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Autore: Nat_Matryoshka    16/10/2019    1 recensioni
"La casa era immersa nel silenzio, tranne che per lo sfrigolio impercettibile delle candele che si consumavano.
Rey si strinse nel suo scialle di lana, scossa da un nuovo brivido."
[Reylo AU gotica || scritta per la Reylo Fanfiction Anthology 2019, "Amid Secrets and Monsters"]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Generale Hux, Rey
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
 



Durante i giorni a seguire, Rey non riuscì a smettere di pensare a quell’incontro.

Lo rievocava mentre lucidava l’argenteria del salotto, quando lavava e stendeva il bucato, persino mentre saliva le scale con il vassoio in mano, diretta allo studio di Hux. Pensava e ripensava al ragazzo, ai suoi occhi pieni di dolore ma anche fieri, alle braccia coperte di cicatrici, al grido che aveva lacerato il silenzio della notte. Chi era, e perché si trovava lì? Era stato lui a rompere quel macchinario di vetro, era davvero umano? Domande confuse, che non trovavano risposta, e che non poteva nemmeno lasciarsi sfuggire. Se Miss Netal le sembrava impassibile come al solito e Mitaka lavorava senza rivolgere la parola a nessuno, poteva significare che sapevano tutto ed evitavano di parlarne, oppure che non avevano scoperto nulla. In ogni caso, non si sarebbe mai confidata con loro riguardo quella storia, non era sicuro.

La mattina dopo, al momento di bussare allo studio del suo principale per la colazione, lo aveva trovato in piedi, appoggiato contro una delle grandi finestre che si affacciavano sul giardino. Stava leggendo, e quando si voltò per raggiungere la scrivania Rey non poté fare a meno di notare che zoppicava leggermente. Dovevano aver lottato, lui e quel ragazzo misterioso, doveva essere stato Hux a provocare le ferite che portava sulle braccia. E poi, c’erano quelle carte misteriose sulla scrivania, e lo strano viavai di persone: al Dottor Snoke si era aggiunta una donna altissima e bionda dall’aria algida, che indossava un cappello dalla veletta scura che non toglieva mai, nemmeno dopo aver lasciato il cappotto al piano di sotto… la mente della ragazza iniziò a vagare tra le varie congetture, tanto che non si accorse nemmeno di aver posato il vassoio sulla scrivania e di essere rimasta in piedi, immobile, a fissare il vuoto. Hux la richiamò con un colpetto di tosse e lei si inchinò di corsa per poi fuggire via, rimproverandosi per quell’ennesima distrazione.

Eppure, non riusciva a smettere di pensarci. Quando chiudeva gli occhi vedeva il viso del ragazzo, i capelli che gli ricadevano sul viso come alghe scure. Poteva non sapere nulla di lui, ma una cosa era certa: condividevano la stessa solitudine. E una piccola parte di sé, la più testarda e desiderosa di aiutare chiunque si trovasse davanti, la incalzava a non dimenticarlo.
 

*
 


Pioveva a dirotto: le gocce picchiettavano sui vetri e cadevano verso il basso in rivoli frettolosi, perdendosi oltre la cornice di legno della finestra. Ogni tanto, un lampo illuminava il cielo a giorno, seguito dal brontolio di un tuono in lontananza. Nel silenzio della notte, la pendola al piano di sotto batté la mezzanotte con il suo solito rintocco cupo.

Rey si alzò dal letto, indossò lo scialle di lana, prese con sé un paio di calzini e si chiuse la porta alle spalle senza far rumore. Percorse il pianerottolo lentamente, le orecchie tese per captare il minimo suono, ma tutta la casa sembrava dormire. Quando si trovò davanti allo studio di Hux, trattenne il respiro nel timore di essere udita, e sperò con tutto il cuore che il padrone fosse a letto. Quella sera era rimasto lì dentro più a lungo, tanto che Miss Netal aveva iniziato a sbuffare perché né lui né il Dottor Snoke sembravano avere l’intenzione di scendere per cena come avevano annunciato… ma le cose erano presto tornate alla normalità, e si era ritirato alla solita ora nella propria stanza. Aveva già una scusa pronta nel caso l’avesse trovata al piano di sotto, ma si augurava di non averne bisogno.

