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Autore: Xion92    11/10/2019    3 recensioni
Post-KH3. Kairi è disperata perché non c’è modo di riportare Sora indietro. Ma quando, poco dopo, Ansem il saggio le rivela la verità sul suo passato, per la ragazza si apre una nuova prospettiva di vita.
Cosa significa veramente essere il capo di un mondo e governarlo? Quanti modi ci sono per farlo, e qual è quello più efficace e accettabile al tempo stesso? Quali pericoli, minacce e congiure attendono un principe? Questa è la storia di tre generazioni di sovrani del Radiant Garden, in cui ognuno di loro, a modo proprio, cerca di portare il regno verso la prosperità. Una storia di governo e di politica, fortemente basata su “Il principe” di Machiavelli.
(Il rating è arancione solo per il capitolo 7, tutto il resto dovrebbe mantenersi sul giallo)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kairi, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Ciao! Premessa molto molto importante: io non so scrivere cose romantiche. Brutta verità, ma è così. E "purtroppo" (per modo di dire) alcuni capitoli romantici funzionali alla trama saranno necessari. Giusto qualcuno e poi si ripartirà con la trama principale. Tuttavia, nonostante la mia inettitudine in proposito, dedico questi pochi capitoli seguenti a Kairi e Sora, una delle coppie fittizie che preferisco in assoluto. Se anche a voi piace questa coppia, godeteveli, perché dopo questo e un paio d'altri non ce ne saranno praticamente più (o almeno, non ci sarà più Sora). Spiegazioni ulteriori in fondo. Buona lettura!

 

Capitolo 3 – Cuore a metà

“Non si vorrebbe mai cadere per credere di trovare chi ti ricolga.” – Capitolo XXIV

Un altro giorno era arrivato. E si prospettava pieno di vuoto, come tutti quelli che lo avevano preceduto. Non c’erano orizzonti di miglioramento. Anche se la giornata doveva ancora iniziare, Kairi sapeva che sarebbe andata così. E sarebbe sempre stato così. Non si sentiva più la forte ed energica ragazza di una volta. Tanto per cominciare, doveva fare degli sforzi sovrumani per togliersi le coperte di dosso al momento di svegliarsi, e per mettere i piedi giù dal materasso doveva imporselo nel cervello, mentre una volta spesso era già in piedi prima che la sveglia suonasse. Ora svolgeva la sua vita di routine trascinandosi fiacca, senza voglia, senza convinzione, senza scopo, con la visione del mondo intorno a lei coperta da un filtro grigio sullo sguardo che non le cadeva mai. Una volta invece era stata la più energica ragazza delle isole, tanto che, al momento di avviarsi per la scuola, camminava talmente veloce che le sue compagne faticavano a tenerle dietro. Ora non mangiava quasi più, o se lo faceva era perché suo padre adottivo la costringeva. Spesso era lui stesso che si rassegnava ad imboccarla pur di farle mandare giù qualcosa. E non poteva essere altrimenti. La vita di Kairi sembrava divisa tra gli impegni obbligatori, che doveva per forza svolgere, e il letto. Tornava da scuola, e invece di mettersi a tavola col padre raccontandogli animatamente delle sue avventure quotidiane, come faceva una volta, filava dritta in camera e si lasciava cadere sul materasso, tenendosi gli occhi coperti col braccio, oppure, se non se li copriva, rimanendo a fissare il soffitto senza espressione.

Il padre, che era il sindaco delle Isole del Destino ed era un uomo comprensivo e di buon cuore, aveva notato questo suo strano comportamento. Dopo alcune settimane che andava avanti così, in cui aveva cercato in tutti i modi di cavarle di bocca una parola, le aveva proposto di portarla da uno psicologo, per vedere se almeno lui potesse farci qualcosa. Ma non c’era stato verso. Kairi si era rifiutata con uno sdegno e un’indignazione non comuni per una normale e modesta ragazza cresciuta in un piccolo paese.

“Non ho niente che debba essere scoperto o trovato da un dottore. Voglio solo stare da sola. Ti prego, papà, lasciami in pace.”

Nemmeno le sue compagne di scuola ed amiche da una vita erano riuscite a capire cosa avesse. Lei non si era confidata con loro. Semplicemente le evitava, come se non le conoscesse e i suoi problemi non le riguardassero. Non usciva più con loro il pomeriggio, ed anzi, non usciva di casa proprio. Le uniche volte in cui lo faceva spontaneamente era quando prendeva la sua barchetta e si dirigeva tutta sola sull’isola piccola, usata un tempo da lei e i suoi amici come campo di gioco. Quell’isoletta era deserta adesso, e non era più frequentata da nessuno, perché lei e i suoi amici erano grandi, e i bambini della generazione successiva alla loro erano ancora troppo piccoli per arrivare fino a lì. Meglio. Almeno nessuno poteva disturbarla mentre vagava senza meta sulla spiaggia, ascoltando il suono delle onde che si infrangevano. Camminava avanti e indietro sulla sabbia dove l’acqua non arrivava, tenendo gli occhi bassi, oppure a volte si spingeva fino all’isola ancora più piccola, con la palma. Arrivata lì, si arrampicava sul tronco, si sdraiava a pancia sotto, stringeva le braccia intorno al legno e strofinava le guance contro la corteccia dura, fino a riempirsi gli zigomi di graffi. Nonostante Kairi, nella sua profonda tristezza, non piangesse mai, solo in quell’occasione non riusciva a trattenersi e si lasciava andare ad un pianto silenzioso, senza singhiozzi né versi. I posti in cui si dirigeva erano sempre e solo questi due. Nel rifugio segreto non andava mai. L’aveva fatto una volta, e appena si era accorta di una certa cosa era uscita di corsa, tenendosene poi alla larga come se al suo ingresso fossero nascoste delle trappole. Il motivo era tanto semplice quanto agghiacciante, anche se in un certo senso scontato: dai muri erano spariti dei disegni. Non tutti, solo qualcuno. Quelli che lei e Riku da piccoli avevano fatto c’erano tutti, non ne mancava nemmeno uno. Erano altri ad essere scomparsi. E soprattutto un disegno in particolare, che in origine era su uno spazio piccolo, quasi a livello del terreno, vicino alla porta del loro mondo. Kairi se lo ricordava benissimo. Era il disegno di due visi, di una bambina e di un bambino, di profilo che si guardavano. Qualche anno prima, c’era stata un’aggiunta postuma di due mani stilizzate che si scambiavano un frutto di paopu, nel concretizzarsi di una leggenda molto sentita su quelle isole. Ma ora quel disegno non c’era più. E non era certo un brutto scherzo, non era che qualcuno lo avesse cancellato, Kairi ne era sicura. I tratti col gesso non erano stati tolti, ma non erano stati proprio fatti. La roccia era levigata e perfettamente pulita. Era come se quel disegno non fosse mai esistito.

