposava un minuscolo batrace dall’aspetto vivacissimo.
- Uhm. Credo che Uluru rientri nella categoria “altro”.
- Oh, benissimo.
Alicia salutò Ritchie, che raggiunse Jimmy e gli altri alla fila di destra, mentre lei si spostava sul lato opposto della Sala. Nella fila “altro” si concentravano tutti gli animali più rari e più strani della scuola, troppo diversificati da poter essere suddivisi in categorie predefinite.
- Ehilà, Spinnet.
- Maxine! Come va, spiffy gurl?
- Benone. Che noia ste procedure, eh? – commentò la Tassorosso, simulando uno sbadiglio.
- A chi lo dici – concordò Alicia. – E questo bel signorino chi è?
- Ah, questo è Joey – sorrise Maxine stringendo al petto una grossa donnola dallo sguardo turpe, abbellita da uno scintillante collarino di strass. – È il mio Jarvey. Mio zio Aurelius l’ha salvato, ancora cucciolo, dall’attacco di un falcone, una volta che si stava recando a spasso nel bosco. Da allora lo curo io. Saluta Alicia, zuccherino...
- Ciao, bellagnocca – disse Joey.
Alicia scoppiò a ridere fino alle lacrime.
- Scusalo – bisbigliò Maxine che, in realtà, non era per nulla imbarazzata. – I Jarveys amano le trivialità, sai.
- Troppo forti – decretò la Grifondoro, tirando su col naso.
- Avanti il prossimo.
Una voce bassa e un po’ graffiante interruppe il chiacchiericcio delle due ragazze.
Alicia si girò e mosse il piede per raggiungere la cattedra; dopo un passo, però, si arrestò, esitante. Davanti a lei c’era un uomo di mezz’età, alto, completamente vestito di nero e dallo sguardo ceruleo, gelido come il ghiaccio. Appollaiata sulla sua spalla, un’enorme cornacchia nera come la notte si guardava intorno facendo schioccare il becco affilato. Il cartellino d’identificazione posato sul tavolo recava scritto: Walden Macnair. URCCM, Sezione Speciale.
- Nome e cognome.
- A-Alicia. Alicia Myaree Spinnet.
L’uomo strinse gli occhi.
- Possiede un animale?
- Sì... – Alicia deglutì e tentò di posare Uluru sulla cattedra, ma l’ornitorinco prese a divincolarsi e a stridere come un pazzo, cercando invano di liberarsi. Evidentemente, neanche lui simpatizzava con il loro tetro interlocutore. – Questo è... è...
Le iridi celesti dell’uomo parvero dilatarsi mentre, davanti a lui, l’animaletto si dibatteva terrorizzato.
- ... un Ornithomagicus Australiensis – Macnair, pensoso, lisciò le lucide penne della sua cupa cornacchia, cui si rivolse con un sussurro. – Una specie davvero rarissima alle nostre latitudini, non è vero, Zlatan? (“Nonché un pezzo da collezione assolutamente inestimabile” meditò, correndo col pensiero alla sua adorata Sala dei Trofei - così rifornita che, modestia a parte, il Museo di Storia Naturale di New York non le faceva che un miserrimo baffo).
- Sì – confermò Alicia, assentendo in modo meccanico. – Precisamente.
- Mi mostri il Certificato di Registro, per cortesia.
- Il...? Oh. – la ragazza scosse la testa, confusa.
- Questa è una specie magica esotica, quindi necessita di apposita Autorizzazione per Fauna Non Brittanica. Lo sapeva?
– Ma io... cioè, Uluru vive qui con me da cinque anni... e non mi hanno mai chiesto...
- Non ce l’ha?
- Beh, veramente... insomma, no. Ma...
- Vada pure – la liquidò l’uomo, glaciale. – Riceverà istruzioni in breve.
- S-sì, ma... signor Mac... Macn... insomma: cosa devo...?
- Riceverà istruzioni in breve – ripeté quello. – Avanti il prossimo.
Alicia accarezzò il morbido pelo color tabacco di Uluru e si allontanò titubante, proprio mentre Joey il Jarvey si presentava a Walden Macnair con un sonoro Ciao, stronzone subito seguito dall’acutissimo Mi scusiiii! di Maxine.
 
[Sala Grande, mattina del 5 novembre 1993]
La voce di Roger risuonò intrisa di ghiotto stupore.
- Ma non mi dire...
- Sono serissimo, invece.
Cedric afferrò il manico della tazzina e, facendo attenzione a non far tracimare il liquido che la ricolmava, immerse il labbro nel caffè nero e sorbì con un fare che aveva un che di ufficiale.
- Cedric Antoine Diggory – lo canzonò il Corvonero, facendo seguire alle sue parole un sorriso di perla. - Ti proibisco categoricamente di distrarre le mie giocatrici. Siamo in pieno clima prepartita, debbo ricordartelo?
- Roger Ramón Davies Ayala – replicò il Tassorosso, categorico. – Ma per chi mi hai preso? Prima di urlare al sabotaggio, chiudi il becco e stammi a sentire fino alla fine.
Roger alzò le mani in segno di resa e mordicchiò distrattamente l’anellino di acciaio che gli adornava il labbro inferiore.
- E va bene. Spara, guapo. Sono tutto orecchie.
- Vorrei invitarla ad uscire, e spero davvero che lei accetterà – bisbigliò Cedric, guardandosi nervosamente intorno. – Ho intenzioni serie.
- “Intenzioni serie”?! – ululò Roger, guadagnandosi un’occhiataccia ed un imprecazione volta a fargli abbassare la voce. – Ma smettila! Sono il suo Capitano, mica suo padre!
- Languelingua! Fa lo stesso, idiota!... E comunque – proseguì Cedric, mentre l’altro rischiava di strozzarsi con la sua stessa saliva – glielo chiederò solo a partita conclusa. Va bene?
- Elargimur Nostram Benedictionem – recitò Roger, compunto. – Andate e moltiplicatevi, figlioli cari.
- Qualcuno lo salvi – rise Cedric, scuotendo la testa.
 
[Sala Comune di Corvonero, pomeriggio del 5 novembre 1993]
- No, di prove non ne ho, ma ne sono quasi sicura.
Cho sorrise, chinando in avanti il capo per avvicinarsi alle due compagne.
- Sì, ma su quali basi? – volle sapere Lisa, facendo scorrere le dita fra le lunghe ciocche di capelli lisci che, finalmente, avevano riassunto la loro abituale colorazione chiarissima, mentre Marietta, un po’annoiata dal discorso, faceva spallucce e affondava il naso nell’ultimo numero del Settimanale delle Streghe.
- Perché Roger ha parlato di una sua giocatrice, e perché lui ha detto che, per evitare interferenze, le proporrà l’uscita solo a match concluso.
- Per quanto ne sai, potrebbe anche essersi riferito a Morag, o a Mandy. O addirittura a me.
Cho alzò al cielo i begli occhi scuri dal taglio allungato.
- Sciocca. Tu esci con un suo giocatore. Cedric è troppo corretto per prendere in considerazione una bassezza del genere.
- Uhm. Hai ragione – ammise Lisa, lieta di poter parlare un po’ del suo bel Kevin. – Ma: e quanto alle altre?
- Non mi risulta che Morag e Cedric si siano mai parlati – minimizzò Cho, metodica. – E quanto a Mandy... beh, è Mandy, andiamo. Sarebbe assurdo.
- Oh, beh – commentò Lisa, non del tutto convinta. – Ma tu, hai chiesto delucidazioni a Roger?
- Certo. Ma col cavolo che si è scucito, quello.
- Strano...
- Già. Però senti – insistette Cho, sulle ali  di quell’ottimistica autostima che suole muovere tutte le ragazze dannatamente popolari. – Mi ha guardata per un secondo in più del dovuto, stamattina. E non è la prima volta. Ne sono quasi sicura.
- Ah, ma allora – chiosò Lisa, alzandosi di scatto per scendere al chiostro principale, ove si era data appuntamento con Kevin – direi che sei a posto, Fiore di Ciliegio.
 
[Aula di Pozioni, Sotterranei del Castello, 6 novembre 1993]
Neil lanciò un’occhiata alla sua immagine riflessa nel vetro di una vecchia teca polverosa, si aggiustò il colletto della camicia e tirò indietro i capelli chiari sfuggiti all’elastico. Non male. Anche se, di sicuro, la divisa scolastica non era certo la miglior soluzione stilistica possibile. Neil, che non amava le tinte scure, avrebbe preferito di gran lunga poter usare gli abiti chiari  che lui prediligeva sopra ogni cosa, ma purtroppo il regolamento di Hogwarts vietava – forsanche giustamente - che gli alunni andassero in giro abbigliati come diavolo credessero.
- Datti una mossa, biondino – lo derise bonariamente Oliver, mentre, in compagnia di Percy, il Grifondoro si metteva in fila per entrare in classe assieme agli altri studenti del settimo anno sopravvissuti alle scremature di Piton. Barry Summers, che si trovava proprio davanti a loro, girò il capo e ridacchiò:
- Sei più radioso di un’ampolla di Felix Felicis, Mr. Ice.
- Chiudi il becco, Beard-il-barbogio – ribatté Neil, secco. Barry non se la prese, mettendosi anzi a chiacchierare del più e del meno con Elizabeth Coote, la sorella maggiore di Ritchie, e Penny Clearwater, l’altra compagna di Corvonero.
Non appena ebbero preso posto nei banchi, Piton si schiarì la voce e prese parola.
- Oggi faremo un’esercitazione pratica. Dividetevi in coppie, possibilmente senza temporeggiare, grazie.
Il gruppetto si divise velocemente. Da una parte Oliver e Percy; poco lontano, Liz e Penny. E con grande stupore di Barry, che era solito lavorare in coppia con Neil, quest’ultimo si posizionò velocemente accanto al calderone di Gemma Farley, bofonchiando un qualcosa di simile a Stamattina i fondi di tisana mi hanno suggerito di essere innovativo. Il povero Portiere Tassorosso dovette quindi rassegnarsi a prendere posto al fianco di Marcus Flint, che lo accolse con una smorfia intrisa di perfidia e disgusto.
- Che puzza di tasche vuote – commentò il Serpeverde, sprezzante.
- Che puzza di sterco – replicò Barry, tutto allegro. – E dire che il figlio dei contadini sarei io. Che strano, il mondo!
Flint lo guardò, sorpreso e infuriato. Barry Summers non era, solitamente, tipo da ribattere. L’appartenenza alla squadra, evidentemente, gli aveva procurato un’indesiderabile botta di autostima.
- Io con lo sterco ti ci chiudo la bocca, bifolco irlandese.
- E tu provaci, fighettello londinese.
- Quanti punti devo sottrarre a Tassorosso, signor Summers? – l’intervento di Piton li zittì all’istante. – Duecento? Duemila? Al lavoro, subito. Tienili d’occhio tu, Sebastian, o non rispondo di me.
L’Assistente del professore, un soggetto dall’aspetto altero, si posizionò poco lontano dai due e prese a sorvegliarli con occhio critico, tavoletta alla mano. Ex-Serpeverde ed enfant prodige del corso di Pozioni Avanzate della Cambridge Magical University, il giovane mago si barcamenava fra il ruolo di tutor ad Hogwarts, sulle classi dal quinto al settimo anno, al mattino, e le lezioni universitarie nelle ore pomeridiane.
Le cose, com’era da immaginarsi, non andarono molto bene. A circa metà lezione, dopo che i due compagni-non-consenzienti si furono punzecchiati a vicenda secondo livelli di malevolezza variabile, la capricciosa bacchetta di corniolo di Barry (già bizzosa di norma, ma ulteriormente aizzata dal nervosismo del suo proprietario) vide bene di combinarne una delle sue, provocando un aumento anomalo della temperatura all’interno del calderone, che alla fine eruttò alla stregua di un piccolo vulcano hawaiiano. Colpito in piene chiappe dal getto incandescente Marcus Flint, che si era incautamente girato lasciando sguarnite le sue nobili terga, dovette essere trasportato in tutta fretta in infermeria per un procedimento d’urgenza, in seguito al quale sarebbe poi stato costretto a trascorrere una settimana a riposo, sempre in posizione rigorosamente prona. Come risultato di tale prodezza, la nobile Casa di Tassorosso si vide spogliata della bellezza di trentasette punti, detratti con malcelata soddisfazione ed ostentata perfidia dal simpatico Assistente di Piton.
Nel frattempo, il calderone di Gemma e Neil sobbolliva diligentemente.
Strano, però si disse Neil, osservando di sottecchi la compagna che, all’apice della timidezza, gli aveva rivolto si e no due frasi nel giro di un’ora. La immaginavo più... abile. E difatti, così era. Non che Gemma non se la cavasse bene. In fondo, alle sue lezioni del livello M.A.G.O., Piton ammetteva solo studenti da Eccezionale. Però, alla luce dello strepitoso infuso di Erica Rosa (“La Tisana!”) che la ragazza aveva preparato in occasione di Halloween, Neil, chissà perché, l’aveva immaginata come una specie di Divinità Calderonica. Cosa che Gemma, per quanto discretamente abile, decisamente non era. In più di un passaggio, infatti, era stato proprio il Grifondoro a salvare la situazione, aggiungendo, pesando e rimescolando.
Strano davvero.
Il trillo della campanella che segnava la fine della lezione lo distolse dai suoi perplessi pensieri. Neil spense il fuoco con un colpo di bacchetta e poi, deciso a ricorrere al Piano B, si affrettò a recuperare la cartella, all’interno della quale aveva riposto il thermos di vetro da restituire alla ragazza, cosa che però avrebbe fatto solo ed esclusivamente una volta lasciata l’aula, nella penombra rassicurante dei corridoi, lontano dalle pupille acute di Piton e dei compagni.
Il Piano B, purtroppo per lui, non ebbe successo.
Proprio all’esterno della classe, con la schiena appoggiata al muro di mattoni, Graham Montague attendeva pazientemente che Gemma facesse capolino attraverso la porta.
- Ciao, Pulce – la salutò, non appena la vide. Lei gli rivolse un sorriso timido ma luminoso, che gli fece un po’ rimpiangere di non essere fisicamente in grado (le sue corde vocali si rifiutavano di funzionare, quando provava a dire qualcosa di carino) di chiamarla con il suo vero nomignolo. Da che mondo era mondo, Graham detestava le smancerie tanto che spesso, in passato, i suoi tentativi di atteggiamento minimamente affettuoso erano degenerati in violente reazioni allergiche.
- È Pulcino – lo redarguì Gemma, fingendosi seria. – Che poi, fra parentesi, sarebbe un soprannome riservato ai familiari.
- Fa lo stesso – sbadigliò lui con fare ostentatamente annoiato. – E comunque, se lo usa il vecchio Tom Farley, debbo per forza appropriarmene anch’io. Punto. Possiamo andare, ora?
- E dove, se mi è lecito chiederlo?
- È una sorpresa, te l’ho detto. Quindi, vedi di non scocciarmi e cammina.
Accigliato, Neil li guardò allontanarsi lungo il corridoio. Con le pive nel sacco, il ragazzo ripose il delicato thermos di vetro all’interno della borsa, per poi evocare a gran voce Floffy affinché questi gli portasse un paio di litri di tisana di Tarassaco, giusto per farsi passare il nervoso.
 
