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Autore: Martocchia    21/10/2019    1 recensioni
Sequel di "Ojos de Cielo"
Sono passati pochi mesi dalla scomparsa di Clara, ma tutto sembra essere cambiato nel mondo di Luca: tutto è nero, niente ha più valore per lui, neanche ciò che lo legava così strettamente a "lei". Sì, perché quel nome è impronunciabile per chiunque.
Le persone intorno a lui stentano a riconoscere in quel ragazzo cupo, sarcastico e menefreghista, Luca. Ma delle promesse sono state fatte e delle persone faranno di tutto per mantenerle e per farle mantenere.
Riuscirà Luca a trovare la forza per andare avanti? Riuscirà a cantare. suonare, amare ancora, come lei gli ha chiesto? E se sì. come?
Genere: Malinconico, Sentimentale, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14 – La via di Damasco
 
Il volo è stato molto lungo, eppure Luca ha a malapena chiuso occhio, tanta è l’adrenalina che gli scorre per tutto il corpo, impedendogli di stare fermo sul sedile. Non è la prima volta che vola, ma guarda il panorama dal finestrino come se lo fosse per davvero. Vorrebbe poter allungare le mani fuori all’esterno ed accarezzare le nuvole, se solo fossero solide; guarda giù e il blu impenetrabile del mare gli fa venire le vertigini; la terraferma gli sembra un modellino in 3D incredibilmente realistico. Dall’alto il mondo è stupefacente, le imperfezioni scompaiono, come anche le ferite inflitte ad esso dall’uomo stesso. Rimane solo la sua pura e naturale bellezza.
Quando l’aereo comincia a scendere verso la pista di atterraggio, il ragazzo accoglie la sensazione di vuoto nella pancia con una sorta di allegria infantile, incominciando a scuotere energicamente don Lorenzo per le spalle. Lui, a differenza del compagno di viaggio, ha dormito per la maggior parte del tempo e per il restante ha osservato Luca. Non riesce ancora a comprenderlo appieno: un attimo prima i suoi occhi brillano come se fossero colpiti continuamente dalla luce del sole; quello dopo il suo sorriso si riempie di malinconia e sembra perdersi in un mondo distante, probabilmente sperduto nei ricordi del passato. Tommaso prima della partenza non aveva voluto dirgli nulla riguardo la storia di quel giovane, ma non gli servivano parole per capire che l’ombra nera della morte lo aveva sfiorato, quel tipo di crepe dell’anima sono perfettamente riconoscibili da chi ne ha di simili e il missionario ne è ricoperto. Quella cicatrice sulla spalla, che ogni tanto torna a bruciare, ne è la prova inconfutabile e un ricordo incancellabile.
È proprio quel dolore a risvegliarlo dal torpore all’improvviso. Per un momento non si ricorda dove si trova e il panico lo investe, è di nuovo in quella baracca di lamiere, lurida, buia e rovente. Ma è questione di un solo secondo: appena vede davanti a sé gli occhi blu di Luca, si ricompone e cancella dal proprio volto qualsiasi traccia di sorpresa e paura.
- Ma ti sembra il modo di svegliare le persone?! – borbotta, guardando storto il ragazzo, celando però una certa tenerezza nel vederlo così esaltato da ciò che lo aspetta.
- Lorenzo siamo arrivati! – esclama il ragazzo, senza minimamente badare al commento del prete.
- Arrivati mi sembra una parolona. – sospira quest’ultimo – Siamo solo a Beirut, in Libano. Da qui dovremo muoverci in macchina fino a Damasco, considerato che i voli sulla Siria sono interdetti. Aspetta a saltare su e giù come un leprotto. – lo prende in giro bonariamente, ma ancora una volta Luca non ci fa caso e guarda con interesse fuori dal finestrino, cercando di cogliere qualche particolare del paesaggio oltre gli aerei e gli edifici che compongono l’aeroporto.
L’aria tremola per il calore emanato ancora dal motore dell’aereo, che ha lentamente fatto manovra, prima di fermarsi e spegnersi.
I portelloni si aprono, le valige caricate in stiva cominciano ad essere trasportate all’interno dell’aeroporto, mentre lentamente i passeggeri si dirigono verso le uscite.
Quando Luca mette piede sulla scaletta, all’esterno del velivolo, il caldo rovente di luglio, accentuato dalle ore passate sotto l’aria condizionata, lo investe prepotentemente, bloccandolo per un attimo, boccheggiante e desideroso di un ventilatore portatile.
Don Lorenzo gli dà una leggera spinta in avanti, perché non blocchi la coda di persone desiderose di scendere dall’aereo. Immediatamente il ragazzo si riscuote e riprende la discesa, mentre scuote con gesti secchi la maglietta che gli si è già incollata al corpo.
- Se questo poco caldo ti crea già dei problemi, iniziamo molto bene ragazzo mio. – lo prende in giro il missionario, appena entrati negli spazi freschi e areati dell’aeroporto, dove Luca si è lasciato andare ad una espressione di beato refrigerio – Hai fatto due metri sotto il sole e già boccheggi… - l’uomo scuote ulteriormente la testa sconsolato.
- Questo sarebbe poco?! Ma se ci saranno almeno quaranta gradi! – si lamenta il giovane.
- Esagerato. Ti sei troppo abituato alle temperature lacustri, all’aria che arriva dalle montagne, e ti sei dimenticato il calore ardente della città. A Milano d’estate le temperature non sono tanto diverse da queste. -.