Questo per Kairi era stato un colpo al cuore, e quando l’aveva verificato coi propri occhi aveva sentito un dolore al petto così forte che si era quasi accasciata a terra per il male. E la cosa ancora più brutta era che quella sofferenza non poteva condividerla con nessuno. Ricordava perfettamente chi l’aveva salvata, il suo aspetto, la sua voce, il suo odore, e la sua mente era piena di ricordi di tutti gli anni passati insieme. Solo che era l’unica. Riku, pieno di preoccupazione per lei, le stava sempre addosso, cercava di capire cosa avesse e l’aveva sollecitata in tutti i modi possibili per farla aprire con lui. E questo si capiva: Riku era sempre stato il suo migliore amico fin dall’infanzia, e quindi Kairi aveva accolto con piacere i suoi tentativi di aiuto. Ed era stato il primo con cui aveva parlato, il giorno in cui era riapparsa. Ma quando, alla prima richiesta di Riku di spiegazioni, lei gli aveva rivelato cos’era a farla stare così male, lui l’aveva guardata stranito, come se fosse stata una presa in giro. Ed aveva detto poche parole, ma che avevano avuto l’effetto di una pugnalata al petto per Kairi.

“Sora? Chi è Sora?”

L’aveva chiesto con tono confuso e imbarazzato, ed era chiaro che non c’era nulla in quelle parole che indicasse che stesse scherzando o cercando di prenderla in giro. E Kairi aveva avuto un bel tentare di spiegargli, di convincerlo che nella loro vita c’era stato un altro ragazzo e non erano mai stati solo in due.

“Cosa stai dicendo? Io e te siamo migliori amici fin da bambini. Questo lo so, tutti lo sanno”, aveva affermato Riku, senza nessun dubbio nella voce. “Guarda, Kairi, che puoi dirmi il vero problema che hai. Non c’è bisogno che ti inventi strani personaggi per nascondere quello che ti fa stare male. Dimmi.” L’aveva detto col tono più sincero, gentile e disponibile possibile, ma quelle parole così genuine le avevano fatto ancora più male.

Erano soli in quel momento. Gli altri amici erano a festeggiare e divertirsi sulla spiaggia dell’isola piccola, lei era sola sulla palma, afflitta, e lui l’aveva presa da parte. Kairi non era riuscita ad accettare quelle frasi.

“Ma cosa mi dici, Riku, cosa mi dici?!” era scoppiata in lacrime, coprendosi gli occhi con le mani. “Come fai a non ricordarti? Sora è il tuo migliore amico, siete come fratelli voi due, eravate amici da prima che arrivassi io sulle isole. Come puoi ora infangare la sua memoria così?”

Kairi non credeva di aver mai visto Riku così imbarazzato. E se n’era resa conto, sentendosi agghiacciata: il ragazzo stava dicendo quello che per lui era la verità. Era vero che non conosceva Sora, era vero che non l’aveva mai incontrato e non aveva mai avuto nulla a che fare con lui, almeno dal suo punto di vista. E sicuramente in quel momento doveva aver pensato che la sua amica doveva aver subito un qualche trauma psicologico per uscirsene con certe frasi. Lei allora si era asciugata le lacrime, e si era diretta con passo deciso verso il gruppo di ragazzi che giocava sotto il ponte di legno. Era determinata a vederci chiaro. Non poteva crederci. Non voleva accettare che Sora potesse venire dimenticato da qualcuno. Lui che si era fatto un sacco di amici nel suo viaggio, e che dava all’amicizia un grandissimo valore. Non poteva venire ripagato in questo modo, non lui. Certamente gli altri si ricordavano benissimo di Sora e di tutto quello che aveva fatto per loro. Avrebbero cercato una soluzione per farlo tornare, tutti insieme.

“Aqua, ti ricordi di Sora, il ragazzo che ti ha salvata dall’oscurità? Axel, non ti ricordi di lui? In una delle pause dagli allenamenti, mi avevi detto che ti faceva venire in mente Roxas. E voi, Pippo e Paperino? Avete viaggiato dovunque insieme.”

Ma nessuno aveva memorie di lui. In effetti, avrebbe pensato poi Kairi, il fatto che se ne stessero a giocare e festeggiare spensierati mentre Sora era disperso chissà dove, magari anche morto, avrebbe avuto un che di strano altrimenti. Aqua le si era avvicinata e le aveva posato una mano sulla fronte, come per sentire se avesse la febbre, o qualcosa che la faceva delirare. Kairi l’aveva guardata esterrefatta e si era scostata da lei. La maestra allora le aveva parlato con tono accomodante, come una sorella maggiore.

“Kairi, sei sicura di stare bene? Perché sei così afflitta e disperata? Dovresti essere contenta, come noi. La pace nell’universo è tornata, ognuno di noi si è ripreso la propria vita, e stiamo festeggiando tutti insieme. Perché non ti rallegri?”

L’aveva detto con tono dolce e incoraggiante, ma Kairi si era sentita la nausea salirle dallo stomaco.