[F.F. Fan Club, altresì conosciuto come Il Nido, poco dopo]
Gemma sgranò gli occhi, incredula.
Dalla parete prospiciente la porta una gigantografia di suo padre, intento a volare in formazione compatta con altri sei giocatori, le rivolse un cenno di saluto. Tutt’intorno, stendardi e striscioni in bianco e grigioscuro con l’effigie del Falcone le rivelarono che si trovava all’interno di uno spazio interamente dedicato alla celebrazione dei Falcons di Falmouth. Alcuni studenti e studentesse rappresentanti le quattro Case circolavano per la stanza, divisi in piccoli gruppi, e chiacchieravano animatamente.
Graham non le disse niente, lasciandola a gustarsi la sorpresa da sé. Una sorpresa bella grossa, a voler essere sinceri. In tanti anni di permanenza al Castello, la ragazza non era mai stata messa al corrente dell’esistenza di un Fan Club dedicato alla sua squadra del cuore.
“Colpa mia, ovviamente” si disse, pensosa “che non parlo mai con nessuno”.
Mentre Gemma osservata rapita le fotografie, gli albi e gli oggetti autografati (fra i quali figurava anche un rarissimo paio di mazze, tutte sbeccate, appartenute ai fratelli Broadmoore), Graham si spostò sul lato opposto della saletta e rivolse la parola a due dei ragazzi presenti.
- Dimmi che hai una paglia, Coote – disse al più alto dei due – le mie me le ha sequestrate stamattina quel babbano di Gazza.
- Come no – rispose Ritchie, frugando nelle tasche. – Niente Hermes, però. Ho solo un paio di AsBest.
- E sia – si accontentò il Serpeverde. - Catrame per catrame...
- Vedo che hai portato visite – osservò Jimmy, occhieggiando all’indirizzo di Gemma.
Graham emise un anello di fumo.
- Già. Una figlia d’arte, se è che m’intendi.
- È venuta da sola? – volle sapere il biondo, piuttosto interessato.
- Lasciamo la Roper fuori dalle mura di questo Sacro Santuario, Peakes – grugnì Graham, insofferente. – O ti giuro che il nostro accordo di non-belligeranza va a farsi benedire.
- Non sia mai – replicò l’altro. Sarebbe stato senz’altro un peccato incrinare il delicato equilibrio che, ad ogni riunione, veniva a crearsi all’interno di quella stanza in cui, paradossalmente, veniva glorificata una squadra eccezionalmente violenta. Eppure, fra quelle quattro mura che li riunivano sotto il culto dei Falcons, i ragazzi appartenenti a Case rivali evitavano di accapigliarsi.
- Cosa ne sai, tu, della Roper?! – domandò Jimmy poco dopo.
- Molto più di quanto tu non immagini. E, lasciatelo dire, faresti meglio a cambiare rotta. Consiglio spassionato.
- A quanto pare la conosci bene.
Graham fece una smorfia.
- Diciamo che ho studiato a fondo le mie giocatrici.
- Ma piantala – lo schernì Jimmy – parli come se il Capitano fossi tu.
- Ma certo che no – mormorò Graham, sorridendo enigmatico. – Non ancora, per lo meno.
 
[ Sala Comune di Corvonero, 7 Novembre 1993 ]
Vinnie, stranamente silenzioso, era chino sul grande tavolo di legno d’ebano, intento a completare una lunga lettera in risposta ai suoi genitori. Quegli amabili fanfaroni gli avevano augurato per tempo il buona fortuna in vista della prima partita di Campionato, precisando che purtroppo in tale data non avrebbero potuto presenziare; stava per uscire l’ultimo film di loro produzione e la presenza di Gerald e Leanne era richiesta in Italia, al magifestival dedicato al cinema internazionale che ogni anno si teneva nella spettacolare Venezia. Kevin avrebbe rinunciato volentieri a scendere in campo per seguire i genitori sulle lagune della magica città, ma sospettava che Roger non avrebbe preso troppo bene la sua assenza. Al suo fianco il rospetto Naboo gracidava attenzioni, ma il mago non gli dette più di tanto peso.
A distrarlo, non fu infatti il lamento dell’anfibio, bensì una voce a lui ben familiare:
- Possiamo parlare, Entwhistle? -
- Quando ci hanno fatto dono della vista si sono dimenticati di te, Tony? – Kevin alzò lo sguardo su Anthony Goldstein, in piedi al suo fianco, e a lui indicò la pergamena ancora incompleta.
- Ci vorrà poco. – Sentenziò Anthony, ignorando il rifiuto del biondissimo collega; seduto al suo fianco cominciò subito a parlare: - Non voglio girarci intorno, quindi te lo chiedo direttamente: che intenzioni hai con la Jones? -
- Le stesse intenzioni di qualsiasi ragazzo della mia età, single, che ha a che fare con una strega del genere. Ma non credo che questi siano affari tuoi, giusto? -
Anthony si accigliò: - Vi ho visti sai! La notte di Halloween… -
- Allora mi sbagliavo! – Vinnie gettò le braccia in alto e cominciò ad ondeggiarle: - Ci vede! È successo il miracolo! -
- Sei proprio un buffone, sai? Non capisco che cosa ci trovi di tanto interessante Meg, in un tipo come te. -
- Forse il fatto che io ascolto quando parla? Aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno ed io sono stato pronto ad ascoltarla. Tu hai saputo fare la stessa cosa? Credo di no, altrimenti non avrebbe passato tutto quel tempo a parlare con me. -
- Smettila! – Anthony spianò le mani sul tavolo ed avvicinò il viso a quello di Kevin, che lo guardò perplesso: - Io ci tengo… ci tengo davvero a Megan, va bene? Quindi se a te non frega niente di lei ti chiedo di farti da parte, ok?! –
- Senti amico… non ti sembra di esagerare un po’? La Jones non ha nessuna targhetta col tuo nome legata al collo. -
Anthony non abbassò lo sguardo, nemmeno per un secondo: - Te lo chiedo per piacere… voglio sistemare le cose con Meg, ma con te di mezzo sarà impossibile, capisci? –
Fino a quel momento Vinnie aveva preso quella conversazione con leggerezza; eppure davanti allo sguardo atterrito di Anthony, non poté fare a meno di annuire, nonostante la sensazione di disagio e fastidio che in quell’istante si era fatta strada nella bocca dello stomaco.
 
[Salette di Ricevimento, 8 novembre 1993]
Dopo aver afferrato la maniglia ed averla girata, Maxine spinse il pesante uscio di legno di faggio e si introdusse nella stanza.
- Bentrovata, tesoro!
I tre uomini, fintanto seduti in altrettante poltroncine foderate di raso giallo, si alzarono piedi all’unisono e mossero un passo nella sua direzione, mentre lei sorrideva felice. Nel frattempo, Joey il Jarvey raggiunse trotterellando quello che pareva il più giovane dei tre e prese a strusciarsi vigorosamente contro i suoi polpacci.
- Che bello vedervi, cari zii!
Anacleto, Aurelius e Arlindo, i tre fratelli di sua madre, le si fecero incontro.
- Non è un po’ troppo corta, questa gonna?
- E questa canottierina! Siamo in pieno inverno!
- Forse sarebbe il caso di occultare l’ombelico...
Maxine si lasciò sfuggire una risatina, fra il divertito e l’esasperato. Era sempre così, quando ci si mettvano di mezzo loro. Nessuno dei suoi abiti abituali, agli occhi dei suoi zii, sembrava mai essere moralmente adeguato.
- Suvvia, suvvia... se neanche la professoressa McGranitt ha da ridire... – argomentò, chiamando in causa la più bacchettona delle sue professoresse.
- Oh, ma lei ha da ridire – la corresse lo zio Anacleto. – E parecchio, anche. Ci manda all’incirca una lettera alla settimana, su questo argomento.
- Davvero?!
- Non fare la finta tonta, signorinella – zio Arlindo si sistemò gli occhiali, squadrandola con severità. – Quante volte dobbiamo dirti che...
- “...che gli uomini non valgono un purvincolo secco”. Lo so, lo so! – concluse Maxine, levando al cielo gli occhi verdi. – Ma ditemi, piuttosto: come va la fabbrica?
La fabbrica dei tre zii, situata nei dintorni della cittadina di Ballycastle a poca distanza da Belfast, produceva fuochi d’artificio. Ufficialmente, per lo meno.
- Ma sentitela! – la prese in giro lo zio Arlindo. – Così abile nel divagare...
- Tale e quale la nostra cara Marie, parola mia – concordò Anacleto, sul cui viso si dipinse un sorriso malinconico al ricordo della sorella.
Maxine lo fissò, immediatamente concentrata. I suoi zii evitavano sempre accuratamente di parlare di sua madre, deceduta ormai da molti anni. Se lo zio l’aveva citata, doveva esserci un motivo ben preciso.
- È successo... è successo qualcosa? – chiese la ragazza, con un fremito nella voce.
- Sì, tesoro – le rispose Aurelius, facendosi serio. – Siedi qua con noi, per cortesia.
Maxine non se lo fece ripetere due volte.
- Come ben sai – esordì Arlindo, dopo aver scambiato un rapido sguardo con i fratelli – Marie si rifiutò sempre di svelarci l’identità di tuo padre, e quando morì (buon’anima), si portò il segreto nella tomba.
- Io sono del parere – s’inserì Maxine, accigliata – che non ci sia alcun bisogno di scavare nella faccenda. Se mia madre non ha voluto sbandierare ai quattro venti il nome di colui che l’ha sedotta e abbandonata, avrà avuto le sue buone ragioni. Lo sapete come la penso a riguardo.
- E noi siamo d’accordo con te - Anacleto prese velocemente la parola. – E ti assicuro che non ci saremmo mai presi la briga di fare ricerche, se non fosse saltato fuori un elemento che ha... dell’inquietante.
- Già – proseguì Arlindo, facendo scorrere le mani sulla stoffa verde smeraldo dei pantaloni. – Guarda tu stessa.
Con un movimento della bacchetta, lo zio fece avvicinare un grosso baule di noce e fece aprire il coperchio. Sbirciando oltre il bordo, Maxine vide che l’interno era pieno zeppo di bigliettini di ogni foggia e colore, datati e firmati con un semplice A. E. A.
- E questi cosa accidenti sono?
- Messaggi per tua madre – rispose Aurelius, annuendo gravemente. – Li abbiamo trovati il mese scorso, stipati in questo baule che era rimasto nascosto in cantina sotto ad un ammasso di cianfrusaglie. Coprono un periodo di circa cinque anni e, secondo le date, vanno dal 25 ottobre 1976 al 31 ottobre 1981.
Maxine sgranò gli occhi.
- Ottobre 1976? – mormorò, intrigata. – Io sono nata il 31 luglio dell’anno successivo. Quindi, ad occhio e croce, dovrebbe corrispondere al periodo in cui...
- In cui sei stata concepita, sì.
- Ma... e la data dell’ultimo messaggio...
- Corrisponde alla data della caduta del Signore Oscuro, sì – convenne Arlindo, serissimo.
Maxine, per una volta, non sapeva che dire. Con una mano, la ragazza afferrò la collottola di Joey e se lo tirò sulla ginocchia. I tre zii, nel frattempo, rimanevano zitti. Quando Aurelius ruppe il silenzio, la sua voce era grave.
- Questi messaggi – disse, facendo vagare lo sguardo sulla nipote e sui fratelli – non coincidono con l’atteggiamento di uno che, dopo avere messa incinta una ragazza, se la svigna alla chietichella. Al contrario. Quest’uomo, durante cinque anni, ha provato in tutti i modi a rimettersi in contatto con tua madre. La quale, evidentemente, non gli ha mai risposto. Il che ci fa ipotizzare...
- ... che in realtà, per una qualche oscura ragione, fosse lei a non volerlo fra i piedi – azzardò Maxine, pensosa. – Mi chiedo proprio come mai.
- Ce lo chiediamo tutti – chiosò lo zio Anacleto. – Per questo, vorremmo sapere se desideri approfondire le indagini o se, al contrario, ritieni ancora che sia meglio lasciar perdere.
Maxine rimase in silenzio per una manciata di secondi.
- Ci posso pensare su? – chiese infine.
- Ma certo, tesoro.
 
