Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: T612    18/10/2019    1 recensioni
James vorrebbe solo che Parigi assumesse le sembianze di un punto fermo, un luogo dove gli incubi possono venire dimenticati, lasciando spazio al sole caldo ed ai violini che suonano ad ogni ora del giorno… ma sa che non è possibile, perché i demoni non riposano mai e si annidano nell’ombra, soprattutto se hai insegnato loro come nascondersi.
Natasha vorrebbe solo riuscire a chiamare Parigi “casa”, dimenticando i mostri sepolti sotto la distesa bianca di Mosca per il bene di entrambi, ma ancora esita a voltare completamente pagina e non sa spiegarsi di preciso perchè… forse perchè dai propri demoni non si può scappare troppo a lungo, specialmente se sono l’incarnazione dei misfatti compiuti in Siberia.
Entrambi non possono far altro che procedere per tentativi sperando per il meglio, ma presto o tardi l’inverno arriva anche a Parigi… e la neve è destinata a posarsi inesorabile sui capi di innocenti e vittime, senza discriminazioni e soprattutto senza fare sconti a nessuno.
[WinterWidow! // What if? // >> Yelena Belova]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

SECONDA PARTE - CAPITOLO XI



 

25 settembre 2018, Metropolitana, Parigi

 

Natasha lo odia, detesta Barnes con tutta se stessa, non le importa se l’ha appena raccattata dallo spiazzo polveroso fuori dal Louvre e le ha promesso dei punti di sutura, una volta appurata la presenza di uno sfregio sanguinante che le attraversa la gamba… lo odia, perché una gentilezza disinteressata non è da lui e le sembra quasi un atto di carità, come se fossero ancora nella Stanza Rossa, quando lui non doveva fingere di doverle qualcosa e si divertiva a scaraventarla sul pavimento del ring nove volte su dieci. 

Lo detesta… e si odia, per non aver fermato la bambina in tempo, per non aver intuito che nascondeva un'arma nello scarponcino, per essersi bloccata e non aver contrattaccato. Forse, semplicemente, lei si odia troppo già da sola per i motivi più disparati e Barnes rappresenta un'ottima valvola di sfogo, forse dovrebbe ringraziarlo per non averla lasciata morire dissanguata all’ombra polverosa della piramide di vetro, ma scarta velocemente l’idea scrollando la testa imponendosi di non essere sciocca… Bucky non è mai gentile con nessuno, figurarsi con lei, e Natasha preferisce pensare al gesto come un atto di pietà solo per il fatto che quel genere di azione sa come gestirla, mentre una gentilezza disinteressata… non proprio.

-Formicola?

-Cosa? -si riscuote staccando la fronte dal vetro fresco sollevando lo sguardo sull’uomo, che ondeggia appeso alla maniglia agganciata al soffitto della carrozza, sporgendosi nella sua direzione con sguardo vagamente apprensivo.

-La gamba… ha iniziato a formicolare? -ripete con tono che si sforza di essere seccato, indicandole la fasciatura di fortuna costituita da un lembo della sua ex camicia di cotone, ormai ridotta ad uno straccio zuppo di sangue annodato intorno alla sua coscia.

-Intorpidita, ma non formicola ancora. -replica con sufficienza, distogliendo lo sguardo schiacciando nuovamente la fronte contro il finestrino alla ricerca di un po’ di sollievo dal suo stato febbricitante, registrando appena il paesaggio che le scorre davanti a tutta velocità. -Tra quanto scendiamo? 

-Un paio di fermate.

-Okay.