“Aqua, perché... perché mi dici questo? Ma non provi nemmeno un po’ di riconoscenza per il ragazzo che ti ha salvata?” le aveva chiesto con la disperazione nella voce.

Aqua l’aveva guardata perplessa, poi aveva girato lo sguardo verso Riku, che nel frattempo li aveva raggiunti.

“Certo che sarò riconoscente a Riku per tutta la vita, per avermi salvata.”

Kairi aveva spalancato la bocca e sbarrato gli occhi. Aveva provato a parlare, ma lì per lì non ci era riuscita. Appena ripresa, aveva volto lo sguardo verso gli altri.

“Axel, non ti ricordi che Sora ti faceva venire in mente Roxas?”

Lui aveva alzato le spalle. “Devi aver frainteso. Ti avevo detto che Roxas mi ricordava solo Ventus, e non c’era in mezzo nessun Sora.” Si toccò la tempia. “Vedi di memorizzarlo meglio questa volta.”

Esasperata, Kairi aveva guardato Pippo e Paperino. Loro due avevano scosso la testa imbarazzati. “Abbiamo sempre viaggiato da soli, noi due e basta.”

“Ma... ma...” aveva boccheggiato Kairi. Si era girata di nuovo verso Riku. “E chi ha chiuso, quella volta, la porta di Kingdom Hearts?”

“Ma è ovvio, no?” aveva risposto Riku sbalordito. “Io e Topolino dall’interno, e Pippo e Paperino ci hanno aiutato dall’esterno. Poi Topolino l’ha chiusa dall’interno col Keyblade, tutto qui.”

“A tutti voi...” aveva insistito Kairi, guardando i ragazzi. “Sora è stato indispensabile nella battaglia contro Xehanort. Se non fosse stato per lui, sareste stati spacciati.”

“Non c’è stato proprio nessun Sora nella battaglia finale”, aveva sbottato Terra con voce infastidita. “E non è molto gentile da parte tua mettere in dubbio la nostra abilità di guerrieri.”

Per un altro po’, Kairi aveva cercato di rievocare ricordi di Sora nella mente degli amici. Ma non c’era stato modo. Per ogni situazione di cui parlava, a cui Sora era strettamente collegato, i ragazzi avevano pronta una spiegazione alternativa che faceva combaciare il tutto alla perfezione comunque. Kairi si era sentita svuotata e fiacca. Allora era vero... nessuno si ricordava di Sora. Anzi, era come se non fosse mai esistito.

Ma lui era esistito, Kairi ne era sicura come era sicura di avere i capelli rossi. I suoi compagni l’avevano fatta quasi passare per una poveretta, una che per riempire chissà che vuoto si andava ad inventare amici immaginari. E lei ormai lo sapeva: non c’era nessuno, oltre lei, a conservare intatte le memorie di Sora e a ricordare ogni momento passato con lui. Ma questo era quasi un male: Kairi soffriva terribilmente per la sua scomparsa, e non poteva nemmeno piangerlo con i suoi amici, non poteva cercare il loro conforto, altrimenti sarebbe passata per pazza. Non era la prima volta che succedeva una cosa simile. Anche due anni prima tutti si erano dimenticati di lui, e allora era successo anche a lei. Solo che poi lei aveva recuperato i ricordi, e anche se lui non c’era, l’attesa era stata un qualcosa intriso di speranza e fiducia. Totalmente diverso da ora. Ora Kairi aveva addosso solo disperazione e impotenza, nella cupa consapevolezza che non sarebbe mai più tornato. E lei aveva tutti i ricordi, mentre invece della sua esistenza era stata cancellata ogni traccia. Dall’ambiente intorno, dai luoghi in cui era stato, dalla mente dei suoi amici. Kairi ogni tanto veniva presa da una prospettiva che la terrificava: che un giorno anche lei, a furia di non vederlo più, potesse dimenticarsi di lui; dei suoi occhi, del suo odore, del suo tocco, della sua voce... ogni volta che ci pensava, la ragazza si sentiva terrorizzata fin nel midollo delle ossa, e così ogni volta che poteva, ogni volta che la sua mente non era impegnata in altro per motivi di forza maggiore, faceva andare i ricordi a lui. Ripartiva fin dal principio.

Si ricordava della prima volta che l’aveva incontrato. Aveva quattro anni, era appena stata strappata alla sua casa natìa, e si trovava riversa sulla spiaggia. Non c’era nessuno ancora e non era stata notata, perché era mattina presto. Un bambino molto mattiniero però le si era avvicinato. Lei, che stava rinvenendo, aveva sentito lo scricchiolio dei suoi passi sulla sabbia.

“Tu... chi sei?” aveva sentito una tenera voce infantile. Allora aveva aperto piano gli occhi. Vedeva appannato, ed essendo sdraiata a pancia sotto, non aveva notato altro che la sabbia bianca.

Il bambino l’aveva toccata sul braccio.

“Da dove vieni?” aveva sentito che le stava chiedendo ancora. Kairi aveva sbattuto ancora le palpebre un paio di volte, finché non era riuscita a vedere nitido, e solo a quel punto aveva sollevato la testa per guardare chi le aveva parlato.

