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Autore: trenodicarta    19/10/2019    1 recensioni
Quando Claudia Barbieri apre gli occhi, scopre di aver perso i sensi nella metro della città in cui abita. Non solo, lividi e ferite le ricoprono la pelle diafana. A partire da questo momento, qualcuno sembra divertirsi a tormentarla, lasciandole messaggi minatori su un segreto che la riguarda e che è giunto il momento di svelare. Decisa a scoprire chi l'abbia aggredita e minacciata, la ragazza compila una lista dei sospettati. La situazione peggiora quando tutti coloro che vi sono segnati cominciano misteriosamente a scomparire, o peggio...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Un brusco risveglio 

Qualcuno le stava dando fuoco. Claudia riaprì gli occhi di colpo, immaginando di vedere attorno a sé fiamme e fumo. Si scontrò con una realtà che non si aspettava, attorno a lei non vi era nulla di tutto ciò, solo il bianco candido delle pareti. Nessuno la stava toccando o anche solo sfiorando. Allora perché tutto quel dolore, perché sentiva la nuca bruciare?
«Claudia.»
Pietro le si avvicinò non appena la vide sbattere le palpebre. Il viso dell’uomo era piegato in una smorfia indecifrabile, era sorpreso, spaventato o entrambe le cose?
Nemmeno lui avrebbe saputo rispondere. Sicuramente era a disagio, non era ancora pronto a parlare, a guardarla negli occhi e spiegarle cosa fosse avvenuto. Credeva di avere più tempo per pensare a come dirle ogni cosa. Le infermiere avevano detto che non si sarebbe risvegliata prima del giorno dopo, le avevano somministrato sedativi e antidolorifici abbastanza forti da stordirla. Dovevano essere delle incapaci: a giudicare dall’espressione con cui si era svegliata, Claudia stava soffrendo.
La ragazza aprì bocca, sussurrando parole che lo lasciarono di sasso.
«Sono svenuta, credo di aver avuto un calo di pressione.»
Pietro scosse il capo.
«Claudia, che cosa ricordi?»
«Ero in metro, mi sono sentita male e ho perso i sensi.»
La donna provò fastidio per quella domanda e ancor di più per il modo che lui aveva di fissarla. Era pietà quella che leggeva nei suoi occhi?
«Cla, ti hanno ritrovata in un angolo della metro, eri a terra e …» Pietro fece una breve pausa. «Qualcuno ti ha aggredita.»
Si pentì del tono utilizzato non appena ebbe terminato la frase. Era stato freddo, distaccato, come se stesse parlando a una delle tante vittime di violenza che gli capitava di incontrare svolgendo il proprio lavoro.
Claudia socchiuse gli occhi, in parte fu per il dolore, ma soprattutto per riflettere su quanto le fosse appena stato rivelato. Ragionò sulle parole di Pietro, le scompose, le riaccostò l’una all’altra, le ridusse all’osso finché non ne rimase solo una.
Aggredita.
L’uomo le sfiorò timoroso una mano, preoccupato nel vederla immobile per un tempo così prolungato. Lei sollevò quella stessa mano, facendogli cenno di aspettare. Aveva ancora gli occhi chiusi, aveva bisogno di altro tempo per capire, come se le parole di Pietro non fossero state abbastanza chiare.
«Non è vero.»
Non poteva essere stata aggredita, l’avrebbe ricordato. Invece, tutto ciò che sapeva era di essere svenuta, in metro, a metà della scalinata che l’avrebbe condotta in superficie, a casa.
Pietro sospirò, ma non parve sorpreso. Claudia era solita negare verità che avrebbero potuto ferirla.
«Ascoltami, so che fa male, ma è la verità. Sei stata trovata priva di sensi in metropolitana, ti hanno portata qui d’urgenza. Hanno trovato il tuo telefono e hanno chiamato l’ultimo contatto con cui avevi parlato, io.»