La conversazione si interrompe giusto il tempo dei controlli del passaporto e il rilascio del visto. Gli impiegati dell’aeroporto hanno fatto loro qualche domanda di routine in un inglese un po’ biascicato, a tratti difficile da comprendere. Dopodiché i due si avvicinano all’area di recupero dei bagagli, attendendo davanti ai nastri trasportatori le loro valigie.
- In realtà – riprende il discorso Luca – non ho mai passato molto tempo in estate a Milano, sono sempre andato dai miei nonni a Luino. Alla fine forse dovevo proprio vivere parte della mia vita là… - ancora una volta gli occhi del ragazzo sembrano perdersi in un mondo tutto loro. È in questi momenti che quella scintilla di vita, tornata pian piano a brillare, si affievolisce sotto una coltre di tristezza e dolore, nubi di una terribile bellezza in quello sguardo stupefacente.
Il nastro scorre davanti a loro, ma delle valigie nemmeno l’ombra.
- Da quanto tempo vivi a Luino? – chiede il prete, cercando di scacciare quelle nuvole che minacciavano la serenità del giovane.
- Due anni. – risponde il giovane.
- Poco tempo allora. Eppure sembri amare molto quella piccola città. -.
- Due anni sono più che sufficienti per innamorarsi, impregnarsi d’amore fino al midollo e anche per soffrire fino alla morte. – lo sguardo di Luca, è fisso sulle grandi finestre che danno sulle piste di decollo. Un grande aereo bianco e blu si è appena staccato da terra e sta salendo sempre più su. Lui ne segue l’ascesa con gli occhi, la sua espressione è insondabile e il missionario non può fare a meno di sentirsi a disagio, mentre un pesante silenzio cala fra i due.
A salvarlo dall’imbarazzo è il provvidenziale arrivo dei bagagli, che riesce finalmente a distrarre Luca dai propri indecifrabili pensieri e a risvegliare il suo entusiasmo.
Il paesaggio che si apre davanti a loro, usciti dall’aeroporto è lo skyline di una città moderna: grattacieli e palazzi dai colori chiari, che ben s’intonano con i colori caldi e luminosi di quelle terre; grandi strade ben asfaltate e percorse da migliaia di automobili.
 Ad attenderli c’è una Jeep dall’aria molto vissuta. Una volta doveva essere stata di colore bianco, ma gli strati di polvere e terra, sommati ai numerosi graffi neri che ne attraversano la carrozzeria, rendono la tinta quasi irriconoscibile.
I due caricano i propri bagagli sul veicolo, con l’aiuto dell’autista, un ragazzo di Damasco, che evidentemente il missionario lo conosce bene, infatti lo saluta calorosamente, dicendogli qualche parola in una lingua incomprensibile a Luca, il quale, intanto, sta appoggiando con cautela la custodia della chitarra sulle altre valigie. La guarda con dolcezza e quasi con commozione, ripensando al momento in cui, pochi giorni prima, il fratello di Clara aveva suonato alla porta della sua dependance per portargliela.
- Perché la vuoi dare a me? – gli aveva chiesto totalmente attonito. Per un musicista i propri strumenti sono qualcosa di sacro, praticamente intoccabili da altri all’infuori del proprietario.
- Con questa chitarra tu hai ricominciato a suonare e a cantare, ad essere di nuovo il ragazzo che mia sorella amava. Spero che possa esserti di nuovo utile in questa avventura che ti aspetta. – gli aveva risposto con una semplicità disarmante, per poi andarsene senza attendere risposta, lasciandogli lo strumento tra le mani. Il contatto con quel legno liscio e tiepido per lui significa casa, con questa precisa chitarra sa invece di un ritorno a casa atteso a lungo.
Clara gli aveva raccontato che andando verso Luino in treno ad un certo punto si imbocca una lunga e nera galleria al termine della quale compare all’improvviso, in tutto il suo splendore, il lago. Ecco, quella vista per lei era casa, era un abbraccio di bentornato, era sollievo e gioia per gli occhi e per il cuore, come se stare lontani, anche se solo per poche ore, da quello spettacolo fosse doloroso, una fune legata all’anima che più ti allontani, più tira e stringe.
Ripensandoci Luca sorride, riproponendosi di tornare a Luino in treno dall’aeroporto quando sarà il momento.
- Forza figliolo, dobbiamo andare se vogliamo arrivare a Damasco prima del tramonto. -.
Il ragazzo viene riportato alla realtà dal richiamo di Lorenzo, il quale gli sta tenendo la portiera aperta, mentre gli fa cenno di muoversi a salire. Gli occhi del missionario cadono poi sullo strumento ed inarca un sopracciglio.
- Era proprio necessaria la chitarra? – chiede, non tanto perché la ritenga un peso inutile, anzi, se da quelle parti c’è bisogno di qualcosa, è proprio l’allegria che un po’ di musica non fa mai mancare, ma poiché teme che possa essere rubata o danneggiata. Ha potuto osservare abbastanza a lungo Luca per arrivare a comprendere quanto l’oggetto sia importante per lui e quindi quanto il perderlo lo turberebbe.
- Decisamente. – risponde prontamente il ragazzo, il quale ha però intuito quali siano le vere preoccupazioni del prete, che ora sospira, alzando gli occhi al cielo e chiedendosi per quale motivo si sia lasciato coinvolgere in quella storia da Tommaso.
- Vorrà dire che stasera ci suonerai qualcosa. – conclude infine, salendo dietro il giovane sull’auto.
 