[ Hogwarts, guferia, 9 Novembre 1993 ]
“Vediamo… la numero 213 ai signori Wilson nello Cheshire, proprio qui, all’indirizzo… “
Appollaiato in un angolino appena pulito con un incantesimo detergente, Stephen cerchiava con meticolosità alcuni indirizzi su un grande faldone di pagine gialle. Era riuscito a reperire l’elenco babbano con molto sforzo, a seguito di lambiccamenti vari. Come si può rintracciare una ragazza babbana di cui si sono perse le tracce? Ebbene, la testolina scarmigliata ma quanto mai brillante di Stephen era arrivata all’unica conclusione possibile; adottare le modalità babbane sarebbe stata l’unica cosa sensata da fare, anche se la faccenda si stava facendo molto lunga.
Il corvonero aveva iniziato a scrivere le lettere per rintracciare Suzy ben sette mesi prima, ma purtroppo non aveva ancora ricevuto alcun riscontro. Il problema fondamentalmente era uno: di Wilson, nella Gran Bretagna, ce n’erano a decine di migliaia, di conseguenza l’operazione stava risultando davvero faticosa. Fortunatamente Stephen aveva dalla sua la magia, che lo aveva aiutato a replicare la lettera in molteplici copie senza porre alcuno sforzo; inoltre il suo nebuloso ricordo d’infanzia gli suggeriva che avrebbe dovuto restringere il campo di ricerca a due contee: Cheshire e Shropshire.
Posto l’indirizzo sulla busta della duecentotredicesima lettera, Stephen dette una rapida occhiata al messaggio che aveva letto e riletto:

“ Gentilissimi signori Wilson.
Sono alla ricerca di una coppia con una figlia di nome Suzanne, che esattamente sette anni fa viveva nel Berkshire, in una villetta dai tiepidi toni color crema. Nel caso foste voi, ci tengo a precisare che non sono un male intenzionato, ma il figlio dei vostri vecchi vicini, i signori Cornfoot. Sono anni che non ho più notizie della mia amica d’infanzia Suzy, ragion per cui in caso fossi riuscito a rintracciarvi, vi chiederei cortesemente di rispondere all’indirizzo riportato in calce alla lettera.
Nella speranza di ricevere un riscontro positivo, porgo i miei più cordiali saluti.
Stephen Cornfoot “

Stephen si concesse uno dei suoi rari sospiri, prima di chiudere con meticolosità la missiva e consegnarla ad un vecchio gufo, il quale reclamò un paio di succosi lombrichi prima di spiegare le ali e prendere il volo. Stephen seguì con lo sguardo il rapace, fin quando di lui non rimase che un minuscolo, lontanissimo puntino. Tornò poi a dedicare attenzione alle pagine gialle, mentre la sua mano sfiorava il tatuaggio raffigurante una Carpa Koi posto sul braccio sinistro; percorse sovrappensiero l’ispessimento della vecchia cicatrice coperta dalla carpa. “La forza di volontà si alimenta solo superando gli ostacoli della vita”, sussurrò fra sé e sé; Stephen aveva fatto tesoro degli insegnamenti materni, emancipandosi da quel bambino pauroso che era stato in concomitanza dell’incidente al braccio. Ma se anche la madre aveva fatto di tutto per stimolarlo, Stephen non avrebbe mai potuto dimenticare quella bambina che lo aveva aiutato a “tornare a giocare” senza timore.
Suzy era una babbana, ma nonostante tutto l’essere umano più speciale con cui Stephen avesse mai avuto a che fare. Non si era spaventata quando, a soli sei anni, lui aveva dato apertamente mostra delle sue facoltà particolari; al contrario Suzy si era mostrata entusiasta e giurò e spergiurò che non avrebbe mai confessato a nessuno il segreto di Stephen. E quando lui rimase coinvolto in un brutto incidente che compromise l’uso del braccio, Suzy fu la persona che lo convinse a non lasciarsi abbattere. Con un lieve sorriso sul volto, Stephen ricordò come la ragazzina si fosse catapultata in camera sua dopo un’intera settimana durante la quale Stephen si era rifiutato di uscire, asserendo che la sola compagnia dei libri sarebbe stata sufficiente e che alla solitudine avrebbe dovuto farci l’abitudine, visto che sicuramente al cento per cento sarebbe rimasto menomato a vita. Suzy, ovviamente, non volle sentire ragioni: lo strattonò per il braccio buono e lo costrinse ad uscire, portando con sé anche quella strana scopa volante che possedeva Stephen.
Così, giorno dopo giorno, lamentela dopo lamentela, Stephen aveva cominciato a migliorare, sia nel fisico che nell’umore.
Per questo gli si spezzò il cuore, quando l’unica amica che aveva mai posseduto, scomparve dalla sua vita. Un trasferimento piuttosto repentino aveva trascinato la famiglia Wilson lontana da Stephen; era chiaro che la piccola Suzy non fosse a conoscenza del motivo per cui i genitori avessero deciso di trasferirsi così, da un momento all’altro, tanto che quando si salutarono per l’ultima volta, la babbana non seppe nemmeno dire in quale città sarebbero andati a finire.
Le uniche cose che rimasero a Stephen furono un bacio profumato di fresco sulla guancia ed un nome e un cognome.
Il mago non avrebbe ceduto: come la Carpa Koi che risalì le cascate del Fiume Giallo per mutare in dragone, una volta oltrepassata la Porta del Drago, così Stephen avrebbe superato ogni suo limite, riuscendo nel suo intento di ritrovare quella bambina, radicata da sempre nel suo cuore.  
 
[Sala Comune del Wampus, Ilvermorny (U.S.A.), 10 novembre 1993]
Il giovane mago alto e allampanato si avvicinò ad una poltroncina posizionata accanto al caminetto acceso, si diede una rassettata alle pieghe del kilt e prese posto con uno sbuffo. Poi, dalla tasca interna della giacca di lana cotta con i risvolti quadrettati, in pendant con la fantasia di quella che i suoi compagni nordamericani soprannominavano bonariamente ‘la gonna scozzese’, trasse un rotolino di pergamena dall’aspetto stropicciato, sigillato da un dischetto di ceralacca rossooro recante le iniziali KB.
Caro Carbry c’era scritto, in una grafia minuta e assolutamente caotica, disordinata tanto quanto la personalità della mittente spero tu stia bene.
Ti scrivo per ringraziarti infinitamente del bellissimo paio di guantoni dei Bells che mi hai fatto pervenire, oltre che per congratularmi con te per l’idea geniale che hai avuto. Quando glieli ho consegnati, Oliver è rimasto di sasso e mi ha detto di non aver mai ricevuto un regalo più bello.
Credo sia rimasto molto colpito dalla cosa, tanto che poi ci siamo fermati a chiacchierare a lungo, e lui ha voluto sapere tutto sul Quodpot e su come la Pluffa, nella versione nuovomondina, sia una perfida sfera esplosiva; e poi mi ha chiesto un sacco di cose sulla storia dei Chicago Bells, ed è rimasto molto impressionato quando gli ho raccontato che i fondatori della squadra sono nostri antenati. “Ho sempre pensato tu fossi scozzese” mi ha detto, sorpreso. “Sì, ma solo da parte di madre”, gli ho spiegato. “Papà è di Chicago”.
Insomma: l’iniziativa è stato un assoluto successo, tanto che mi aspetto nuovi sviluppi in breve, o almeno spero (conoscendo Oliver, in effetti, non si sa mai). Ovviamente ti terrò aggiornato su tutto.
Nel frattempo mi auguro che tu faccia il bravo, senza esagerare con i turni volontari in infermeria. Va bene che vuoi seguire i passi di babbo nel sanguinolento universo della Magimedicina, ma non devi neanche farti sfruttare troppo dai Magicospini, dico bene?
Un forte abbraccio dalla tua sorellina preferita,
Katie.
Allietato dalle belle notizie provenienti da oltreoceano, Carbry sorrise soddisfatto e ripiegò il plico con scarsa precisione (il disordine era proprio una caratteristica di famiglia, per tutti i Serpecorni). Non sospettava, ovviamente (o forse sì?!) che, nella sua lettera, Katie aveva casualmente dimenticato di riferirgli di avere inserito all’interno di uno dei guantoni un bigliettino con su scritto “Che guantoni grandi, che hai” disse la Cacciatrice. “Per acciuffarti meglio” rispose il Portiere. Meglio così, forse. Perché okay: a Carbry, il suo ruolo di confidente, andava più che bene. Ma era pur sempre un fratello maggiore, perdinci.
In quel momento, il pendolo accostato alla parete davanti a lui batté le cinque. Ignaro del surplus di iniziativa (e di sfacciataggine) della sua cara sorellina, il giovane si alzò in piedi e discese a passo baldanzoso alla volta dell’infermeria.

[Dipartimento di Pozioni, 11 novembre 1993]
In attesa di essere ricevuta dal professor Piton, Heidi sedeva sulla poltroncina verde smeraldo e si guardava intorno facendo oscillare nervosamente la gamba sinistra, il cui piede leggermente sollevato non toccava terra.
Le pareti della piccola anticamera erano interamente rivestite da una tappezzeria verde muschio impreziosita da arzigogolate impunture di filo argentato; oltre i vetri dell’armadietto sistemato davanti a lei, si scorgeva invece una nutrita collezione di suppellettili d’argento e di vasetti di cristallo dal contenuto misterioso.
Tutto, in quell’ambiente, parlava dell’amore del professore nei confronti del suo lavoro e della sua Casa. Una Casa che, pensò la ragazza, se le cose fossero andate diversamente, avrebbe potuto essere anche la sua. Heidi chiuse gli occhi, e il ricordo dello Smistamento si affacciò alla sua memoria.
“Ben diciannove minuti a scrutare nella tua testa, signorina McAvoy” le aveva detto il Cappello Parlante “e ancora non so decidermi. Vi vedo talento e ambizione in quantità; sufficiente freddezza, tenacia e determinazione, nonché una discendenza magica che il nobile Salazar apprezzerebbe assai. Eppure, eppure... racchiudi anche una buona dose di pragmatismo, di voglia di rimboccarti le maniche e di fare fatica. Ohibò”.
“Tutta la mia famiglia è appartenuta a Tassorosso” aveva detto lei.
“Tu però hai un sogno. Un grande obiettivo. Lo vedo bene. Che cosa saresti disposta a fare, pur di realizzarlo?”
“Niente... niente che Tosca non approverebbe!” era stata la sua risposta.
“E sia, allora” aveva risposto il Cappello. E poi, ad alta voce: - TASSOROSSO!
Il cigolio della porta che si apriva la riportò al presente. Oltre la soglia, l’Assistente le fece segno di raggiungerlo all’interno dello studio.
- Il professor Piton è impegnato fuori sede, oggi – le disse, a mo’ di spiegazione. – Pertanto, la riceverò io. Entrambi riteniamo che il suo, signorina McAvoy, sia un caso di estrema urgenza. Si accomodi, prego.
Pur essendo sorpresa dal fatto di vederselo davanti in un orario in cui lui, teoricamente, avrebbe dovuto trovarsi a Cambridge, Heidi sedette senza fiatare e gli rivolse uno sguardo titubante. Nonostante la giovane età (stimabile intorno ai diciannove-vent’anni) l’Assistente di Piton, con i suoi modi gelidi e l’aspetto sempre curato ai limiti dell’impeccabile, incuteva negli studenti una soggezione a dir poco primordiale.
- Il motivo del nostro colloquio le sarà senz’altro chiaro non appena le avrò comunicato l’esito del suo ultimo compito – esordì il giovane, senza premurarsi di fare cerimonie.
- Sì... – ammise Heidi, sottovoce. – Credo di non essere andata benissimo...
- È stato un assoluto disastro – la freddò quello, stringendo gli occhi. – Un semplice Accettabile, da una come lei, è assolutamente inaccettabile, e mi passi l’infelice gioco di parole.
Heidi deglutì.
- Io e il professor Piton – continuò l’Assistente, con voce monocorde – abbiamo ragioni di sospettare che vi sia qualcosa che, ultimamente, la distrae. È così?
- Oh, ecco – balbettò Heidi, sentendosi andare a fuoco le guance. – Io non...
- Il Quidditch, forse? – buttò lì lui, con un sorrisetto sottile, ironico come una lama. – Non è che, forse, sta dedicando un po’ troppe energie a quello sport da barbari?
La ragazza era paralizzata. Se non si fosse sentita spaventata a morte, avrebbe giurato che l’Assistente, in quel momento, si stava divertendo un mondo a tenerla sulle spine.
- O forse – continuò lui, abbassando la voce di un’ottava – si tratta di... qualcuno? Un qualcuno (vediamo, ipotizzo) per amor del quale (che cosa ridicola!) una studentessa modello si abbasserebbe a trafugare un vasetto di preziosissima Erica Mackaiana?
Sul volto di Heidi si dipinsero immediatamente colpa, panico e orrore. “Bingo”. Nel vederla così sconvolta, la piega rigida della bocca dell’Assistente cedette di un millimetro.
- Il professor Piton non ne è al corrente, non si preoccupi – le disse, sbuffando fuori l’aria. – Ma io sì. E questo, mia cara, la deve preoccupare. Ma non per quello che, eventualmente, ne possa pensare io: è la sua carriera, a trovarsi in gioco. Lo ricordi bene.
L’Assistente le fece cenno di alzarsi. Heidi eseguì.
- Frequentare il corso di Pozioni Avanzate della Cambridge Magical University non è cosa da tutti. Veda lei che cosa ha intenzione di fare del suo talento. Ci pensi bene. Ci rifletta. E, se deciderà di mandare tutto a catafascio per delle baggianate, non venga poi a lagnarsi con me. Mi sono spiegato?
Heidi ricacciò indietro il groppo di vergogna che le serrava la gola.
- S-sì. Sì, professore – riuscì a rispondere, mantenendo miracolosamente saldi i nervi e la voce.
- Benissimo – l’Assistente congiunse le punte delle dita. - Può andare, ora.
 