Le parlò con cautela e dolcezza, ma lei non si soffermò tanto su quel dettaglio, quanto sulle parole che le rivolse. Le sovvenne un ricordo in perfetto contrasto con quanto Pietro le stava raccontando. 
«Il telefono era scarico.» Sussurrò con voce flebile.
La ragazza ricordava chiaramente di aver visto il lo schermo dello smartphone oscurarsi tra le sue stesse mani. Come avevano potuto risalire al suo ultimo contatto, se il telefono non era acceso.
Un altro ricordo prese a pulsarle tra le tempie.
«Il messaggio.»
Sibilò di colpo. Pietro la fissò con maggiore preoccupazione, temendo che l’amica stesse delirando. Lei avrebbe voluto spiegargli tutto, dalla questione del telefono spento, fino al messaggio minatorio ricevuto, ma non riuscì a trovarne le forze. Temeva che la testa le scoppiasse da un momento all’altro, ebbe realmente paura di morire, tant’è che si aggrappò a Pietro con forza, sussurrandogli all’orecchio quelle che era certa sarebbero state le sue ultime parole.
«Daniel. È stato Daniel.»
 
Solamente dopo averle somministrato ulteriori medicinali, il dolore si placò, concedendo a Claudia la forza necessaria per ascoltare ciò che Pietro tentava di spiegarle da tempo.
«Il dolore che senti è dovuto ai colpi che ti hanno inferto.»
«Mi hanno solo picchiata?»
Si affrettò a domandare Claudia, pentendosene subito dopo. Non era sicura di voler sapere, la risposta di Pietro avrebbe potuto sollevarla, oppure tramortirla definitivamente.
Il poliziotto comprese cosa volesse significare quella domanda e con non poca difficoltà ammise di non saperlo.
«Devi svolgere ulteriori visite per saperlo.»
«No, io so che non mi è successo.»
«Devi farti visitare, per favore.»
Le rivolse un’occhiata implorante e stanca, anche lui sentiva su di sé il peso di quell’aggressione.
Claudia si sentì identica alle donne a cui si rivolgeva per lavoro.
Andrà tutto bene, io sarò al tuo fianco, ti aiuterò, ci lavoreremo insieme…
Quante volte aveva sentito i suoi colleghi ripetere frasi di questo tipo alle relative pazienti?
E ora lei non era abbastanza coraggiosa da affrontare una semplice visita.
Cambiò bruscamente argomento.
«Chi mi ha trovata in metro?»
«Un uomo. Un pendolare sceso dalla metro successiva che ti ha soccorsa e chiamato aiuto.» Spiegò paziente. «Ascolta Claudia. In condizioni normali avrei pensato ad una rapina, ma non ti hanno rubato niente.»
«Daniel, è stato lui.» Ripeté con sicurezza la ragazza, andando a raccontare con cura tutto ciò che ricordava: la canzoncina della metro, il misterioso messaggio ricevuto durante il viaggio e quella strana sensazione di essere osservata da qualcuno che non voleva mostrarsi.
Pietro ascoltò con attenzione, annuendo di tanto in tanto, con fare così automatico e accondiscendente da irritare Claudia.
«Mi metterò al lavoro, farò controllare le telecamere della metro e cercherò Daniel. Tu devi riposare nel frattempo.»
La luce della luna filtrava dalla finestra della camera. Claudia si sentiva spossata, eppure era certa che non sarebbe riuscita a dormire tanto facilmente.
 
Claudia Barbieri non amava sentirsi vulnerabile.
Si ritraeva infastidita quando le infermiere le facevano visita, scrutandola con fare compassionevole, come fosse uno di quei cani randagi abbandonati al proprio destino. 
Aveva numerose fobie e ansie, ma era sempre stata brava a tenerle a bada. La sua lista dei divieti serviva proprio a questo. Era abile nel mantenere il controllo, si era sempre tenuta fuori dai guai, era sempre stata attenta ai suoi movimenti, gesti, aveva sempre aspirato alla perfezione.