Erano settimane che Natasha teneva sotto controllo le segnalazioni al Mercato Nero, aveva scoperto che i presunti capi si divertivano a seminare indizi per arrivare alla vittima prima che si trasformasse in un cadavere e la donna era riuscita nell’ardua impresa di decifrare il codice, poi era stato relativamente semplice notare che il sistema online del Musée d’Orsay aveva riscontrato un piccolo problema con il conteggio delle prenotazioni per le visite guidate, come era stato lampante che in mezzo al branco di bambini di terza elementare ci fosse per forza di cose un’intrusa. Natasha si era improvvisata una guida museale, ma aveva dovuto raggiungere la sezione dedicata a Courbet prima che la bambina si decidesse ad attuare la sua mossa, lanciandosi a passo di carica verso il povero malcapitato anonimo che fino a due secondi prima stava ammirando indisturbato il monumentale dipinto Realista1… Natasha l’aveva intercettata prima che potesse sferrare il fendente mortale alla vittima scelta, rincorrendola fuori dall’ingresso e lungo il marciapiede che portava al Louvre, perdendola in mezzo alla calca di turisti che assediavano la piramide di vetro, non prima di una breve colluttazione che aveva avuto come risultato quello di ritrovarsi con il sedere a terra ed uno sfregio che le dilaniava la coscia. A distanza di qualche minuto le spalle larghe di Barnes le avevano oscurato il sole, sollevando d’istinto lo sguardo su di lui mentre si abbassava tempestivo alla sua stessa altezza, strappando ed annodando uno scampolo della sua camicia intorno alla ferita prima che lei potesse obiettare con un contrordine qualsiasi. 

Natasha si era tristemente resa conto che le sue alternative si riducevano drasticamente a zero, riflettendo sul come fosse escluso convocare una squadra tattica per una semplice ferita, soprattutto quando non aveva ne un cadavere da insabbiare, ne un ostaggio da incolpare… ritrovandosi ad annuire debolmente quando Barnes le aveva allungato la mano in pelle sintetica2 per rimetterla in piedi spintonandola fino all’accesso del metró, promettendole ago e filo sterili, un tetto sicuro sopra la testa giusto per quel paio d’ore necessarie a riorganizzarsi e qualcosa da mettere sotto i denti per cena.

Era stato un sollievo –favorendo il proprio mal di testa pulsante ed in costante aumento– quando, dopo il paio di fermate promesse, Barnes le aveva fatto cenno di scendere ordinandole di seguirlo tra le stradine acciottolate di Montmartre, puntando in automatico alla funicolare per raggiungere la sommità della collina, voltandosi confuso quando la donna aveva declinato la proposta deviando verso la ripida scalinata che saliva lì affianco.

-Con tutti questi turisti in fila faccio in tempo a morire dissanguata. -spiega iniziando a salire gli scalini con la gamba formicolante venendo presto affiancata da Barnes, impedendosi di farsi distrarre dalla sua presenza troppo vicina e blandamente irritante, concentrandosi unicamente nel mettere un piede davanti all’altro e nel non cadere di faccia contro la ripida scalinata.

-Sei sicura di farcela?

-Certo che ce la faccio, sono solo… -la frase le muore in gola quando la gamba non risponde all'impulso dettato dal suo cervello facendola precipitare incontro alla pietra, ritrovandosi con il braccio di Bucky intorno alla vita prima che possa rendersene conto, salvandola dallo schianto e ritraendosi al contatto subito dopo come se si fosse ustionato. -...gradini.

-Si certo, come no. -afferma sarcastico, studiandola con sguardo indecifrabile quando lei gli fa la linguaccia e riprende la scalata come se nulla fosse, barcollando visivamente ma decisa a non dargli ragione chiedendogli aiuto.

-Testarda che non sei altro... -sbuffa brontolando sommessamente in risposta alla provocazione agendo d’istinto, recuperando il distacco afferrandola per le spalle con un braccio e passandole quello di metallo sotto le ginocchia, alzandola da terra come se non pesasse niente… forse per lui effettivamente lei non pesava niente.

-Rimettimi giù. Subito.

-No.

La risposta secca la fa ammutolire all’istante non capendo perché abbia improvvisamente perso tutta la sua voglia di ribattere, rassegnandosi ad agganciargli una mano sul retro della nuca, ma ostinandosi a fissarlo in cagnesco per tutta la lunghezza del tragitto, fino a quando non la rimette a terra una volta raggiunta la porta di un caseggiato che si affaccia direttamente su Place du Tertre… e la facciata del palazzo ha qualcosa di terribilmente familiare, ma nonostante tutto il suo cervello non riesce ad analizzare quale sia il dettaglio che le provoca quel forte senso di dejavu destabilizzante.