Il viaggio non è stato di per sé lunghissimo - solo poco più di due ore – ma il caldo infernale patito in quella Jeep senza aria condizionata ha trasformato quelle poche ore in un’eternità di rivoletti di sudore lungo il collo, maglietta incollata alla schiena e tante bottigliette d’acqua vuote sparse sui sedili. Queste le hanno comprate ancor prima di uscire da Beirut da dei bambini che si sono avvicinati alla macchina mentre erano fermi ad un semaforo. Don Lorenzo ha spiegato a Luca che sono profughi siriani, scappati dalla guerra, che cercano di sopravvivere vendendo acqua o souvenir in giro per la città. Ed infatti ne hanno visti molti atri: alcuni a piedi nudi, altri con scarpe di tela, ormai del tutto sfondate; magliette e pantaloncini stinti e rattoppati; corpi magri, visi tondi da bimbo, ma occhi già da adulto.
Luca li guarda con tenerezza e compassione, pensando a come Clara avrebbe sorriso loro ed espresso in cuor suo il desiderio di portarseli tutti a casa con sé, al sicuro nell’abbraccio del suo lago.
 
Il missionario non ha nemmeno dovuto annunciare al ragazzo di essere entrati nella città di Damasco: lui era già con gli occhi stralunati e fissi fuori dal finestrino. Prima di partire Luca aveva cercato di documentarsi, aveva visto foto, servizi del telegiornale… Pensava di essere pronto, che quelle macerie non lo avrebbero turbato più di tanto, invece… Non può credere di trovarsi ancora sul pianeta Terra, sembra un altro mondo. A zone di città integre e fiorenti, in cui gli edifici storici e di culto spiccano in tutta la loro esotica bellezza, con le loro forme tonde e morbide e le punte aguzze che si slanciano verso il cielo, si alternano quartieri totalmente devastati, dominati dalla polvere, la pietra spaccata, esplosa, frantumata, dalla desolazione e dalla morte, la cui aurea Luca riconosce nettamente, come cappa soffocante che incombe dovunque. Sugli scalini della facciata di una casa – tutto ciò che è rimasto di essa – siede una donna, le braccia abbandonate lungo i fianchi e gli occhi vacui persi nel vuoto. In una mano stringe un pupazzo di pezza. È come se aspettasse che il figlioletto ritorni a casa da scuola per giocare con lui o per dargli quel peluche come regalo, ma quel bambino non arriverà mai: non ha più una casa a cui tornare e ormai neanche una madre.
Lo sguardo del giovane rimane concentrato su quella figura abbandonata al dolore più lacerante e sordo finché essa diventa così piccola da essere indistinguibile ai suoi occhi.
Non sa dare un nome a ciò che sta provando: tristezza, sgomento, rabbia, frustrazione, impotenza. Forse tutto, o forse nulla. Non esiste una parola che possa definirlo.
Don Lorenzo, notando l’inevitabile impatto devastante che quella realtà ha avuto su di lui, decide di distrarre Luca.
- Sai perché Damasco è conosciuta nel mondo cristiano? – gli chiede.
- Ha a che fare con San Paolo, vero? – risponde il ragazzo, ben contento di avere qualcosa a cui pensare che non fosse il paesaggio fuori dal finestrino.
- Assolutamente! È proprio recandosi a qui a Damasco che Saulo (perché ancora non si chiamava Paolo) ha sperimentato l’incontro con Cristo e quest’ultimo, credimi, mica ci è andato leggero! -.
- Lo fa mai? – chiede in tono quasi retorico Luca, sbuffando divertito.
- No, effettivamente no. Ma il nostro Saulo non era un tipetto troppo ragionevole e malleabile. Lui perseguitava i cristiani, li uccideva, perché era osservante fino al midollo della Legge ebraica. Si stava recando qui a Damasco proprio per stanare la comunità cristiana della città, ma il Signore aveva altri piani per lui. -.
