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Autore: Adho_Bri    11/11/2019    10 recensioni
[Storia Interattiva a cura di _Bri_ e AdhoMu. Iscrizioni chiuse] SOSPESA
A.A.A. GIOCATORI CERCASI!
A te, baldo giovine o donzella, che hai sempre sognato di unirti alla tua squadra e difendere i colori della tua Casa, di volare insieme a Harry Potter e di sbaragliare Draco Malfoy (o viceversa) e, soprattutto, di lavorare fianco a fianco con i quattro migliori Capitani di sempre: fatti avanti senza più esitare, le selezioni sono aperte!
Genere: Avventura, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cedric Diggory, Maghi fanfiction interattive, Marcus Flint, Oliver Wood/Baston, Roger Davies
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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 5. Sotto Natale, si sa, son tutti più buoni (o quasi).
(cit. Tilla)
 
[Sala Comune di Corvonero, 18 novembre 1993]
“Non mi sembra un luogo molto romantico, per fare la dichiarazione del secolo” aveva osservato Luna, dando prova di un buon senso a dir poco cristallino.
 
“L’importante è la privacy” aveva replicato lui in tono ovvio. “Tu pensa ad avvertirla, Lovegood. Al resto provvedo io”.
 
E così, mentre Luna si allontanava in cerca di Megan, Anthony Goldstein si era a sua volta avviato verso i bagni femminili del terzo piano: uno dei pochi luoghi di Hogwarts in cui, ne era sicuro, nessuno si sarebbe premurato di ficcare il naso.
 
- Oggi glielo dico – si disse il Corvonero, tirando un profondo sospiro. – Oggi, con l’aiuto di Priscilla la Saggia, è il giorno in cui sistemo tutto l’ambaradan.
 
[Sala Grande, 18 novembre 1993]
- E ho sentito dire che hanno aperto un negozio bellissimo, che vende strumenti musicali commestibili...
 
Vinnie, al settimo cielo, sembrava letteralmente pregustarsi l’imminente uscita in quel di Hogsmeade.
 
- Già – convenne Megan – Per non parlare delle novità della filiale di Accessori. Avrei giusto bisogno di un nuovo lucido per mazze.
 
- Possiamo andare a dare un’occhiata a tutto – rispose Vinnie con un sorriso entusiasta. – Voi due piccioncini sarete dei nostri, vero?
 
Kevin e Lisa, fintanto impegnati in un gaio tubare chiacchierino, tirarono su il pollice in segno d’assenso. Con un bel sorriso stampato sul viso, Kevin formulò vieppiù una frase di sincero apprezzamento nei confronti del villaggio magico che, a sua detta, nel periodo natalizio era particolarmente sfolgorante. Il ragazzo non vedeva l’ora di visitare Hogsmeade assieme alla sua bella.
 
- Oltretutto Norah, mia sorella – raccontò Kevin– mi ha già mandato la lista di dolciumi da comprarle da Mielandia; mi ha giurato che si tratta dell’elenco definitivo, ma sono quasi sicuro che, nelle prossime settimane, mi tampinerà a oltranza con chissà quante altre richieste!
 
- Ma come fa Norah a scriverti? Credevo che lei fosse...
 
- Semplice: ruba il gufo del babbo – sorrise il Tassorosso – Ha imparato in fretta. Sarà anche una Maganò, ma non si fa certo gabbare, quella!
 
- Magari – propose allora Lisa, che ci teneva moltissimo ad intavolare buoni rapporti con la sua nuova ‘cognata’ – un pacchetto di Cioccorane glielo posso comprare io... o forse lei preferisce i Calderotti, magari? Tu cosa ne dici?
 
- Guarda tu stessa – le rispose sorridendo lui, agitando davanti ai suoi occhi una lista apparentemente chilometrica – Norah preferisce praticamente tutto!...
 
- Oddio, pure i Pallini Acidi e gli Scarafaggi a Grappolo! – esclamò Lisa, sbalordita. – Non conoscevo nessun altro, oltre a me, che andasse ghiotto di queste cose.
 
- Anche a me piacciono – decretò Kevin, comprensivo. – Ma nulla, nulla!, a questo mondo, supera i Pallotti Cioccocremosi. Potrei mangiarne fino a star male...
 
- Uh – ridacchiò Lisa scompigliandogli i capelli. – Qualcosa mi dice che, allora, riceverai un regalo gradito...
 
- Hai intenzione di chiedere la mia mano? – la canzonò lui, fingendosi impressionato.
 
- Per ora mi limiterò a prenderti per la gola, bellino – ribattè la ragazza con un gaio sfarfallìo delle ciglia chiare. – Quindi Vinnie, ricapitolando: Accessori, Mielandia, Musimagica...
 
- Sì, e poi potremmo anche... – continuò l’interpellato, facendo bene attenzione a rivolgersi a tutti anche se, sotto sotto, si stava indirizzando soprattutto a Megan.
 
- Scusate.
La voce melodiosa di Luna Lovegood interruppe il ragazzo che, gentilmente (Vinnie adorava Luna e il suo estro), le fece subito cenno di continuare. Poco lontano Mandy, che evidentemente si era avvicinata assieme a lei, sedette su un ceppo di legno intagliato da chissà chi e si mise in attesa, canticchiando fra sé e sé.
 
- Megan – disse l’eterea Corvonero. – Avresti un minuto? Anthony... Anthony Goldstein mi ha chiesto di avvisarti che avrebbe bisogno di parlarti.
 
La Tassorosso sentì che le guance le si imporporavano all’istante.
- Ah sì? – buttò lì, guardinga.
- Sì... e mi ha detto che ti aspetta... che ti aspetta... – Luna tentennò. Perdinci. Era forse un nargillo, quello? – Oh, accidenti – soggiunse, frugando freneticamente nelle tasche della divisa – dove ho infilato i miei Spettrocoli?!
 
Megan rimase ferma a guardarla per una manciata di secondi.
- Dov’è che... ehm, che mi aspetterebbe? – chiese poi, titubante. Il cuore le batteva in modo fastidioso; non avrebbe voluto lasciar trapelare niente, ma il fatto che Anthony le volesse parlare a quattr’occhi la innervosiva tantissimo.
 
Luna, però, aveva smesso di curarsi di lei.
- In bagno – rispose distrattamente la Corvonero.
 
- Che bagno, Luna?
- Ah, mah – borbottò quella, ormai fatalmente distratta. – Un bagno, uno qualunque. Quello al quinto piano, credo. Vogliate scusarmi – e poi, a voce alta: - Mandy! Ne ho appena visto uno!...
 
La rossa, richiamata dall’esclamazione di Luna, saltò in piedi ed estrasse dalla tasca della veste una sferetta di cristallo lucidissima, foderata di morbido muschio.
- Oggi non ci sfugge, per Merlino!...
 
Dal canto suo, un po’ abbattuto, Vinnie rimase a guardare Megan che, dopo aver salutato velocemente il gruppetto di amici, si avviava di buon passo alla volta delle scale.
 
[Campo da Quidditch, allenamenti di Grifondoro, 18 Novembre 1993]
Un timido nevischio scivolava da nuvole piatte e candide, soffermandosi così a spolverare il campo, in quel momento occupato da riserve e titolari di Grifondoro. Oliver osservava la sua squadra con occhi sottili, sospeso in aria a coprire l’anello centrale, ma pronto a scattare all’occorrenza, nonché a lanciare ordini a gran voce. Stava andando bene, tutto sommato. Momentaneamente Grifondoro si trovava a rosicchiare un posticino al di sopra della squadra di Corvonero, ma il Capitano in rosso e oro era motivato a ribaltare la classifica quanto prima possibile; Ritchie, il suo vice, se la stava cavando egregiamente, dimostrando di essere in perfetta sintonia con le teorie e le tattiche strategiche del Capitano e Jimmy, un vero e proprio leone in campo, stava spiccando in maniera particolare. Persino Demelza sembrava meno del solito sulle nuvole e, come una fatina, fluttuava rapida da una parte all’altra del campo riuscendo ad evitare ogni singolo bolide capitasse nel suo raggio d’azione. Chi invece sembrava un tantino sottotono era Alicia, ma Oliver sapeva che la Aussie aveva ben altro per la testa in quel periodo, così evitò di calcare la mano con lei; fortunatamente Katie, guerriera di polso, sembrava pronta a riparare ad ogni svista della sua amica. Tutto procedeva per il meglio ed Oliver passava gli occhi vispi su ogni membro della sua squadra, compiaciuto, soddisfatto, fiero.
 
Dall’altra parte del campo, a difendere i tre anelli speculari a quelli che stava placcando Oliver, si trovava Cormac McLaggen, con indosso un esiguo numero di protezioni, ma con l’immancabile kilt a coprirgli le braghe; non interessava affatto, allo scozzese, che dal cielo stesse cadendo la prima neve di novembre, per più di un motivo: in primis il suo era un fisico temprato dal rigido clima delle Shetland e di certo uno sputacchio di neve non lo avrebbe fermato dall’indossare quel capo d’abbigliamento. In secundis, ma non per questo argomentazione meno importante, gli spalti erano occupati da molti studenti grifondoro tra i quali, fra Harry Potter e Ronald Weasley, sedeva quella graziosa nata babbana di Hermione Granger. Quante volte le povere orecchie di Katie erano andate a fuoco a causa del blaterare di Cormac a proposito delle molteplici qualità che racchiudeva la brillante studentessa amica di Potter? Molte, moltissime. Cormac boccheggiava ogni qualvolta si trovava a stretta vicinanza con Hermione, ma mai che avesse trovato il coraggio di invitarla a passare con lui una giornata ad Hogsmeade. Quella, però, era l’occasione giusta per farsi notare non solo dal Capitano Baston: si sarebbe esposto in numeri incredibili, pur di attirare lo sguardo della Granger; sapeva che la strega non amava il Quidditch, ma dinanzi alle epiche prodezze di Cormac, anche una miscredente come lei sarebbe capitolata. E se lei avesse notato quanto talentuoso fosse nello sport, forse Cormac avrebbe trovato il coraggio per invitarla ad uscire.
 
Per questo quando il Portiere di riserva vide Neil avvicinarsi rapido verso di lui, pronto a scagliargli contro un micidiale colpo di pluffa, Cormac gonfiò il petto e si preparò alla difesa: i capelli chiari del cacciatore mulinarono intorno al viso, assieme alla neve che, da qualche minuto, aveva preso a cadere più forte e con un movimento circolare, ben calcolato, il giocatore scagliò la pluffa verso l’anello di destra, convinto di cogliere Cormac McLaggen alla sprovvista; Cormac però aveva previsto la sua mossa e allungata una gamba scoperta del kilt, calciò la pluffa con una potenza inaudita, caricata dalla volontà di strappare anche solo un sospiro alla Granger.
 
Un colpo che risultò si efficace, ma che finì per colpire il braccio destro di Neil, totalmente impreparato all’aggressiva parata di McLaggen.
 
- Aaarrgh! – gridò il Cacciatore. Quell’idiota era riuscito a colpirlo nel suo esatto tallone d’Achille, quel punto in cui l’ulna si era frantumata anni prima, durante una sciata in famiglia. Ci erano voluti mesi per far si che si riabilitasse completamente, perché la sua frattura era risultata così tanto scomposta che nessuna pozione era stata in grado di porre totalmente rimedio. E con ogni evidenza quella sua debolezza era rimasta tale, visto che Neil sentì nitida la sensazione dell’affacciarsi di una nuova, dolorosissima frattura.
 
- Ma porca pannocchia! Neil! Tutto bene amico?! -
 
Ma era evidente non andasse tutto bene. Il braccio penzoloni di Neil ballava in maniera innaturale, come se un intero osso a suo sostegno fosse scomparso d’improvviso. Il Cacciatore fu spedito in infermeria, seguito dalle scuse grugnite da Cormac McLaggen il quale, definitivamente, aveva compreso di non aver fatto una bella figura né con Oliver né, tantomeno, con Hermione Granger, che sentì squittire di stupore dai vicini spalti.
 
- Forza, non perdiamoci d’animo! -
 
Pallido in volto, ma deciso a non lasciarsi abbattere da una stupida frattura, Oliver calcò gli spalti con sguardo puntuale, alla ricerca delle riserve delle riserve; di qualcuno, insomma, che fosse in grado di coprire il ruolo di Neil per il tempo necessario a concludere gli allenamenti. Sperò in Dean Thomas, ma gli fu riferito che il ragazzo era chiuso in dormitorio con un gran febbrone. Strillò allora in favore di Ginny Weasley ordinandole di scendere in campo; in passato la ragazzina si era dimostrata valida tanto quanto la maggior parte dei suoi fratelli, eppure quella fece il suo ingresso in campo tutta tremante, continuando a lanciare occhiate laddove suo fratello Ronald sedeva accanto a Harry Potter. Ginny fece una cilecca dopo l’altra e poi decise di scappare via, rossa in viso e mormorante scuse.
 
- Al diavolo, Capitano! – La voce maestosa e arrabbiata di Angelina fece tremare i compagni, ormai parecchio affranti dall’incresciosa situazione. Oliver tentò di placare quella sua compagna, bravissima si, ma purtroppo ancora in ripresa; temeva per la sua salute, il buon vecchio Oliver, ma Angelina non gli permise di pronunciare una sola parola in più: imbracciata la scopa, fu lei stessa ad ordinare al resto della squadra di tornare ad allenarsi e nessuno, ma proprio nessuno, ebbe il coraggio di contraddirla. Così la leonessa Johnson segnò uno due, tre goal prima a Cormac McLaggen, poi allo stesso Oliver e fu la sua grinta a far tornare la carica ad ognuno dei suoi compagni.
 
Sbalordito, Oliver guardava la ragazza senza sapere se arrabbiarsi o esultare; era portentosa, davvero, ma la stanchezza era giunta presto a impossessarsi di lei, ancora non pienamente riabilitata. Una considerazione si fece certezza, nella testa del capitano Grifondoro che non staccava gli occhi dalla ex cacciatrice titolare: Angelina doveva tornare in squadra e lui aveva il compito di rimetterla in piedi il prima possibile.
 
[Serra n.5, 18 Novembre 1993]
Demelza odiava avere a che fare con le piante. Non con tutte le piante, si intende, ma nello specifico con quelle che la professoressa Sprout coltivava nelle serre e che pretendeva che gli studenti curassero, potassero, nutrissero. Fino all’anno precedente tutto era filato piuttosto liscio; la strega non aveva mai eccelso in erbologia, ma era sempre riuscita a strappare la sufficienza. Eppure un orribile episodio con un traliccio di Radigorda particolarmente indispettita, che aveva tentato di strozzarla dopo una spuntatina un po’ eccessiva, aveva fatto tremare di paura la povera grifondoro. Fortunatamente per lei, la lezione di quel giorno era finita e Demelza avrebbe potuto respirare di nuovo.
 