La statura, il colore della maglietta o dei pantaloncini che indossava, i capelli... non aveva notato nulla di tutto ciò in quel primo momento in cui l’aveva visto. La prima cosa che aveva incrociato, nel momento in cui aveva alzato la testa, era stato lo sguardo. Aveva visto due iridi così azzurre come era sicura che il cielo non era stato mai. Due occhi grandi, curiosi, dolci e gentili, che emanavano simpatia, e nel momento in cui Kairi vi si era specchiata, aveva avvertito una sensazione strana. Qualcosa che non aveva mai provato prima, ne era sicura, e che non aveva più provato guardando nessun altro bambino. Si era sentita una scossa lungo la spina dorsale, i brividi percorrerle la schiena, le piccole mani tremare e il cuore accelerare i battiti. Erano passati molti anni, ma ricordava quelle sensazioni come se fossero avvenute il giorno avanti. Era rimasta dei lunghi, lunghissimi secondi incantata a fissare quegli occhi chiari, e in quegli attimi aveva percepito che anche il bambino a cui appartenevano doveva star provando una sensazione simile alla sua: aveva visto che le sue pupille si erano dilatate mentre le fissava lo sguardo di rimando, e le era sembrato di notare un lieve tremore provenire dal suo corpicino. Era stata tutta una questione di pochi secondi. Subito dopo, il bambino si era riavuto e, con un gran sorriso, le aveva teso una mano per aiutarla ad alzarsi. Ma in quei pochi secondi in cui si erano fissati negli occhi, era scattato qualcosa. Qualcosa che da quel momento in poi era stato spontaneamente messo a tacere per via del loro essere bambini, ma che non si era mai spento. Kairi aveva poi fatto amiciza con Riku, con altri bambini della loro età, era stata adottata dal sindaco e si era inserita bene nella comunità. Ma con Sora era sempre rimasto qualcosa di speciale. Spesso, lui la veniva a chiamare, e poi senza andare a cercare Riku né nessun altro, si avventuravano nei luoghi più remoti delle loro isole. A Sora piaceva atteggiarsi: anche se lì in giro non c’era nulla di pericoloso, la guidava col petto gonfio attraverso boschetti e arbusti, tenendosela stretta per mano appena dietro di sé, inventando ogni due per tre dei nemici immaginari che poi fingeva di fronteggiare col suo spadino di legno, com’era tipico per la loro età. Kairi, divertita, stava al gioco e, fingendosi impaurita, supplicava il suo eroe di salvarla. Una volta che il nemico era stato battuto con fatica e con non pochi melodrammi da parte del maschietto, Kairi riconoscente gli si avvicinava, lo abbracciava stretto e gli schioccava un gran bacio sulla bocca. Nessuno dei due trovava nulla di strano in questo, per quanto erano piccoli. Sora accoglieva il bacio con un po’ di rossore e ricambiava l’abbraccio ridendo, poi, non essendoci più pericoli, ripartivano di corsa attraverso i boschetti di palme e i prati, e Sora la teneva sempre stretta per mano. Quando erano stanchi si fermavano, Sora la tirava vicino a sé e si metteva a farle il solletico nei suoi punti più sensibili, che aveva scoperto poco tempo dopo averla conosciuta. Kairi, un po’ ridendo e un po’ indispettita, cercava di ribellarsi mettendosi anche lei a fare il solletico a lui, finché tutti e due, esausti e presi dalle risate, crollavano sdraiati a terra. Allora, stesi sul fianco e improvvisamente silenziosi, Sora la abbracciava stretta, mettendosi ad accarezzarle il viso e i capelli. Erano coccole fatte senza alcuna malizia o secondo fine: erano due bambini che si volevano bene ed era tutto lì. Kairi accoglieva quelle effusioni con grande piacere, e ricambiava accarezzando anche lei le guance del suo amico, ed ogni tanto tirandogli affettuosamente una ciocca di capelli. Erano carezze innocenti, che però riservavano solo a loro due. Kairi non aveva mai fatto una cosa simile con nessun altro, neppure con Riku, che pure era il suo migliore amico. Ed ogni tanto, durante quelle coccole, capitava che accadesse la stessa cosa che si era verificata lo stesso giorno in cui si erano conosciuti: la bambina, così vicina a lui da sfiorare le sue ciglia con le proprie, incrociava il suo sguardo e, benché durante la vita quotidiana si guardassero di continuo senza che avvenisse nulla di diverso, in quei momenti particolari, abbracciati a terra, solo loro due nel silenzio della natura, mentre si guardavano negli occhi una scossa elettrica li attraversava, e Kairi si sentiva di nuovo i brividi e la pelle d’oca nonostante ci fossero trenta gradi all’ombra, percepiva quella scarica lungo la schiena e il cuore battere più forte. Solo che ora che era abbracciata a lui, sentiva con chiarezza che anche al bambino il cuore batteva all’impazzata contro il petto, i brividi facevano tremare anche il suo corpicino e sentiva che faceva fatica a respirare in modo regolare. Era un fenomeno che non durava che pochi secondi. Un attimo, ed erano già tornati i marmocchi ridanciani di sempre. Erano troppo piccoli per capire quello che provavano in quei momenti brevi ma di grande intimità. Ma quel sentimento, che aveva colpito Kairi come un fulmine il giorno in cui si era specchiata negli occhi di quel buffo bambino, le era rimasto nel cuore, ed era cresciuto insieme a lei. Non sapeva cos’era che le faceva provare quelle sensazioni in certi momenti. Sapeva soltanto che erano emozioni piacevoli che la facevano stare bene, e aspettava con trepidazione il momento in cui quello strano fenomeno si sarebbe ripetuto. Questo per un paio d’anni. A sei anni, quando la loro consapevolezza era aumentata, avevano smesso di abbracciarsi e di darsi goffi baci sulla bocca, e quei momenti intimi fra loro due erano cessati.

Ma, silenzioso nei loro cuori, il fuoco ardeva ancora. Era solo stato messo a tacere per un periodo indefinito di tempo, ma, in modo inconscio, entrambi sapevano che un giorno si sarebbe risvegliato. Kairi, man mano che abbandonavano i loro corpi di bambini per diventare ragazzi, vedeva Sora essere sempre più turbato in sua presenza, soprattutto dopo che Riku si era imposto come il ragazzo più forte ed abile dell’isola. La ragazza credeva di sapere perché: Riku aveva iniziato a mostrarsi interessato a lei, ma, sebbene Kairi gli volesse un bene dell’anima, perché era sempre stato come suo fratello maggiore, non gli aveva mai rivolto quello sguardo che invece aveva rivolto a Sora così tante volte. Tanto che non capiva come potesse Sora farsi venire dei dubbi. Ma forse era perché aveva verso Riku un complesso di inferiorità. Kairi aveva cercato di farglielo passare proponendogli di partire solo loro due con la zattera che stavano costruendo, ma Sora, ancora ingenuo, non aveva afferrato.