- Ed anche questa non è una novità. – borbotta ancora il giovane.
- Beh, mica è colpa sua se siamo tanto ciechi da non vedere tutti i cartelli al neon lampeggianti con cui ci indica cosa fare per essere felici. Ah, rimanendo sempre in tema di cecità… Saulo non aveva solo delle fette di prosciutto davanti agli occhi, ma proprio delle bistecche! Allora Gesù ha deciso di mettergliele davvero, in senso figurato ovviamente. – mentre racconta Lorenzo è tutto infervorato dall’entusiasmo e Luca trattiene a stento le risate, anche se quella storia lo sta toccando molto da vicino – Mentre era in viaggio appunto verso Damasco, Cristo gli è apparso sotto forma di una luce così accecante da aver spaventato il cavallo che Saulo stava cavalcando e che ha quindi disarcionato l’uomo, il quale, d’altra parte, ha sentito forte e chiaro una voce chiamarlo e chiedergli perché lo perseguitasse ed è diventato completamente cieco. Quella stessa voce gli disse di farsi condurre in città da un uomo di nome Anania. Così Saulo, avendo riconosciuto in quella voce Gesù, fa quanto gli ha detto e vaga per tre giorni per Damasco finché non trova quest’uomo, dal quale si fa battezzare e subito riacquista la vista. Cambia il proprio nome in Paolo, che significa “il più piccolo”, ed inizia a viaggiare in lungo e in largo per parlare di Gesù e della propria conversione, fino a donare la propria vita proprio per amore di quel Signore che lui aveva perseguitato con tanta ferocia. -.
- Sembri molto legato a questo santo. – Luca lo guarda incuriosito, mentre il missionario sorride imbarazzato, rendendosi conto della foga con cui ha raccontato quella storia.
- Lo sai, io e Tommaso ti abbiamo raccontato molte cose sul nostro passato… Io tutto fuorché che un fervente cristiano, non facevo altro che cacciarmi nei guai… -.
- E poi cos’è successo? Sei stato disarcionato anche tu da cavallo? – chiede il ragazzo scherzosamente.
- No no. Gli incontri giusti bastano a cambiarti la vita. -.
- Hai proprio ragione… - sospira il giovane con un sorriso carico di tenerezza.
 Nei minuti successivi non si è sentito altro rumore che quello frastornante del motore della Jeep, poi all’improvviso quest’ultima si è fermata davanti ad una semplice chiesetta, in mattoni a secco, dotata di un piccolo campanile con un campana arrugginita. I due sono scesi dall’auto, hanno recuperato i propri bagagli, salutato il ragazzo, dandogli appuntamento per il giorno successivo. La macchina è ripartita in un frastuono di ferro e pietre, mentre il prete e Luca si sono addentrati nella fresca penombra dell’edificio, dirigendosi verso la sacrestia, direttamente collegata a un piccolo appartamento, dove i due passeranno la notte.
- In questa casa non vive nessun prete? – domanda il ragazzo, mentre apre le valigie, tirando fuori ciò che gli serve.
Lo sguardo di don Lorenzo sembra rabbuiarsi per un attimo e Luca non comprende se è stato frutto della sua immaginazione, oppure è effettivamente così.
- Dovrebbe arrivare un nuovo parroco nelle prossime settimane. – spiega brevemente l’uomo.
- Cosa è successo a quello precedente? È stato spostato? -.
- È morto. – la risposta del sacerdote è secca, amara. Non lo guarda nemmeno, impegnato a trafficare nelle sue borse in modo evidentemente casuale, come se non sapesse neanche lui cosa cercare.
- Lo conoscevi bene? – domanda ancora a bruciapelo.
Lorenzo sente ancora nella sua testa il raccapricciante suono della lama che trancia di netto il collo del suo confratello. Fa ancora fatica a trattenere i conati di vomito.
- Abbastanza. – taglia corto ed il suo compagno di viaggio comprende che non è il caso che faccia altre domande.
 