- Non-così-in-fretta, Robins. -
 
La piccola strega si irrigidì, nel sentire la voce baritonale del suo Capitano, appena superata la soglia della serra. Cosa aveva fatto, ancora? Perché Elza aveva il sospetto di aver commesso l’ennesimo, stupido errore e che Oliver Baston avesse tutta l’intenzione di mettere in piedi il suo funerale, con tanto di orchestra e rigogliose corone di narcisi? Gli occhioni grigi tremolarono alla sua destra e incontrarono la figura di Oliver, braccia conserte e labbra tirate.
 
- Seguimi, adesso. -
 
- Ma… io avrei lezione con… -
 
- Ho avvisato io la professoressa McGranitt; chiuderà un occhio sul tuo ritardo in onore del Quidditch. -
 
Demelza aveva passato i successivi dieci minuti con la nuca rossomunita, chinata verso il basso. Ogni tanto aveva tentato di ribattere qualcosa, ma appena tentava di pigolare anche un solo ma, Oliver tornava ad incalzarla.
 
- Pensavi di averla passata liscia, non è così? – Oliver spianò le mani sul legno cupo del tavolo sito nella loro Sala Comune: - Come è possibile che succede sempre qualcosa di grave, ogni volta che ci sei tu nei paraggi? Dico… come? -
 
- Quel vermicolo danzerino di Flint… Capitano tu non sai cosa… -
 
- Non lo so e non mi interessa! – L’ennesima protesta fu sopita, - Non ti hanno espulsa solo perché avrebbero dovuto fare la stessa cosa con lui, lo capisci?! E tu lo sai che se ti buttano fuori da Hogwarts anche per un solo giorno, non ti sarà più permesso di giocare a Quidditch per tutto l’anno?! Vuoi finire come il tuo amichetto George? Sto ancora soffrendo l’assenza dei Weasley… prima o poi mi verrà un colpo e sarà solo colpa vostra. -
 
- Ma io… -
 
Il lungo indice della mano di Oliver puntò il naso di Demelza, la quale fece un balzetto indietro sulla sedia: - Se sento un altro ma, Elza… giuro che ti sbatto fuori dalla squadra! – Poi Oliver prese un grande sospiro per ritrovare la calma, prima di tornare a parlare: - Purtroppo Neil è fuori gioco fino a data da destinarsi; pare che quel suo braccio sia conciato troppo male e nemmeno una ricca sorsata di ossofast è servita a riassestarlo; lo hanno portato al San Mungo. –
 
Demelza fu tentata di tirare fuori l’ennesimo ma, eppure si guardò bene dal farlo e, stropicciandosi le mani e sfregando le ginocchia sporgenti, attese che il Capitano andasse avanti.
 
- Non ci resta che affidarci ad Angelina; purtroppo, però, sai meglio di me che non è conciata bene: ha bisogno di riprendere ad allenarsi con costanza e serve il supporto degli altri Cacciatori, per aiutarla. Quindi apri bene le orecchie e ascoltami con attenzione: rintraccia immediatamente Alicia e Kit… -  Oliver arrossì di colpo e balbettò – V-voglio dire….Katie. Insomma trovale, liberale da qualsiasi loro impegno e portale in campo. Alle quattro in punto vi voglio con la divisa indosso e le scope imbracciate, sono stato chiaro? -
 
- M… -
 
- Non un minuto più tardi! Godric solo sa quanto ho dovuto pregare, per farmi riassegnare il campo per un paio d’ore. Se ci tieni al tuo ruolo, vedi di non commettere passi falsi, mi hai capito? -
 
Un flebile si da parte di lei, mise fine a quell’agonia.
 
*
 
Come avrebbe fatto? Questa volta, ne era più che certa, Oliver le avrebbe tirato via la testa dal collo prima ancora che lei avesse potuto giustificarsi in qualche modo. Ma dannazione, mica era colpa sua se Alicia e Katie l’avevano liquidata più velocemente del solito, sostenendo di dover dare la precedenza alla sopravvivenza di Uluru. Troppo indaffarate per trovare una soluzione affinché la vita di quel panciottoso esserino venisse salvaguardata, gli allenamenti straordinari erano l’ultimo dei loro pensieri. Affranta più che mai, Demelza trovò conforto nella splendida, imponente figura di Barry il quale, affiancato da un paio di suoi compagni tassorossini, passeggiava per un affollato corridoio.
 
- Signor Barry! – La sua vocina squillò e la sua mano frenetica tentava di richiamare l’attenzione di Summers, ma il ragazzo sembrò ignorarla totalmente. Ma certo… perché Barry Summers avrebbe dovuto dedicarle attenzioni? Del resto lei era sempre così tanto “Elza”, come i suoi più cari amici si premuravano sempre di sottolineare, che nessuno mai avrebbe avuto davvero l’intenzione di guardarla, se non per prenderla in giro. Un disastro sotto ogni punto di vista, pensò lei tirando un gran sospiro, mentre l’affluire degli studenti la ballonzolava da un lato all’altro del corridoio. Probabilmente sarebbe caduta, se un paio di mani affusolate non l’avessero trattenuta per le spalle.
 
- Mi sembra alquanto pericoloso tentare di opporsi a questa marea. -
 
Elza alzò distrattamente lo sguardo e inclinò la testa da un lato, per puntare gli occhi in quelli grandi, verdi e vagamente assenti del ragazzo che l’aveva salvata dalla massa. Arrossì appena, nel constatare che Elliott Johansson portava ancora nitidi sul viso, i segni di quella baruffa avvenuta sugli spalti pochi giorni prima. Quantomeno i tamponi erano scomparsi, ma la soglia del suo naso affilato e regolare era ancora cucita dai punti.
 
- Lasciami qui, pastrocchio affusolato. Non potrei che trovare sollievo, nella morte. -
 
Mentre Demelza sospirava e straparlava, Elliott la spostava pian piano su un lato del corridoio. Poi la soppesò, vagamente accigliato.
 
- Non hai avuto successo con quel ragazzo tassorosso?-
 
Un altro profondo sospiro, prima di proseguire: - Lui è l’ultimo dei miei problemi. – E a quel punto, nella concitazione che la caratterizzava, Demelza prese a spiegare ad Elliott i guai che stava passando con il suo Capitano. Se si fosse presentata in campo da sola, sarebbe stato un gran brutto affare. Elliott lanciò un’occhiata all’orologio che cingeva il polso nodoso e pallido; avrebbe tardato all’appuntamento con Millicent, ma quella ragazza le sembrava così tanto giù di corda, che non se la sentì di ignorarla e lasciarla lì. Del resto se l’aveva salvata due volte (mettendosi inefficientemente in mezzo fra lei e Flint prima, salvandola da un calpesticcio di studenti poi), avrebbe potuto farlo anche una terza.
 
- Io avrei una soluzione per te. – Affermò laconico. Demelza sbatté un paio di volte le palpebre e poi seguì Elliott Johansson verso una meta a lei sconosciuta.
 
[Sala Comune di Corvonero, 18 Novembre 1993]
Trovò davvero complicato concentrarsi sullo studio, nonché sul lavoro arretrato; neanche aveva il tempo per dare retta a sua sorella, la quale più passava il tempo, più gli assomigliava pericolosamente ed era quindi evidente che la piccola Meline avesse bisogno di qualcuno che la tenesse sotto stretta sorveglianza. Il motivo era uno solo: Kevin Entwhistle aveva la testa impegnata da un solo pensiero, roboante e totalizzante: Megan Jones. Grattò la testa tornata del solito biondo acido e sbuffò sonoramente, prima di far crollare la faccia su un voluminoso libro di pozioni avanzate. Seduta poco distante da lui, Morag si trattenne dall’inveirgli contro. La strega socchiuse gli occhi, ricercò la forza dentro di sé, infine si rivolse al vicecapitano: - Mi sembra evidente che qualcosa ti agiti, Kevin, visto che non sei stato un solo, fottutissimo, momento, fermo. – Il tutto, detto con un sorriso candido.
 
- Oh perdindirindina! Morag MacDougal che dice le parolacce; devo essermi comportato davvero molto male, per averti spinta a tirare fuori parole tanto ardimentose. -
 
- Stai impedendo a te stesso e alla sottoscritta di portare avanti questo compito, già di per sé particolarmente ostico. Quindi le soluzioni sono due: - Morag tirò su il pollice prima, l’indice poi – O te ne vai a grattarti, sospirare, sbuffare e gemere da un’altra parte, oppure mi dici cosa ti sta passando per la testa, troviamo rapidamente una soluzione al tuo disagio esistenziale e torniamo a studiare. A te la scelta. -
 
Vinnie guardò la sua compagna, che aveva stretto le braccia e lo stava guardando con sguardo di fuoco. Avrebbe anche parlato di cosa lo affliggesse, eppure non lo ritenne giusto; del resto Megan era una sua cara amica. Poi ci pensò su: forse proprio per questo motivo, parlando con Morag avrebbe potuto capire cosa passasse per la testa a Megan e avrebbe così potuto agire di conseguenza.
 
- Va bene tiro fuori il rospo. Allora vedi, si tratta di… -
 
Un lieve tossicchiare alle sue spalle, bloccò le parole di Kevin. Voltandosi, il ragazzo impattò con la figura allampanata (e malconcia, visti lividi e punti di sutura) di Elliott. Quest’ultimo teneva le mani allacciate dietro la schiena e osservava i due compagni con sguardo lacunoso.
 
- Scusate, so che l’ultimo compito del professor Piton è particolarmente ostico. – Elliott gettò gli occhi verdi sugli appunti di Vinnie, - A proposito van… la risposta della quinta domanda è sbagliata. –
 
- Oggi sto facendo un casino. – Borbottò Vinnie, chiudendo con un rapido scatto il libro.
 
- Beh… sono qui per chiederti un favore e in cambio, se acconsentirai ad aiutarmi, posso completare il compito al posto tuo. Il mio l’ho finito. -
 
Vinnie studiò per un attimo il suo amico. Ci fosse stato qualcun altro al suo posto, non avrebbe acconsentito; ma di Elliott si fidava, perciò vagamente rincuorato, gli fece cenno di andare avanti.
 
*
 
-Se lo faccio è solo perché devo un favore a Ells; quando le commissioni dei compiti si accumulano è a lui che passo il lavoro in eccesso: mai una volta che mi abbia chiesto qualcosa in cambio. –
 
Vinnie procedeva con le mani in tasca al fianco di Demelza, che lo guardava con ogni sognanti.
 
- Prometto che non ti ruberemo più di un paio d’ore! – Pigolò lei, poi congiunse le mani e prese a saltellare allegra: - Devo fare un bel regalo a quel merluzzo al ragù; hai idee? -
 
Il mago ridacchiò: - Qualsiasi cosa che lo faccia sballare andrà più che bene. Ells è un buon amico e ti assicuro, nonostante le apparenze, sa come divertirsi un po’. Bisogna solo che perda un po’ di freni inibitori. –
 
- Lo terrò a mente. – Dichiarò ad alta voce Demelza, ormai giunta ai margini del Campo.
 
- Allora dimmi Robins: a chi dovrebbero servire le mie infinite qualità di cacciatore? -
 
Una pluffa, violenta quanto il più micidiale dei bolidi, sfiorò la fronte di Vinnie. Benedetti riflessi pronti, pensò il ragazzo mentre rivolgeva un “ehi!” particolarmente risentito in direzione del campo. Di contro Demelza sorrise e agitò le mani verso Oliver, al fianco di Angelina Johnson.
 
- Ma la Johnson! – Rispose poi a Vinnie, ancora boccheggiante per merito di quello strabiliante colpo di pluffa. –Chi altri mai potrebbe scagliare un colpo così, se non lei? –
 
[Bagni femminili del Terzo Piano, 18 novembre 1993]
(Dedichiamo questo brano a Carlo Verdone, maestro inarrivabile)
Come ogni mercoledì pomeriggio da quando quel santo di Elliott Johansson le aveva gentilmente concesso la sua attenzione, Millicent si accingeva a prendere parte ad una delle sue inestimabili sessioni di psicoterapia. I suoi recenti successi in campo, nonché il sensibile allargamento del suo ventaglio di amicizie l’avevano resa un po’ più sicura, certo; ciononostante, la ragazza non avrebbe mai e poi mai rinunciato ad una seduta: ci teneva troppo.
 
Decisa ad aprire l’incontro con una serie di riflessioni sulla bellezza sfolgorante di Gwenog Jones, avvistata di sfuggita durante la partita Tassorosso-Corvonero, Millicent si introdusse nei bagni femminili del terzo piano e, come di consueto, prese posto nel secondo cubicolo a partire da sinistra. La porta dello scompartimento adiacente, notò la ragazza, era già chiusa, segnale che Elliott si trovava già sul posto e che, in breve, si sarebbe pronunciato invitandola a cominciare. Per sua grande sorpresa, però, dalla divisoria di compensato scheggiato che separava i due gabinetti filtrò una voce maschile a lei sconosciuta.
 
- Ciao Meg, sono io.
 
Millicent spalancò le palpebre, stupita. Quello, evidentemente, non era Elliott. Così come lei, del resto, non era ‘Meg’.
 
- Lo so che il luogo è poco adatto – continuò la voce - e ti chiedo veramente scusa. In questi giorni ho cercato anche di affrontare l’argomento in altro modo, ma tu eri sempre molto impegnata con gli allenamenti. Io... non posso non parlarti, perché ho riflettuto tanto sulla nostra situazione... mi son scavato dentro e ho trovato veramente tante, tante mancanze da parte mia. Meg, ti ricordi quando dicevo in giro che non avrei mai trovato il coraggio di dire la parola “ti amo”? Che la ritenevo una parola... ovvia, banale, infantile; che mi vergognavo?... Meg, io sono stato uno stronzo, un grande stronzo. Ti chiedo scusa. Io questa parola “ti amo”, però quest’oggi, te la voglio dire non una, ma mille volte, fino a farti diventare sorda. Meg: io ti amo. Ti amo. Ti amo. Tiamo, ti amo.
 
Millicent era esterrefatta.
“Ma chi ca**o è quest’infelice che viene a rompere i cog**oni durante la mia seduta?!”
 
- ...ti amo. Tiamotiamo. Ti amo...
 