[Campo da Quidditch, allenamenti di Grifondoro, 12 novembre 1993]
- Tutti ai propri posti! Prova generale dello Schema Tattico nº47B, variante δ, sottocomma III! Avanti, marsch!
Giocatori e giocatrici si sparpagliarono nell’aria, per poi dedicarsi all’inseguimento delle rispettive sfere e sferette. Nel frattempo Angelina, Lee, Cormac e i gemelli sedevano sugli spalti, impegnati in una rumorosa gazzarra. Oliver rivolse loro un’occhiata dall’immediato potere smorzante e si posizionò davanti agli anelli, infilandosi distrattamente i guantoni regalatigli qualche giorno prima da Katie. Erano ancora nuovi: non li aveva mai usati.
“Davvero belli” pensò, ammirando il connubio vivace di bianco e rosso, colori ufficiali dei Chicago Bells. Inaspettatamente, le sue dita andarono a cozzare contro qualcosa che non avrebbe dovuto trovarsi lì.
“Ma cos... oh” il ragazzo estrasse il bigliettino, ripiegato in otto parti, che era rimasto incastrato nella cavità riservata al pollice.
Circa tre secondi dopo, Oliver fu visto che annaspava disperatamente nel tentativo di afferrarsi alla scopa, dalla quale era scivolato giù per subitanea e fulminante indigestione emotiva. Inutile specificare che l’allenamento, per quel giorno, dovette essere sospeso.
 
[Cortile all’intervallo, 14 novembre 1993]
- E mi credi se ti dico che preferirei non farlo?
Kevin ridacchiò e tese le dita per sistemare una ciocca di capelli chiari oltre l’orecchio della sua ragazza.
- Ma certo che ti credo – replicò, allungandole un buffetto affettuoso mentre ritirava la mano. – Vale lo stesso anche per me, cosa credi?
Lisa gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò stretto.
- Sei proprio un tesoro. Un te-so-ro. Parola mia!
Kevin ricambiò la stretta sorridendo, grato. Erano giorni che si lambiccava il cervello nel timore di affrontare l’argomento Partita nel modo sbagliato, ma Lisa aveva dimostrato per l’ennesima volta di essere una ragazza piuccheperfetta e non solo era stata lei ad abbordare la questione, ma lo aveva anche fatto con una semplicità disarmante che lo aveva subito rassicurato.
“Non mi va di giocare contro di te” aveva esordito, fissando gli occhioni verdi nei suoi. “Mi fa soffrire l’idea di averti come avversario!”
“Anche a me non va per niente, Liz”.
Ed era vero, perché Kevin e Lisa andavano letteralmente d’amore e d’accordo. La mattina seguente il loro incontro (non esattamente) romantico, per sua grande sorpresa, Kevin l’aveva trovata in attesa sulla soglia della Sala Grande; quando l’aveva visto, la ragazza gli si era avvicinata sorridendo e l’aveva abbracciato come se nulla fosse. Lui, lì per lì, era rimasto davvero meravigliato, perché mai e poi mai avrebbe osato sperare in un prosequo. Al contrario, però, Lisa gli aveva subito fatto capire che la sera prima, per lei, non si era trattato né di uno sfizio né di un colpo di testa. Era davvero interessata a frequentarlo e a conoscerlo meglio; glielo aveva annunciato con sincerità cristallina e poi, fiduciosa, aveva atteso che lui si pronunciasse.
“Non potrei desiderare di meglio” aveva pensato lui, per poi affrettarsi ad esternare il suo pensiero ad alta voce.
- Non potrei desiderare di meglio!
- Benissimo, allora – aveva esclamato lei, tirandoselo dietro per la Sala Grande con l’orgoglio di chi esibisce un prezioso trofeo.
“Che iniezione di autostima” aveva pensato Kevin, al settimo cielo.
Dopo averla frequentata per un paio di settimane, il ragazzo era giunto alla conclusione che Lisa fosse una persona davvero speciale. Una gran brava ragazza, di quelle dotate di quello spiccato senso critico, che alcuni chiamano ‘buon senso’, capace di ridimensionare qualsiasi cosa. E poi bella, luminosa, intelligente, affettuosa e... beh sì, insomma, peperina al punto giusto per quanto concerne certi altri aspetti del ménage amoroso. Questa cosa, oramai, era piuttosto assodata. E a lui non passava neppure per la testa di lamentarsene, e che diamine!
- Facciamo così – le disse, mentre la campanella di fine intervallo li richiamava entrambi nelle rispettive classi. – Se vincete voi, mi inviti a fare festa su alla Torre. Se vinciamo noi, scendi tu nella Tana dei Tassi.
Lei si mordicchiò il labbro per una manciata di secondi.
- Affare fatto – concordò infine. – Mettendola così, però, mi viene quasi da sperare che vinciate voi.
Kevin sgranò i caldi occhi color cioccolato.
- E perché mai?
- Perché sono anni che ho voglia matta di partecipare ad una di quelle feste boombastiche che organizzate voialtri mustelidi!...
 
[ Sala Grande, 15 Novembre 1993 ]
- Non ti sembra di stare esagerando, adesso? -
Sue Lie osservava, sgomenta, la sua migliore amica raccogliere in gran quantità ogni genere di cibarie dal tavolo dei corvonero. Morag però sembrò non prestare la benché minima attenzione ai richiami di Sue, nonostante quest’ultima ci avesse tenuto a ricordarle che un’indigestione prima della partita non sarebbe stata una buona cosa, per la squadra della loro casa.
- Non ho memoria di una sola volta in cui ho avuto mal di pancia per il troppo cibo. – Dichiarò Morag dopo aver ingoiato un’abbondante cucchiaiata di porridge e frutti di bosco; un miagolio, seguito da uno sfregamento all’altezza delle caviglie, le fece roteare gli occhi al cielo:
- Puoi cortesemente tenermi alla larga da questa bestia di Satana almeno oggi? Te ne sarei grata, grazie. -
Sue si accucciò sotto il tavolo e afferrato il proprio gatto, prese a carezzarlo con cura; nonostante le attenzioni della padrona, però, l’animale sembrava sempre preferire la scontrosa Morag che, di esseri viventi fatta eccezione degli umani, non voleva sentirne parlare.
- Ultimamente il tuo caratteraccio intransigente mi sembrava migliorato, ma evidentemente mi sbagliavo, mia dolce amica. -
- Ah-ah, - Morag puntò il cucchiaio in direzione di Sue, allargando le labbra piene in un sorriso, - Non lo sai che chi nasce tondo non può perir quadrato? Comunque a scanso di equivoci voglio fugare ogni tuo dubbio: sono sempre la stessa rigida ed insofferente Morag, stai serena a tal riguardo. -
Sue si spinse leggermente in avanti, ondeggiando il suo caschetto color pece e assottigliando ancor più i caldi occhi a mandorla: - Strano, eppure credevo che la frequentazione con un certo tassorosso avesse in qualche modo smussato la tua algida personalità! –
Morag quasi si strozzò con il porridge: - Ma cosa… guarda che hai totalmente frainteso! Abbiamo solo visto un film insieme la notte di Halloween mentre tu, signorina, ti eri infilata chissà dove con quel serpeverde… come si chiama? –
Sue strofinò il povero micio contro la guancia, sospirando teatralmente: - Malcolm… oh Mog! Dovresti provarle anche tu le prodezze di quei loschi serpenti… -
- Certe volte dici delle cose come se non mi conoscessi affatto, Sue. – La giunonica bionda puntò lo sguardo sulla ciotola ormai vuota e prese a rimescolare con disattenzione. Forse doveva sciogliersi un po’, Sue aveva ragione. Ma in quel momento i suoi unici pensieri erano dedicati alla partita imminente, la prima che l’avrebbe vista nel ruolo di portiere. Le dispiaceva doversi sfidare con i Tassorosso e no, il motivo non era Justin, o almeno non soltanto lui; anche battersi contro la sua amica Megan non era un piacere. Pensò che avrebbe volentieri voluto far parte della squadra avversaria. Mal sopportava praticamente ogni membro della propria squadra, capitano compreso; erano tutti strani e frivoli, fatta eccezione per Stephen che, comunque, non era uno di molte parole e di conseguenza stringere rapporti con il mago era praticamente impossibile.
Pensò al motivo che l’aveva spinta fino al punto di tentare le selezioni e, stranamente, sorrise pensando a sua madre. La fiera ex giocatrice di grifondoro aveva spinto affinché la piccola e accidiosa Morag provasse lo sport; stranamente, per una indolente come lei, il Quidditch risultò un piacere e fu tramite gli allenamenti nel giardino di casa sua, che strinse il legame con sua madre. Prima di allora Morag aveva sempre rifuggito i rapporti con lei, prediligendo il padre, ma la passione in comune era stata molto utile a rinsaldare il legame madre-figlia.
Morag si issò di botto, facendo miagolare di spavento il gatto della sua amica.
- Dove vai? – Chiese Sue, ancora molto distante dal termine della sua modesta colazione, troppo presa a lanciare occhiatine a Malcolm Baddock.
- Vado a prepararmi: oggi mia madre sarà presente alla partita e ho intenzione di fare bella figura. –
 