E poi, da lì, era successo di tutto: gli Heartless avevano attaccato la loro casa, lei, che era stata colpita, aveva trovato il modo di salvarsi il cuore nascondendolo nella persona che amava; lui si era sacrificato una prima volta per salvarla, e lei, grazie alla propria luce, era riuscita quasi subito a farlo tornare umano; si erano separati con un po’ di dolore nel cuore, ma mitigato dalla speranza che sarebbero un giorno riusciti a rivedersi; prima, lei gli aveva dato il proprio portafortuna, che aveva costruito con delle conchiglie disegnandoci poi sopra il viso di Sora, e lui le aveva promesso che gliel’avrebbe riportato. Kairi non aveva motivo di dubitare della sua parola, ed era rimasta fiduciosa. C’era stata una cosa che le aveva fatto prendere consapevolezza su ciò che provava: aveva visto un giorno, quasi per caso, il disegno che avevano fatto da bambini su una parete della loro grotta. E c’era stata una modifica: una mano tendeva una stella verso di lei. Kairi si era messa a piangere: sapeva bene che quell’aggiunta l’aveva messa lui, e che essa aveva un significato preciso, che in quel momento lei aveva compreso. Sì, anche lei sentiva le stesse cose per lui, da quando l’aveva incontrato la prima volta, e per dargli conferma aveva fatto anche lei una modifica: aveva disegnato anche lei un frutto di paopu verso la sua bocca, però lei, per dimostrare la profondità dei suoi sentimenti, lo aveva disegnato ancora più grosso. Dopodiché, lo aveva aspettato per un anno intero man mano che riacquisiva i ricordi che nel frattempo erano andati perduti, ed alla fine era riuscita a ritrovarlo. Ricordava benissimo l’emozione che aveva provato nel ritrovarlo così cresciuto, come cresciuta era lei, come si fosse sentita emozionata trovandoselo di fronte, e senza riuscire a trattenersi gli era corsa incontro, abbracciandolo stretto. Mentre lui ricambiava l’abbraccio, premendo la testa contro la sua, Kairi aveva risvegliato dentro di sé il ricordo del suo tocco e del suo odore, e in quei pochi attimi in cui erano stati stretti in quell’abbraccio, aveva ritrovato tutte le sensazioni che lui le dava un tempo, ma amplificate. Erano poi stati separati di nuovo, ma dopo poco si erano ritrovati sulle loro isole, e Kairi aveva visto in Sora la stessa forte emozione che c’era in lei, mentre lo guardava correre per raggiungerla, solo per essere poi fermato dai suoi amici che pure lo stavano aspettando; subito dopo aveva mantenuto la sua promessa ridandole il suo portafortuna. Kairi si era chiesta molte volte cosa Sora avrebbe fatto se fosse riuscito ad arrivare fino a lei. Non gliel’aveva chiesto le settimane successive però, perché l’aveva visto insicuro e timido quando era intorno a lui. Tutta la spavalderia che lo caratterizzava sembrava scomparire quando c’era anche lei. Le parlava poco, e non la guardava quasi più negli occhi. Non sapeva perché si comportasse così; forse aveva visto il disegno della grotta e si vergognava? O forse si era sbagliata, e in tutto quel tempo che erano stati separati i suoi sentimenti si erano affievoliti? Kairi non poteva entrargli nella testa e non poteva saperlo, ma sapeva bene cosa desiderava lei. Aveva ormai sedici anni, e tutto quello che era stato intorno a loro fin da quando erano piccoli, e che col tempo era cresciuto con loro, l’aveva capito. Perciò aveva deciso di fare lei la prima mossa, proprio la sera prima della battaglia finale. Se poi questo avesse portato a un loro riavvicinamento, o avesse rovinato il loro legame, Kairi non poteva prevederlo. Ma non voleva più aspettare.