Dopo circa un’ora il missionario lascia da solo nell’appartamento Luca per andare a comprare qualcosa da mangiare per cena, suggerendogli di approfittarne per riposare un po’, ma il giovane non ha assolutamente sonno e allora decide di avventurarsi sulla cima del campanile, inerpicandosi per un’accidentata scaletta di legno. Giunto in cima, facendo attenzione a non picchiare la testa contro la campana, si avvicina alla ringhiera, appoggiandovi le mani e guardando dritto davanti a sé. È l’ora del tramonto, il sole, di un arancione brillante, si sta tuffando in un orizzonte rosso sangue che tinge come ferite aperte le case di Damasco e le sue macerie. Che vista terribile e mozzafiato allo stesso tempo. È spaccato in due fra la bellezza e lo sdegno. La temperatura è finalmente più mite e una brezza leggera gli scompiglia i capelli. Chiude gli occhi e sente profumo di deserto, polvere, arbusti odorosi e polvere da sparo. Li riapre e si rende per la prima volta di quanto si trovi lontano da casa propria, da tutto, lontano da un tutto che ora sembra un niente sbiadito ed appassito nella luce di un crepuscolo di fuoco.
Luca rimane lassù per un tempo indefinito, finché non sente dei passi alle sue spalle. Voltandosi trova davanti a sé don Lorenzo.
- La cena è pronta. – ma il ragazzo non si muove di un passo, rimane a guardarlo come imbambolato.
- Tutto questo è bellissimo e bruttissimo. -.
- Lo so. -.
 
