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Autore: T612    25/10/2019    1 recensioni
James vorrebbe solo che Parigi assumesse le sembianze di un punto fermo, un luogo dove gli incubi possono venire dimenticati, lasciando spazio al sole caldo ed ai violini che suonano ad ogni ora del giorno… ma sa che non è possibile, perché i demoni non riposano mai e si annidano nell’ombra, soprattutto se hai insegnato loro come nascondersi.
Natasha vorrebbe solo riuscire a chiamare Parigi “casa”, dimenticando i mostri sepolti sotto la distesa bianca di Mosca per il bene di entrambi, ma ancora esita a voltare completamente pagina e non sa spiegarsi di preciso perchè… forse perchè dai propri demoni non si può scappare troppo a lungo, specialmente se sono l’incarnazione dei misfatti compiuti in Siberia.
Entrambi non possono far altro che procedere per tentativi sperando per il meglio, ma presto o tardi l’inverno arriva anche a Parigi… e la neve è destinata a posarsi inesorabile sui capi di innocenti e vittime, senza discriminazioni e soprattutto senza fare sconti a nessuno.
[WinterWidow! // What if? // >> Yelena Belova]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
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SECONDA PARTE - CAPITOLO XII



 

27 settembre 2018, Resistenza sicura di Natasha Romanoff, Little Ukraine, New York

 

Il taxi accosta sul ciglio della strada e Natasha solleva il bavero della giacca per evitare che la pioggia filtri dal colletto, correndo per evitare di infradiciarsi nel giro di un paio di secondi, litigando con la serratura che non vuole assolutamente saperne di collaborare ed aprirsi al primo tentativo.

Sono momenti di nervosismo intenso, ma quando finalmente la porta si apre e scivola oltre l’ingresso, si concede l’estasi di assaporare la sensazione di asciutto secco che aleggia tra le pareti del proprio appartamento… venendo distratta dal lieve grattare alla porta, subito seguito da un miagolio infreddolito, abbassando lo sguardo su Liho che la prega di entrare a scaldarsi con due enormi fanali gialli supplicanti.

-Solo perché piove. -concede dopo un sospiro spazientito, pentendosi immediatamente di aver finito per cedere alle volontà di un gatto randagio, rivalutando all’istante il pensiero appena formulato quando il felino comincia a strusciarsi contro le sue gambe facendole le fusa in un tacito ringraziamento. -Lecchino.

Si libera della giacca di pelle e delle scarpe dalle suole bagnate, avventurandosi lungo il corridoio verso la cucina seguita da Liho come un'ombra.

-Hai fame? Perché io ho fame. -annuncia incurante che sia notte fonda o che il suo interlocutore sia un gatto nero opportunista, fingendo di sentire un miagolio di assenso in risposta. Apre la dispensa prelevando gli ingredienti per un toast, per poi svuotare una scatoletta di tonno su un piatto e depositarlo sul pavimento, dopo aver acceso il tostapane per cucinarsi il suo misero spuntino.

-Vado a farmi una doccia, Liho. -annuncia al gatto come se a lui importasse sul serio, già concentrato nello spazzolare la propria cena, distogliendo lo sguardo dal piatto quando comprende di essere stato preso in causa. -Evita di distruggermi l’appartamento prendendo ad unghiate qualunque cosa e forse posso valutare l’idea di non cacciarti di casa.

Liho in tutta risposta torna a concentrarsi sul proprio tonno, mentre Natasha si dà della cretina da sola… è un gatto, doveva essere impazzita del tutto se sperava di ricevere una qualsiasi risposta, ignorando forzatamente la consapevolezza di aver percepito un eco nebuloso e lontano nella propria mente in risposta alle sue affermazioni.

Scuote la testa e silenzia il cervello, mentre l’acqua bollente lava via la polvere, la stanchezza ed i brutti pensieri, sollevando il viso verso il soffione della doccia inalando vapore, finendo con la fronte contro le piastrelle congelate cercando di riprendere fiato… non si era nemmeno resa conto di aver smesso di respirare regolarmente, ignorando il fatto che nelle ultime settimane nulla di ciò che faceva era regolare, come se continuasse a rimbalzare tra le pareti di gommapiuma di una stanza claustrofobica senza riuscire a raggiungere l’uscita, sospinta da una forza molto più forte di lei che la lasciava alla deriva di un costante mal di testa spacca-meningi. 