Quando, trovandosi eccezionalmente sola con lui, gli aveva teso un frutto di paopu con un sorriso complice, Sora si era ritrovato spiazzato. Intimamente, Kairi era stata presa da un moto di paura: era vero che aveva accettato la sfida, indipendentemente dal risultato, ma ora che lui non stava avendo la reazione che desiderava, il timore che davvero il loro legame potesse finire rovinato dalla propria avventatezza le aveva afferrato le viscere. Aveva cercato allora di fare un passo indietro, per dare modo ad entrambi di uscire da quella situazione in modo pulito. “Domani sarà la nostra battaglia più dura... voglio solo essere parte della tua vita a qualunque costo. Tutto qui.” Non poteva dirgli quello che intendeva sul serio, con quel frutto che gli stava tendendo. Ma, dopo qualche altro istante, l’espressione tesa di Sora si era sciolta, sorridendole le aveva promesso che l’avrebbe protetta, e Kairi con un gran sollievo aveva giurato la stessa cosa. Pronti a legare per sempre le loro vite, si erano tesi i due frutti incrociando le braccia, e mentre staccavano il proprio pezzo con un morso avevano continuato a fissarsi negli occhi. Neanche una volta che la promessa era stata suggellata avevano smesso: seduti vicini, avevano continuato a guardarsi, mentre il tramonto sul mare li illuminava di rosso e arancione. Ed in quel momento, con loro due da soli ed il silenzio intorno, si era ricreata quell’atmosfera che c’era stata tante volte fra loro quando erano piccoli. Kairi vedeva che gli occhi azzurri di Sora erano lievemente appannati, e la guardavano con uno sguardo pieno di dolcezza, venerazione e devozione. Kairi era consapevole dei propri sentimenti verso di lui, ma ora era diventata consapevole anche dei suoi: quelli erano gli occhi di un uomo innamorato. E di nuovo, dopo tanto tempo in cui non era più successo, aveva percepito quel magnetismo che li attirava l’uno all’altra, il forte battito del proprio cuore, i brividi che la scuotevano in modo lieve, quella deliziosa scossa elettrica lungo la spina dorsale... e c’era stata anche un’altra cosa. Per la prima volta, fissando le pupille del ragazzo, Kairi aveva avuto come una visione: una visione breve, ma per lei piena di significato. Si era vista donna adulta, con Sora, anche lui adulto, al proprio fianco. Erano insieme, in una casetta piccola sull’isola, un po’ più lontana dalle altre, ed era un’abitazione tranquilla ed intima. Mangiavano insieme allo stesso tavolo; dormivano insieme nello stesso letto; facevano insieme le faccende di casa; uscivano, e camminavano a piedi scalzi sul bagnasciuga, fianco a fianco, con le mani e le dita intrecciate, lasciando che l’acqua rinfrescasse loro i piedi. Dopo aver camminato per un po’, con lo stesso tramonto di quella sera ad illuminarli, Sora si fermava e la abbracciava stretta, baciandola sulla bocca. Terminata quella visione, Kairi si era sentita gli occhi pizzicare, ma quel sogno le aveva fatto capire quello che più al mondo desiderava: stare insieme a Sora, per tutta la vita, vivere insieme a lui, essere la sua compagna. Era un desiderio sincero, puro e ardente nel suo cuore. Non sapeva razionalmente se anche Sora avesse lo stesso desiderio, ma lo poteva intuire da come la guardava. Aveva sentito che anche lui desiderava essere il suo compagno e poter vivere insieme a lei. Non c’erano state parole fra loro due, ma da come si guardavano, non ce n’era stato bisogno. Kairi aveva provato l’intenso impulso di avvicinarsi, stringersi a lui e baciarlo sulle labbra, come aveva fatto tante volte, con uno spirito diverso, quando era piccola; e vedeva anche negli occhi di lui lo stesso ardente desiderio. Ma alla fine non si era mossa: se lo avesse baciato, avrebbe dovuto distogliere lo sguardo dal suo, e non ci riusciva. Gli occhi di Sora la tenevano incatenata al suo posto, l’unica cosa che poteva fare era continuare a guardarli, e la stessa cosa stava valendo per lui, la ragazza lo aveva sentito.

Kairi non era sicura che Sora avesse capito quanto era profondo il sentimento che sentiva per lui. Sapeva ora, con assoluta certezza, che anche lui la amava, almeno quanto lei amava lui, ma non si fosse reso ben conto di quanto lei amasse lui. Ne aveva acquisito consapevolezza dopo, quando lei aveva mantenuto la propria promessa, salvandolo col suo atto d’amore, e lo aveva guidato con la sua luce verso i loro amici recuperati. Non sapeva cosa gli fosse passato per la testa in quel momento o che visione avesse avuto: mentre lo teneva per mano, si era girata verso di lui quando lo aveva sentito sussultare, e l’aveva guardata con degli occhi increduli che dicevano: ‘davvero mi ami così tanto?’ Al che anche lei aveva risposto con uno sguardo: ‘ci sei arrivato, stupidone!’. Quando erano tornati dai loro amici, Sora le aveva tenuto stretta la mano anche se ormai non ce n’era più bisogno, come per voler ufficializzare la loro relazione davanti a tutti. Era un momento difficile in cui rischiavano la morte, ma mai in quel momento Kairi era stata così felice.

Dal momento in cui Xehanort le aveva spezzato la schiena, Kairi ricordava solo il buio. Ma, nel momento in cui, in qualche modo, era riuscita a riaprire gli occhi, sentendosi volare verso il basso, la prima cosa che aveva visto era stata lui, la prima cosa che aveva sentito era stata la sua voce che chiamava il suo nome. Era notte, il cielo era pieno di stelle, e mentre lei continuava a volare piano in giù, aveva visto Sora volare verso di lei, cercando di raggiungerla, tendendo le mani e con il sollievo, la felicità e l’impazienza nel viso. Si era sentita il cuore batterle come impazzito: aveva capito in un attimo quello che era successo. Sora l’aveva salvata. Un’altra volta. Aveva di nuovo fatto di tutto per lei, riuscendo a riportarla indietro nonostante Xehanort l’avesse quasi uccisa, in virtù dell’amore che avevano entrambi capito di provare l’uno per l’altra. Allora anche lei aveva teso le braccia verso di lui, chiamandolo forte e piena di emozione, ed un attimo dopo aveva sentito il proprio corpo sbattere contro quello di Sora, tanto da farlo sbilanciare all’indietro. Aveva stretto le braccia dietro la sua schiena e appoggiato la testa sulla sua spalla, tenendo gli occhi chiusi, ed aveva sentito un braccio di Sora tenerla stretta a sé, e l’altra sua mano sulla testa che le accarezzava i capelli. Kairi a quel punto era stata sicura che Sora avesse sentito quando forte le stava battendo il cuore: non era mai più successo, da quando erano piccolini, che lui le facesse delle carezze, per giunta così amorevoli e dolci. Era certo però che Kairi stesse sentendo i battiti del cuore del ragazzo, e dio se erano forti. Avrebbe voluto rimanere così con lui per sempre, sospesi nell’aria in quel silenzio assoluto, con i loro corpi stretti, le braccia che avvolgevano l’altro e le dita di Sora che passavano fra i suoi capelli, ma dopo un po’ lei iniziò a staccarsi. Voleva vederlo. Voleva guardarlo in viso. Sora aveva acconsentito a scostarsi da lei, ma le aveva preso le mani per mantenere comunque il contatto. Kairi era rimasta stupita: non aveva mai visto il viso di Sora così. Aveva un’espressione quasi da ubriaco mentre la guardava, era completamente perso, ancora di più di quella sera sul loro albero. Se qualcuno in quel momento avesse chiesto a Kairi di spiegare cosa fosse l’amore, lei avrebbe risposto: guarda il viso di questo ragazzo. Kairi aveva sentito di nuovo, fortissimo, il desiderio di avvicinarsi ancora a lui e baciarlo, ma quel maledetto Xehanort li aveva interrotti prima che potesse farlo. Sora, continuando a tenerla stretta per le mani, aveva ringhiato fissando il loro nemico che si stava formando, ma poi l’aveva guardata di nuovo, e la sua espressione arrabbiata era tornata ad essere subito tenera e amorevole. Non ce la faceva proprio ad essere arrabbiato mentre la guardava, anche se i suoi sentimenti negativi erano rivolti ad un altro. “Kairi, sei pronta?”, le aveva chiesto convinto. Lei all’inizio era rimasta interdetta: già una volta, si ricordava, gli aveva chiesto di poter combattere insieme a lui, quando erano più piccoli e lei aveva trovato rifugio alla Città di Mezzo. Ma lui non aveva voluto, sostenendo che sarebbe stata un impiccio. Adesso invece si fidava talmente tanto di lei e delle sue capacità che, invece di dirle di stare indietro, che ci avrebbe pensato lui, le aveva chiesto di combattere al suo fianco. Resasi conto di questo, Kairi aveva sorriso convinta, esclamando di sì. La battaglia che era seguita, per quanto difficile fosse stata, la ricordava con un misto di gloria e piacere: ora che aveva potuto combattere sola insieme al ragazzo che amava, aveva dato sfoggio e sfogo di tutte le abilità che aveva imparato durante l’allenamento, riuscendo a tenere testa a Xehanort insieme a Sora. Prima, Xemnas era riuscito a catturarla perché prima l’aveva indebolita con un attacco che le aveva risucchiato le energie, ed anche perché era chiaro che aveva avuto paura di lei: sia Sora, che Roxas che Xion avevano provato ad attaccarlo, questi ultimi due addirittura insieme, e non avevano potuto far nulla, ma lei era riuscita a metterlo in difficoltà. Ora che aveva potuto mostrare a Sora quanto era abile anche lei in battaglia si sentiva fiera di sé. Non avrebbe mai dimenticato l’attacco combinato che qualche volta aveva fatto insieme a lui, quando la battaglia si faceva difficile: nessuno dei due era in grado di volare da solo, ma tenendosi stretti, un’ala di luce e ricordi per ciascuno, erano in grado di sostenersi ed attaccare il loro nemico. E quando avevano vinto, Kairi aveva sentito che quella era stata la loro vittoria. La vittoria che segnava la fine della guerra, di tutti quelli che si erano messi fra loro due e che segnava l’inizio della loro relazione. Povera ingenua, lei che ancora non sapeva del terribile destino che attendeva il suo amato e pensava che da quel momento sarebbero stati sempre insieme…