All’ennesima ripetizione, la Serpeverde non ci vide più.
- Ma si può sapere chi ca**o sei?!
 
Dall’altra parte della paratia, un minuto di silenzio costernato.
- Scusa – azzardò Anthony, con fare guardingo. – Non sei Megan?
 
- Ma quale Megan e Megan!? Ma cambia spacciatore, va’!
 
Anthony era impietrito.
- Scusa... scusa, evidentemente ho sbagliato persona...
 
- Ma scusa il caz**o!
 
Lo scatto della serratura e il cigolio della porta, seguiti da una serie di passi frettolosi che si allontanavano precipitosamente, le fecero capire che il misterioso innamorato aveva visto bene di levare le tende. Incarognita, Millicent bestemmiò per qualche minuto ancora, finché la voce pacata di Elliott non s’impose sulle sue rumorose manifestazioni di sdegno.
 
- Ciao, Millicent... ti chiedo scusa per il ritado. Ero...
- Sorvoliamo – tagliò corto lei, secca.
 
- V-va bene. E, se posso chiederlo... – il tono di Elliott assunse una sfumatura circospetta. – ... con chi ce l’avevi, poco fa?
 
La ragazza menò una manata sulla parete delicata, rischiando seriamente di mandarla in frantumi.
- Un cog**one logorroico che è venuto qua a dirmi chemmeama, me ama, maqquantomeama!...
 
[Chiostro Maggiore, ricreazione del 20 novembre 1993]
- Una gran brutta gatta da pelare, effettivamente...
 
Alle parole della sorella maggiore, alla quale aveva illustrato la gravità della situazione, Ritchie annuì con fare serio. Lottie, la sorella minore che, fino a quel momento, se n’era stata zitta ad ascoltare, non riuscì a reprimere uno sbuffo d’insofferenza.
 
- È veramente assurdo – dichiarò la piccola fra i denti. – Da quando ho messo piede ad Hogwarts, l’anno scorso, Uluru è una presenza costante in Sala Comune. Dovresti vederlo, Liz: è assolutamente adorabile... io e Ginny ci avremo giocato in centinaia di occasioni, senza contare tutte le volte che, d'inverno, lo abbiamo usato come boulle dell’acqua calda...
 
- Non stento a crederlo –la maggiore storse la bocca e spostò nuovamente l’attenzione sul fratello che, rabbuiato, sedeva in silenzio accanto a lei. Non di rado, fin da quando erano bambini, Ritchie le si avvicinava per chiederle consiglio; a scuola, ciò avveniva soprattutto quando il ragazzo rischiava di vedersela brutta con Storia della Magia e Pozioni. Mai prima di allora, tuttavia, le si era rivolto per consultarla su una situazione così grave.
 
- Io credo – disse infine Ritchie, rompendo il silenzio – che forse tu potresti dare una mano alla causa, Liz.
 
- Io?! – Elizabeth proruppe in un’esclamazione meravigliata.
 
- Sì, tu – Ritchie si voltò di scatto verso di lei, un’ombra risoluta negli occhi scuri. – Ci ho pensato su a lungo, e ritengo che potresti entrare in contatto con Gryffyn.
 
Questa volta la sorpresa parve impossessarsi del tutto non solo di Liz, ma anche di Lottie.
 
- Gryffyn Samuel?! – urlò la minore, sbigottita. – Non starai parlando sul serio!
 
- Sono serissimo, invece – Ritchie incrociò le braccia con fare testardo. – Mai stato più serio, in realtà. – Quest’ultima affermazione, proferita da un ragazzo giudizioso come lui, suonò tremendamente ufficiale.
 
- E perché non lo fai tu? – lo incalzò ancora Lottie. - In fin dei conti, è anche tuo cugino.
 
- Perché io, su di lui, non ho la minima presa, Charlotte – spiegò lui in tono ovvio. – Mentre invece, come tutti sappiamo, la nostra Lizzie è sempre stata la sua cocca.
 
- Ah, e come no – sibilò Elizabeth, scettica. – Quando avevo undici anni, giusto durante le prime settimane di scuola, forse. Perché poi... bah, lo sapete anche voi: da quando si è diplomato, la spocchia pare aver preso definitivo possesso del suo corpo.
 
- No, dico... ma l’avete visto, lo scorso Natale? – rincarò Lottie, tagliente. – Non mi sarei stupita se, da un momento all’altro, si fosse letteralmente levato in volo! Kettleburn qua, Kettleburn là... ma quanto se la può tirare una persona, per Godric!?
 
Inaspettatamente, invece di unirsi all’impeto denigratorio della sorellina nei confronti del cugino un po’ troppo pomposo, Ritchie le si rivolse con un sorriso furbo.
 
- Ma sai che sei proprio acuta, Char-lottie? – le disse, strizzandole l’occhio. – Cinque punti a noi Grifondoro; zero alla sorellona Corvonero.
 
Elizabeth, che aveva alzato la mano pronta a dire la sua, rimase ferma con l’indice puntato al cielo.
- Perché? – domandò, presa in contropiede. – Che cosa mi sarei persa, esattamente?
 
- Mi sa che oggi saresti rimasta chiusa fuori dalla Sala Comune dei Corvi, sista’ – la schernì bonariamente Ritchie, rivolgendole un’occhiata affettuosa – Kettleburn, no? – aggiunse poi, visto che Liz continuava a fissarlo senza capire. – È il capo diretto di Gryffyn, dico bene?
 
Bastarono queste poche parole affinché le due sorelle capissero dove Ritchie voleva andare a parare.
- Tu vorresti che io gli scriva, chiedendogli di intercedere per la tua amica?
 
- Esattamente.
 
- Ma Ritchie... – tentò Elizabeth, imbarazzata - non ci parliamo da anni... le volte che gli ho scritto, non mi ha mai risposto... quando ci vediamo in famiglia, mi saluta a malapena...
 
- Senti, Liz – la interruppe Ritchie – Gryffyn Samuel è un personaggio scomodo, lo so bene. Anche a me, spesso e volentieri, dà sui nervi. Questo, però – e qui Ritchie rivolse alla sorella un’occhiata da cucciolo che la fece sbuffare, perché non le lasciava scelta – è un caso di vita o di morte. Letteralmente. Cerca di capirlo, ti prego.
 
Elizabeth dovette capitolare.
 
- Va bene, va bene – tagliò corto, in un tono ostentatamente burbero che, in realtà, non le si addiceva affatto. – Prima, però, vado a parlare con Lowen Alfred e vedo cosa posso fare.
 
- Ottima idea – convenne Ritchie – eccolo laggiù – aggiunse, indicando il fratello minore del famigerato Gryffyn Samuel che giocava a Gobbiglie dall’altra parte del chiostro, assieme ad un folto gruppetto di compagni. – Puoi andarci subito, così eviti di doverlo scovare più tardi.
 
Rassegnata, Elizabeth si alzò in piedi e si rassettò la gonna a pieghe.
- Certo che questa tua amica dev’essere proprio una persona molto, molto speciale – soffiò la ragazza all’indirizzo del fratello, che arrossì leggermente. – Per spingerti a comportarti in modo tanto molesto con la tua povera sorella...
 
- Oh, Alicia è il massimo! – esclamò tutta entusiasta Lottie, con l’innocenza tipica della sua giovane età. – Nonostante sia più grande di noi, ci dà sempre corda... ed è davvero una tipa a posto, con qui suoi modi di dire così strani, poi, e con quei suoi racconti di terre lontane... e oltretutto, in campo, è veramente brava: pensa che la sua Comet Meridian è un modello di scopa australe che...
 
- Va bene, va bene!
 
Liz si allontanò a grandi passi; Ritchie, sollevato, la seguì con lo sguardo, incrociando mentalmente le dita.
 
[Aula di Divinazione, 25 novembre 1993]
All’interno della vasta sala immersa in una penombra screziata dei toni violetto e arancione delle tende tirate, gli studenti vivacchiavano in uno stato semi-catatonico. Il profumo d’incenso, dolce e penetrante, inebriava le narici e anestetizzava i cervelli. Là dentro si aveva l’impressione di trovarsi all’interno di un uovo dai colori sgargianti.
 
Trascinandosi dietro il brillìo di pietre e lustrini, Sibilla Cooman scivolava fra i banchi con passo soave, fermandosi di tanto in tanto a scrutare all’interno delle sfere di cristallo disposte sui numerosi tavolini da tè.
 
- Per chi, come voi, non è stato omaggiato dal dono a me gentilmente concesso dai Saggi, la Sfera rappresenta quanto di più vicino vi sia al Magico Occhio Interiore.
 
Gli studenti più zelanti annuivano, annoiati; la maggior parte, al contrario, dormiva spudoratamente con la testa adagiata sulle braccia.
 
- Passiamo ora all’Interpretazione – annunciò la professoressa, in tono drammatico. – Vediamo, vediamo: chi può dirmi cosa vede?... – gli occhi amplificati dalle spesse lenti vagarono inquieti per la stanza, fino a fissarsi su una figura seduta in seconda fila. – Lei, signorina Brocklehurst. Mi riferisca, la prego.
 
Mandy alzò di scatto lo sguardo dalla sua copia del Cavillo, gentilmente regalatale da Luna quel mattino stesso, si mise a sedere più dritta e tossicchiò imbarazzata. Non sapeva che cosa dire, perdinci. Lei, nella Sfera, non ci aveva mai visto assolutamente nulla; eppure, a differenza di molti altri, inventarsi tutto di sana pianta le sembrava indelicato e irrispettoso nei confronti della professoressa Cooman.
 
- Dunque... – cominciò, mettendo a fuoco i misteriosi meandri di cristallo del globetto posato davanti a lei. – Vedo... vedo... mi pare...
 
- Ebbene?
 
- Ebbene – inaspettatamente, la voce di Mandy si fece ad un tratto più ferma. La ragazza spalancò gli occhi, sorpresa dal fatto di scoprirsi, effettivamente, in grado di scorgere qualcosa che non fossero appena riflessi nebulosi. – Oh. Lapidi.
 
- Lapidi? – si stupì la professoressa, ingolosita dal macabro dettaglio. – Interessante. Continui.
 
- Sì, vedo delle lapidi... Lapidi sormontate da statue che sembrano... angeli di pietra – proseguì Mandy, gli occhi fissi sulla Sfera. – Vedo molti tumuli dall’aspetto decrepito, che mi sembrano...
 
- Come le sembrano?
 
- Sembrano abbandonati: c’è l’erba alta, sono in preda all’incuria, parecchio macchiati e sbeccati. Devono essere piuttosto vecchi...
 
Sibilla Cooman sembrava ipnotizzata dal resoconto della ragazza.
- Che altro?
 
- Uhm. Mi pare di vedere... aspetti, quello mi sembra un nome, inciso nella pietra.
 
- Un nome? – la incalzò la profssoressa. - Riesce a decifrarlo, signorina Brocklehurst?
- Sì... – Mandy strinse gli occhi, nello sforzo di concentrarsi e di vederci più chiaro. – Tim... no, mi scusi: è Tom.
 
- Tom?!
 
- Precisamente. Tom – Mandy alzò lo sguardo, trionfante. Finalmente, al di là di ogni sua più rosea aspettativa, avrebbe fatto una bella figura in quella materia così ostica. – Per la precisione Tom Riddle, professoressa.
 
Lo strillo acuto della veggente provocò una vera e propria ecatombe di sfere di cristallo, malamente sgomitate degli studenti sonnacchiosi svegliatisi di soprassalto.
 
[Ufficio di Argus Gazza, 30 novembre 1993]
Contrariamente al solito, Alicia era così nervosa che Katie temette seriamente di vederla collassare su se stessa da un momento all’altro. Impegnata a misurare a passo pesante l’esiguo spazio libero dell’ufficio del custode, Alicia sferzava l’aria con le punte sfilacciate dei lunghi capelli biondi e si tormentava senza pietà le pellicine delle unghie.
 
- Datti una calmata Aussie, ti prego – pigolò Katie, esausta. – Mi stai facendo saltare i nervi.
 
Gazza, seduto dietro la scrivania con Mrs. Purr acciambellata in grembo, sembrava altrettanto nervoso ed elargiva alla povera gatta carezze un po’ troppo vigorose, in seguito alle quali si libravano nell’aere piccoli ciuffi di pelo.
 
- I miei sono già saltati, mate – sbuffò Alicia, infilando per la millesima volta la mano fra le strette sbarre della gabbietta che teneva imprigionato Uluru. – Vieni qua, cicciotto. Fatti grattare. – L’ornitorinco si girò faticosamente a pancia in su e fece schioccare il becco blu cobalto con fare rassegnato.
 
In quel momento, Angelina spalancò la porta e guardò dentro. Dal corridoio proveniva il vociare intenso di tutti coloro che non avevano trovato posto all’interno dell’ufficetto. Alle sue spalle risuonò distintamente la voce di Jimmy che, a ritmo cadenzato, urlava qualcosa del tipo Tiranni! Carogne! Morite nelle fogne!
- Sta arrivando, ragazze – ringhiò la ragazza all’indirizzo delle due compagne – Fred e George l’hanno avvistato dalla Torre di Astronomia e ci hanno fatti informare da Nick. Pare abbia appena varcato il portone del Castello.
 
- È il momento – mormorò semplicemente Katie, incrociando spasmodicamente le dita e pregando Sant’Andrea Patrono di Scozia e tutti i suoi accoliti che il ricorso fosse andato a buon fine. – Forza e coraggio, Aussie – disse all’amica che, bianca come un cencio, ricambiò il suo cenno con un assenso impercettibile.
 
Seguirono alcuni minuti di attesa servante; poi, un boato all’esterno della stanzetta (fra invettive, cori di protesta, sventolii di striscioni e la voce accusatoria di Lee Jordan amplificata da un megafono magico particolarmente molesto) annunciò loro che Walden Macnair era finalmente arrivato.
 
Il boia entrò senza degnarsi di bussare. Indossava un mantello nero come la pece, sulle cui spalle ricadeva un cappuccio puntuto, dotato degli appositi fori per gli occhi. A tracolla, assicurata ad un laccio di cuoio lucido come uno specchio, portava una mannaia dall’aspetto affilatissimo. L’uomo non disse ‘buongiorno’, non ricambiò il saluto del nervosissimo Gazza nè proferì verbo. Si limitò a puntare gli occhi chiari sulla gabbietta di Uluru e a piegare le labbra sottili in un sorriso di tagliente soddisfazione; e alla fine, con un gesto lento ed esasperante, sfilò un pezzo di pergamena ripiegata dalla tasca del mantello.
 