[Campo da Quidditch, mattina del 15 novembre 1993]
Non erano neanche le nove e già un frastuono assordante, proveniente dagli altoparlanti magici disposti tutt’intorno allo stadio, si diffondeva uniformemente fin nei più remoti angoli del castello. In Sala Grande, gli studenti che si erano illusi di poter fare colazione in santa pace per poi scendere al campo dovettero rassegnarsi a stringere saldamente fra le dita tazze e brocche, o a farle levitare a qualche centimetro dai piani d’appoggio, perché le onde sonore facevano letteralmente saltare i tavoli come stambecchi sui monti.
- Mi pare di capire – commentò Megan con fare assorto mentre, sullo sfondo, delle potentissime sirene dub facevano tremare vetri e lampadari – che Jordan sia particolarmente ispirato, quest’oggi.
La Vicecapitana non aveva affatto torto.
Quando, al seguito suo e di Cedric, la squadra raggiunse gli spogliatoi, lo stadio ormai ribolliva come un immenso calderone blu e giallo, con gli studenti aizzati dalle grida di incitazione di Lee Jordan che, facendo roteare le lunghe treccine rasta, urlava:
- Animo gente, animo! - e sotto, a volume tale da far rintronare i cervelli: Come we go burn down Babylon, one more time!) – È il vostro Principe dei Caraibi che vi parla, finalmente tornato in possesso del suo legittimo trono – (di lontano Zacharias Smith gli rivolse un gestaccio, cui Lee rispose con un sorriso smagliante) - in occasione di questo maaaaatch che promette faville!...
 *
 All’esterno degli spogliatoi e dell’entrata dello stadio, un gruppetto di studenti e studentesse particolarmente zelanti distribuiva piccoli plichi di carta ripiegata.
- Edizione speciale della Pulce nell’Orecchio! Edizione speciale! – si sgolava una ragazza mora e boccoluta, il cui viso lentigginoso affondava in una voluminosa sciarpa rossooro.
- Gracias, Vane – rise Roger mentre Vinnie, accanto a lui, afferrava prontamente la sua copia corredata da gadget pacchiano che neanche le peggiori riviste adolescenziali babbane.
- Niente di meglio che un po’ di sano pettegolezzo per distendere i nervi – commentò allegramente il ragazzo, infilandosi al polso il braccialettino adornato da Boccino 100% sintetico allegato al giornaletto.
- Sin duda – approvò Roger – assolutamente sì. Prendetene una copia a testa, ragazze!... ehm, no, tu no, ovviamente – aggiunse poi rivolto a Stephen, che gli aveva lanciato un’occhiata disgustata. Per uno come lui, il giornalino scolastico dei gossip era disdicevole tanto quanto un testo eretico agli occhi di un Inquisitore. – Non sia mai, guapo.
- Quante sciocchezze – commentò Morag una volta che, insieme alle compagne, fu entrata negli spogliatoi femminili. Anche lei, come Stephen, era dell’avviso che La Pulce nell’Orecchio altro non fosse che spazzatura.
Irritata, la Portiera lanciò la sua copia sulla panca dirimpetto dove Mandy, sovrappensiero, aveva appena cominciato ad agitare la bacchetta per estrarre i suoi effetti personali dal borsone.
“Oh” pensò quest’ultima, facendo scivolare lo sguardo sulla carta stampata. Mandy, al contrario di Morag (e, evidentemente, di Cho e Lisa, che stavano letteralmente divorando il giornalino fra gridolini e risate), non nutriva alcun tipo di pregiudizio nei confronti della Pulce. Ogni tanto la leggeva, ogni tanto no; insomma non aveva, a riguardo, una vera e propria opinione. Quel giorno, però, un trafiletto sul fondo della quarta pagina richiamò immediatamente la sua attenzione.
Love is in the air! diceva l’occhiello E mai citazione fu più opportuna, visto che stiamo parlando di due campioni di volo-su-scopa. Reggetevi forte al manico, lettori e lettrici, perché la notizia è oltremodo sugosa. Siete pronti? Bene. Avete presente il classico ragazzo bello e bravo, quello che tutte noi vorremmo presentare a mamma e papà? Quello che, in parole povere, potrebbe perfettamente riassumersi in un nome (Cedric) ed un cognome (Diggory)? Ecco. Secondo fonti accreditate, il bel Capitano Tassorosso si sarebbe invaghito di una misteriosa fanciulla dalle ali di Corvo, alla quale desidererebbe proporre nientepopodimeno che un rendez-vous. Che manna! “Ma solo a partita conclusa” avrebbe dichiarato Diggory, che la nostra fonte ha definito un esempio irreprensibile di etica, sportiva e non. Naturalmente, la redazione della Pulce non è rimasta con le zampette in mano, e si è subito data da fare per risalire all’identità della fortunatissima sconosciuta. “Credo di sapere di chi si tratti” ci ha confidato Chang, Cacciatrice titolare della squadra di Corvonero. “Per ora preferisco non sbilanciarmi in maniera ufficiale, ma vi garantisco che la risposta a suddetta proposta sarà sicuramente un sì”. Che si tratti di lei, ci chiediamo noi? In attesa di ulteriori sviluppi vi lasciamo, come di consueto, con la pulce nell’orecchio!
*
Sophie aveva appena fatto una cosa che non le sarebbe mai saltata in mente di fare prima d’allora: pedinare qualcuno per il puro scopo di chiacchierare con lui. A seguito della festa di Halloween, la vice capitano si era resa conto di avere giusto un tantino esagerato con la reazione nei confronti di Jimmy (fondamentale era stato il confronto con le amiche, che l’avevano definita un’acidona incarognita) e che, tutto sommato, probabilmente aveva frainteso le parole del ragazzo. Preso coraggio dunque, una volta consumata la colazione si era alzata non appena aveva visto il grifondoro allontanarsi. Da quel momento era entrata in modalità Auror, imitando alla perfezione l’ombra di Jimmy ma stando sempre molto attenta a non farsi beccare in flagrante. Difatti il suo scopo era quello di arrivare sugli spalti e incontrare il ragazzo come se nulla fosse; a quel punto la buona sorte avrebbe fatto sì che i due seguitassero a commentare assieme la partita e con ogni probabilità il mago avrebbe dimenticato l’esplosione fuori luogo di Sophie, la quale avrebbe fatto di tutto per mostrare il suo lato più amabile.
“Non potrà mica resistere” pensò con un ghignetto soddisfatto in volto mentre si avvicinava a Jimmy con nonchalance; il ragazzo se la stava ridendo con qualche suo compagno grifondoro, ma non sarebbe stato di certo quello a mettere i bastoni fra le ruote a Sophie Roper.
- Non sarà una partita dei Pride Of Portree, ma per il momento dobbiamo accontentarci, no? –
Riconosciuta la voce, Jimmy girò il capo quel poco che bastasse per lanciare una rapida occhiata a Sophie.
- Stai parlando con me per caso? –
- Oh ma hai ragione! – Sophie tentò una risata frivola, ma le riuscì davvero stonata, - Tu sei un accanito dei Falcons… forse a loro preferirei queste mezze calzette di Hogwarts, visto le antiquate tecniche che adottano per centrare gli anelli!–
“Ben fatto Roper, fai la simpatica, così si scioglierà di sicuro il grifoncino!”
Rinfrancata da se stessa e convinta di avere avuto un ottimo approccio, Sophie accennò a sedersi al fianco di Jimmy, ma le parole del ragazzo la congelarono in un’ ambigua posizione di via di mezzo, con una gamba su ed una giù.
- Prendi esempio dai tuoi stessi consigli: non parlare di cose che non sai. Ci fai una brutta figura.-
Ciò detto, Jimmy tornò a rivolgersi al ragazzo al suo fianco come nulla fosse, ignorando la presenza di Sophie che, sgomenta e rossa in viso, non ebbe il coraggio di proferire una sola altra parola. La ragazza si defilò in pochi secondi, lasciando dietro di sé un vaghissimo aroma di violetta, sottile come lo stelo dello stesso fiore.
E Jimmy, a sua insaputa, sorrise ricco di soddisfazione. Aveva capito che la tecnica giusta per accalappiare un peperino come Sophie Roper fosse senz’altro mantenere un atteggiamento distaccato. E vista la reazione della ragazza, Jimmy poteva asserire di aver fatto centro.
*
Dagli spogliatoi posti sotto la curva sud apparve la squadra di Corvonero, con Roger Davies fulgido nella sua divisa nuova, i capelli ben tirati in un lucido cipollotto e  la spilla da Capitano a riverberare sul colletto della maglia. Al suo fianco destro il vicecapitano Kevin, che salutava la folla sorridente, i capelli tinti per l’occasione di turchese; Cho e Lisa, una di fianco all’altra pronte a scambiarsi sguardi d’intesa, Mandy e Morag, ambedue chiuse in uno spesso silenzio (la prima aveva indosso più di un amuleto, ovvero quelli che Stephen, Morag e Cho non avevano accettato di indossare nello spogliatoio); a chiudere la fila Stephen stringeva in una mano la sua Nimbus 1500, concentrato in spessi pensieri. Dagli spalti blu e neri partì un boato e fra le urla eccitate si sentì con distinzione il gracchiare di un corvo: merito di Luna Lovegood e del suo ultimo travestimento, in favore della propria squadra.
Un altro roboante ululato di voci accolse la squadra di Tassorosso, capitanata da Cedric Diggory, luminoso nel riconoscibile completo giallo e nero e affiancato da Megan, i capelli tirati in una coda alta stretta saldamente da un cangiante elastico color limone.
- Consanguinea d’arte, la Jones! La cui splendida sorella, ovvero la divina Gwenog, ci omaggia oggi della sua più che apprezzata presenza… - “Che palle!” Sbuffò Megan, tirando a morte la coda di cavallo. “Che gnocca!” gridò Millicent, dagli spalti.
Kevin di sorriso munito, lanciava sguardi a Lisa, ancora ben distante da lui, mentre Heidi più tesa che mai, tamburellava nervosamente le dita lungo i fianchi, con Justin che le recapitava delicatissime pacche sulla spalla tentando di rasserenare il suo animo inquieto; Barry guardava dritto davanti a sé, nonostante l’invadente immagine dell’amica Maxine al suo fianco: quest’ultima non aveva evitato d’abusare di paillettes cangianti per ricoprire la - da lei definita - divisa troppo sobria.
- Finalmente, finalmente! Per la gioia di donzelle e fanciulli, gli gnoccugini di Hogwarts si sfideranno in questa partita che, siamo tutti convinti, ci tirerà il collo per la suspense! – La fragorosa voce di Lee Jordan arrivò ad accompagnare la stretta di mano dei due capitani, a cui seguì un forte abbraccio.
- Sai che non ti risparmierò l’amara sconfitta solo perché ti voglio bene? – chiese Roger mentre si staccava dal Capitano Tassorosso.
- L’unica cosa certa è che presto uno dei due si troverà a consolare l’altro. O a pagare da bere dalla buona Rosmerta. –
Nel frattempo i vice capitano si stavano stringendo la mano, come da regolamento. Megan allargò il sorriso in favore di Kevin: - I tuoi capelli fanno male agli occhi. È una tua strana tecnica per distrarci in campo? –
Vinnie, al contrario delle aspettative, rimase estremamente serio. Si limitò ad augurare a Megan buona fortuna e rapido come non mai s’allontanò dalla strega, la quale non riuscì ad evitare di accigliarsi. Quello non era di certo un comportamento da Kevin Entwhistle. Ancor più la vice capitano si rabbuio non appena vide l’atteggiamento del mago mutare repentinamente, quando Maxine dopo aver baciato come di consueto ognuno dei propri compagni di squadra, si era poi avvicinata alla squadra avversaria.
- Un bacio per augurarti buona fortuna, cocco. -
- Maxi, sarò mai io a dirti di no? – Aveva commentato Vinnie, prima di guadagnarsi lo schiocco di labbra che gli era stato promesso.
Stephen osservava Maxine elargire baci a destra e a manca; ognuno dei giocatori sembrava abituato a quella pratica; persino Morag la lasciò fare, così il Cercatore alzò gli occhi al cielo con rassegnazione.
“ Quel che va fatto, va fatto.” Pensò, pronto a beccarsi il bacio di Maxine. Eppure, quando la ragazza gli si parò davanti e lui si chinò per svolgere la pratica nel minor tempo possibile, Maxi si irrigidì. O meglio diventò di pietra, prese ad indietreggiare ed infine si voltò dandosela letteralmente a gambe, lasciando Stephen unico esentato da quel suo personale portafortuna.
- E ora che anche la O’Flaherty ha fatto quello che noi tutti aspettavamo con ansia, possiamo dare il via alla partita! Capitani: schierate la vostra formazione! -
*
 Demelza era in ritardo, come sempre. Non aveva accettato l’invito dei suoi amici a raggiungere insieme il campo, presa a fare le sue improbabili cose, come al solito. Risultato? Raggiunse gli spalti ormai stracolmi e impossibilitata ad avvicinarsi agli altri grifondoro, fu costretta a sgomitare per guadagnarsi un misero posticino. Piccola com’era quasi nessuno si accorgeva della sua presenza, così la grifondoro fu obbligata a strillare in più di un’occasione (dedicò a molti studenti delle maledizioni davvero colorite) ed infine gli occhioni vispi scovarono un piccolo spazio. Certo, l’imponente figura di Millicent Bulstrode l’aveva dapprima inibita, ma colui con il quale la serpeverde si accompagnava catturò nell’immediato il suo interesse e le permise di accantonare le rimostranze. Quel ragazzo allampanato era decisamente la persona più fuori posto in quel contesto: sguardo assente, pallidissimo, chiuso nella sciarpa della sua casa, Elliott Johansson teneva una bandierina di corvonero in mano, anche se non sembrava intenzionato a festeggiare alcunché.
- Buongiorno! Fa caldo oggi, vero?! – Demelza entrò a gamba tesa e si posizionò accanto ad Elliott, il quale le dedicò una fugace occhiata piatta; l’entusiasmo della strega non aveva sortito alcun effetto su di lui. Millicent, di contro, guardò la grifondoro in cagnesco:
- Che cazzo ci fai qui, Robbins? Non hai i tuoi amichetti da raggiungere? -
- Calmati, sono venuta per parlare con il merluzzo al ragù qui. – Disse Demelza, indicando Elliott con il pollice. Prima che quest’ultimo potesse anche solo mostrarsi basito davanti al linguaggio colorito di Demelza, la grifondoro prese a punzecchiargli un braccio con un ditino:
- Ho sentito che capisci la testa della gente, tu, e che sei un asso nelle questioni di cuore. -
Elliott assunse una vaga sfumatura rosata, segno di forte imbarazzo: - Veramente… no. – rispose quindi lapidario.
- Senti un po’ capo, di solo una parola e faccio volare via questo scricciolo dall’altra parte del campo. -
- Ma non ce n’è biso… -
Il punzecchiamento di Elza passò alla gota scavata di lui: - E quindi io ho bisogno di un consiglio, visto che sei tanto bravo. O magari un paio di sedute, sempre che non costino un patrimonio. E non provare a fregarmi sai, sono piccola ma non sono stupida: pretendo una parcella più che onesta! –
- Senti… davvero, non so cosa tu abbia sentito sul mio conto, ma ti assicuro che… -
Demelza si aggrappò al suo braccio e con un cenno del capo puntò al campo, sul quale le squadre sfidanti si stavano stagliando: - Quello laggiù, vedi? Quel ragazzone che sembra una montagna farcita di muscoli? Si chiama Barry. Lui è così… - Demelza concluse con un sospiro e senza pensarci troppo, poggiò il capo sulla spalla di Elliott, che neanche conosceva il suo nome. Millicent ritenne quel gesto davvero troppo spinto; quella grifondorina avrebbe smesso nell’immediato di importunare Elliott. Demelza proseguì, incurante dell’ira di Milly: - Insomma la questione è questa, ascolta bene: presente la festa di Halloween? Io ti assicuro non era mia intenzione, non avevo mai guardato Barry Summers in vita mia! Ma fra di noi… io sono sicura sia scattato qualcosa, si-cu-ra! Il problema ora è questo però… da quel giorno il Signor Barry mi ha evitata, palesemente. – Un sospiro e un singhiozzo di qualche sconosciuto, distrasse Elza per un momento; ma nuovamente carica tornò a parlare: - Come se non esistessi, capito? E io sono… sono un disastro in queste questioni qui. Non capisco mai niente di niente… - A quel puntò Millicent perse totalmente la pazienza; non poteva ignorare lo sguardo avvilito di Elliott, al quale si era avvinghiata quella ragazzetta fuori dalle righe. Così Millicent cominciò a tuonare brutte parole nei confronti di Demelza. Mentre la serpeverde berciava un turpiloquio irripetibile e il corvonero sospirava affranto da quella situazione ridicola, una risata sguaiata partì alle spalle dei tre:
- Guardate un po’; abbiamo la Corte dei Miracoli al completo! -
Marcus Flint sedeva alle loro spalle, affiancato da Ruben Urquhart. Ottenuta l’attenzione dei tre, prese ad indicarne uno ad uno: - La patetica Robins, testa di rapa Bulstrode e tu… - il suo sguardo più sprezzante fu dedicato ad Elliott: - … non so nemmeno come definirti, sanguemarcio… so solo di essere più che grato di non averti nella mia casa. – Marcus spostò il suo ghigno su Millicent, più imbarazzata e imbufalita che mai: - Quindi è questa la gente con cui ti accompagni, Bulstrode? Fossi in te starei attenta e mi guarderei bene dal tenermi vicino a quello lì: non accetto giocatori con pulci e zecche, nella mia squadra. –
- Come osi?! – Tuonò Millicent: la ragazza si issò in piedi pronta a venire alle mani.
- Lascialo stare… poverino non vedi che è un bamboccio in cerca delle attenzioni che non ha mai avuto in vita sua? – Demelza sorrise limpida, prima di alzare il dito medio nei confronti di Marcus, il quale sfoderò la bacchetta senza pensarci su: - Pensi che l’essere una ridicola pulce mi fermerebbe da darti una bella ripassata, Robins? -
- Te la do io una ripassata, vomitevole pastrugno di vermicoli! – Il tentativo di mantenere la calma, per Demelza, rimase appunto un tentativo: la strega abbandonò la sua posizione, pronta a saltare al collo di Marcus, ma Elliott la trattenne per un polso e tentò di tirarla indietro: - Ragazze per… per piacere, non fate il suo gioco. -
Davanti a quella scena, il capitano Serpeverde liberò una risata, seguito a ruota dal compagno al suo fianco: - Ma ti rendi conto di quanto sei patetico? -  Così si sbilanciò verso di loro, pronto a schiantare la grifondoro, che continuava a dimenarsi e squittire come un piccolo roditore arrabbiato. Millicent tentò di intervenire, ma fu Ruben a tenerla a bada, così Marcus ebbe la possibilità di avvicinarsi ancor più all'inverosimile coppia. Trovato il coraggio e la forza, Elliott tirò indietro Demelza e si parò davanti a lei, in un improbabile tentativo di difenderla dal serpeverde, il quale lo spintonò:
- Vedi di spostarti, sporco babbano. -
- Mi trovo costretto a contraddirti: sono i miei genitori ad essere dei babbani, ovvero esseri umani che non possiedono facoltà magiche. È evidente che tu non conosca la differenza. -
L’espressione disgustata e contrariata di Marcus, anticipò un micidiale destro che colpì in pieno volto Elliott, nell’esatto momento del fischio di inizio della partita. Un pugno poco dosato, che fece crollare il corvonero su Demelza e che, per altro, gli garantì l’epistasi e un immediato svenimento.
 *
Il levarsi in volo delle due squadre fu accompagnato da un boato fragoroso, subito sovrastato dalla voce di Lee che procedeva alla presentazione dei giocatori. Poco dopo, i quattordici ragazzi sfrecciavano velocissimi qua e là, apparentemente incuranti della spessa pioggia che, nel frattempo, aveva cominciato a scrosciare castigando il campo e le tribune.
- Entrambe le squadre contano elementi nuovi e, debbo dirlo, è davvero un piacere osservarli.... ecco là O’Flaherty di Tassorosso, per esempio: impossibile non vederla con quella scritta a leds applicata sul mantello... “HUFFLE-POWER”, dice lei... ahah, davvero uno schianto di ragazza, pura dinamite irlandese! Le chiedo sempre di uscire con me e lei, per fortuna, mi dice sempre di sì... mica come quella musona della Johnson qui presente!...
Angelina, seduta accanto a lui, gli allungò uno scappellotto neanche troppo bonario.
- Ahia!... Dicevo: davvero abile la nostra Maxine... ah, ecco che passa la Pluffa a McAvoy... che subito ripassa a Whitby, il fortunello che dicono si sia accaparrato quell’angelo della Turpin... che fulmine questo ragazzo, per Zaion! Tassorosso segna!...
Nonostante il frastuono infernale di pubblico, musica e acquazzone, dagli anelli Corvonero si udì distintamente Morag che imprecava come una scaricatrice di porto contro l’incompetenza delle sue Battitrici.
*
Non riusciva a spiegarsene il perché, eppure così era. C’era qualcosa, dentro di lei, che le dava fastidio, che la turbava. Mandy si spostò velocemente sulla destra, sull’orbita del Bolide che tornava indietro a tutta velocità. Dopo essersi posizionata a dovere, tirò indietro il braccio e lo colpì con la mazza, facendolo rimbalzare lontano.
“Accipicchia”.
Non stava giocando molto bene, e ne era consapevole. Nessuno di loro, in effetti. Dovevano impegnarsi di più, o Corvonero avrebbe perso la partita. Mandy si guardò intorno, cercando di scorgere qualcosa oltre la spessa coltre di acqua gelida che cadeva dal cielo e che le bloccava la vista. Il rumoreggiare della folla e l’urlo amplificato di Lee Jordan le rivelarono che Morag si era beccata un altro gol.
“Dobbiamo reagire” mormorò Mandy fra i denti.
Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. Si sentiva troppo distratta, troppo. Con una mazzata micidiale riuscì ad ostacolare l’avanzata di Maxine che, in quel momento, si avvicinava pericolosamente agli anelli. Con un grido rabbioso, l’avversaria mollò la Pluffa e tornò indietro, in un bagliore giallo reso frammentario dall’impietosa cortina di gocce di pioggia.
Improvvisamente, un altro riverbero giallo le si parò davanti, per poi scomparire velocissimo sulla scia di qualcosa. Non le ci volle molto per riconoscere entrambi.
“È lui. L’ha visto”.
Diggory. Il Boccino. Mazza alla mano, Mandy si lanciò all’inseguimento.
*
- Porca miseria!
L’esclamazione, fuoriuscita a tradimento dalle labbra contratte di Gemma, suonò particolarmente divertente alle orecchie dei presenti. La Pluffa, rispedita indietro da un calcione micidiale di Barry, volò attraverso il campo facendo il pelo a svariati giocatori di ambedue le squadre.
- Summers para, Pluffa in campo... ma boia di un Merlino, non si vede un ca**o... oh, scusi, signora professoressa... comunque: Jones sul Bolide, quasi disarciona la Chang... Entwhistle recupera... passa a Davies... di nuovo la Jones e Finch con una serie di colpacci mancini... ah! La Pluffa schizza indietro... ma EHI!
Lo stadio rumoreggiò: Stephen Cornfoot si stava avvicinando a tutta velocità al Boccino d’Oro.
- L’ha visto! Diggory è laggiù, troppo lontano... colpo di scena, gente! Corvonero prossimo alla vittoria... Aaaaah!
Una pluffata poderosa urtò la saggina della scopa di Stephen, che sbandò paurosamente e, nel tentativo di reggersi al manico, perse di vista la sferetta fuggiasca.
- Ma che cacchio è successo?!
La confusione in campo era tale che nessuno, neppure Lee, si era accorto che il colpo era partito proprio dagli anelli di Corvonero; proprio quelli che, in quel momento, Morag avrebbe volentieri preso a testate.
*
Ritchie correva sotto la pioggia, a ritroso, alla volta del Castello; il ciuffo di capelli scuri incollato alla fronte dall’acqua scrosciante gli ostacolava la vista, rischiando di farlo incespicare ad ogni falcata.
“Dannato vizio” pensò, maledicendo l’effetto nefasto delle sigarette a causa del quale, ogni volta che era costretto ad affrettare il passo, gli veniva l’istinto di sputare un polmone. In un modo o nell’altro, comunque, riuscì a raggiungere l’atrio, e da lì le scale che conducevano ai sotterranei.
“Dov’è Alicia?” aveva chiesto agli amici riuniti sugli spalti, accorgendosi che, stranamente, la compagna non si trovava fra loro. Gatta ci covava: quella fanatica di Quidditch della Spinnet non si sarebbe mai persa una partita di sua spontanea volontà.
“Lei e Uluru sono stati convocati da Gazza subito dopo la colazione” aveva risposto Katie, con uno sguardo preoccupato. “Non ha voluto che l’accompagnassimo; ci ha detto che ci avrebbe raggiunti qui, ma non si è ancora fatta viva”.
Nella testa di Ritchie, cui Alicia aveva raccontato dell’ispezione dell’URCCM, era subito balenato un orrendo sospetto.
“Speriamo non sia troppo tardi”.
Lo era, purtroppo. Quando finalmente raggiunse l’ufficio di Gazza, il ragazzo vi trovò Alicia che, seduta sul pavimento, accarezzava delicatamente il pelo di Uluru attraverso le sbarre di una gabbietta fin troppo angusta; l’ornitorinco non si muoveva, ma faceva schioccare il piccolo becco blu cobalto, lucido come ceramica smaltata. In piedi accanto a loro, il Custode grattava le orecchie della sua gatta e, in preda a raro pentimento, si asciugava una lacrimuccia.
- Ho dovuto farlo – disse l’uomo, col tono di chi ha già pronunciato la stessa frase una mezza dozzina di volte. – Ordini del Ministero... sapete com’è...
Ritchie lo ignorò.
- Che cosa è successo? – chiese ad Alicia.
- Il Dottor Macnair ha inoltrato un telegramma, proprio stamattina – rispose la ragazza, senza spostare gli occhi dalla gabbia. – A sua detta, Uluru e i germi che si porta dietro rappresentano una minaccia imminente per la fauna autoctona.
- Che stronzata! – si lasciò sfuggire lui.
- Tant’è. In ogni caso, il signor Gazza ha dovuto provvedere alla cattura.
- E quindi? – la incalzò Ritchie.
- E quindi niente – mormorò tristemente lei. - Ci rimane una settimana.
Gli ingranaggi cerebrali della bella testolina di Ritchie cominciarono a girare vorticosamente, alla ricerca spasmodica di una soluzione.
*
- Ecco Whitby che ritorna... accidenti, davvero una saetta questo ragazzo che io, fra parentesi, apprezzo particolarmente essendo lui, come me, un valoroso rappresentante delle Pelli di Cacao...
Kevin che, pur mantenendosi concentrato sulla Pluffa, non si perdeva una sola parola di Lee, non riuscì a trattenere una risata fragorosa, subito sopraffatta dalle raffiche di vento. Il ragazzo spronò la sua fida Nimbus 1990, scampando per un pelo il Bolide scagliatogli contro da Lisa.
- Scusami Kev! – gli urlò dietro la ragazza, alla quale lui fece subito segno che andava tutto bene. In fondo, si trovavano sul campo: era giusto così. Kevin procedette, zigzagando fra Bolidi e avversari, palleggiandosi la Pluffa con Heidi e Maxine, che volavano in formazione compatta accanto a lui. Un rapido sguardo agli anelli lavati dalla pioggia e...
- Whitby segna di nuovo! Altri dieci punti a Tassorosso... parola mia, questo ragazzo è un portento!... con quel faccino rilassato e pacifico, zero minaccioso, fregherebbe chiunque. Stai all’occhio quando toccherà a te Ollie, vecchio mio!...
Dalla sua postazione sugli spalti, Oliver sventolò un quadernetto di appunti e strategie ricoperto da scritte fitte fitte e opportunamente schermato da un astuto Incantesimo Repello Impluvium.
*
Le raffiche di vento sferzavano l’aria. Mandy ignorò le bordate e la pioggia che la irrigava fino al midollo e spinse la scopa più su, sempre più su. Dovevano aver raggiunto un’altezza vertiginosa, ormai. Davanti a lei, in un baluginare di fotogrammi giallo sole, Cedric inseguiva il Boccino che zigzagava impazzito.
Fu un attimo.
La piccola sfera scartò e tornò indietro; il ragazzo, incurante delle bordate, si girò per seguirla e si trovò davanti la Battitrice avversaria. Proprio in quel momento, un Bolide fece capolino fra gli schizzi d’acqua. Da quella distanza, un colpo di modesta entità (figuriamoci uno dei suoi) lo avrebbe sicuramente disarcionato dalla scopa e avrebbe posto fine alla partita. Cedric spalancò gli occhi e decelerò, conscio di quanto sarebbe accaduto. Davanti ai suoi occhi Mandy fluttuava a mezz’aria, con la sua divisa blu cielo completamente inzuppata ed i lunghi capelli rossi che grondavano acqua.
La ragazza alzò la mazza, pronta a colpire.
Un esiguo bagliore all’altezza del petto del ragazzo, però, catturò il suo sguardo. Mentre Cedric eseguiva l’inversione di marcia, la piccola stella gialla che lei gi aveva regalato ad Halloween era sgusciata fuori dal colletto dell’uniforme ed ora svolazzava appesa alla catenella argentata scossa dal vento.
Mandy piegò il gomito e colpì il Bolide, facendolo fischiare lontano. Lontano da lui.
“Che Roger mi perdoni”.
Poi, prima che Cedric avesse il tempo di aprir bocca (qualcosa le diceva che quello sciocco avrebbe protestato, e lei non lo voleva sentire), la ragazza puntò il manico della scopa verso terra e scomparve oltre la spessa cortina di pioggia.
*
Vinnie, più carico che mai, rubò la pluffa da sotto il naso di Heidi; la ragazza presa in contropiede tentò il recupero, coadiuvata da un bolide micidiale scagliato da Justin. Il corvonero lo schivò per un soffio, ma subito un altro arrivò alla sua destra: questa volta era merito di Megan. Vinnie lanciò un’occhiata alla battitrice, che sembrava particolarmente agguerrita nei suoi confronti.
“ Non pensarci, ignorala. “ Disse fra sé e sé il ragazzo il quale, da quando aveva avuto quella conversazione con Goldstein, si era deciso a tenersi alla larga dalla Jones, anche se questo era risultato più difficile del previsto. Zigzagò fra i giocatori, col solo pensiero fisso di Megan a turbarlo più che mai. “ ‘Fanculo! “  ringhiò fra le labbra mentre, con precisione e velocità, mandava la pluffa a centrale l’anello di sinistra.
- La fata turchina segna! Altri dieci punti a Corvonero! Ed eccolo il nostro vice che non manca di sfilarsi la maglia, strano non l’avesse ancora fatto! -
Braccia spiegate e risata di vittoria, Vinnie fece un rapido giro sulla scopa, mostrando a tutti il tatuaggio rosso che tagliava il torace: “May the Force be with you”, recitava. Ovviamente quel gesto gli fece guadagnare un’ammonizione.
 *
 - La partita prosegue, senza esclusione di colpi!... Davies in possesso della Pluffa... passa a Chang, che ripassa al nostro Mago dai Capelli Turchini, Entwhistle... di nuovo a Davies... (grida femminili in sottofondo)... Summers si getta sull’anello destro: pessima mossa! Dieci punti a Corvonero!...
Il fischio improvviso di Madama Bumb interruppe bruscamente la cronaca. Attraverso le cataratte che, incessanti, si riversavano sul campo, il pubblico vide Cedric che planava con il Boccino saldamente stretto fra le dita.
La partita era finita.
- Peccato che la pioggia ci abbia impedito di seguire l’azione – commentò Harry, un po’ deluso. Oliver, che si trovava seduto accanto a lui, annuì per dargli ragione. Poco dopo, lieta di potersi lasciare alle spalle quel tempaccio da lupi, la folla cominciò rapidamente a defluire dallo stadio, diretta al Castello.
Ansimante, ancora intenta a fluttuare davanti agli anelli, Morag trasse un sospiro di sollievo ringraziando Priscilla all’idea che, nel giro di pochi minuti, avrebbe trovato ad aspettarla una bella doccia calda. Troppo stanca e infreddolita per avere voglia di rimuginare troppo sulla sconfitta, la ragazza atterrò sull’erba fradicia e si strappò via i guantoni con un gesto stizzito, per poi dirigersi a larghi passi verso gli spogliatoi. Sapeva che sua madre, probabilmente, se ne sarebbe andata a breve ma lei, in quel momento, non provava alcuna voglia di andarla a cercare.
All’interno del casotto il clima non era dei migliori, certo; eppure, per sua grande sorpresa, nessuno le disse alcunché di male. Né Roger, immediatamente scomparso al seguito di una Millicent Bulstrode dall’aria preoccupatissima, né Stephen, chiuso nel suo silenzio criptico, né, tantomeno, Vinnie e le ragazze. Non che Morag si fosse aspettata una filippica da parte di Mandy, ci mancherebbe. Ma magari, chissà; qualche frecciatina da parte di Cho e Lisa, visti e considerati i rapporti non esattamente rosei che intercorrevano fra loro, sì. Al contrario, tuttavia, quest’ultima le venne vicino e, con un’espressione determinata sul bel faccino di porcellana, le disse:
- Succede, MacDougal. Alla prossima partita spacchiamo il cu*o a tutti. Forza! Siamo una squadra, ecchecca**o!
Un po’ stupita, Morag rimase a guardare la compagna che si avviava a passo deciso verso le docce.
 