Il pasto è molto semplice: del pollo con qualche verdura e due pagnotte di pane. Sedendosi a tavola Luca si rende improvvisamente conto di quanta fame abbia e si butta voracemente sul cibo, mentre il missionario lo osserva con una certa preoccupazione nello sguardo, che l’altro non impiega molto a notare.
- Cosa c’è Lorenzo? Cosa vuol dire quello sguardo? – gli chiede infine, spazientito.
Il prete sospira, appoggia le posate sul piatto ed intreccia le mani davanti a sé.
- Luca, ho notato quanto il primo impatto ti abbia turbato e c’era da aspettarselo, ma comunque devo farti delle raccomandazioni… - incomincia a parlare con serietà.
- Ti ascolto. – lo incoraggia il ragazzo, smettendo anch’egli di mangiare.
- So bene quanto il dolore di questi luoghi sia in grado di risucchiarti completamente in un vortice in cui finisci per dimenticare qualunque altra cosa. Ho anche intuito da tempo che tu stesso ti porti dietro un enorme fardello di sofferenze. Non pretendo che tu me ne parli, se e quando te la sentirai, io ti ascolterò. La cosa importante che devi però ricordarti è che non puoi assolutamente lasciare quel dolore da parte. Non puoi pensare che ora che sei lontano dalla sua fonte, tu debba dimenticarlo e lasciarti coinvolgere completamente da questo. Se Tommaso ha voluto darti questa opportunità è perché ritiene che tutto questo possa aiutarti a comprendere, convivere e produrre frutto dalle tue ferite. Se le ignori però non ha senso. Devi cercare il più possibile di restare lucido, o sarà tutto inutile, non sopporterai questa esperienza. E te lo dico perché il peggio deve ancora venire. -.
Luca durante tutto il discorso lo ascolta attentamente, per poi piegare le proprie labbra in un sorriso di gratitudine e malinconia:
- Grazie Lorenzo, farò tesoro dei tuoi consigli. Per un attimo prima sul campanile il pensiero di poter rimettere una pezza sugli squarci che mi attraversano il cuore, anche solo per un po’, mi ha attraversato la mente, ma poi ho subito realizzato che mi è ormai impossibile. Rimettere quel dolore a dormire, significherebbe mettere da parte il sentimento più puro e vero che io abbia mai provato ed io questo non voglio dimenticarlo. Inoltre la fonte di tutti i miei problemi è sempre con me. – ride leggermente, accarezzando il braccialetto al suo polso – E la chitarra l’ho portata con me proprio come promemoria. A proposito, prima mi è venuta in mente una canzone che secondo me è perfetta per l’inizio di questa avventura. Ti va di sentirla? – chiede al missionario speranzoso.
- E va bene. – risponde con tono accondiscendente, alzando gli occhi al cielo, ma cercando contemporaneamente di nascondere un sorriso.
Luca non se lo fa ripetere due volte e corre a tirare fuori lo strumento dalla custodia, per poi aprire il ciondolo del proprio bracciale per prendere il plettro.
Don Lorenzo, mentre lui compie questo gesto, nota un luccichio proveniente proprio da dove si trovava l’oggettino, ma non pone domande al ragazzo, gustandosi la sua eccitazione, simile a quella di un bambino, mentre imbraccia la chitarra e inizia a cantare allegramente.
 