- La divisione legale dell’URCCM – lesse con voce bassa e roca, intrisa di avido compiacimento - decreta che il ricorso presentato da Kathleen Anne Bell in favore di Alicia Myaree Spinnet ha da considerarsi NEGATO in virtù del Regolamento Britannico preposto all’importazione di fauna magica esotica.
 
- No! – l’urlo di Alicia lacerò l’aria; la ragazza scattò in avanti e si frappose fra il boia e la gabbia. Katie le si affiancò con un salto, mentra Gazza si guardava intorno frastornato e tentava un flebile:
 
- Dottor Macnair, non è che...
 
- L’esemplare illegalmente detenuto – continuò quello, senza smuoversi di una virgola - dovrà essere immediatamente consegnato al rappresentante preposto, Walden Andrew Macnair (che sarei io), per l’immediato espletamento delle procedure del caso.
 
Seguì prevedibile trambusto.
 
- La prego, la prego! – Alicia tremava e, chinatasi, abbracciava la gabbietta all’interno della quale Uluru zampettava allarmato – Uluru è mio amico... vive con me da quando non era che un uovo!... L’ho allevato io!...
 
- Poche ciance – Walden Macnair ripose la lettera e le rivolse un’occhiata scocciata. – Mi consegni immediatamente la best... ehm, l’animale. - L’uomo mosse un passo e, estratta la bacchetta, fece per pronunciare un Incantesimo di Appello.
 
- Giù le mani! – strillò Katie. – Uluru non entrerà a far parte della sua macabra collezione di cadaveri impagliati, ha capito?!...
 
L’impulso la spronava a sfoderare a sua volta la bacchetta, che Katie si sentiva fremere d’indignazione nella tasca della veste. Con la coda dell’occhio, la ragazza vide che Alicia aveva piegato il braccio all’indietro e, con la punta delle dita, sfiorava la punta del massiccio boomerang varipinto che l’amica soleva portare sempre con sé.
 
“Oddio, adesso glielo tira in testa” pensò, spalancando gli occhi celesti. E poi, sgomenta: “La espelleranno, per Godric!”
 
La porta che si apriva di scatto infranse improvvisamente la tensione. Ansimante e inatteso, Ritchie mise dentro la bruna testa spettinata e proruppe in un sonoro:
 
- Fermi tutti!
 
I presenti si voltarono a guardarlo all’unisono, come ballerini perfettamente coordinati.
 
- Fermi tutti! – con un’ampia falcata, il nuovo arrivato guadagnò il centro della stanza.
 
Walden Macnair lo guardò come a volerlo passare da parte a parte.
- E lei chi è? – gli chiese, sprezzante. – Qui, se non se n’è accorto, stiamo per procedere ad un’esecuzione.
 
- Mi duole contraddirla, Dottor Macnair – replicò Ritchie in tono fermo. Sotto gli occhi sbarrati delle due compagne e di Gazza, il ragazzo srotolò velocemente il rotolino di pergamena stretto fra le sue dita. – Tuttavia, sono costretto ad informarla che è stato diramato un controdine.
 
L’uomo sbattè le palpebre, sorpreso.
- Ma cosa...
 
- Con il potere attribuitomi dalla mia carica – intonò allora Ritchie, scandendo bene le parole – concedo ad Uluru, Orithomagicus Australiensis di proprietà di Alicia Myaree Spinnet, il Certificato di Regolare Registro di Creatura Magica Esotica legalmente importata. Tale titolo conferisce al suddetto libero accesso e permanenza illimitata sul territorio nazionale. In fede, Gryffyn Samuel Coote, facente le veci di Silvanus Kettleburn, Direttore dell’URCCM.
 
- È un bluff – fu l’unico commento di Macnair, proferito con un sibilo intriso d’odio. – Non può essere altrimenti.
 
- Verifichi lei stesso – ribattè Ritchie, irremovibile. Il sigillo apposto in calce alla pergamena on lasciava adito a dubbi. Furibondo, Macnair si voltò di scatto e uscì dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle e ringhiando un qualcosa di simile a “me la pegherete”. Ritchie, allora, si girò verso Alicia e Katie, che ancora lo fissavano meravigliate.
– Uluru è a posto, ragazze.
 
Fu Mastro Gazza a rompere lo stallo. Avvicinatosi velocemente alla gabbia, il custode si affrettò ad aprire il pesante lucchetto che la teneva chiusa. L’ornitorinco sgattaiolò fuori immediatamente e, felice, si lanciò fra le braccia di Alicia, che se lo strinse al petto con evidente commozione.
 
- Ed ora fuori dai piedi, marmocchi – sbraitò allora l’uomo, tirando sul col naso. – Niente piagnistei nel mio ufficio, o giuro che vi punisco a vita.
 
[Sala Comune di Corvonero, 3 dicembre 1993]
Seduta ad un tavolinetto dalla Sala Comune di Corvonero in compagnia di Sue, Morag emise uno sbuffo rumoroso ed intensificò il grattare della penna d’oca sulla pergamena.
 
- Tutto bene, Mog? Se vai avanti così, rischi di fare un buco nella carta...
 
La ragazza trasse un secondo respiro ancor più profondo (e scocciato) del primo, per poi occhieggiare con disappunto verso l’attiguo divanetto su cui, da un lasso di tempo ormai incalcolabile, Cho Chang si baloccava con un radioso Michael Corner e declamava a voce alta le brillanti prestazioni dei Tutshill Tornados che, nell’ultima partita, avevano letteralmente fatto a pezzi gli Appleby Arrows.
 
L’umore di Morag, messo a dura prova dall’essere disturbata mentre svolgeva il tema della sua materia preferita, nonché dalla voce acuta della Cacciatrice che le rimbombava nel cervello, peggiorò considerevolmente. Morag detestava essere disturbata, detestava Cho e detestava i Tornados. Il fatto che questi avessero vinto in un confronto con la sua squadra del cuore, e che la compagna si stesse premurando di sbandierarlo ai quattro venti, provocò un’improvvisa degenerazione della situazione.
 
- Colpa delle oche giulive intente a starnazzare qui accanto – si lasciò sfuggire, a voce un po’ troppo alta. Sue le restituì uno sguardo stupito, sorpresa dalla sua insolita aggressività. Prima che l’amica avesse il tempo di pronunciarsi, però, la voce cristallina di Cho s’impose sul brusio di fondo.
 
- Oh, per Giove. L’invidia è proprio una brutta cosa, Mike.
 
- Come dici? – Morag fece una smorfia serafica e la guardò appena. – E che cos’è che, esattamente, dovrei invidiare, io, di una come te?
 
- Non è colpa mia se a sedici anni hai già una mentalità da bacchettona rinsecchita, MacDougal.
 
- Vedi di chiudere il becco, Chang – Morag raddrizzò la schiena; l’ombra della sua figura imponente  illuminata dalle fiamme del caminetto si stagliò nitida sulla parete alle sue spalle. – Oggi non sono proprio in vena. Sto cercando di studiare, se non lo si è capito.
 
- Oh, ma io l’avrei volentieri tenuto chiuso, figurati. Detesto sprecare il fiato per cose che non ritengo importanti -e che oh, sorpresa! non necessariamente esse coincidono con la tua lista di priorità. Ma stavolta mi sono proprio rotta dei tuoi modi da maestrina, quindi ti pregherei di starmi bene a sentire, perché non ho la minima intenzione di ripetermi in futuro.
 
- Andiamo a finire il tema di Trasfigurazione in camera? – propose timidamente Sue, che detestava i litigi. – Potremmo...
 
- Dall’alto della tua superiorità – la interruppe tuttavia Cho, ignorandola completamente per continuare a rivolgersi a Morag - e dei tuoi modi sprezzanti nei confronti di chiunque tu non ritenga dotato di un Q. I. pari al tuo (cosa che, praltro, è tutta da vedere), ti sei forse lasciata sfuggire un paio di cosette tutt’altro che trascurabili. Non ti sembra strana questa cosa, alla luce della tua immensa sapienza?
 
- Uh, cos’è? Sei ancora nervosetta per la buca appioppatati da Diggory? – la provocò Morag, flemmatica, per poi voltarle le spalle come a voler simboleggiare la sua totale indifferenza nei confronti delle sue parole.
 
Per nulla impressionata, Cho scrollò la chioma serica e proseguì imperterrita.
- Stai sempre lì a giudicare tutto e tutti, MacDougal. Ti credi signora e padrona della verità; l’unico essere dotato di un cervello pensante. Eppure, nella tua immensa supponenza, sei limitata e ottusa, perché non riesci a capire che le persone, semplicemente, sono diverse le une dalle altre, e non necessariamente catalogabili in base ai tuoi aridi parametri.
 
- Ragazze, suvvia – Mandy, che fino a poco prima se n’era stata seduta poco lontano in compagnia di Luna Lovegood a leggere insieme a lei l’ultimo numero del Cavillo, si era avvicinata al gruppetto con fare titubante. – Guardate qua: Panzerotti della Pace appena sfornati. Predetene uno, su...
 
- Non ti immischiare, Mandy – sibilò Cho, tornando poi ad inveire contro Morag. - Il tuo rendimento in campo durante la partita è stato penoso, almeno tanto quanto lo è stato il nostro; la differenza fra te e noi, però, è che noi abbiamo riconosciuto le nostre mancanze, mentre tu continui a fare ciò che ti riesce meglio, e cioè giudicare il prossimo senza fare mai un briciolo di autocritica. Credi che non lo abbiamo capito, io, Roger e Lisa, che ci detesti tutti, dal primo all’ultimo? Ci ritieni davvero così tardi?
 
- Beh, lo sareste davvero, se non ve ne foste accorti – ribattè Morag, mentre Sue la tirava per la manica e mormorava qualcosa del tipo “Mog, non mi sembra il caso...”
 
- Non te l’ha chiesto nessuno, sai, di entrare a fare parte della squadra – Cho procedeva a ruota libera, ormai. – O forse pensavi di farci un piacere? “La grande, inarrivabile Morag MacDougal sistema tutto in barba agli stolti e agli incapaci che infestano il mondo”?
 
- Tu l’hai detto – Morag si alzò in piedi imponendosi di ostentare una calma che, in realtà, cominciava a sfuggirle di mano. – Ed ora, se non vi dispiace – soffiò all’indirizzo dei Corvonero disposti in cerchio attorno a loro – me ne vado. Ho già ascoltato fin troppe stronzate, stasera.
 
Cho proruppe in una risatina nervosa.
- Un’ultima cosa, per augurarti la buonanotte. In caso non te ne fossi accorta, MacDougal, in questo momento io mi trovo qui; sì, proprio qui, nella nostra Sala Comune. E questo significa – la ragazza strinse gli occhi, che assunsero la forma di due fessure d’ossidiana – che, al momento dello Smistamento, Priscilla mi ha ritenuta degna di fare parte della Casa di Corvonero, tanto quanto te. E così pure Roger e Lisa. Accettalo. Oppure, nella tua spocchia, ritieni di essere addirittura più saggia di lei?
 
Morag raccattò i suoi averi e, sbuffando fuori l’aria con insofferenza, piantò in asso Sue, si fece largo fra gli studenti riuniti a capannello e si allontanò diretta ai dormitori.
- Tieniti per te i tuoi sproloqui da eroina tragica, Chang. Non interessano a nessuno.
 
- E tu vedi farti una vita, MacDougal, invece di passare il tempo a denigrare quella degli altri! – le gridò dietro Cho con voce squillante, prima di gettarsi a peso morto su di un povero Michael piuttosto scosso, e su di lui sfogare (con grande gioia del ragazzo) l’eccesso di tensione accumulata.
 
Proprio in quel momento, dopo aver salutato Kevin alla base della torre, Lisa fece ritorno alla Sala Comune.
- Si può sapere che cosa avevi da sbraitare, cinesina? – chiese sorridendo a Cho. Michael si scostò quel tanto che bastava per farla accomodare accanto a loro. – Ti si sentiva fin dalla tromba delle scale, per Priscilla.
 
- Mi sono scazzata con la MacDougal – fu la risposta caustica di Cho che, subito dopo, mise al corrente l’amica di quanto accaduto.
 
Lisa rimase in silenzio un pochetto, il visino candido accigliato in un’espressione di profonda riflessione.
- Sai, Cho – disse infine la ragazza. – Noi e lei non siamo mai state in rapporti particolarmente amichevoli. Nelle ultime settimane, però, ho avuto modo di osservarla... e non so, ma credo di essere giunta alla conclusione che Morag sia un po’ diversa da come l’abbiamo sempre immaginata. Secondo me... dovremmo sforzarci di darle una chance di dimostrarci chi è veramente.
 
- Vorrai scherzare?! – la incalzò Cho, incredula. – Quella è esattamente come appare: un’insopportabile acidona supponente. E poi, anche se possedesse delle qualità nascoste, chi ti dice che voglia degnarsi di rivelarle proprio a noi?
 
- Prendi Sue – replicò Lisa, senza rispondere davvero. – A Sue, Morag piace. E Sue è... una tipa a posto, l’hai sempre detto anche tu. Qualcosa vorrà pur dire, no?
 
Sentendosi chiamata in causa la ragazza, che ancora sedeva al tavolino abbandonato da Morag poco prima, alzò la testa e la guardò.
- Scusate se mi permetto, ma già che mi avete interpellata... – disse timidamente a Lisa e Cho, che la invitarono con un cenno a continuare. - Okay: Morag è una ragazza un po’ rigida, forse non facile, ma... è una brava persona e una buona amica. A modo suo, ci tiene davvero alla squadra. Lisa ha perfettamente ragione: bisogna darle il tempo di abbassare le difese. E, se glielo permetterete... beh, vi garantisco che non avrete di cui pentirvene.
 
[Aula di Pozioni e dintorni, 5 dicembre 1993]
Erano trascorsi una quindicina di giorni dall’incidente che aveva messo fuori gioco Neil; il suo cappotto preferito, un lungo indumento color crema dal taglio elegante, si trovava ancora appeso negli spogliatoi maschili in attesa di essere ritirato. Alla fine, incerto sul da farsi ma esasperato dal fatto di ritrovarselo davanti agli occhi ad ogni sacrosanto allenamento, Barry aveva deciso di occuparsene lui: lo aveva quindi staccato dal gancio, intenzionato a consegnarlo alla professoressa McGranitt che, in qualità di Direttrice della Casa di Neil, avrebbe saputo meglio di lui come farglielo riavere.
 