-Cos’è questo posto? -si rassegna a chiedere titubante, mentre l’occhio le cade inevitabilmente sulla chiave ancora infilata nella toppa, riconoscendola come la copia speculare di quella appesa al proprio mazzo di chiavi.

-Tecnicamente uno dei tanti appartamenti di Nick Fury, praticamente casa mia in caso di emergenza… la copia delle chiavi ce l’abbiamo solamente noi due, Maria e Steve. -spiega l’uomo spiccio scostando l’uscio con una spallata permettendole l’accesso, intascando il gruzzolo di chiavi mentre lei lo supera soppesando l’informazione confermandola come vera… era un dettaglio così infinitesimale che il suo cervello aveva evidentemente deciso di rimuoverlo, inghiottito dal buco nero costituito dalla sua memoria lacunosa, che tuttavia negli ultimi tempi si stava gradualmente riducendo giorno dopo giorno. 

-Ci sono delle medicine nel cassetto del bancone… io vado a lavarmi le mani, prendo il disinfettante e la cassetta del pronto soccorso… tu trascinati pure in cucina quando hai preso quello che ti serve. -afferma Barnes abbandonandola nel corridoio d'entrata con finta noncuranza, scomparendo attraverso la porta che conduceva al bagno dopo averle indicato distrattamente il mobile da cui reperire i farmaci e la porta che portava alla cucina.

-I farmaci normali non mi fanno effetto. -afferma ad alta voce Natasha per farsi sentire oltre le pareti, dubitando che Barnes sia a conoscenza di tutto ciò che c’è scritto nella sua cartella clinica nonostante i tre mesi di addestramento trascorsi a Mosca ormai diversi anni fa3, zoppicando comunque verso il bancone aprendo a caso il cassetto a sinistra.

-Nemmeno a me fanno effetto, là dentro ci sono solo pillole prese al mercato nero o roba fabbricata dallo SHIELD… se vanno bene per me, vanno sicuramente bene anche per te… 

La voce dell’uomo giunge attutita dalla parete, mentre Natasha comunica sovrappensiero una risposta in assenso, ignorando bellamente la continuazione della frase quando al posto dei medicinali le capita tra le mani una scatolina di velluto, aprendola curiosa ritrovandosi di fronte ad un bellissimo solitario scintillante… chiudendola di scatto una volta realizzato che quella può tranquillamente considerarsi violazione della privacy –non che sia una novità per lei, ma questa volta avverte un sentimento simile alla colpa agitarsi alla base del suo stomaco–, serrando il cassetto quasi con foga come se si fosse appena ustionata le dita con un qualcosa che non avrebbe dovuto assolutamente toccare, mentre una fitta particolarmente dolorosa alla tempia le spacca in due la testa.

Per una frazione di secondo si chiede chi sia la fortunata ad indossare un anello meraviglioso come quello, per poi scacciare il pensiero frivolo ragionando sul fatto che la vita privata di Barnes non è assolutamente affar suo, aprendo il cassetto di destra prelevando i farmaci necessari a placare il suo dannatissimo mal di testa, lasciandosi alle spalle la scoperta chiudendola a chiave anche nei recessi della propria mente, assumendo una compressa a secco mentre si trascina barcollante fino al tavolo della cucina.

-Hai trovato quello che ti serve? -chiede Barnes varcando la soglia dopo di lei, depositando la cassetta del pronto soccorso sul ripiano, aprendola ed iniziando a rovistare al suo interno.

-Mh-m. -mormora sollevando la gamba puntando il tallone sul tavolo. 

Natasha sibila sofferente quando Barnes taglia via i lembi di tessuto dei suoi pantaloni, sospira sollevata quando il metallo freddo delle dita entra in contatto con la pelle lacera anestetizzandola ed impreca tra i denti quando l’uomo inizia a disinfettarle la ferita bruciandole la carne.