[ Infermeria di Madama Chips, 15 Novembre 1993 ]
Millicent non riusciva a stare al passo di Roger Davies. Nonostante la serpeverde lo avesse in più di un’occasione implorato di rallentare, il Capitano Corvonero non sembrava sentire ragioni.
- Ti ho detto che non è conciato tanto male, è inutile correre così! -
- C’è una sola cosa che andrà dritta oggi? – masticò adirato Roger, mentre marciava in direzione dell’infermeria. Una volta messo piede all’interno, si guardò rapidamente intorno; più di una lettiga era occupata dai malconci reduci della partita anche se, fortunatamente, nessun giocatore aveva riportato danni gravi. Tra quelli, finalmente Roger scorse il suo pallido amico; Elliott sedeva in un angolo della stanza e tratteneva il viso con una mano. Al suo fianco era rannicchiata Demelza Robins, su cui volto Roger lesse un’espressione particolarmente ansiosa.
- E lei? – Chiese a Millicent, ansimante e finalmente al suo fianco.
- Tutta colpa sua. Il problema è che il capo è troppo magnanimo e di buoni sentimenti. Non ci fosse stato quel letamoso di Ruben a tenermi, glielo avrei fatto vedere io! -
- Vuoi spiegarmi cosa avresti fatto vedere a chi?! – Il tono di Roger si faceva sempre più alterato e spazientito. Millicent Bulstrode si era presentata da lui alla fine di quella disastrosa partita; più agitata che mai gli aveva detto che Elliott era finito in una rissa e che in quel momento si trovava in infermeria. Neanche aveva fatto in tempo a cambiarsi, tanta era stata la preoccupazione per il suo amico; se le cose stavano come aveva detto la Bulstrode, Elliott doveva essere ridotto davvero male: un tipo come lui, da una rissa, non ne sarebbe uscito che fatto a pezzettini.
- Bendita Priscilla! Sei vivo tu altro! – Finalmente raggiunto, Roger sedette accanto ad Elliott, che lo guardò con sguardo piatto, senza mai togliere la mano dal naso. A quel punto gli passò un braccio intorno alle spalle: - Mi vuoi dire che cosa è successo? La tua guardia del corpo non ha scucito una sola parola a riguardo. -
- Fto bene… nulla di grave. Non dofefi fenire. - A quel punto Millicent incrociò le braccia, passò lo sguardo da Elliott e Demelza e dichiarò che se non avesse parlato, lo avrebbe fatto lei. Incitato ancora una volta, Elliott lentamente calò la mano, mostrando due grossi tamponi magici che ripulivano il sangue dalle narici; laddove solitamente si trovava il septum, vi era un taglio orizzontale ricucito di fresco.
- Quell’idiota di Flint. – Pigolò Demelza, mentre stringeva ancor più le ginocchia a sé: - Ha detto delle cose brutte, davvero brutte per provocarci. -
Nel sentir nominare il Capitano di Serpeverde, Roger assottigliò lo sguardo: - Cosa avrebbe detto? –
- Ma non mi afcoltate? Non è fuffeffo niente. – Tentò Elliott.
- Quindi cosa? – Incalzò Roger.
- Niente che le tue orecchie non abbiano già sentito almeno una volta in vita tua. Il problema è che… io mi sono… agitata, ecco. -
- Voleva saltargli al collo, come se ne fosse capace! – tuonò Millicent, - E per difenderla, lui si è messo in mezzo! -
- Questo ti reca onore Ells, ma non hai pensato sarebbe stato più facile usare la bacchetta, al posto delle mani? Hai le ossa fragili, lo sai. -
- Molto fpiritofo. -
Sdrammatizzare era l’unica cosa utile da fare in quel momento, pensò Roger; ma se esternamente il suo sorriso non accennava a tramontare, dentro di sé sentì la rabbia crescere a dismisura. Roger Davies era sempre stato un ragazzo a modo, intento a sedare i malumori piuttosto che provocarli; di certo non era solito alla vendetta, tutt’altro. Ma Marcus Flint aveva osato troppo; se l’era presa con il suo migliore amico e questo non andava affatto bene. Doveva trovare il modo di fargliela pagare, ma senza rispondere a quel pietoso bullo con la sua stessa moneta.
Classe e stile: Roger avrebbe usato contro Flint due delle sue migliori qualità, annientandolo nell’orgoglio. Doveva solo capire come.
 