Mentre faceva per ripiegarlo, tuttavia, qualcosa sgusciò fuori da una delle numerose tasche interne. Da quella miriade di scompartimenti, nel corso degli anni, Barry aveva spesso visto fuoriuscire di tutto: da matite ad elastici per capelli, da pagine di appunti a piattini di ceramica. Quello che proprio non si aspettava, però, era di veder cadere a terra un cilindretto trasparente che, ad un’occhiata più approfondita (per fortuna i riflessi di Barry avevano impedito che l’oggetto si frantumasse al suolo) si era rivelato essere un grazioso thermos di vetro.
 
Anche qui, nulla di strano. Neil era una specie di tisanadipendente, lo sapevano tutti, pertanto Barry non si sarebbe mai stupito nello scoprirlo in possesso di oggetti legati a quel tipo di pratica. La cosa singolare, in realtà, era il vistoso post-it rosa shocking applicato sul vetro, recante le parole “Urgente. Restituire a G. Farley” e corredato da una specie (Barry non ne era del tutto sicuro, e forse non voleva neppure saperlo) di cuoricino disegnato malissimo.
 
La cosa, comunque, lo aveva parecchio meravigliato, dal momento che, a quanto ne sapeva lui, Neil e la Farley non erano amici; in ogni caso, si disse il ragazzo, non gli sarebbe costato nulla restituire il thermos a Gemma dato che, l’indomani, l’avrebbe incontrata a lezione di Pozioni.
“Metti che le serve” si era detto, sistemando poi con estrema attenzione il delicato oggetto all’interno del borsone sportivo.
 
Cosicché il giorno dopo, a fine lezione, Barry si avvicinò a Gemma, ancora intenta a riordinare gli ingredienti appena utilizzati.
- Ciao, Farley!
 
- Oh, ciao Summers – lo salutò sorridendo lei. A Gemma, Barry andava a genio: grazie al suo carattere aperto e di buon cuore, infatti, il Tassorosso era una delle poche persone con cui, nel corso degli anni, la ragazza non si era mai sentita a disagio. – Ti serve qualcosa?
 
- Sì, cioè, no – Barry tirò fuori il thermos di vetro dalla cartella e glielo porse. – Volevo solo restituirti questo. Ce l’aveva Neil, sai; ma siccome non si sa ancora quand’è che tornerà dal San Mungo, ho pensato che, nel frattempo, tu potessi averne bisogno.
 
- Oh, ti ringr... – Gemma arrestò a mezz’aria il movimento del braccio. – Ehi.
 
- Che c’è?
 
- C’è che... – la ragazza ritrasse la mano e scosse educatamente la testa - non è mio.
 
- Ah no? – domandò allora Barry, stupito.
 
– No - rispose lei aggrottando la fronte. – Anche se, anche se... oh, perdinci. Ma sai che a me, un thermos identico a questo, sembra di averlo già visto da qualche parte?
 
Barry fece tanto d’occhi.
- Davvero?
 
- Sì... – Gemma si grattò il mento, sforzandosi di ricordare. – Ad Halloween, certo! Durante la festa: mi è praticamente piovuto fra le mani...
 
Barry le rivolse un’occhiata meravigliata.
 
- Sì, sì – continuò Gemma. – Era pieno di un liquido rosa confetto, mi pare, ed era tiepido. Me lo sono ritrovata in mano per puro caso, e l’ho subito appoggiato sul tavolo più vicino, perché vedi... – la ragazza arrossì e si morse la lingua, imbarazzata al ricordo di Roger Davies che, quella sera, le aveva letteralmente dato la caccia fra le tavolate.
 
- Un thermos volante? Che storia bislacca – commentò Barry.
Sovrappensiero, il ragazzo svitò il tappo del cilindretto. Immediatamente, dal suo interno, si sprigionò un aroma a dir poco delizioso che, prima di dissolversi nell’aria, gli fece fremere violentemente le narici. – Oh. – Barry sbattè un paio di volte le palpebre, leggermente intontito, e ritenne il respiro, quasi a voler trattenere con sé le ultime tracce di quell’ignota fragranza, squisita tanto quanto quella della terra bagnata subito dopo un temporale.
 
- Ma... ma che buon profumo! – esclamò Gemma, sinceramente ammirata. – Chissà cosa mai c’era dent...
 
- Erica Mackaiana, è evidente – disse una voce bassa e graffiante, provenuta da chissà dove. I due ragazzi, voltatisi di scatto, si trovarono davanti l’Assistente del professor Piton, che si era avvicinato silenziosamente alle loro spalle e che ora li fissava con i suoi occhi severi, trasparenti come acqua gelata. – Signorina Farley, signor Summers. Vi dispiacerebbe lasciar libera l’aula, per cortesia? La prossima lezione sta per avere inizio, ed io devo ancora sistemare i calderoni. Grazie.
 
- Oh... oh, sì – pigolò Gemma, atterrita. A lei, l’Assistente aveva sempre fatto una paura fottuta. – T-togliamo subito il disturbo, professore. C-ci scusi. – E si allontanò in tutta fretta, tallonata a distanza ravvicinata dal Tassorosso.
 
Una volta all’esterno, Barry e Gemma procedettero in silenzio lungo il corridoio dei sotterranei. Fra le dita della mano destra il ragazzo stringeva ancora il delicato thermos di vetro che non apparteneva a nessuno.
 
- Così en passant, fra Portieri – disse all’improvviso lei, tanto per rompere il ghiaccio – durante l’ultima partita ti ho visto fare una manovra che... boh, ho trovato davvero eccezionale, Summers.
 
- Ah sì – rise Barry piuttosto compiaciuto, mentre incrociavano un gruppo di studenti più giovani che, con facce da funrale, procedvano in senso inverso diretti all’antro di Piton. – Credo di sapere a quale manovra ti riferisci. È la duble-eight-loop.
 
- Double-eight-loop – ripetè Gemma, pensosa. – Non l’avevo mai vista...
 
- Beh, ma non potevi averla vista, in effetti... a meno che tu non avessi spiato i nostri allenamenti, ovviamente – chiarì semplicemente lui. – L’ho inventata io qualche anno fa, sai. Per... per scacciare gli gnomi da giardino che infestano la piantagione di Trifoglio Smeraldo della mia fattoria...
 
- Veramente?! – la Serpeverde si voltò verso di lui, facendo tanto d’occhi. – Ma è semplicemente fenomenale!... Ad un certo punto ho sentito pure Baston che la lodava, tanto per dirti...
 
- Ti ringrazio – Barry reclinò il capo con modestia. – Non è per nulla una manovra difficile, in realtà. Sono sicuro che se l’hai osservata bene, e se ti fai aiutare un pochino dal tuo ragazzo a provarla, nel giro di poco tempo la saprai riprodurre alla perfezione.
 
Gemma si fermò di botto.
- Il mio... ragazzo?
 
- Beh, sì – con l’aria più naturale di questo mondo, Barry additò una figura imponente che fumava tranquilla, appollaiata sul muretto del cortile a una decina di metri da loro. – Quello lì, no?
 
La ragazza si tinse di porpora e parve tramutarsi in una statua di sale particolarmente rigida.
- Quello non è il mio...
 
- Oh, perdonami Farley – si scusò subito Barry, imbarazzato. – È che lo vedo sempre che ti aspetta, dopo lezione... e così ho solo pensato che...
 
Ancora più imbarazzata di lui Gemma scosse la testa, lo salutò in fretta e corse via; e Barry, rimasto solo, sorrise fra sé e sé quando, di lontano, assistette allo scambio di battute fra i due Serpeverde che, al di là delle reciproche prese in giro, erano evidentemente contenti di trovarsi assieme:
 
- Graham, che sorpresa!
- Ci li facciamo due tiri, Pulce?
- Di Hermes, no di certo. Di Pluffa, volentieri.
- Oh, ma pensa un po’. Pure arguta, sei...
- “Pure”? Oltre a cosa?
- Oltre a... bhwf, lascia perdere. Andiamo, su.
 
“Alle donne piacciono le sorprese, anche quando in realtà non sono tali” annotò mentalmente Barry. “Davvero interessante”.
Al di là di ogni umana previsione, il ragazzo trascorse il resto del pomeriggio ad interrogarsi su quale tipo di sopresa avrebbe potuto fare, lui, alla sua, di fanciulla speciale.
 
[Campo da Quidditch e Guferia, in rapida sequenza]
Schiena eretta, mani dietro di essa allacciate intorno alla propria mazza, occhi sottili e vigili, nonostante la debole neve che stava intensificando la propria massa. Sophie misurava il campo con lo sguardo, con un unico pensiero fisso a tartassarle la mente: doveva trovare il modo di metterla in quel posto al Capitano, senza che la propria squadra ci rimettesse in classifica. Marcus Flint si stava tirando dietro l’ira di molti studenti e quel che era peggio, si stava inimicando la squadra.
 
- Non fa un po’ freddino per allenarsi, Roper? –
 
Millicent, in piedi al suo fianco, si sfregava le mani coperte dai guanti con gesto rude, mentre anche i suoi occhi scandagliavano il campo deserto. Non era certa di voler rimanere lì un solo minuti di più, ma provava una strana soggezione nei confronti del vice capitano, ragion per cui non se l’era sentita di dissentire, quando la piccola biondina si era presentata da lei come una furia, bardata di abbigliamento nero come la pece, scagliato di squame rilucenti. Milly aveva tremato nel vederla conciata così.
 
- Dobbiamo approfittarne ora che Marcus è fuori dai giochi. È chiuso nel dormitorio da un paio di giorni, a cogitare chissà quale macchinoso piano per conquistare la scuola. – Un sorriso sottile, terrificante, valutò Millicent nel guardarla, solcò il viso di Sophie, la quale riprese presto a parlare, - Quindi quale momento migliore per allenarsi senza di lui? Ora muoviti Bulstrode e vai a raccattare i bolidi. Ho proprio bisogno di sfogarmi. –
 
L’imponente collega fece per muoversi, quando una voce altisonante ne arrestò il passo:
 
- Ferma lì, scricciolo. – Graham, braccia incrociate, era accompagnato da Gemma. Il ragazzo si posizionò al fianco di Sophie, che dedicò a quest’ultimo solo una fugace occhiata, prima di tornare a fissare il terreno spolverato di neve fresca.
 
- Le cose non si mettono bene, Montague. – la voce di Sophie era caricata da un fare eccessivamente serio, che meritò uno sguardo di preoccupazione da parte di Gemma, la quale tentò di rassicurare la compagna: - Suvvia Sophie… abbiamo vinto contro Grifondoro e siamo ad una manciata di punti da Tassorosso; abbiamo iniziato più che bene il campionato. –
 
Sophie scosse il capo con mestizia: - Abbiamo avuto fortuna, ma sappiamo bene che il nostro peggior nemico è annidato nella squadra. Non possiamo contare su di lui -, Sophie strinse il pugno intorno alla mazza, - dobbiamo farlo fuori. – concluse, lugubre.
 
- Ma intendi… intendi farlo proprio fuori? – pigolò timidamente Gemma, scossa da brividi di freddo e terrore.
 
- ‘Fanculo Roper, sono troppo giovane per finire ad Azkaban! – esclamò Milly, pronta a marciare via. Graham invece sogghignò, mentre Sophie roteava vistosamente gli occhi al cielo.
 
- Non mi aspettavo fossi tanto frignona,  Bulstrode. Allora, giochiamo o no? Mi si stanno congelando le chiappe. –
 
Sophie fu la prima ad annuire ed avviarsi verso il centro del campo. Seguita da Millicent che spariva al fianco di Graham. Gemma rimase qualche passo indietro e arrossì vistosamente, nel rendersi conto che i suoi occhi scuri seguivano quelle natiche che, a detta di Graham, dovevano essere congelate, poi si sforzò di riprendersi e tallonò il gruppo.
Sophie scagliava con forza portentosa i bolidi che le passava Millicent, ma la testa era a miglia e miglia di distanza da lì. La tenuta nera spiccava in mezzo al panorama candido e contrastava con i capelli color del sole, che frustavano l’aria furiosamente. Fino a quel momento si era limitata a trovare un modo per contrastare Flint all’interno dei confini della scuola, eppure Sophie si era resa conto di possedere un’arma affilata dalla sua.
“Bisogna conoscere il proprio nemico, per poterlo sconfiggere.”, pensò. Seppur controvoglia, la serpeverde capì che avrebbe potuto avvalersi di Irina; quella maledetta stronza, per una volta, sarebbe risultata utile in qualche modo.
Gettò la mazza di punto in bianco, con il rischio di beccare in testa Graham il quale svolazzava sotto di lei.
 
- Dove diavolo vai? – Gridò Millicent, mentre Sophie sfrecciava lontano.
 
- Voi continuate, io devo fare una cosa! – gridò, prima di sparire totalmente dalla vista dei compagni.  
 
*
 
Uno sghignazzare sommesso accompagnava la camminata concitata di Jimmy. Il ragazzo si guardò ripetutamente indietro e notò, con cipiglio, che quella risatina proveniva da un cospicuo gruppo di ragazzine, le quali sembravano fermarsi ogni volta che si voltava. Ma lo sguardo torvo virò presto in un’espressione compiaciuta; quel gruppetto doveva seguirlo ormai da un bel po’ di tempo e cosa avrebbero mai potuto volere, da lui, se non attenzioni?
 