Prima di scendere la scala, si accucciò per indossare i calzini: erano spessi e pesanti e l’avrebbero aiutata ad attutire il suono dei passi, soprattutto sugli scalini scricchiolanti che portavano al seminterrato. Brendol Hall era ancora immersa nel silenzio più totale, tranne che per il ticchettio monotono della pendola, e quei suoni sommessi e misteriosi che si sentivano spesso nelle vecchie case. Una volta giunta al piano terra si aggirò nervosamente per l’ingresso, cercando di non soffermare lo sguardo su nessun punto in particolare. Quell’atmosfera opprimente le ricordava la vecchia casa del quartiere abbandonato di Jakku, un rudere che si diceva fosse infestato e che, per quel motivo, stuzzicava la fantasia di tutti i ragazzini dell’orfanotrofio. All’epoca aveva toccato la porta per scommessa ed aveva avuto paura, ma in quel momento non c’era posto per lo spavento: piuttosto, si sentiva risoluta. Il suo istinto aveva ripreso a chiamarla come aveva fatto qualche notte prima, e le diceva che quel ragazzo nel seminterrato non le avrebbe fatto alcun male. Ne aveva avuto l’occasione, ma si era limitato ad allungare le dita, a guardarla. Non c’era cattiveria nei suoi occhi, solo desolazione.

Si strinse nello scialle e scese piano le scale del seminterrato, un passo alla volta. Ancora nessuno in vista. Inspirò profondamente e spinse la porta, attenta a non farla scricchiolare. La accolse la stessa luminosità verdastra e lattiginosa della volta precedente, ma questa volta l’acqua non impregnava più le pietre fredde del pavimento. Una sedia era stata gettata di lato, un mucchio di carte in disordine giacevano ai suoi piedi, come se qualcuno le avesse afferrate e lanciate in giro. Rey le scansò, tentando di non calpestarle: non doveva lasciare tracce. Alzò la bugia per farsi luce attorno mentre raggiungeva il fondo della stanza. Quando la sua luce tremula illuminò la zona in cui si trovava il cilindro di vetro, fu scossa da sussulto tanto forte da farla quasi cadere.

Il ragazzo era lì, seduto a terra, e la guardava.

Questa volta indossava dei vestiti veri e propri, una camicia bianca di tessuto grezzo e un paio di pantaloni scuri, ed era scalzo. Se ne stava lì tranquillo, quasi la stesse aspettando: non aveva battuto ciglio nel sentirla entrare, e non sembrava nemmeno intenzionato a scacciarla. Rey rimase immobile, in attesa di un gesto qualunque che le facesse capire se fosse il caso di fidarsi di lui o meno. La luce della bugia tremava, ingigantiva le loro sagome, trasferendola sul muro.
Sentì che le mancavano le parole. Non sapeva cosa dire, come fare a spezzare l’incantesimo che la bloccava sul posto; riusciva solamente ad osservarlo in silenzio. I capelli non erano più bagnati, gli ricadevano sulla fronte in ciuffi soffici e gonfi. La camicia, leggermente aperta sul collo, mostrava una cicatrice rossastra dai bordi irregolari, simile ai tagli che aveva già visto sulle braccia. Poteva avere al massimo trent’anni, eppure qualcosa nel suo sguardo lo rendeva senza età, come se fosse tremendamente anziano e incredibilmente giovane al tempo stesso.

Stava per aprire bocca, quando lui la precedette.

“Non preoccuparti, lo sento anche io.”
“C-cosa?”

Aveva una voce profonda, leggermente roca, quasi non fosse abituato ad usarla. Le faceva pensare ad uno strumento musicale lasciato per anni in un vecchio armadio. Si accorse di aver balbettato nel rispondergli, ma lui non sembrava averci fatto caso.

“Quello che provi. Ti senti sola, e sei scesa qui a cercarmi perché pensi che lo sia anche io. Sei stata abbandonata, pensi ancora a chi ti ha lasciata indietro. Posso capirti.”
 “Come fai a saperlo?” Come faceva una persona che non aveva mai visto prima a leggere nel suo cuore meglio di Finn, meglio persino del Generale Kenobi? “Non ci siamo mai visti prima dell’altra notte. Come puoi conoscere la mia storia?”

Lui non rispose, si limitò a guardarla negli occhi. Senza rendersene conto Rey si era avvicinata sempre di più, fino a trovarsi a poca distanza dal ragazzo, fino a percepire il suo respiro sulla pelle, l’unica fonte di calore nella stanza gelata. Allungò una mano verso di lei, quasi sfiorandole la fronte: aveva dita lunghe, pallide e sottili.

Contro ogni logica, sentì di dover restare lì.