[Sala Comune di Tassorosso, sera del 15 novembre 1993]
I festeggiamenti impazzavano, in un tripudio di coriandoli e stelle filanti gialloneri sparsi in ogni dove. Le basse pareti circolari in mattone a vista rimbombavano di musica, canti, acclamazioni e risate a riprova del fatto che, in fatto di feste ed eventi mondani, la gaia Casa di Tosca la Buona sa sempre il fatto suo.
Cho osservò con la coda dell’occhio Lisa e Kevin che, in un angoletto, si baciavano con molto entusiasmo (“Perché questo, piccina mia, è festeggiare in grande stile!”).
“Beati loro” rifletté la ragazza, comunque grata all’amica per averle permesso di imbucarsi a sua volta nei festeggiamenti. “Ma, come dice Roger, si può sempre rimediare”.
Cho fece vagare lo sguardo sugli studenti e studentesse che affollavano la stanza, finché non lo ebbe avvistato. Cedric, circondato dai compagni, sorrideva e brindava, lo sguardo luminoso amplificato dalla spessa sciarpa di lana gialla che recava legata attorno al collo. Sembrava felice, e certamente aveva ragion d’esserlo; eppure, di tanto in tanto, Cho credette di distinguere un’ombra a velargli le iridi grigie. Senza distogliere lo sguardo da lui, la ragazza si avvicinò al crocchio.
- Ciao, Diggory – lo apostrofò, alzando la voce per farsi sentire.
- Chang – sorrise lui, salutandola educatamente. – Benvenuta. Sei qui per festeggiare con noi?
- Sì. Ci tenevo molto a farti i complimenti.
- Oh, grazie. Davvero gentile da parte tua.
La ragazza scrollò graziosamente la cascata di capelli corvini, lucidi come vinile. Alcuni dei ragazzi presenti la guardarono ammirati; era sempre stata molto carina, e lei sapeva di esserlo.
- Dove trovo qualcosa da bere?
- Ah, sì – Cedric le indicò un tavolo poco lontano e mosse un piede per farle strada. - Ti faccio vedere, aspetta.
In men che non si dica, la folla si richiuse intorno a loro, facendo sì che i due si ritrovassero premuti l’uno contro l’altra.
- Oh, perbacco. Scusa, Chang – Cedric, la cui intenzione era stata unicamente quella di dimostrarsi gentile nei confronti dell’ospite, era un po’ imbarazzato; la ragazza, tuttavia, sembrava di tutt’altro avviso.
- Nessun problema – sussurrò lei, avvicinandoglisi un altro po’ e gustandosi il delizioso profumo di glicerina del ragazzo. – Anzi: diciamo pure che i tuoi compagni ti hanno spianato la strada...
Lui la guardò senza capire.
- L’invito – suggerì Cho, in un discreto sfarfallìo di ciglia scure. – Ora che la partita è passata, me lo puoi tranquillamente chiedere.
Cedric era basito.
- Ma io... – biascicò, confuso. Lui, a differenza di molti, non aveva letto il trafiletto de La Pulce nell’Orecchio, e quindi si trovava all’oscuro delle speculazioni che lo riguardavano. - Io non avevo intenzione di...
- Non volevi chiedermi di uscire?! – la ragazza sembrava disorientata.
- Oh, beh. Io... veramente... no. -
Quella risposta, che faceva vacillare tutte le sue più solide certezze, provocò in Cho una reazione spropositata.
- Ma brutto stronzo! – ringhiò, livida. Cedric sgranò gli occhi mentre lei, fuori di sé, urlava: - Stupeficium! -
L’intera Sala Comune si voltò a guardare l’esile Corvonero che, tremula d’indignazione, girava sui tacchi, per poi allontanarsi con la bacchetta fumante ancora stretta fra le dita.
Justin si accostò prontamente al suo povero Capitano, schiantato a bruciapelo.
- Reinnerva – brontolò stancamente il biondo, facendo roteare il polso della mano non occupata a reggere un enorme boccale di Burrobirra. – Io, ste donnette isteriche, non le reggo proprio.
Cho, nel frattempo, aveva raggiunto la porta circolare della Sala Comune e, prima di sbattersela con violenza alle spalle, aveva gridato:
- E adesso vado a farmi il primo che mi trovo davanti, parola d’onore! -
Quella, per un anonimo studente di Corvonero rispondente al nome di Michael Corner, fu una delle serate più belle e sorprendenti di sempre.
*
Sorridente, ancora un po’ intimidito per il fatto di trovarsi oggetto di ammirazione, Barry strinse fra le dita della grossa mano il tozzo manico della caraffa, per poi portarsela alle labbra e prendere una lunga sorsata di Burrobirra.
- Oh, sì... molto interessante – rispose educatamente ad una delle ragazze che, dal momento in cui aveva rimesso piede in Sala Comune, avevano cominciato a stringerglisi attorno, a riprova di un’ormai famosa teoria di Maxine, secondo la quale il suo atavico insuccesso con le donne altro non era che una conseguenza diretta della sua innata (e stupida) capacità di rendersi invisibile. “Una volta che ti avranno notato” aveva spesso profetizzato l’amica, con aria di chi la sa lunga “non te le scrollerai più di dosso, vedrai”. E, per quanto a lui ancora paresse strano, così era stato.
Tuttavia...
Beh.
Tuttavia, Barry non era del tutto sicuro che la cosa gli piacesse. Le luci della ribalta non l’avevano mai attratto e nonostante, di primo acchito, la cosa potesse risultare gratificante, in realtà, per uno come lui, trovarsi al centro dell’attenzione non produceva una sensazione propriamente gradevole. In una parola, non si sentiva affatto a suo agio. In quel momento, in realtà, Barry avrebbe desiderato ben altro. Nonostante l’euforia, nonostante l’adrenalina, lui avrebbe voluto trovarsi altrove, in un luogo più tranquillo in cui festeggiare con calma assieme ai suoi amici e compagni di squadra, e cioè assieme a coloro che, col passare delle settimane, aveva cominciato a considerare una specie di famiglia.
E proprio a quel proposito, in effetti...
Il ragazzo tese il collo e, dopo una breve ricerca, finalmente la individuò. Heidi si trovava in piedi accanto al camino acceso, in compagnia di Susan Bones, Ernie Macmillan e Ross Cadwallader. Assentiva con il capo e chiacchierava tranquillamente; i capelli leggermente mossi, che lei aveva lasciato sciolti in una cascata dorata, le incorniciavano il viso illuminato dall’incessante danza delle fiamme. Ciononostante, Barry ebbe la sensazione che Heidi apparisse più magra e nervosa che mai, leggermente accelerata e, al tempo stesso, guardinga.
 “Adesso basta”.
Nel corso dell’ultima settimana, la ragazza non gli aveva rivolto che sporadici monosillabi. Inizialmente lui aveva pensato che il suo comportamento fosse causato dalla tensione pre-partita, ma qualcosa gli diceva che le cose non stavano così. Heidi era strana. Non sembrava neppure lontanamente la stessa persona con cui, all’inizio dell’anno scolastico, era riuscito a fare amicizia con tanta facilità.
“Dee” avrebbe voluto dirle “sputa il rospo, su”.
Reso un filino più audace dalla Burrobirra e facendo appello a tutta la propria (solitamente latitante) risolutezza, Barry sgusciò fuori dalla cerchia di ammiratrici e si accinse a percorrere la distanza che lo separava dall’amica. A discapito dei suoi piani, però, il colloquio chiarificatore dovette essere rimandato.
Barry non aveva mosso che una mezza dozzina di passi quando, inaspettatamente, Zacharias Smith gli si parò davanti in evidente stato confusionale. E prima che il buon Portiere avesse il tempo di dire ba, il controverso cronista, visibilmente alticcio, aveva già cominciato a vomitargli addosso una sfilza di improperi e recriminazioni apparentemente interminabili.
- Dannato... dannato bastardo – bramì Smith, fuori di sé – Infingardo! Giuda! Traditore della tua stessa Patria e della tua stessa Casa!...
- Ma cosa... – Barry sbatté le palpebre, sorpreso.
- L’ho sentita! So tutto! – urlò l’altro, sventolando platealmente le braccia – L’hai... l’hai sedotta e abbandonata!... Razza di... di... svergognato!... Lei! La mia piccola, la mia preziosa Demelza... vergognati!...
Sbirciando oltre il compagno, Barry vide che Heidi, accomiatatasi dai compagni, si stava dirigendo verso la porta circolare dei dormitori femminili.
- Levati dai piedi, Smith! – ringhiò, tentando invano di aggirare il molesto oppositore che, saltellandogli davanti, agitava i pugni nella patetica imitazione di un boxeur suonato.
- Non ti azzardare! – Zacharias sembrava aver perso completamente la testa. – Non ti azzardare o ti... o ti...
Barry fece un ultimo tentativo di scansarlo, accorgendosi però che Smith si era fermato e lo fissava, attonito e bianco come un cencio.
- Oddio, sto male – pigolò il ragazzo, per poi chinarsi in avanti e, questa volta letteralmente (nonché platealmente e dolorosamente) vomitargli sui piedi.
 