- Non stanno seguendo te. – Jimmy aggrottò le sopracciglia e guardò alla sua destra. Solo in quel momento si rese conto di non essere solo, nel percorso verso la guferia. Riconobbe il cercatore di Corvonero, dietro quel ciuffo di capelli neri come ebano liquido che gli mascheravano quasi totalmente la metà del viso a lui esposta. – È quasi un’ora che non mi danno tregua. – concluse laconico Stephen, senza rallentare il passo.
Jimmy, da perfetto grifondoro, spalancò gli occhi chiari e si affiancò a Stephen, facendo rabbrividire appena quest’ultimo: - Cosa ti hanno fatto amico? Se hai bisogno di una mano per togliertele di mezzo… - Jimmy si assestò una mano sul petto, come a voler dire “conta pure su di me”. Stephen rallentò. Strinse a sé un sacchetto di carta da cui il grifondoro notò spuntare varie missive e, con lentezza inesorabile (ed un po’ inquietante), puntò lo sguardo algido su di lui: - Vorrebbero uscissi con loro. Ti ringrazio… Peakes, giusto? Ma credo di riuscire a cavarmela da solo. – Il passo flemmatico di Stephen accelerò di botto non appena giunsero in prossimità della schiara dinoccolata che portava alla guferia.
A Jimmy venne da sorridere, ma di un sorriso tenero e comprensivo; pensò che quel ragazzo doveva essere davvero molto solo, se era arrivato al punto di mentire a quel modo. Strambò com’era, come avrebbe mai potuto avere schiere di ragazzine pronte a seguirlo persino sotto la neve battente? In qualche modo, Stephen Cornfoot gli ricordava suo fratello Sean, un giovane e timido tassorosso del terzo anno. Probabilmente fu quell’analogia che spinse Jimmy a tallonarlo, ma non prima di girarsi verso il gruppo di ragazzine riderecce ed intimarle di lasciarlo stare. Quelle di tutta risposta si ammutolirono e fra sbuffi e boccacce, si ritrassero un po’.
Saliti i faticosi pioli della guferia, Jimmy si rese conto che quell’ambiente solitamente disabitato (se non per la presenza dei rapaci stessi), ed stranamente sovraffollato: ragazzi di tutte le età facevano a gara per accaparrarsi i volatili migliori; probabilmente l’avvicinarsi del Natale aveva comportato l’esigenza di comunicare con le proprie famiglie. Compostamente in fila, Jimmy notò Stephen, il quale faceva di tutto per occupare il minor spazio possibile e, specialmente, tentava di non entrare a contatto con le mani appiccicaticce degli studenti del primo anno. Munito di un ampio sorriso il grifondoro tornò alla carica, affiancandosi di nuovo al corvonero.
- Le ho mandate via, non ti daranno più fastidio! – dichiarò a gran voce Jimmy, intanto che infilava una mano nella tasca e tirava fuori una pergamena stropicciata, che avrebbe dovuto inviare ai genitori. Lo sguardo vispo fu nuovamente attirato dal numero cospicuo di buste accuratamente sigillate che il corvonero sembrava impaziente di spedire.
 
- Hai un sacco di roba da spedire! –
 
- Già. – Stephen, spossato dall’enfasi di quel grifondoro tanto impiccione, non vedeva l’ora di sbrigare la pratica per poter filare via.
 
- E a chi mai dovresti spedire tutta questa… - un urlaccio mozzò la domanda di Jimmy a metà, per buona pace di Stephen (nonché fece squillare una buona decina di gufi e civette). I due si voltarono in contemporanea verso l’ingresso della guferia dalla quale avevano sentito arrivare l’agglomerato di improperi.
 
- Razza di oche pazze, in un’aia vi dovrebbero rinchiudere! – Sophie, scrollò la neve dai capelli, alzò il dito medio in una direzione non meglio precisata e con passo pesante si fece largo fra i gli studenti, che la guardavano con tanto d’occhi. La strega ispezionò quelli uno ad uno ed infine incontrò lo sguardo di Jimmy, che a stento riuscì a trattenere una risata. Ma non è su di lui che si soffermò, nonostante l’averlo incontrato doveva averla scossa, visto l’evidente rossore giunto a colorire la pelle naturalmente pallida.
 
- Peakes.- dichiarò lei, dura, in segno di saluto; in seguito piroettò in direzione di Stephen e a lui consegnò una lettera dal nauseante profumo di narciso: - Ringrazia che non le ho fatte fuori, Cornfoot! La prossima volta che mi finiranno in mezzo ai piedi, stai pur certo che spedirò il tuo fan club dall’altra parte del mondo a calci in c@@o! –
 
Jimmy osservò quella che aveva tutta l’aria di essere una lettera d’amore con occhi sgranati. Assai confuso, evitò di fare domande e fissò Sophie, che dopo aver consegnato la lettera (non senza nascondere un certo disappunto, visto che “lei non era il paggio di nessuno”), li aveva superati in fila come nulla fosse.
 
- Roper, immagino tu non te ne sia resa conto eh, ma noi siamo in fila e, guarda caso, tu sei arrivata dopo di noi, quindi dovresti… -
 
Sophie ignorò Jimmy e si rivolse ancora una volta a Stephen: - Prestami busta, carta, penna e inchiostro. Mi devi un favore o no? –
 
Stephen, che sperò di zittirla, le cedette quanto chiesto. Ma la pace sperata non arrivò affatto presto, in quanto la strega iniziò a strattonare Jimmy Peakes chiedendogli di piegarsi, di modo che lei potesse usare “la sua schiena come uno scrittoio”, testuali parole. Il risultato fu che Sophie strillò per un po’ davanti alle rimostranze del grifondoro ed infine dovette accontentarsi di sedersi a terra e usare le proprie gambe.
 
- Finalmente è arrivato il nostro momento. – Dichiarò in un sussurro sfinito Stephen; il corvonero adocchiò quello che sembrava essere il gufo meno vecchio e malconcio e a lui si rivolse:
 
- Vorrei che consegnassi queste lettere a… -
 
Sophie arrivò alle sue spalle, alle quali si aggrappò con tenacia, per poi allungare la propria lettera al gufo al quale Stephen aveva consegnato un paio delle proprie.
 
- A Belmont! E sii rapido, per l’amor di Salazar! –
 
- Ehi… ma cosa diavolo… -
 
- Roper, ma ti sembra il modo di comportarti? – la rimbeccò Jimmy, nel vano tentativo di farla rimettere al proprio posto. Seguitò un gran trambusto, che coinvolse i tre e che stimolò l’ilarità del resto degli studenti in guferia, intirizziti dal freddo ma molto divertiti dal teatrino: Jimmy tentò di tirare via la lettera di Sophie, ma nel farlo il gufo afferrò la sua pergamena e gli rifilò pure una gran beccata. Stephen cercò di recuperare le proprie lettere, ma nel farlo il sacchetto di carta si svuotò completamente e quelle si sparsero ovunque ed il poveretto iniziò,  con ripugnanza, a gattonare a terra nel tentativo di recuperarle tutte. In tutto questo, il gufo prescelto prese il volo, senza che fosse ben chiaro in direzione di quale luogo e con quale missiva.
Quando uscirono dalla guferia, sembrò che i tre avessero appena affrontato una guerra: scapigliati, feriti dalle beccate dei gufi e decisamente provati. Stephen e Jimmy, per la prima volta dal lungo pomeriggio appena passato insolitamente insieme, riuscirono a scambiarsi uno sguardo d’intesa, per poi passare a fissare la minuta serpeverde che si trovava fra loro e che aveva anche il coraggio di lamentarsi a gran voce, addossando la colpa di quella confusione a loro.
 
- Però sai… - bisbigliò Jimmy dopo che Sophie si fu allontanata dai due, schizzando in direzione dei sotterranei, - a me questo spirito indomito mi piace sempre di più! – e sfregandosi le mani, anche Jimmy si allontanò, lasciando Stephen da solo. Il corvonero non trovò la forza di pronunciare una sola parola. Al contrario scosse la testa e si avviò verso la propria sala comune, nella speranza che anche solo una delle lettere, sarebbe arrivata a giusta destinazione.
 
[Salette di ricevimento, 16 Dicembre 1993]
Quando Draco si era recato qualche mese prima in compagnia di sua madre, nell’atelier di Madama McClan, subito i suoi occhi si erano innamorati di un mezzo tight, colorato di una punta di grigio che il vanesio animo del rampollo di casa Malfoy, aveva individuato come il tono perfetto per risaltare i suoi occhi. In quel momento, mentre si sistemava i polsini della camicia con un sorriso soddisfatto in volto, realizzò che aveva fatto più che bene ad insistere per averlo nel proprio armadio. Daphne, seduta al suo fianco, roteava gli occhi al cielo:
 
- Mio padre si complimenterà con te, Draco… ma sarà il cuore di mia madre che conquisterai, conciato in questa maniera, non quello di Astoria. -
 
 - Che c’è: non trovi mi stia bene? -
 
- Certo che ti sta bene, ma sai che mia  sorella non è tipa da star dietro ad affari di moda. - Concluse lei, mentre si fissava in uno specchietto e sistemava i capelli.
 
- Lo scopo non è conquistare lei… - borbottò Draco, ora rosso in volto, - Ma i tuoi genitori, Daphne. -
 
- Se lo dici tu… - buttò lì Daphne, senza reale interesse. Proprio in quel momento sentirono la porta della saletta di ricevimento schiudersi: un leggero rumore di tacchi rimbombò per la stanza, ad annunciare l’arrivo di Teia Greengrass e di suo marito Menezio.
 
- Mamma! Papà! – cinguettò Daphne, prima di volare fra le braccia dei genitori. Draco si alzò subito, avvicinandosi alla coppia con un bel sorriso disegnato sul volto pallido.
 
- Credo conosciate Draco Malfoy. – Lo introdusse Daphne, così Draco allungò la mano per stringere quella del signor Greengrass.
 
- Caro figliolo, ma certo! Come sta la splendida Narcissa? E tuo padre? Sempre indaffarato con gli affari del Ministero, suppongo. -
 
-Vi mandano i loro più calorosi saluti, signori Gr… - Le parole di Draco vennero bruscamente interrotte dall’arrivo di Marcus Flint, anche lui vestito di tutto punto e con i capelli fulvi sapientemente pettinati.
 
- Perdonate il ritardo - proruppe il Capitano Serpeverde, sistemandosi il colletto della camicia prima di salutare con affetto la coppia.
 
- Nessun ritardo caro… come puoi ben vedere, Astoria non si è ancora presentata. Conoscendola, temo saremo costretti a spostare il nostro appuntamento per l’ora di cena, sempre che il preside Silente ci accetti alla sua tavola. – Teia, così simile ad Astoria nell’aspetto, accennò un vago sorriso elegante. A quel punto Marcus spostò lo sguardo su Draco, ancora imbalsamato al fianco di Daphne: - E tu cosa ci fai qui, Draco? – Il sorriso tirato di Marcus, nascondeva una vena d’irritazione.
 
- Beh ecco, io… -
 
- Eccovi qui! –
Melodiosa, la voce di Astoria trillò dalla porta. Draco impallidì dinanzi alla sua bellezza divina: i capelli sciolti e lucidi erano piegati in lievissime onde, che ad ogni sobbalzo diffondevano un aroma di mirtilli appena pestati ed il corpo, minuto e di perfette proporzioni, era ben fasciato da un abito con collo alla coreana corto al ginocchio, brillante di sottobosco.
 
- Parlavamo appunto della tua strana idea di puntualità, Astoria. – Il padre la rimbeccò bonariamente, prima che la sua guancia potesse accogliere un lieve bacio della figlia maggiore. Marcus osservava la ragazza con un ghigno di vittoria, ma ancor più sorrideva Draco, al quale Marcus rivolse un’ennesima occhiataccia.
 
- Direi che non è posto per te questo, Malfoy… dobbiamo occuparci di questioni intime, familiari… se capisci cosa intendo – concluse Marcus, affilato.
 
- Che rimanga pure. – Fu questa la censura di Astoria, la quale senza perdere tempo passò lo sguardo dall’uno all’altro dei genitori: - Mamma, papà… mi dispiace dirvelo ma io non accetterò la proposta di Marcus Flint. -
 
- Non dire sciocchezze! – La ammonì prontamente la madre, ma Astoria proseguì nel parlare: - Non posso… perché io sono già fidanzata. E qui con me, oggi, c’è quello che sarà il mio futuro marito e che vorrei prendeste seriamente in considerazione. -
 
- Astoria… ma che figura ci stai facendo fare… - Menezio Greengrass passò una mano fra i capelli biondi, prima di sospirare e rivolgersi a Marcus Flint, il quale non sembrava affatto preoccupato: - Scusala, Marcus… nostra figlia purtroppo è solita a questi colpi di testa… -
 
- Non sto scherzando – tagliò corto Astoria. Fu a quel punto che Draco fece un tiepido passetto in avanti. Quell’idiota di Flint lo fulminò con lo sguardo infuocato d’ira, ma a lui non importava: Astoria Greengrass meritava molto di meglio, non di certo un tipo come quello lì.
 
- È permesso? – Una voce calda, profonda, dall’inclinazione lievemente latina, fece voltare tutti i presenti verso la porta.
 
- Papà, mamma: vi presento Roger Ramón Davies Ayala, il mio fidanzato. -
 
 Le reazioni all’entrata di Roger nella saletta delle visite furono molteplici: Draco impallidì e quasi svenne; Daphne sussultò e con prontezza trattenne l’amico per evitare che crollasse a terra; Marcus sgranò gli occhi e spalancò la bocca, incredulo e affatto pronto a tale evenienza; Teia avvampò, davanti alla bellezza di quel giovane che aveva appena fatto il proprio ingresso mentre Menezio si limitò ad aggrottare le sopracciglia, squadrando il giovane mago con attenzione e tentando di capire se quello fosse tutto uno scherzo. Ma Roger sapeva muoversi bene, molto bene e non mancò di  avvicinarsi a Teia Greengrass, alla quale baciò la mano portando un braccio piegato dietro la schiena: - Encantado. –
 
- Ayala, hai detto? – Menezio squadrò ancora una volta Roger; sembrava che quel cognome lo incuriosisse notevolmente.
 
- Esattamente, signor Greengrass. – Roger espose il suo più bel sorriso: - Conosce per caso la mia famiglia da parte di madre? -
 
 - Oh si… pare che gli Ayala siano una famiglia purosangue molto potente in Uruguay. – Menezio lo disse come stesse gustando un succoso frutto afrodisiaco, ma poi si riprese: - Eppure questi Davies… non li ho sentiti nominare. -
 
- Devi sapere, papà… -  Astoria si strinse al braccio del padre, - Che il padre di Roger, il signor Davies, è un diplomatico molto rinomato. Si occupa di affari internazionali da molti anni ed è proprio in uno di questi viaggi che ha conosciuto la madre di Roger, Doña Marta Serafina Ayala, in Davies. -
 
Fu a quel punto che Marcus, improvvisamente rinsavito, si fece spazio nella conversazione:
- Signor Greengrass, qui stiamo sfiorando il ridicolo! Conosco bene questo figlio della razza mista e trovo altamente offensivo che si possa anche solo pensare che la sua famiglia sia anche solo da prendere in considerazione! –
 
- Signori, sappiamo tutti che la famiglia Davies non appartiene alle sacre ventotto… - serafico e rilassato, Roger prese la parola mentre, con eleganza, estrasse la sua bacchetta dall’interno della giacca: - Ciò nonostante non solo gli Ayala godono di un’ottima reputazione in tutto il mondo… - con un abile colpo di bacchetta, Roger richiamò un almanacco che fluttuò nella stanza, per poi posarsi fra le sua mani. Il ragazzo prese a consultarlo con aria assorta: - Per quanto le mie origini paterne non siano totalmente pure, posso quantomeno affermare che nessun errore genetico è presente nel mio sangue. -
 
A quel punto Astoria sorrise, mentre sua madre, imbambolata, osservava il ragazzo sfogliare il librone: - Ho affrontato delle ricerche, scoprendo che i Flint, sulla carta una famiglia di tutto rispetto, ha però commesso in più di un’occasione degli abomini fra consanguinei, di modo da poter mantenere il proprio sangue illibato. Questo, purtroppo, ha comportato non pochi problemi nel loro albero genetico. –
 
- Ma cosa… come ti permetti, Davies! – Fu la prima occasione in cui Marcus perse la pazienza davanti agli occhi dei Greengrass, i quali però non dedicarono a lui nemmeno uno sguardo. Fissavano invece con interesse le pagine che Roger mostrava loro: - Da queste fotografie potete notare le deformità di alcuni nati nella famiglia Flint… e qui, guardate qui, in queste note magiscientifiche, è scritto chiaramente che più di una tara genetica, prima di allora sconosciuta, è stata conclamata come tale. Insomma, il corredo genetico dei Flint pare fare acqua da tutti i pori, signori Greengrass. – Roger chiuse l’almanacco di magimedicina con un colpo secco e Menezio fece giusto in tempo a tirare indietro il naso. – Ditemi, dunque: vorreste mai che la vostra graziosa primogenita rischiasse di figliare con uno di questi individui? Marcus sembra tutto sommato apposto, anche se lo confesso… noi compagni abbiamo pensato più volte che qualcosa in lui non andasse… -
 
- Non… non credetegli! - tentò Marcus, ormai pallidissimo e imperlato di sudore freddo, ma ancora una volta fu ignorato.
 