-Sta ferma e non lamentarti, ti è andata bene che è superficiale e non servono i punti. -replica scorbutico quando Natasha non riesce a controllare l’ennesimo spasmo e sobbalza impercettibilmente una terza volta.

-Fa comunque male. -brontola in risposta mentre James si limita a squadrarla con sguardo indecifrabile, facendole cenno di tenersi premuta la garza sterile contro il taglio mentre lui reperisce le bende per fasciarle la coscia. 

-Fa male perché ti ho praticamente raccolta dalla polvere, la ferita aveva già iniziato ad infettarsi.

-Questo lo so, avrei fatto anche da sola se non ti fossi messo in mezzo. -risponde a tono sollevando gli occhi al cielo, facendolo voltare nella propria direzione di riflesso.

-Non mi sono messo in mezzo, sei tu che mi sei finita tra i piedi. -replica Barnes seccato bloccandole la fasciatura, inchiodando lo sguardo ghiacciato nel suo. -E potevi anche rifiutarti, non ti ho mica trascinato di peso fino a qui, ci sei arrivata letteralmente sulle tue gambe.

-Non che avessi molta altra scelta, me l’hai praticamente ordinato… nonostante sia stata una proposta ragionevole. -concede assottigliando lo sguardo sfidandolo, mentre le viscere le si ribaltano in attesa di una risposta tagliente, in un vuoto elettrostatico che si protrae fino alla sua contestazione successiva. -Che ci fai qui a Parigi, Barnes?

-Affari… tu invece che ci fai qui, Romanoff?

-Affari. -sorride sarcastica ottenendo un accenno di un ghigno ironico in risposta, mentre un brivido le percorre la schiena nel sapere di star giocando con il fuoco, che a vederlo arrabbiato non ci guadagna nulla.

-Per curiosità, non avevi calcolato me o la coltellata? -ribatte James a tono senza demordere o scalfire la sua maschera imperturbabile, mentre un “stronzo” le muore sulle labbra boccheggiando a vuoto, ripiegando alla presa in giro in merito ai propri errori di valutazione con il più candido dei sorrisi, ricambiando sfiorando volutamente a sua volta una nota dolente dell’uomo.

-Ammetterlo non cambia nulla, quindi… dimmi, come ci si sente ad essere arrivato per secondo anche stavolta?

-Perché me lo chiedi? Stai tenendo il conto? 

Natasha si blocca interdetta, presa in contropiede dalla domanda pronta a bruciapelo appena formulata, boccheggiando non sapendo come ribattere nell’immediato.

-In effetti sei a tre non è un punteggio niente male. -afferma l’uomo sorridendole appena nell’essere riuscito a ridurla al silenzio, alzandosi da tavola raccattando il contenuto della cassetta del pronto soccorso con fare noncurante.

-Non pensavo tenessi davvero il conto di quante volte ti ho messo i bastoni tra le ruote. -mormora Natasha grata di non dover momentaneamente rispondere a nessuna domanda, sforzandosi di riempire quel vuoto accaparrandosi l’ultima parola nella discussione, realizzando con un secondo di scarto di avergli appena fornito una risposta implicita su un piatto d’argento.

-A quanto pare non sono l’unico… sei stata brava. -afferma lasciando trasparire il complimento come una nozione di poco conto, afferrando il disinfettante e quant’altro per riportarli al loro posto. -Torno subito.

Natasha si copre il volto con le mani liberando un grido muto appena Barnes scompare oltre la soglia, dandosi della cretina per essere appena passata per quella che ha costantemente bisogno di un assist in uno scontro, ma reprimendo un sorriso microscopico nell’essere riuscita a strappargli dai denti quello che alle sue orecchie era suonato come un complimento bello e buono… si impone di piantarla di gongolare ordinandosi di ricomporsi, biasimando i farmaci assunti ed il quarto di litro di sangue perso per averle sciolto incautamente la lingua, gettandola in un limbo ovattato da cui non era del tutto sicura di voler fuggire, conficcandosi le unghie nei palmi per rinsavire.