[ Ufficio di Albus Silente, 16 Novembre 1993 ]
Astoria dette una rapida lucidata alla succosa mela rossa che teneva in una mano; un sorriso malandrino, ricco di soddisfazione, le illuminava il volto. Con la schiena poggiata alla parete, lanciava occhiate alla porta della presidenza che si aprì pochi istanti dopo, in concomitanza di un piccolo morso al frutto. Avrebbe sperato di leggere nel bel viso di Marcus Flint un’espressione accigliata, ma il capitano non sembrava particolarmente turbato: al contrario una volta messo piede in corridoio, sistemò il colletto della camicia e sorrise in direzione di Astoria, la quale si affrettò ad affiancarsi a lui e seguirne il passo.
- Quanto successo ieri durante la partita ti sarà costato caro, capitano. Bel modo di far perdere punti alla nostra casa, non ti pare? -
Di tutta risposta Marcus ghignò: - Quel che va fatto va fatto, Astoria; se non ci pensano i professori a mettere a tacere la saccenza di questi maghi improvvisati, qualcuno deve pur farlo al posto loro, non trovi? –
Astoria dette un altro morso alla mela e con passo celere seguì Marcus, mani in tasca e sguardo sereno.
- Non ti basta metterti in ridicolo ogni giorno con la tua sola presenza? Prima o poi qualcuno te la farà pagare molto cara e voglio che tu sappia che quel giorno riderò, riderò davvero di cuore. -
- per il momento sono a posto: Piton ha garantito per me; sarai felice di sapere che nessun punto è stato decurtato a Serpeverde e che l’unica cosa che mi sono meritato, è stata un’ammonizione verbale. Il buon nome dei Flint è sempre pronto a coprirmi le spalle, graziosa collega. -
Astoria contrasse le sopracciglia. Ingoiato un altro morso, si parò davanti a Marcus arrestando così il suo incedere:
- Il tuo cognome non potrà sempre salvarti, come fai a non rendertene conto? -
Il mago ridacchiò sommessamente, cosa che innervosì Astoria più che mai; ancor più, quella rimase di stucco quando con gesto noncurante, Marcus Flint prese la mela dalla sua mano e ne staccò un bel morso, prima di ridargliela e accostare la bocca al suo orecchio:
- Continua pure a comportarti da piccola ribelle, femminista ed avanguardista… almeno per un altro po’. Sappi che dovrai presto imparare a rispettare la mia persona ed il cognome che porto, che ti piaccia oppure no. – Così il capitano serpeverde alzò il mento di Astoria e puntati gli occhi chiari in quelli di lei, la congelò con un’ultima frase: - Controlla la posta, avrai presto una bella sorpresa. Bella per me, almeno. -
Astoria osservò, ammutolita, Marcus Flint allontanarsi da lei. Qualcosa che puzzava di bruciato era nascosto nelle parole di lui. Gettò via ciò che era rimasto di quella mela e corse verso la propria Sala Comune, nella quale trovò Daphne ad aspettarla: fra le mani della più piccola si trovava una pergamena che portava il sigillo dei Greengrass, indirizzata alla maggiore delle sorelle.
 
[ Sotterranei, Sala Comune di Serpeverde, 16 Novembre 1993 ]
- Razza di bastardo, maledetto lui! -
Davanti agli sguardi allibiti e spaventati di Daphne Sophie e Draco, Astoria accartocciò con rabbia la pergamena inviatale dai genitori e la gettò nel fuoco vivo del camino. Nessuno dei tre ebbe il coraggio di azzardare anche solo una parola, fin tanto che la maggiore delle Greengrass percorreva la Sala Comune imprecando furibonda. Fu infine Daphne, timorosa più che mai, a trovare il coraggio di farsi avanti per pigolare una richiesta di spiegazione.
- Quell’infame di Marcus! – Gridò Astoria in risposta, - Mamma e papà ci hanno tenuto ad informarmi che hanno ricevuto una proposta molto allettante dalla famiglia Flint! – Così Astoria prese a scimmiottare la voce del padre: - “ I Flint sono una famiglia molto facoltosa bla bla bla, un fidanzamento ufficiale con il maggiore dei loro figli sarebbe quanto di più auspicabile per te bla bla bla! “ -
A sentire quelle parole Daphne sussultò, Sophie mal celò una bestemmia e Draco impallidì d’un botto.
- Vorresti dire che… - tentò Daphne, tiepidissima. Astoria afferrò le spalle della più piccola e le strinse con tanta forza, che Daphne dovette reprimere un gemito: - Voglio dire che quel bastardo di Marcus ha organizzato il nostro fidanzamento ufficiale! Capisci?! Io, a sposarmi con quel troglodita! Vogliono uccidermi… e hanno trovato il modo più doloroso per farlo! Verranno proprio qui prima dell’inizio delle vacanze di Natale per formalizzare l’incontro con i Flint!-
Mollata Daphne, Astoria riprese a camminare in tondo, agitando al contempo le braccia: - Ecco cosa voleva dirmi prima… quella era una vera e propria minaccia! Come farò?! Devo organizzare una fuga. Lasciare Hogwarts, trovarmi un posto sicuro, magari fra Le Ribelli di Godric’s Hollow… - La più grande delle Greengrass affondò su una poltrona, con disperazione.
- Mia sorella in mezzo a quel circolo di insurrezionaliste?! Non lo posso permettere! – A Daphne sarebbe venuta presto una crisi isterica; sua sorella non faceva altro che procurarle molti più problemi di quanto la stessa adolescenza non stava facendo. Sophie sedette sul bracciolo accanto ad Astoria e prese a picchiettarle la schiena: - Coraggio, troveremo una soluzione per rimettere in riga il Capitano; ho ottimi contatti con un negozietto di Knockturn Alley che potrebbe fare proprio al caso nostro. -
- Penso… penso non ci sia bisogno né di mischiarsi con le magifemministe, né di ricorrere a tanto. -
La voce esitante di Draco attirò la loro attenzione. Astoria alzò gli occhi scuri, centrando quelli grigiofumo di Draco il quale, rosso in volto, si fece coraggio: avvicinatosi alla poltrona, sussurrò alle tre con fare cospiratorio: - Niente è ancora deciso… - Draco si guardò rapidamente intorno, poi riprese a parlare: - Una soluzione ci sarebbe… -
- Cosa aspetti? Parla! – Lo incitò Sophie.
- Ecco… e se tu fossi già fidanzata? Magari con qualcuno di più allettante di un Flint… qualcuno con una buona famiglia alle spalle, una persona di tutto rispetto… così facendo i tuoi genitori potrebbero cambiare idea… -
Lo sguardo cupo di Astoria si illuminò di botto ed un largo sorriso scoprì i denti candidi: - Ma certo… ovvio! A quel punto i miei non potrebbero dire nulla e manderei a ballare all’inferno il piano malato di Marcus! –
Astoria scattò in avanti, afferrò il viso di Draco fra le mani e gli stampò un bacio sulla guancia: - Sei un genio Draco, non so come ringraziarti! –
Ciò detto si alzò di botto e scappò via, lasciando i tre soli. A quel punto Daphne incrociò le braccia e guardò Draco con l’aria di chi ha scoperto tutto: - Certo… sarebbe molto meglio imparentarsi con un Malfoy che con un Flint, dico bene? –
Draco sorrise enigmatico in direzione dell’amica; sistemò il colletto della camicia con eleganza e rispose con tono suadente: - Qualcuno al mondo avrebbe il coraggio di dire il contrario? –
 


Cari partecipanti,
eccoci di ritorno con un nuovo episodio di Bolidi. In questo capitolo, ad affrontarsi in campo sono Tassi e Corvi; per questo motivo, come da prassi, abbiamo dedicato un po' più di spazio agli oc appartenenti alle due Case protagoniste. Speriamo, ancora una volta, che il risultato sia di vostro gradimento.
A questo proposito, avremmo più che mai bisogno di riscontri da parte vostra, soprattutto alla luce delle poche recensioni all'ultimo capitolo. Diversi autori non ci hanno fatto pervenire le loro opinioni e questo, lo ammettiamo, ha fatto sì che brancolassimo nel buio circa la piega da destinare a più di un personaggio. In generale, anche scriverci per darci la sola opinione riguardo il proprio oc ci destabilizza, essendo questa una storia corale, dalle molteplici dinamiche; ci farebbe quindi piacere ricevere da voi un parere generale. Questo non significa che esigiamo recensioni chilometriche (che comunque fanno solo piacere) ma che gradiremmo molto un maggiore coinvolgimento da parte dei partecipanti.
 
Detto questo, vi aggiorniamo riguardo il sistema di punteggio che, se anche voi lo riterrete opportuno, avremmo deciso di adottare.
Ad ogni vostro voto corrisponderà un goal, e cioè 10 punti. La squadra che ottiene più voti, si aggiudica anche i 120 che corrispondono alla cattura del Boccino.
Quindi, giusto per capirsi: nella 1°partita, Serpeverde ha ottenuto 5 voti (=50 punti) e Grifondoro 4 (=40 punti). Alle Serpi vanno quindi altri 120 punti per un totale di 170.
Stessa logica nella seconda partita: 3 voti a Corvonero (=30 punti) e 6 a Tassorosso (=60 punti + i 120 del Boccino). La classifica provvisoria, pertanto, prevede:
1 - Tassorosso - 180 punti
2 - Serpeverde - 170 punti
3 - Grifondoro - 40 punti
4 - Corvonero - 30 punti
P.S. In entrambe le votazioni, hanno votato solo 9 partecipanti su 11. Una di noi due è molto arrabbiata per l’attuale classifica (potete immaginare da soli chi delle due).
Bene!
Questo è quanto; prossimo appuntamento in vista della Festa di Natale!
A presto

A&B

 
Visti i problemi tecnici con Tinypic, non abbiamo avuto modo di caricare le figurine. Provvederemo al più presto a sistemare la cosa, anche perché dobbiamo mostrarvi un po’ di aggiornamenti.
 
 
   
 
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