- Oh… non ne sapevo nulla… - Teia bisbigliò in favore del marito: - Eppure i Flint sembrano delle così brave persone… -
 
- Ma anche fosse che noi acconsentissimo alla vostra unione… - Fu il signor Greengrass a rivolgersi a Roger, questa volta con sguardo lievemente accigliato: - La mia ragazza è piena di qualità… purtroppo è anche ricca di difetti. Il suo animo indomito mi preoccupa e temo che nessuno avrebbe mai il coraggio di accettarla in famiglia. -
 
- Menezio, posso permettermi di chiamarla per nome? – Roger sorrise ancora una volta: - Dovete sapere che fra gli Ayala, le streghe con questo carattere vengono osannate, venerate, oserei dire. La mia gente non solo approverebbe questo fulgido giglio… -  Aggiunse, sorridendo ad Astoria con dolcezza: - …ne sarebbero orgogliosi. Vostra figlia sembra nata, per far parte dell’antica dinastia degli Ayala. -
 
Tremolante di rabbia e di umiliazione, Marcus spostò con un gran colpo Roger, parandosi davanti ai genitori di Astoria; gli occhi sgranati saettavano dall’uno all’altra: - Voi avete un accordo… un accordo con i miei genitori e… e mio nonno! Non potete fare questo, non vi permetterò di recare questo disonore alla mia famiglia! –
 
Teia però si era accostata a quello che considerava già il suo futuro genero, chiedendogli se stesse bene e prendendo a sistemargli l’abito con il fare di una buona madre; ma Menezio non mandò giù il comportamento di Marcus Flint e, passato un braccio intorno alle spalle della maggiore delle sue figlie (l’altra era ancora impegnata a tentare di far rinvenire Draco, da qualche minuto in preda a strani e inquietanti farfugliamenti), gli puntò contro l’indice: - Avresti dovuto mettere in chiaro le cose, ragazzo! Mai e poi mai accadrà che le mie figlie abbiano a che fare con qualcuno di potenzialmente dannoso per la loro progenie! –
 
Fu inutile tentare di farlo ragionare: quella del signor Greengrass era una posizione irremovibile. Fu così che Marcus ringhiò di rabbia e sibilò minacce grosse a Roger, prima di lasciare la saletta con un gran colpo di porta. Solo a quel punto Roger e Astoria si scambiarono un’occhiata complice, che i genitori di lei confusero con lo sguardo di un giovane coppia innamorata.
 
- I Flint se ne faranno una ragione. Allora Roger, consumerai un pasto con noi? Conosco un posticino ad Hogsmeade dove servono dell’ottimo chili, sai? -
 
- Papà… quello è un piatto messicano – bisbigliò Astoria. L’uomo scacciò l’aria con la mano: - Sia quel che sia! -
 
- Accetto volentieri il suo invito, Menezio. – Rispose allegro Roger, porgendo poi il braccio ad Astoria. Menezio guardò poi la figlia minore: - Daphne, porta pure il tuo amico… dal colorito verde credo abbia bisogno di un po’ di aria fresca. -
 
[Sala Comune di Tassorosso, 20 dicembre 1993]
- Francamente? Mi sembra un’idea assolutamente splendida!
 
Cedric sembrava davvero entusiasta, cosa per la quale Barry si sentì immensamente grato nei suoi confronti. I due ragazzi attraversarono rapidamente la Sala Comune, diretti al campo da gioco. Heidi, Megan e Maxine, già perfettamente bardate, li precedevano di pochi passi in compagnia di Kevin. Mio fratello Rhys è un perfetto troglodita: l’anello mancante fra il druido paleolitico e il mago gallese moderno stava dichiarando Megan, in un vivace saltellare di coda di cavallo, riguardo chissà quale argomento, e la sua affermazione aveva fatalmente scatenato l’ilarità delle due compagne e del ragazzo, che non la piantavano di sghignazzare in modo piuttosto scomposto.
 
- Per tutte le sottane di Tosca, Jones – rise Kevin che, come di consueto, non si lasciava certo sfuggire un po’ di sacrosanta baldoria – ma fra tutti i tuoi incontabili consanguinei, uno normale, c’è?!
 
- Hestia, di solito, è a posto – meditò la Vice – ultimamente, però, sembra partita per la tangente pure lei.
 
- Concediamole un’attenuante, dai – riflettè Kevin – di questi tempi, con quella storiaccia di Black, salterebbero i nervi a qualunque Auror, credo...
 
- Insomma, una legittima cena irlandese...
Il Capitano ignorò il chiasso e si fermò un attimo, prima di imboccare la porta rotonda che immetteva sul corridoio delle cucine - ... e quella birra babbana, com’è che si chiama... quella scura, intendo: si beve, da te?
 
- La Guinness? E come no – Barry sgusciò fuori dalla botte (operazione che, nel corso degli anni, gli si rivelava ogni volta più difficile man mano che cresceva), si diede una sistemata alla divisa da gioco e gli si affiancò. – Quella non manca mai, puoi starne certo.
 
- Eccellente – mentre procedevano, Cedric rivolse un’occhiatina obliqua prima al gruppetto che camminava davanti a loro, e poi a lui. – Peraltro, potrebbe essere l’occasione giusta per risolvere anche alcune... questioni irrisolte, dico bene?
 
Colto in flagrante, Barry s’ingozzò con la saliva.
- Oh, beh – balbettò, imbarazzatissimo. – In realtà, p-potremmo dire che...
 
Cedric scoppiò a ridere di gusto.
- Sono seriamente tentato di fissarti un appuntamento con Roger, amico.
 
- Oh, ma per San Patrizio. No, per carità...
 
- Tranquillo, Barry – Cedric sorrise e gli allungò una gomitatina amichevole. – Ognuno ha i suoi metodi, è chiaro. Va bene così. E, a questo proposito, volevo chiederti una cosa: so che sarebbe tua intenzione invitare solo i membri della squadra ma... ti darebbe fastidio se portassi qualcuno con me?
 
- Qualcuno tipo... una ragazza? – volle subito sapere Barry, felicissimo di poter sollevare da sé l’attenzione del Capitano.
 
- Sì... se per te non è un problema, chiaro.
 
- Ma certo che no, anzi, mi fa piacere – Barry annuì di slancio e spostò gli occhi sulla treccia dorata che oscillava leggiadra pochi metri davanti a lui. – Del resto, probabilmente, anche Kevin mi chiederà di venire con Lisa Turpin, e a quanto pare anche Megan... no no, figurati: per me va benissimo, Ced.
 
[Cubicolo della Pulce, Biblioteca, 20 dicembre 1993]
Cara/o Amica/o
Ti aspetto la sera del 27 dicembre, alle 19.30, per trascorrere insieme a te qualche ora di Festa, intorno ad una tavolata dal gusto tipicamente irlandese.
Prepara lo stomaco!
Barry
Indirizzo: Fattoria Summers, zona rurale di Ballaghaderreen, Irlanda.
 
Così recitava il bigliettino che Justin aveva appena ricevuto: se il ragazzo avesse avuto il tempo di aprirlo, vi avrebbe letto esattamente le parole di cui sopra. Tuttavia, mentre il tagliacarte magico scattava sull’attenti e si accingeva a sventrare il plico, la porta della saletta insonorizzata si aprì con un cigolìo sottile; Justin allora alzò gli occhi dall’involto, lo posò sul ripiano ingombro di carte e scartoffie e sorrise all’indirizzo della ragazza appena arrivata.
- Ehilà Romi.
 
Romilda Vane scrollò la folta criniera di riccoli scuri, sorrise a sua volta e, con un movimento fluido del polso, fece atterrare sulla scrivania il voluminoso pacco di fogli che la seguivano levitando.
- Ti ho portato le ultime bozze, boss.
 
- Alla faccia – esclamò Justin, sinceramente impressionato. – Di questo passo, dovremo cominciare a pubblicare la Pulce in più volumi!...
 
- La gente sembra darsi doppiamente da fare, sotto Natale – cinguettò allegramente lei. – Se ti dicessi che cosa ho scoperto...
 
- Senti, Romi – Justin si tirò indietro un paio di ciocche lisce e chiare sfuggite al cerchietto di corno che usava per lavorare. – Io, in questi giorni, sono troppo impegnato per revisionare tutta questa roba. Fra dieci minuti, ad esempio, devo essere giù all’allenamento, o è la volta che Cedric mi spella. Cosicché, pensavo: perché non te ne occupi tu?
 
- Davvero? – Romilda, abituata al rigoroso piglio professionale del Caporedattore (“Perché non importa se è un giornalino di gossip: la forma della Pulce dev’essere impeccabile!” soleva ripetere Justin ai suoi collaboratori), non crdette alle sue orecchie. – Vuoi dire... non vuoi dare nemmeno un’occhiatina?
 
- Mi fido di te – Justin si alzò in piedi e stiracchiò pigramente le membra intorpidite. – Leggi, correggi e manda pure al ciclostilo. Dopodomani, al più tardi, si distribuisce.
 
- Oh, in questo caso – tutta ringalluzzita, Romilda Vane riordinò in fretta le carte appena posate sulla scrivania e le sollevò in blocco, stringendosele al petto con fare orgoglioso. – Comincio immediatamente. Grazie infinite per la fiducia, Juss!
 
- Te la sei meritata tutta, Romi – Justin le tenne aperta la porta, per poi seguirla all’esterno del cubicolo senza voltarsi indietro. Forse, se l’avesse fatto, si sarebbe accorto che, stranamente, l’aspetto della sua scrivania era decisamente più ordinato di quanto non lo fosse stato fino a pochi minuti prima.
 
[Campo da Quidditch, spogliatoi femminili, 20 dicembre 1993]
- Vuota il sacco, Maxi.
 
- E tu vuota il calderone, Dee.
 
Le due ragazze, sole nello spogliatoio dal momento che Megan era già uscita per dirigersi di corsa chissà dove (“Scusate ma ho una roba da fare, pupe” “Che genere di roba?!” “Top-top-top secret. Sorry ladies”), si scambiarono un’occhiata sincrona e scoppiarono a ridere. E così, rinfrancata dall’espressione rassicurante della compagna, la bionda prese parola per prima.
 
- E va bene dai, comincio io – esordì, in tono pratico. - Sono un po’ nei casini, bella mia.
 
Maxine si frizionò i capelli bagnati, sedette sulla panca, tirò su le gambe e le incrociò per poi sporgersi in avanti, puntellare i gomiti sulle cosce ed assumere un’espressione di divertita ovvietà.
 
- Sei nei casini del tutto inutilmente, tesoro – disse all’amica che, nel frattempo, sistemava il borsone con un puntiglio pressoché maniacale. – Il ragazzone è cotto a puntino, lo si vede lontano un miglio.
 
Heidi corrugò la fronte e sbuffò.
- Fosse vero.
 
- Dubiti forse della mia comprovata esperienza in ambito sentimentale? – la risata contagiosa di Maxine fece vibrare l’aria. – Non vorrai mica rischiare di offendere il mio sesto senso in materia, spero.
 
- Non sia mai! – Heidi rise a sua volta e tirò su i palmi in segno di resa. – Io, certi segnali, non li so cogliere affatto. Ma se lo dici tu...
 
- E allora! – Maxine alzò gli occhi al cielo. – Si può sapere che cosa diavolo aspetti a farti avanti, biondina?
 
- Il fatto è, Maxi – replicò l’altra, strisciando distrattamente il piede sulle piastrelle del pavimento – che c’è dell’altro.- E prima che l’altra avesse il tempo di rivendicare ulteriori chiarimenti, Heidi vuotò veramente il sacco, da cima a fondo e con l’evidente sollievo di chi, finalmente, si libera di un segreto eccessivamente gravoso.
 
- Cioè: tu mi stai dicendo – Maxine non credeva alle proprie orecchie – che quel furbetto dell’Assistente ti ha rinchiusa nel suo ufficio per farti la ramanzina? A te?...  – la ragazza si lasciò sfuggire una risatina maliziosa. - Oh, ma pensa un po’ tu! Ma che razza di malandrino, per Tosca...
 
- Per tua informazione, non è stato poi così divertente, Maxi.
 
- Peccato – commentò Maxine, assorta. – Quello, parola mia, ha la faccia di uno che, zitto zitto, sa il fatto suo. Dammi retta. Chissà: magari, se mi impegno un po’ di più, la ramanzina la fa pure a me...
 
- Tienti per te le divagazioni improprie, pulzella – tagliò corto Heidi, allungandole un buffetto bonario sulla fronte – stiamo parlando del mio futuro professionale, e non delle cosacce su cui tu tanto ti diletti a speculare.
 
- Hai ragione, hai ragione – Maxine tirò su la schiena e cambiò prontamente argomento. – Quindi, riassumendo: alla festa del ventisette ti rimbocchi le maniche e ti aggiudichi il manzo, intesi?
 
- Veramente – ribattè Heidi – avrei intenzione di tarscorrere le intere vacanze ad ammazzarmi di fatica sulle Pozioni Avanzate. Sai com’è.
 