Adesso, l’idea che qualcuno avesse spezzato quella linea maniacale che erano le sue certezze, la rendeva furiosa. Non aveva più il controllo sul suo corpo o i suoi pensieri, ogni movimento le procurava un dolore acuto che la riportava all’aggressione, quasi che il tempo si fosse fermato lì.
Da quando si era svegliata non vi era stato spazio per altro, continuava a pensare senza sosta alla sera precedente. Le sembrava di sentire ancora quel velato fischiettare, poi il rumore improvviso e glaciale del treno.
«Basta.»
Si prese il capo tra le mani, come se questo bastasse a silenziare i pensieri vorticosi che le affollavano la mente. Strinse la presa più del dovuto e questo le provocò altro dolore.
Era ferita.
Si drizzò di colpo, come se solo in quel momento si fosse ricordata di un particolare importante. Si alzò di fretta, sopportando i dolori che ne conseguirono e muovendosi a una velocità più modesta del normale, arrancò fino al bagno.
Lo specchio appeso alla parete di colpo divenne un nemico da cui non riusciva a non sentirsi attratta. Claudia sapeva dove si trovassero le sue ferite, non le aveva ancora viste, ma poteva sentirle. Il dolore che nemmeno i farmaci sembravano riuscire a silenziare si irradiava da un punto ben preciso, la tempia destra. Lo sentiva, era come il baricentro delle sue sofferenze. Queste ultime non si fermavano lì, no, proseguivano sicure sulla fronte, attraversando poi il resto del viso, specie la parte destra. Claudia non sorrideva da almeno dodici ore e probabilmente non l’avrebbe più fatto per parecchio tempo, ma era certa che se avesse provato a distendere le labbra in un’espressione serena, tutto il suo volto si sarebbe accartocciato in una smorfia di dolore.
Così è questo che accade quando si viene aggrediti, ci viene portato via tutto ciò che un tempo davamo per scontato. Emozioni, pensieri, un banale sorriso. Tutto diventa impossibile, tutto sembra ricondurre a un unico tragico evento.
Claudia Barbieri però non amava sentirsi vulnerabile. Per cui avanzò, un passo alla volta, fino a quella superficie opaca, un po’ impolverata. Trovò il coraggio di guardarvi all’interno e cercare se stessa, senza riuscirvi. La donna che vedeva riflessa non era lei, non poteva esserlo, perché la figura che la guardava di rimando dallo specchio non era una persona.
Non era altro che un ammasso di macabri colori.
Lividi, lividi ovunque.
Sfumature violacee si concentravano nei punti che lei percepiva come più dolorosi, tinte verdognole arrivavano a colorarle il mento e la fronte, mentre altre zone della pelle erano rimaste intoccate, gli occhi ad esempio.
Claudia si disse che quello non era stato un caso, aggredendola Daniel aveva scelto con precisione in quali punti colpirla e in quali no. I suoi occhi erano intoccati, senza lividi, perché aveva voluto lasciarle la possibilità di vedersi, di capire appieno cosa le avesse fatto.
Daniel era stato realmente capace di ciò?
Claudia se lo chiese seriamente per la prima volta. Era sempre stata certa della sua colpevolezza, ma ora, guardando l’opera che aveva compiuto, si domandò se fosse capace di odiarla al punto da farle ciò.
Turbata da quei pensieri e dal suo stesso viso, la ragazza indietreggiò fino a chiudere la porta dietro di sé. Si rifugiò tra le lenzuola pallide del letto freddo in cui aveva trascorso la notte, prima di accorgersi di non essere sola.
Sulla soglia della porta, se ne stava titubante un uomo sulla trentina. Gli occhiali sembravano pesargli sul naso triangolare, mentre la scrutava allarmato, come se fosse stato appena colto in flagrante nel bel mezzo di un reato.