Infatti, durante quegli avvenimenti, Kairi non si era posta la questione del perché lui avesse voluto stare solo insieme a lei, invece di riunirsi ai loro amici, pur guardandoli da lontano. In quei momenti l’unica risposta che si era data, assai plausibile, era perché, essendo ormai una coppia ed amandosi, Sora desiderava avere un po’ di intimità con lei, portandola a visitare alcuni delle centinaia di mondi che avrebbero voluto vedere e godersi insieme. Quanto aveva amato quei momenti insieme a lui, guardando i fuochi d’artificio al Castello Disney, a restituire Chirity a Ventus nella Terra di Partenza, a mangiarsi un ghiacciolo insieme nel tramonto di Crepuscopoli, al Radiant Garden a liberare dal proprio corpo il cuore di Naminé… si era sentita, in tutto quel tempo, più felice che in qualunque altro momento della sua vita, e sapeva che quello, per loro due, era solo l’inizio. O almeno, Kairi così sognava. Infatti, mentre erano di nuovo alle Isole del Destino, seduti sul tronco di palma a guardare il mare al tramonto, con le dita delle mani intrecciate, Kairi aveva sentito che la sua stretta si era fatta più forte. Una stretta che conteneva una forte emozioni. La ragazza allora si era girata per guardare Sora, che le aveva rivolto uno sguardo profondamente innamorato, ma, non sapeva in quel momento perché, anche tristezza. Si era così persa nei suoi occhi che nel primo attimo non aveva nemmeno capito quello che le aveva detto, ma, quando si era resa conto che le parole da lui pronunciate erano “ti amo”, non era riuscita a trattenersi e si era messa a piangere, sorridendo. Su quel tronco il frutto di Paopu li aveva uniti in matrimonio, e quelle parole segnavano l’inizio della loro vita insieme. Il suo futuro, lei lo vedeva accanto a lui, insieme a lui. Erano entrambi due giovani impazienti. Un anno, massimo due, e avrebbero potuto farsi la loro casa e la loro famiglia. Ma, prima che lei potesse aprire bocca e rispondergli “ti amo anch’io”, l’orrore le aveva fatto gelare il sangue nelle vene. Aveva visto il suo innamorato, il suo Sora, svanirle letteralmente sotto gli occhi, lasciandola lì, sola e disperata.

 