Chiuse gli occhi. Cosa altro avrebbe potuto fare? Lasciò che la toccasse, con una delicatezza che non si sarebbe mai aspettata da una creatura come lui. I polpastrelli del giovane erano gentili, le sondavano la pelle, la rendevano un libro aperto su cui era scritta la sua storia.

“La notte sogni, quando ti svegli vorresti che diventassero reali. Jakku non ti appartiene, e cos’è Tatooine? Sei come me, ma non sei un mostro…”
Si fermò per un attimo e forse stava per aggiungere altro, quando un rumore dal piano di sopra li fece trasalire entrambi, spezzando quell’atmosfera sospesa. Rey spalancò gli occhi e si alzò in piedi di scatto, afferrando di nuovo la bugia. Niente passi lungo le scale né porte che sbattevano, ma chiunque si fosse alzato avrebbe potuto decidere di raggiungere il seminterrato in un batter d’occhio. Gettò un’ultima occhiata al ragazzo mentre si allontanava velocemente, diretta verso la sicurezza della propria camera, e con sua grande sorpresa lui ricambiò il suo sguardo e annuì.

Tornerai, sembrava volerle dire, e Rey capì che aveva ragione.
 
 

*
 


Notte dopo notte, si era abituata alla freddezza del pavimento e al buio che avvolgeva la casa. Scendere dal letto, indossare lo scialle e raggiungere il ragazzo al piano di sotto erano diventate azioni istintive, che quasi non si accorgeva di compiere.

Era tornata da lui anche quella notte. Ma, al contrario delle precedenti, gli si era seduta accanto, dopo aver posato la bugia su uno dei tavoli da lavoro. Lui non aveva protestato.

“Hai ancora paura.”
“Non ho paura!” Il suo tono indignato lo fece sorridere. Non era facile abituarsi al suo modo di parlare, né alla sua espressione: sembrava conoscerla meglio di quanto lei conoscesse se stessa.
“Allora perché tieni le braccia strette intorno al corpo in quel modo, se non per proteggerti?”

Non poteva dirgli che era abituata a farlo fin da bambina, perché il mondo non era mai stato clemente con lei… probabilmente lo sapeva già. Era strano, quel ragazzo: non era ancora riuscita a togliersi di dosso l’idea che il suo sangue fosse vecchio di secoli. Da dove veniva?

“E tu, allora? Perché nascondi il viso con i capelli?”
Si voltò verso di lei e sorrise. Era incredibile come riuscisse a sostituire l’espressione corrucciata con una più distesa, quasi gentile, in un battito di ciglia. Sembrava un’altra persona, quando sorrideva.
“Sono un mostro, ricordi? Devo vivere nascosto. C’è un motivo, se non vivo alla luce del sole come te.”

Rey strinse le labbra: non era ancora riuscita ad ottenere una risposta che non fosse enigmatica. Cadde il silenzio, riempito solo da un gocciolio sommesso. I muri stillavano umidità, un’umidità che si attaccava alle ossa. La notte era serena, piena di stelle.

“Io sono Rey” sussurrò la ragazza all’improvviso, rompendo quella quiete. Non sapeva perché desiderasse presentarsi proprio in quel momento, ma le sembrava quello più adatto. “Rey e basta. Non sono nessuno” aggiunse poco dopo, quasi volesse scusarsi di non avere un cognome che indicasse una qualunque parentela. Lui scosse la testa, spostando di lato i ricci morbidi. Avrebbe voluto toccarli, ma non era certa che ne sarebbe stato felice.

“Se sei qui, significa che hai fatto una scelta. Potrai essere nessuno per gli altri, ma non per me.”

Era la cosa più vicina ad un complimento che le avesse rivolto durante i loro incontri e Rey strinse i lembi dello scialle tra le mani fredde. Le guance le bruciavano per l’imbarazzo. Percepiva il corpo del ragazzo rilassarsi accanto a lei, e un pensiero fulmineo le attraversò la mente: tra loro si stava stabilendo una connessione. Forse era nata da poco e quegli incontri non avevano fatto altro che rafforzarla, oppure esisteva da sempre, impossibile da spiegare. Altrimenti, perché la prima volta sarebbe scesa a cercarlo senza timore, guidata da un istinto più forte di lei che la rassicurava di star facendo la cosa giusta?

“Io sono Ben” aggiunse un attimo dopo, e le tese una mano. Rey appoggiò le dita contro le sue e si stupì di sentirle così calde e morbide, come se l’umidità della stanza non avesse effetto su di lui.