- Ma piantala. È una sera sola, cosa cambierà mai? Non fare la musona, eddai. Lo so che muori dalla voglia di darti alla pazza gioia. Non mi freghi, a me.
 
- Touché – ammise Heidi con un sorrisetto. – Facciamo che ci penso su, dai. Ed ora – disse, accomodandosi sulla panca dirimpetto alla compagna – passiamo a te, miss. Ti ho vista un po’ troppo pensosa e  introspettiva, in questi giorni. Non farmi preoccupare.
 
- Ho deciso di andare a fondo con le indagini – rivelò Maxine senza dilungarsi in inutili preamboli. – Ho mandato giusto stamattina un gufo agli zii per autorizzarli a procedere.
 
- Oh – Heidi si mordicchiò il lato interno della guancia, conscia dell’importanza epocale di quanto le era appena stato riferito. – Quindi vuoi dire che...
 
- Sì, Dee – annuì Maxine, seria. – Lo so: alcune cose andrebbero lasciate così come stanno, ma io mi riconosco troppo curiosa per non ammettere di voler conoscere la verità sui miei genitori.
 
- Hai fatto bene, Maxine – Heidi si sporse in avanti e le strinse affettuosamente le mani fra le sue.  – Lux in tenebris, sempre e comunque.
 
Maxine ridacchiò.
- Sei sempre così scientifica!
- Esatto – annuì Heidi con fare slenne. - E proprio dall’alto del mio empirico sapere, ti esorto ora a raccontarmi anche il resto.
 
Le guance di Maxine assunsero una lieve (ma inequivocabile, oltreché assolutamente inedita) sfumatura rosacea.
- Non so di che parli, bellezza.
 
- Ah no? – la incalzò Heidi, imperturbabile. – Allora aspetta che ti rinfresco la memoria, ciccina. Che cosa mi sai dire riguardo il tuo fugone da Stephen Cornfoot il giorno della partita, nonché della tua più che sbandierata determinazione di evitarlo?
 
Maxine non rispose subito. Quando aprì bocca, lo fece solo dopo essersi lasciata sfuggire una risatina che, alle orecchie di Heidi, suonò tutt’altro che allegra.
 
- Mi ci sono volute settimane per capirlo – disse infine Maxine con un sorriso amaro. – Il giorno della partita, al momento di baciarlo, mi sono tirata indietro senza sapermene spiegare il motivo. Poi, però, ho afferrato quello che il mio inconscio aveva già compreso, e cioè che uno come Stephen Cornfoot, per una come me, è troppo.
 
Heidi le rivolse uno sguardo incredulo. Stentava a credere che ad aver pronunciato quelle perole fosse stata proprio la sua Maxine, sempre così esuberante e sicura di sé.
 
- Non dire baggianate, Maxi.
 
- Nessuna baggianata, Dee. Diciamo semplicemente che, quando è il caso, riconosco qual è il mio posto – Maxine si alzò in piedi, afferrò saldamente il borsone e si diresse verso la porta. Prima di uscire, la ragazza rivolse ad Heidi una lunga occhiata. – Lo hai guardato bene, qualche volta? Stephen Cornfoot... beh: lui è diverso. Non è come gli altri. Lui è speciale.
 
[Chiostro, 21 Dicembre 1995]
Kevin sentiva di levitare a un palmo da terra e no, non aveva mangiato nemmeno un’ape frizzola nelle ultime ore. Questa particolare condizione era legata ad un nome, un cognome e una cascata di capelli chiari e caldi come un campo di grano in piena estate. Ultimamente erano poche le cose che riusciva a fare, senza che il pensiero suo andasse ad impattare con Lisa Turpin. Ancora stentava a crederci, in realtà. Quella strega di incredibile grazia lo aveva rapito con rapide mosse e Kevin era stato ben contento di farsi irretire; ormai, dal trentuno ottobre, quei due erano diventati inseparabili.
In quel momento non poteva fare a meno di sorridere, rimbambito dal fiume di parole che Lisa gli rivolgeva; mancavano pochissimi giorni alle vacanze di Natale e chissà quando i due si sarebbero potuti incontrare di nuovo. Poi certo, Kevin era più che felice di tornare a casa e di rivedere sua sorella e poi magari, chissà, avrebbe potuto invitare Lisa da lui e avrebbe potuto presentarle Norah…
Stava correndo con la mente, lo sapeva bene. Ma era certo che chiedere a Lisa di passare una giornata da lui, nella sua casa semi-babbana, sarebbe stata la cosa più giusta da fare. Così si munì di coraggio e tentò di aprire bocca per proporle la questione.
 
- Senti, Lisetta. -
 
- Lisetta! – ripeté lei con quel suo musetto irresistibile, mentre lo trascinava nei pressi del chiostro coperto di candida neve - Adoro, quando mi chiami così. Mi ricordi il mio papà! -
 
Ecco che Kevin sentì l’entusiasmo smontare dalla groppa del suo coraggio e scappare via a gambe levate. Mai avrebbe voluto essere paragonato a suo padre! Quel raffronto gli sapeva di incesto. Fortuna che la presenza di Justin, imbacuccato per bene e seduto su una delle panche di marmo ai margini del chiostro, spezzò l’imbarazzo. Il principe ridacchiava di gusto, l’attenzione catturata da una pagina de La Pulce nell’Orecchio.
 
- Hai capito il ragazzo! – Disse Justin fra sé e sé. Lisa sedette al fianco del tassorosso e gettò uno sguardo alla rivista.
 
- Cosa ci regala di tanto divertente, La Pulce? -
 
Kevin prese posto all’altro lato, occhieggiando anche lui il giornale.
 
- Pare che quest’anno attiveranno un corso extradisciplinare per la sicurezza. La questione di Sirius Black ha fatto letteralmente uscire fuori di testa il corpo docente, - Spiegò con rapidità Justin il quale, ghignando, puntò l’indice guantato di cashmere sul fondo di una notizia, che occupava buona parte della sezione “svago”. – Ma è questo che mi interessa davvero: leggete un po’ qui. -
 
Lisa sgranò gli occhi, eccitata dalle righe che si srotolavano sotto i suoi occhi:
- Sul serio?! Sarà una festa di Natale in grande stile! – poi si fece meditabonda – Per l’occasione devo procurarmi delle calosce nuove… magari anche una salopette di jeans. –
 
- Dolcezza, eviterei l’una e l’altra, se non ci tieni a far rabbrividire il mio povero e fragile cuore. – La schernì Justin. Kevin, al suo fianco, ridacchiò: - Non mi sarei mai aspettato una festa tanto eclatante, da parte sua… addirittura invitare tutta la scuola! -
 
- Il nostro ragazzone è molto meno ingenuo di quanto pensassimo, credo. Devo segnare l’appuntamento nell’agenda e ricordarmi di prenotare una passaporta in tempo; non vedo l’ora di affrontare l’esame di smaterializzazione, così la finirò di usare questi mezzi tanto scomodi. – Aggiunse Justin.
 
Kevin guardò con adorazione Lisa. Non le avrebbe fatto conoscere Norah, forse, ma avrebbe avuto l’occasione di partecipare con lei a una festa di proporzioni bibliche e pensò che si sarebbe assolutamente accontentato.
 
[Sala Grande, 22 dicembre 1993]
- Katie!
 
Il timbro inconfondibile della voce di Oliver le fece girare di scatto la testa; e la ragazza sorrise istintivamente mentre il Capitano, che si trovava a pochi passi da lei, la raggiungeva tenendo in mano un piccolo pacco sospetto.
 
- E questo cos’è?
 
- Un regalo per te. Per Natale – spiegò lui, ricambiando il sorriso. – Non mi sono ancora sdebitato per i guantoni, sai. – “Né per il resto” aggiunse mentalmente il ragazzo, arrossendo lievemente al ricordo del biglietto malandrino.
 
- Grazie di cuore, Oliver – Katie tese la mano per afferrare il pacchetto, gli occhi celesti illuminati di gioia. - Per pura educazione ti dovrei dire che non dovevi ma, in realtà, sono molto felice di questo tuo pensiero!
 
- Non aprirlo ora, però – l’ammonì Oliver, in tono serio. – Fallo quando sarai a Chicago, al termine del cenone. – “E pensami”, fu il suo pensiero implicito.
 
La ragazza assunse un’espressione di divertito corruccio.
- Sarà dura – ribattè, grattandosi il mento – dal momento che, quest’anno, il Natale lo passeremo tutti quanti in Scozia!
 
Oliver scoppiò a ridere.
- Fa lo stesso, Bell...
 
- E tu – gli domandò Katie, dopo che i due ebbero scambiato ancora qualche chiacchiera sulla bellezza di Edimburgo a Natale – che programmi hai per le vacanze?
 
- Niente di che – replicò lui, con un’alzata di spalle. – I miei vecchi sono in Nepal da un mese, sulle orme degli Yeti, e non faranno ritorno in Gran Bretagna per le Feste... quindi, credo proprio che me ne rimarrò qui ad Hogwarts, buono buono. Certo: Stonehenge è splendida sotto la neve ma, francamente, passare il Natale da solo in un cottage ad Amesbury è piuttosto deprimente!
 
Katie sgranò gli occhi.
- Casa tua... si trova vicino a Stonehenge? – gli chiese, sinceramente impressionata. – Ho sempre sognato di vederla: dicono sia il Cerchio Magico più potente dell’intera Gran Bretagna!
 
- E lo è – annuì Oliver, orgoglioso. – La mia famiglia discende dai druidi che l’hanno edificato e, da generazioni, se ne prende cura. E, se ti va di visitarlo, sei più che invitata!...
 
- Ti ringrazio. – Katie alzò di nuovo il viso per carezzarlo con lo sguardo e poi, senza pensarci troppo, gli propose quanto le era appena balenato per la testa: - Senti... a proposito di inviti: perché, invece di rimanertene qui ad Hogwarts solo soletto, non vieni su ad Edimburgo a trascorrere il Natale con noi?
 
Oliver si tinse di viola.
- Oh, beh – bofonchiò, imbarazzato. – Ma sai. Non vorrei disturbare...
 
- Ma cosa dici! – lo zittì subito lei. – Ci sarà mio fratello Carbry, quello che studia ad Ilvermorny... avete la stessa età, sono sicura che andrete d’accordo... e pensa, quest’anno sono riuscita a convincere anche Leanne ad unirsi a noi, quindi ci sarà pure lei...
 
- Davvero? – Oliver sapeva che la famiglia di Leanne era scomparsa durante la Guerra Magica, e che la ragazza era cresciuta in un orfanatrofio babbano. – Che bella notizia...
 
- Sì! – Katie era fermamente decisa a battere il ferro ancora caldo. – Ci divertiremo, dai!... E poi, per Capodanno, andremo tutti su alle Shetland per salutare il 1994 in compagnia dei McLaggen!...
 
Oliver rise di gusto nel vederla così infervorata.
- Mi hai convinto – le disse allora, riacchiappando agilmente il pacchettino, cosa che le strappò un’esclamazione di protesta. – Questo te lo ridò dopodomani sera, allora. Di persona, in quel di Edimburgo!
 
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Carissimi partecipanti, bentrovati!
Questa volta il capitolo si è fatto attendere un po’ più del normale ma siamo certe che, alla luce dei tanti impegni che ci hanno oberate, non vi sarà difficile perdonarci.
Prima di tutto, ci teniamo a ringraziare di cuore coloro che hanno speso parte del loro tempo per recuperare i capitoli arretrati: veder valorizzato il nostro “lavoro” ci ha fatto molto, molto piacere, per cui grazie davvero!
Ringraziamo anche chi ci ha elargito pareri e consigli, rispetto ai quali speriamo di poter corrispondere come si deve. A questo proposito, in merito a chi ci suggeriva di tagliare a metà i capitoli per renderli meno corposi, ci teniamo a rispondere che abbiamo riflettuto a lungo circa l’opportunità di agire in questo modo ma che, alla fine, abbiamo deciso di mantenere il format normale, sostanzialmente per due motivi. Il primo è che, così facendo, riusciamo a dare spazio a tutti nello stesso capitolo, evitando così di pubblicare pezzi in cui alcuni personaggi non compaiono (cosa che, crediamo, non sia piacevole per nessun autore). In secondo luogo, riteniamo che la scadenza delle pubblicazioni sia talmente diluita da permettervi di leggere con tutta calma anche capitoli molto lunghi.
Ci terremmo anche a segnalare un caso piuttosto delicato, più che altro per esternare la nostra difficoltà di gestione in merito a certe situazioni. Siamo sicure che la maggior parte di voi comprenderà perfettamente il nostro discorso, ma ci sembra giusto mettere le cose in chiaro. Ragazzi/e, lavorare con 28 personaggi (più una sfilza di secondari) è molto, molto complesso! Per ciascuno dei ragazzi, nostri e vostri, oltre a curare la caratterizzazione, noi immaginiamo trame e sviluppi, molto difficili da portare avanti in assenza di riscontri. Quindi, se un autore scompare per mesi, noi ci sentiamo in diritto di eliminare il suo personaggio; poi, se tale autore si manifesta in corner (e, diciamolo, per pura fortuna, perché se avessimo pubblicato anche solo una decina di giorni fa, quando al capitolo mancavano solo le ultime rifiniture, il problema non si sarebbe posto!), noi chiaramente siamo tenute a rispettare le regole stabilite da noi stesse e a non escludere il personaggio in questione. Questo, però, a costo di parecchie grane dal punto di vista della trama e dei suoi sviluppi futuri. Soprattutto quando, palesemente, questa manifestazione tardiva manca di contenuti che ci aiutino a proseguire. Ora: qui nessuno mette in dubbio il fatto che, nella vita, esistano cose beeeeeeen più importanti da fare, che leggere fanfiction su efp; tuttavia ci verrebbe da dire che, se una persona non trova il tempo di farsi viva, neanche in privato, per più di tre mesi di fila, forse non è il momento giusto, per lei, di partecipare ad un’interattiva. Basta accettarlo serenamente... e siamo tutti a posto. Tutto questo per dire: noi l’impegno ce lo mettiamo, però davvero, il rispetto deve essere reciproco!
Detto questo, vi annunciamo che il prossimo sarà un Extra Chapter ambientato durante la famigerata Festa Natalizia... sì, proprio quella che rischia seriamente di non andare secondo i pieni iniziali del suo allegro ideatore. Come di consueto, se avete considerazioni e richieste a riguardo, forza e coraggio! fateci sapere tutto e noi faremo del nostro meglio per accontentarvi.
Un forte abbraccio!
A&B
   
 
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