Stupida, stupida, stupida.

-Ehi, tutto bene? -la richiama Barnes affacciandosi alla soglia e puntellandosi allo stipite, mentre Natasha solleva lo sguardo su di lui d’istinto registrando in sordina il fatto che si è appena cambiato la maglietta, notando che tiene tra le mani il cellulare e i brandelli della sua ex camicia, mentre sta terminando di distruggerla sfilacciandola con le dita in un tic nervoso malcelato. -Il mal di testa come va?

-Gestibile, sono stata peggio. -replica spiccia puntando lo sguardo sul frigorifero in metallo, concentrandosi sulle calamite appese nel tentativo di mettere in fila i propri pensieri ricomponendo la sua solita facciata imperturbabile, corrucciando appena le sopracciglia quando un flash confuso le illumina a giorno il cervello, intravedendo l’ombra inesistente di una fotografia appesa al freezer, scuotendo il capo scacciando l’istantanea mentale insieme alla stilettata di emicrania improvvisa. -Ho delle fitte che vanno e vengono, nulla di preoccupante… Stark dice che è normale.

Natasha annuisce di riflesso alla propria affermazione più per convincere se stessa che Barnes, abbassando lo sguardo e picchiettando con le dita contro la superficie del tavolo, spaesata perché per una volta non sa davvero come comportarsi in una situazione del genere – o meglio, è stata addestrata anche per situazioni di quel genere, ma in fondo lei non ha nessuno scopo nei suoi confronti, se non comprenderlo per una buona volta, e James non può decisamente considerarsi una potenziale vittima da far cadere nella propria ragnatela… l’ha addestrata, conosce tutti i suoi trucchi, i suoi punti deboli e se ne renderebbe conto prima di subito. Forse la cosa che la disorienta davvero è che Barnes è stato semplicemente gentile, e la cosa paradossalmente la spaventa a morte.

-Perché mi hai aiutata? -chiede a bruciapelo nel tentativo di coglierlo in fallo, rinunciando a priori quando lui solleva lo sguardo color ghiaccio su di lei con l’espressione di chi si aspettava quella domanda da un momento all’altro.

-Perché non avrei dovuto? -replica sorridendo dandole i nervi, sopprimendo l’impulso di picchiarlo seduta stante per placare l’irritazione.

-Perché devi sempre essere così criptico? -sbuffa fulminandolo con lo sguardo, studiando i suoi movimenti quando lo vede avvicinarsi al cestino per gettare via i resti della sua camicia. -Dimmi come stanno le cose una volta per tutte e facciamola finita… perché mi hai aiutata, Barnes?

-Perché io… -si interrompe a corto di parole e Natasha si sorprende, perché forse quella è davvero la prima volta in cui lo vede insicuro, mentre tentenna un paio di secondi con una verità scomoda impigliata tra le corde vocali e la lingua. 

-Fa parte dei tuoi famosi errori e delle tue responsabilità mancate? -lo interrompe la donna sforzandosi di collegare gli indizi raccolti nell’ultimo mese, irritandosi nel non riuscire a comprendere cosa sta succedendo.

-Anche. -Barnes sembra quasi grato del fatto che lei l’abbia interrotto, dandole allo stesso tempo l’impressione che lui sappia esattamente cosa leggere tra le righe dell’incertezza che le scurisce lo sguardo, perché tra tutti non ha senso che sia proprio lei una delle sue responsabilità mancate, propinandole una spiegazione così su due piedi. -Se ti succede qualcosa credo ci sia una fila di persone molto, molto incazzate che vorrebbero la mia testa… inizia pure da Barton, mio fratello e Stark a seguire, ed avanti così fino a quando non ti viene più in mente nessuno… puoi considerare il salvataggio una cortesia professionale se la cosa può farti sentire meglio.

-Vada per la cortesia professionale. -ammette Natasha perché in effetti come ragionamento ha senso, ma dubita a pelle che quella sia davvero la verità, nonostante non sappia affermare con certezza quale possa essere l’alternativa.