 Ascoltandoti nel vento ti ho sentito e cantavi
Mi stai chiamando da un po’ di tempo
E bussi deciso alla mia porta
So che tu hai i tuoi ritmi
Alterni tempeste a lunghi silenzi
Sei qui giusto quando volevo
Semplicemente mollare come fan molti
E vivere un po’ senza sognare
È spegnersi un po’
So che tu sei un tipo paziente
General manager accomodante
A volte mi sembri alquanto incosciente
Viste le scelte che mi lasci fare
Adesso perciò dimmi com’è
Che quando ho voluto sbagliare da me
Gli abissi son stati colmati di luce
C’è stata una mano lì a darmi pace
 
E vivere poi si è fatto più forte
Vivere salvi dal senso di morte
La via di Damasco sui passi di molti
Assomiglia ad un bivio tra morti e risorti
 
Sai, sì lo sai
Tutto vive dove ci sei Te
Sai, sì lo sai
Il bene che più conta è qui con me
Sai, sì lo sai
La luce che Tu doni è senza fine
 
Conosci il mio segno, sai quel che valgo
Lo so c’è di meglio
Tu dammi una mano
Se è molto, se è poco dipende dal metro
Se sbaglio comunque ridammi una mano
Il tempo di oggi si è fatto più denso
C’è un senso di peso ma non mi spavento
E quando cado ti riconosco
Vedo un tassello che cambia il mio corso
 
E vivere poi si è fatto più forte
Vivere salvi dal senso di morte
La via di Damasco sui passi di molti
Assomiglia ad un bivio tra morti e risorti
 
Sai, sì lo sai
Tutto vive dove ci sei Te
Sai, sì lo sai
Il bene che più conta è qui con me
Sai, sì lo sai
La luce che Tu doni è senza fine
 
Sai, sì lo sai
Niente muore se Tu sei con me
Sai, sì lo sai
Tutto quel che conta è qui, sei Te
Sai, sì lo sai
La luce che Tu canti è senza fine
 
Yeeee
 
Sai, sì lo sai
Tutto vive dove ci sei Te
Sai, sì lo sai
Il bene che più conta è qui con me
Sai, sì lo sai
La luce che Tu doni è senza fine
 
Sai, sì lo sai
Niente muore se Tu sei con me
Sai, sì lo sai
Tutto quel che conta è qui, sei Te
Sai, sì lo sai
La luce che Tu doni è senza fine



Angolo dell'Autrice
No, non ero scomparsa. Non ho deciso di rimanere in Terra Santa, anche se tornare mi è dispiaciuto molto, perché è stata una delle esperienze più belle della mia vita, se non effettivamente la più bella, a questo non è il luogo per parlarne (io sarei in grado di farlo per ore e ore, ma non penso sia di vostro interesse). Comunque sono stati dei mesetti molto intensi, un po' per  gli esami da preparare, un po' per gli imprevisti della vita che mi hanno messa, e lo fanno ancora, a dura prova e infine un po' perchè la mia vita da pendolare è finita ed ho cominciato quella da fuorisede a Milano, nonostante la mancanza del mio lago si faccia sentire sempre. 
Ad ogni modo sono finalmene riuscita a finire questo capitolo, che spero vi piaccia, soprattutto visto quanto vi ho fatti attendere. Questo è solo l'inizio di un viaggio, altre cose devono ancora accadere e non vedo davvero l'ora che voi possiate leggerle!
Buona Lettura!

Marta
   
 
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