Sergio Moravi non si era mai trovato in una simile circostanza. Lui, che con le parole ci lavorava, in quella precisa occasione faticò a metterne insieme due. A dirla tutta, non ci riuscì nemmeno, si era appena schiarito la voce per parlare, quando lei lo anticipò.
«Chi sei tu?»
Claudia gli si rivolse con tono aggressivo, dopo quanto accaduto, ritrovarsi uno sconosciuto in camera non la rassicurava.
Sergio lo comprese, il suo lavoro era anche quello, e dopo essersi schiarito la voce, di nuovo, le rispose.
«Scusi se l’ho spaventata, mi chiamo Sergio Moravi. Sono l’uomo che…» Si frenò, posando l’indice sugli occhiali e spingendoli su, nonostante non ve ne fosse bisogno. Stava prendendo tempo, per trovare le parole più adatte. «Sono l’uomo che ha chiamato i soccorsi ieri sera.» Disse infine, rivolgendole un sorriso cordiale.
Ancora una volta, Claudia dovette metabolizzare quell’affermazione prima di comprenderla a fondo. Tornò alla sera prima, a quando Pietro l’aveva informata che fosse stato un altro pendolare a trovarla priva di sensi. Era lui quindi, Sergio.
Non disse nulla, continuò a scrutarlo, senza riuscire a scrollarsi di dosso quel fare diffidente.
Tra i due, Sergio appariva quello più a disagio, continuava a giocherellare freneticamente con la cravatta ormai stropicciata. Le lenti degli occhiali rendevano i suoi occhi più grandi e scuri di quanto non fossero. Era impacciato, in condizioni normali Claudia ne avrebbe sorriso, ma in quel momento, qualsiasi persona le pareva una minaccia.
L’uomo attese paziente che lei dicesse qualcosa e quando comprese che quel silenzio sarebbe potuto proseguire chissà quanto, decise di interromperlo da sé.
«Scusi ancora se l’ho spaventata, volevo sapere come stesse. È tutta la notte che penso a quanto è accaduto.»
Continuava a rimanere sulla soglia della porta e Claudia gliene fu grata, se avesse fatto un solo passo avanti, lei si sarebbe ritratta come un animale spaventato.
La donna si portò una mano sul viso, come volendo coprire parte dei segni che rivelavano la violenza della sera prima. Abbassò lo sguardo, non voleva incrociare quello dello sconosciuto.
«Sarà meglio che vada, immagino che lei voglia stare tranquilla.»
«Aspetti, Sergio.» Si risvegliò improvvisamente, trattenendolo lì.
Avrebbe potuto ringraziarlo, per averla aiutata in primo luogo o per essere venuto a sincerarsi delle sue condizioni. Invece no, formulò una domanda che nessuno si sarebbe mai aspettato.
«C’era una donna con me, quando mi ha trovato?»
Lo sguardo di Sergio si perse nel vuoto per alcuni attimi, infine scrollò le spalle. «Non c’era nessuno, solo lei. Un uomo stava correndo via, l’ho detto alla polizia.»
Claudia si mostrò interessata.
«L’ha visto in viso?»
«No, mi spiace. L’ho solo visto correre, mi dava le spalle. Indossava una felpa nera con cappuccio, dei jeans chiari e degli scarponcini. Volevo inseguirlo ma mi sono fermato per chiamare i soccorsi.»
Si sentì in colpa, dispiaciuto di non aver potuto fare altro. Si sistemò di nuovo gli occhiali, mutando poi espressione. Aveva ricordato un altro particolare.
«Zoppicava un po’, come se facesse fatica.»


Angolo autrice
Ringrazio chiunque voglia lasciare un commento alla storia, sia esso positivo o negativo (l'importante è che sia costruttivo, non accetto offese gratuite). Grazie inoltre a chi ha iniziato a seguire e leggere questi primi capitoli. 
A presto con la terza parte.

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