-Bene. -esala l’uomo, con lo sguardo di chi sa che lei ha recepito la bugia e si sente vagamente in colpa per averla proferita. 

-Bene. -lo rassicura lei, perché sotto sotto non è sicura di voler indagare oltre come pensava, mentre il suo stomaco brontola e le ricorda di voler essere nutrito… pensando che di solito il cibo italiano riesce a metterla di buon umore. -Ho fame, e tu mi hai promesso una cena.

-Le pizze arrivano tra un quarto d’ora, ho già chiamato… prima. -sorride imbarazzato, svicolando con lo sguardo iniziando ad apparecchiare la tavola per avere qualcosa con cui tenere impegnate le mani, probabilmente per impedirsi di torturarsi le dita per il nervosismo. -Ti va bene?

-Va benissimo… -afferma scrollando le spalle, eclissando la sensazione che Barnes sappia leggerle davvero nel pensiero, convincendosi che è alquanto improbabile che lui la conosca meglio di quanto voglia farle credere. -Comunque grazie… per la medicazione e tutto il resto.

-Figurati, non c’è di che… dubito succeda di nuovo, tanto la prossima volta arrivo prima io.

-Speraci. -ridacchia Natasha di fronte al suo finto broncio, scucendogli un sorriso mozzafiato… non che quest’ultimo sciocco pensiero lo ammetterà mai ad alta voce.

-Dicono che la speranza è l’ultima a morire… staremo a vedere, no? -non sa perché, ma Natasha percepisce la domanda con un sottotono di sfida che ha molto di personale.

-Sí, staremo proprio a vedere. 

Mentre lo dice, le sembra quasi di suggellare una promessa, ma non sa spiegarsi di preciso il perché… tanto ormai ha smesso da tempo di cercare delle risposte a tutte le sue domande.

 

***

 

26 settembre 2018, Dark Room - Base operativa, Mosca

 

-Anya l’ha ferita. -annuncia Yelena con tono duro senza staccare gli occhi dai cerotti con cui sta coprendo le sbucciature della piccola, ignorando volutamente Madama B che la supera e la fronteggia richiedendo una tacita attenzione.

-Chi? Numero 3? - domanda retorica con una smorfia sul volto che denota una insofferenza latente nel continuare ad essere ignorata dalla ragazza, interpretandola come una mancanza di rispetto nei propri confronti.

-Anya l’ha ferita. -ripete sottolineando il nome della bambina, rendendo implicita la sua ribellione contro il completo annientamento che Madame B desiderava seminare tra le cadette.

-C’è ancora tempo, Yelena. -rimarca lapidaria, scacciando la ragazzina con un gesto secco della mano, in un suggerimento velato che le consigliava di non assistere alla sfuriata.

-Non è vero, è solo questione di tempo… -la rimbecca la ragazza caparbia, fronteggiando l'insegnante ben piazzata sul posto a gambe larghe, granitica ed intestardita a voler avere voce in capitolo. -Lasciami eliminarla dai giochi.

-Avrai il tuo momento, ma non è oggi.

Yelena ingoia la risposta velenosa che le sfiora provocante le labbra, annuendo sorridente, andandosene in silenzio dopo essere stata liquidata così in malo modo… nascondendosi alle telecamere di sicurezza, forzando la serratura dell’ufficio di Madame B appropriandosi dell’unico telefono presente in tutta la Base, componendo il numero d’emergenza che l’Alleato le aveva consegnato al loro primo incontro, nel caso si presentasse una situazione analoga a quella appena verificatosi.

-Sta posticipando. Ancora.