Aveva imparato a percepire le sue emozioni sfiorandogli la pelle, con gli occhi chiusi, timorosa che un respiro più forte degli altri li facesse scoprire: in quei momenti, era come se il mondo intero scomparisse, lasciandoli soli. Intorno a lui percepiva un’aura di tristezza che le ricordava tremendamente la se stessa di qualche anno prima, quando ancora credeva che la sua vita sarebbe iniziata e finita a Jakku, prima che il Generale Kenobi le insegnasse cosa fosse la speranza… ma c’era anche rabbia, un sentimento che tentava di imporsi sugli altri con violenza, e una fragilità seppellita nel profondo del suo cuore, nascosta perché non gliela portassero via.
Quando si separavano, un po’ del suo calore restava con lei.
 
 

*
 

“Oggi non preparate per me, Miss Netal: resterò fuori casa fino a sera, il Conte Dooku mi aspetta. Ci vediamo al mio ritorno.”

Stava spazzando le scale, quando intravide Hux indossare il cappotto e gettarsi nell’aria fredda di metà novembre. Non era la prima volta che il padrone usciva in mattinata per recarsi chissà dove, ma generalmente tornava in tempo per pranzare e attendere le sue solite visite pomeridiane. Il Conte Dooku non si era mai unito a quel viavai di strani individui, ma Rey aveva già sentito parlare di lui: faceva parte della piccola nobiltà di Serenno, una città sulla costa, e il suo nome saltava spesso all’occhio negli articoli di giornale dedicati agli eventi di gala. Si diceva fosse un uomo ricco e influente, appassionato di scienza. Proprio il genere di persona attorno a cui sembravano gravitare i colleghi di Armitage Hux.

Quella mattina il vento fischiava con forza, si infilava negli spifferi ululando e facendo sbattere le persiane. Mitaka era andato a raccogliere le foglie secche che ingombravano il viale d’ingresso e si era portato dietro il cappello, borbottando tra i denti quanto fosse insopportabile l’autunno a Coruscant. Il tempo perfetto per restarsene seduti nella propria stanza, a leggere qualcosa mentre la temperatura si abbassava sempre di più. Se solo…

Rey alzò la testa, rendendosi immediatamente conto dell’occasione che le si presentava. Un attimo dopo era già al piano di sopra, armata di stracci per pulire e intenzionata ad approfittare del tempo concessole dalla sorte: aveva un’intera giornata per cercare di scoprire cosa stesse macchinando Hux senza farsi scoprire. Con l’autista impegnato all’esterno e Bazine che sicuramente si godeva la mattinata libera, avrebbe potuto dare un’occhiata alle carte nello studio senza destare sospetti. Sempre che il padrone non avesse portato via le più importanti con sé, rifletté.

L’interno dello studio era ordinato come sempre, forse anche più dell’ultima volta in cui l’aveva pulito. Rey entrò, attenta a non urtare nulla, e si diresse immediatamente verso il grande cassettone sormontato dai contenitori di vetro, che aveva l’aria di ospitare molte carte. La ricerca nei primi cassetti, però, si rivelò infruttuosa: contenevano solo scatole piene di strani oggetti, biglietti e ritagli di giornale. Una fotografia ritraeva il militare dall’aria austera il cui ritratto dominava il corridoio, accanto ad una donna benvestita e con un elegante cappello sulla testa; dovevano essere i genitori di Hux, pensò la ragazza, riponendola dove si trovava. In un altro cassetto c’erano solo guanti di pelle e di lana, e un camice da lavoro pieno di macchie. Lo richiuse e si fermò a riflettere un attimo, lasciando vagare lo sguardo sui barattoli di vetro che tanto spesso aveva spolverato. Nel primo della fila facevano bella mostra di sé quelle che avevano tutta l’aria di essere mani umane, piccole ma ben formate, di uno spaventoso colore cereo. I primi tempi in cui lavorava lì si era rimproverata per quei voli di fantasia tanto macabri, ma ora che conosceva Ben nulla le sembrava più troppo irreale per essere vero.  Distolse a fatica lo sguardo e si diresse verso la libreria nel lato più lontano della stanza: lì, probabilmente, avrebbe avuto più fortuna.