E tutto questo era stato per colpa sua. Sora non c’era più perché aveva dovuto salvarla. Perché aveva fatto quella scelta, come aveva potuto volersi sacrificare di nuovo in questo modo? Anzi, no: perché lei, che aveva voluto aiutare i suoi amici in battaglia, alla fine era risultata essere la causa di morte del ragazzo che amava? Anche se sapeva razionalmente che la colpa non era stata sua e che poi si era riscattata, a livello di emozioni non era riuscita a darsi pace. Ora era dilaniata dalla depressione per la sua perdita e dai tremendi sensi di colpa che sentiva verso di lui. Era come se le avessero strappato un pezzo di cuore. Viveva ma non viveva. Ed ogni giorno che passava si sentiva sempre più sprofondare. Soltanto la notte, con l’aiuto della stanchezza e del sonno, riusciva a stare un po’ meglio, perché il cervello le giocava brutti scherzi. La sua immaginazione galoppava e sognava, con desiderio sempre più intenso, che Sora fosse lì con lei. Come quando erano bambini e crollavano esausti dopo una lunga corsa, lo sognava lì sdraiato nel suo letto, al suo fianco, che la abbracciava al suo corpo forte e solido, le passava le dita fra i capelli e le accarezzava il viso con le sue mani rese ormai ruvide dalle tante battaglie, sempre guardandola con quegli occhi azzurri che avevano il potere di farla emozionare più che qualunque altra parte del suo corpo. Certe notti, quando il desiderio verso di lui era ancora più forte e intenso del solito, lui la baciava sulla bocca, e lei rimaneva stretta in quel gesto tenendo gli occhi chiusi, sentendo delle forti sensazioni propagarsi nel corpo; lui le accarezzava dolcemente le spalle e i fianchi facendo scorrere la mano sotto la sua camicia da notte, e lei si sentiva venire la pelle d’oca ogni volta che le sue dita la sfioravano. Non provava vergogna nel sentire quelle emozioni insieme a lui. Quella dolce illusione era tutto ciò a cui poteva ancora attaccarsi, e ogni volta che Sora si trovava insieme a lei, gli si aggrappava stretta, come per pregarlo di rimanere lì, e sperando che quando avesse aperto gli occhi la mattina dopo l’avrebbe trovato ancora al suo fianco. Si addormentava tremante ed accaldata, godendo della sua compagnia. Ma ogni mattina era di nuovo sola, e quando si rendeva conto di aver solo sognato si sentiva ancora più giù rispetto al giorno precedente.

Andò avanti così per settimane, mesi, nemmeno lei sapeva quanto tempo stesse passando. Finché un giorno, passando davanti allo specchio della sua camera, per la prima volta osservò sul serio l’immagine che vi era riflessa, invece di guardarla distrattamente come era solita fare. E rimase sorpresa: vide il riflesso non più di una ragazza come quella che ricordava di essere, ma l’immagine di una giovane che stava fiorendo in una donna. Si era alzata di altri centimetri, il viso le si era assottigliato, i capelli le erano ricresciuti ed ora le arrivavano di nuovo alle spalle, la vita le si era stretta ancora, i fianchi le si erano allargati e anche il seno le era cresciuto. Kairi si sentiva sbalordita: quella non era lei. Non poteva essere lei. Lei non aveva quell’aspetto lì. Come poteva essere cambiata così tanto in pochi mesi? Ma ci mise poco ad arrivare a una spiegazione: era un fenomeno che alla loro età succedeva spesso. Aveva assistito altre volte, negli anni precedenti, a ragazze più grandi di lei che vedeva ancora acerbe, poi le perdeva di vista per pochi mesi, e quando le capitava di rivederle erano diventate donne. Si avvicinò allo specchio, guardando la giovane riflessa e fissandola negli occhi. Quegli occhi sempre blu come il mare più profondo, che un tempo erano stati brillanti e vivi ed ora erano quasi opachi dalla tristezza. Kairi però, spostando lo sguardo da essi e osservando con più attenzione il suo corpo di giovane donna, raggiunse una nuova consapevolezza, che la fece scuotere dal suo torpore. Tornò a guardare i propri occhi, che si erano scrollati di dosso quel velo di apatia e stavano cercando di riempirsi di qualcos’altro.

“Ma non ti vergogni neanche un po’?” parlò molto seriamente. “Tu stai diventando adulta senza neanche accorgertene, e Sora è disperso chissà dove. E cosa fai tu? Osservi il tempo passare, senza cercare di rimediare.”

Socchiuse gli occhi abbassando la testa, e quando li riaprì vide che le sue iridi blu erano ora piene di determinazione.

“Nessuno si ricorda di lui e nessuno lo andrà a cercare. Solo io posso farlo. E lo farò!”

Presa da quella frenesia che l’aveva sempre caratterizzata e che negli ultimi tempi l’aveva abbandonata, si avvicinò alla finestra, la aprì per far cambiare l’aria viziata della stanza, e quando il vento fresco le accarezzò le guance, guardò il cielo azzurro, quello stesso azzurro degli occhi del suo innamorato.

“Vedrai, ti troverò. Ovunque sarai. Ti riporterò a casa con me, e potremo vivere felici insieme, io e te”, promise solennemente.

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Ora vi chiederete: cosa caspita è successo? Beh, avete visto il trailer del DLC che è uscito da poco? Girano diverse teorie in proposito, a me è piaciuta molto quella che dice che Sora ha "riavviato" il tempo per salvare Kairi e di conseguenza nessuno si ricorda più di lui, tranne lei. Effettivamente, perché alla fine sono tutti felici e contenti se lui è morto? Però badate bene che prendo per buona questa teoria più che altro perché è perfetta per la trama che sto scrivendo, visto che mi permetterebbe di tenere Sora fuori dalla storia senza che tutti quanti si stravolgano per cercare di ritrovarlo: la trama della fan fiction non parla della ricerca del modo di salvare Sora, ma di tutt'altro, quindi ho bisogno che ne stia fuori (poverino, gli voglio un bene dell'anima, mi dispiace anche parlare di lui così...). Meglio non cercare comunque di entrare nella testa di Nomura: è impossibile che riusciamo NOI a prevedere quello che farà LUI. Quello è uno che una ne pensa e cento ne fa. Quindi è assai probabile che il DLC, quando uscirà, sbugiarderà questa teoria in pieno.

Un particolare che ho deciso nello sviluppo: KH non ci spiega né ci fa vedere come Kairi e Sora si siano innamorati o quando, quindi ho scelto un po' la via del "colpo di fulmine", per dare un'impostazione speciale alla loro relazione fin da subito. Trovo infatti un po' inverosimile che due bambini, cresciuti come semplici amici e niente di più, poi si innamorino da grandi: se cresci fin da piccolo con un bambino del sesso opposto, finisci per considerarlo come tuo fratello, è difficile che l'amicizia si evolva in amore. Quindi ho scelto questa via, anche basandomi su una doppia pagina inedita del manga, dove fa vedere che è Sora a trovare Kairi per primo.

Al prossimo aggiornamento e grazie!

   
 
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