Non serve che specifichi i soggetti, all’Alleato non servivano più dato che Yelena ricopriva il ruolo di doppiogiochista ormai da diversi mesi… non c’era mai stato un secondo incontro a porte chiuse tra l’uomo e Madame B, quest’ultima era troppo orgogliosa per assecondare un piano vantaggioso per entrambi ma non redatto da lei, mentre l’Alleato aveva rinunciato in partenza nel tentare di corrompere un elemento cardine della Vecchia Guardia, puntando gli occhi su carne più fresca e più ambiziosa, promettendo a Yelena un posto d’onore per ammirare il mondo mentre brucia e dimostrandole la giusta considerazione che Madame B le aveva sempre negato per decisamente troppi anni. L'insegnante aveva preferito cedere alle belle parole di Novokov –un Soldato vendicativo, ambizioso ed ignaro del coinvolgimento di un secondo vertice nella gerarchia–, negando a Yelena il giusto riconoscimento per l'ennesima volta e rifiutando nuovamente un intervento diretto da parte del Dipartimento X, ritornando sui propri passi quando Leonid aveva tirato le cuoia… elemosinando un aiuto esterno istituendosi a garante-fantoccio, resa troppo cieca dalla propria superbia per accorgersi delle macchinazioni che si muovevano alle sue spalle e portate avanti esclusivamente da Yelena.

-Suggerisci un colpo di stato? -indaga la ragazza quando la proposta dell’uomo di deporre dal trono l’insegnante si concretizza in frasi inequivocabili e concise, suggerendole di prendere le redini dell’Accademia della Dark Room e dandole carta bianca sul come ottenere la tanto agognata promozione.

-Perché no? Sai meglio di me che i Traditori sono instabili e pericolosi.

-Certo che lo so bene, Compagno.

Yelena sorride euforica nel percepire una nota di bisogno nella voce dell’Alleato, sentendosi utile per la prima volta in vita sua… dopotutto lui necessitava di persone con la sua stessa visione d’insieme, persone come lei.

La ragazza sapeva fin troppo bene che ad eliminare i componenti di una macchina ben oliata si creava resistenza, che per mandare definitivamente a pezzi la catena di montaggio bisognava smembrarla dall’interno… Natasha era servita agli scopi preposti, aveva debilitato Fury lasciando il Salvavita scoperto, ma ora era rinsavita –come sospettavano– e tra i tre mastini alle dipendenze della spia, lei era l’unica che poteva arrivare alla soluzione dell’indovinello e spronare gli altri due ad agire… bastava una mezza parola sbagliata con il Soldato d’Inverno e si sarebbe acceso un albero di Natale intermittente nella testa di entrambi, che avrebbero tentato il tutto per tutto per bloccare ogni loro tentativo per eliminarli… ed era questo che Madame non capiva e l’Alleato aveva compreso fin troppo bene. 

-La Zarina può proteggere il Salvavita, a prescindere da chi l’accompagna… capisci da sola cosa devi fare. -riprende l’uomo dall’altro capo della cornetta, con un sottotono autoritario che fa rabbrividire la ragazza al solo pensiero inconcepibile di poter fallire.

Un fallimento, con lui, non è mai contemplato a prescindere… e Yelena architetta un colpo di stato da così tanto tempo che sa esattamente come muoversi sulla la scacchiera e trascinare con lei tutte le pedine in gioco.

È finalmente arrivata l’ora di concretizzare i sogni nel cassetto di Madame B, è giunta l’ora di riportare la Zarina a casa.



 

Note:

1. Vi risparmio la lezione di storia dell’arte, ma ci tengo a sottolineare che il quadro citato indirettamente è “Atelier dell’artista” di Courbet.

2. In “Till the end of the line” Bucky –seguendo la sua controparte fumettistica– ha cestinato l’ammasso di ferraglia targata Hydra in favore di un nuovo arto high-tech, che tra i vari optional vanta anche un dispositivo in grado di simulare dei perfetti tessuti realistici in pelle sintetica alla vista e al tatto, differenziandosi unicamente per la diversa “consistenza”.

3. Per la serie “Mosca è confusa perché non si ricorda minimamente di te, Bucky” (1956), Natasha ricorda vagamente solo il loro rapporto allieva-insegnate dei primi tre mesi perché dal quarto in poi (fino al dodicesimo) le cose iniziano a modificarsi e la loro non può più considerarsi una relazione prettamente lavorativa.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: T612