C’erano libri di medicina, grandi volumi che sembravano scritti a mano e trattati sul corpo umano. Da dove avrebbe dovuto cominciare a cercare? In realtà, non aveva idea nemmeno di quale fosse il suo obiettivo. La scrivania di Hux era stata sgombrata e molte delle strane carte che aveva osservato tempo prima non c’erano più, ma non avrebbe saputo dire se l’uomo le avesse fatte sparire o portate via. Provò a dare un’occhiata ai ripiani, frugando piano per cercare eventuali annotazioni infilate tra i libri o appunti che potessero esserle sfuggiti, ma non trovò nulla, a parte la polvere. Sospirò, scoraggiata: come aveva anche solo potuto pensare che il padrone fosse così ingenuo da lasciare sempre in bella vista i suoi segreti più compromettenti?

Proprio mentre stava per abbandonare la stanza, rassegnata, urtò con il gomito un volume e dal ripiano cadde un taccuino. La copertina di cuoio era tutta consumata sui bordi, ed era talmente pieno di appunti infilati tra una pagina e l’altra che alcuni caddero spargendosi sul pavimento. Rey si inginocchiò a terra e lo aprì delicatamente su una delle pagine centrali, attenta a non piegarle. Per fortuna indossava sempre i guanti per fare le pulizie.
 
L’esperimento procede. Il soggetto sembra accettare gli innesti senza rigettarli, sicuramente più di quello precedente. Se tutto va bene, tra qualche settimana sarà in grado di passare alla seconda fase del progetto, quella del condizionamento mentale. Snoke è convinto che questa seconda generazione di cavie sia più forte della prima… e me lo auguro, i nostri finanziamenti non dureranno in eterno.
Ho parlato con Dooku. Ci garantisce il suo appoggio, ma chiede in cambio risultati concreti.

Alcune pagine erano state cancellate con dei tratti di inchiostro netti, quasi rabbiosi. Rey riuscì a leggere un ESPERIMENTO FALLITO ripetuto più volte, seguito da una serie di schizzi confusi di croci e simboli arrotondati di cui non capiva il significato. Didascalie come “fondi tagliati”, “tutto inutile” e frecce riempivano altre pagine, fino al punto in cui Hux doveva averne strappato un gruppo, a giudicare dallo stato della costina. La scrittura regolare riprendeva poco dopo, le macchie d’inchiostro sembravano sparite.

Snoke ha portato un nuovo soggetto, molto promettente. Ci sta lavorando da anni e ha deciso che continueremo insieme gli studi su di lui, perché diventi il simbolo del nostro successo. È forte e non sembra volersi piegare con tanta facilità, ma Dooku l’ha visto e ci ha assicurato nuovamente il suo appoggio. Ha bisogno di macchine da guerra obbedienti e abbiamo tutta l’intenzione di fornirgliele. Non falliremo di nuovo!
Il progetto Cavalieri di Ren ha ufficialmente inizio.
Primo innesto eseguito con successo. Il soggetto sembra dimenticare i dettagli della sua vita passata.

Un altro spazio vuoto. Da quanto tempo Ben era nelle loro mani? Rey cercò di riflettere, premendosi un dito sulla fronte sudata. Non c’erano date, era inutile sfogliare freneticamente le pagine per cercarne una…
Nella pagina successiva la scrittura ricominciava a farsi confusa, come se l’autore del diario stesse cercando di appuntare il maggior numero possibile di informazioni a velocità vertiginosa.

NO! Non è possibile, non può andare di nuovo male! Eravamo così vicini, così vicini… Gli innesti funzionano, ma qualcosa nel condizionamento mentale non è andato a buon fine. Kylo Ren sembra ricordare quello che aveva dimenticato e si è ribellato ancora, come ha già fatto. Dooku si è dimostrato paziente per troppo tempo, presto inizierà a pretendere dei risultati concreti. Snoke non è altro che un incapace… a cosa è servito il suo “lavoro sul soggetto”, se non risponde nemmeno agli ordini più semplici?
Non possiamo fallire ancora. Non dopo tutta la strada che abbiamo fatto. Non ora!

Gli strani segni visti in precedenza si allargavano per tutta la pagina. Rey raccolse uno dei foglietti caduti e, con il cuore in gola, si accorse che si trattava di una lista di nomi accompagnati da due date, separate da massimo vent’anni. Alcuni erano seguiti da una piccola croce. Il cuore prese a batterle con foga contro la cassa toracica, mentre il palmo delle mani si copriva di sudore. Continuò a leggere, e la riga successiva sul diario di Hux le causò un altro capogiro, tanto forte che dovette appoggiare una mano contro la libreria per sostenersi.  

Devo tenere d’occhio la domestica. Potrebbe aver scoperto qualcosa che non dovrebbe sapere.

 
   
 
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