Le iridi verde foresta venate di rosso che le restituiscono lo sguardo allo specchio la spaventano, con le occhiaie che traspaiono dal fondotinta colato e le lacrime di mascara che le rigano le guance… fortunatamente è l’unica a cui permette di vedersi così, ma ciò non le impedisce di allungare il palmo contro lo specchio cercando di cancellarne il riflesso. 

Starà meglio, prima o poi.

Sostituisce la fasciatura zuppa alla gamba, appurando con sufficienza che tutto sommato Barnes aveva fatto davvero un buon lavoro con la medicazione, infilandosi l’intimo ed una maglietta sformata passabile come pigiama, trascinandosi sul materasso e rannicchiandosi al suo centro.

È stanca, al punto da percepire il proprio corpo galleggiare sospeso sul materasso e lasciarsi andare alla deriva del moto ondoso che si dibatte nascosto all’interno della sua scatola cranica, ricercando la quiete nella tempesta con scarsi risultati, infreddolita dalle lenzuola fresche che le accarezzano la pelle, ma talmente esausta da farla desistere dall’allungare un braccio verso il fondo del letto afferrando il lembo della coperta e seppellirsi sotto di essa. Sta per precipitare in balia del dormiveglia quando percepisce dei passi leggeri che calpestano il parquet risalendo il corridoio, rigirandosi tra le lenzuola andando ad occupare il lato sinistro del materasso seguendo un automatismo inconscio, reprimendo l’accenno di un sorriso quando sente la porta aprirsi.

Dormi?

-No… -sussurra schiudendo gli occhi, ritrovandosi a fissare il muro intravedendo il flash di un ombra inesistente alta poco più di un metro e ottanta, realizzando con un secondo di ritardo che la sagoma scura in realtà è molto più bassa e la sua ombra allungata è dovuta dalla luce dei lampioni che filtra attraverso le imposte, abbassando lo sguardo delusa sul gatto nero che sbuca dalla soglia. -Ah… sei solo tu.

Liho miagola come a chiederle chi altro si aspettava, approfittando della sua momentanea confusione per balzare sul materasso ed accoccolarsi sopra le lenzuola, addossandosi alla duna in rilievo del suo polpaccio.

-Non ti ho dato il permesso di dormire qui, scendi. -ribatte scorbutica senza capirne il motivo, tentando di scacciare via il felino con un movimento scattoso della gamba, riuscendo a spostarlo di solo mezzo metro prima di vederlo accoccolarsi di nuovo contro la sua gamba iniziando a farle le fusa… stupido gatto testardo. -Solo per stanotte, intesi? 

Liho miagola in assenso e Natasha si da di nuovo della cretina per aver ceduto così facilmente al volere del felino, chiedendosi quando di preciso si era rammollita al punto da desiderare le fusa del gatto… ammettendo a se stessa che tutto sommato quella era una coccola piacevole, che quella palla di pelo ormai rappresentava l’unico contatto caldo da settimane glaciali, sprofondando in un limbo soporifero con la consapevolezza spigolosa ad invadergli la mente che il ricevere affetto era una sensazione che non credeva potesse o dovesse mancarle.

Viene svegliata dal gatto diverse ore dopo quando afferra con l’artiglio la fasciatura ed inizia a tirarla irritando la ferita in fase di guarigione, aprendo gli occhi allarmata per quella novità inattesa rendendosi conto di aver scalciato via il lenzuolo durante la notte lasciando le gambe esposte, mentre Liho miagola chiedendo di essere nutrito.

Si prepara il caffè mentre sfama il gatto, appuntandosi mentalmente di comprare dei croccantini ed una lettiera qualora decidesse di non cacciarlo di casa, trascinandosi di nuovo sul materasso tenendo in bilico la tazza contenente il liquido nero, mentre con la mano libera agguanta ed inizia a digitare stringhe di dati al computer, allontanando Liho con il piede quando si avvicina troppo alla tastiera minacciando di improvvisarsi dattilografo zampettandoci sopra.

Usa i Network del mercato nero per cercare informazioni, conscia che le bambine non possono essere scomparse nel nulla, sperando di scovare una mollichina di pane in grado di farle da apripista… le va bene qualunque cosa, pur di non restare in balia degli eventi per un solo secondo di più.

Quando le arrivano le coordinate inizialmente non vuole crederci, leggendo e decifrando tra le righe il suggerimento velato di andare a controllare i resti dell’ex Stanza Rossa di persona perché degli uccellini sono tornati al nido, ma l’informatore anonimo ignora per quanto tempo resteranno in zona prima di volare via… ed il fatto che quella sia esattamente l’informazione che bramava la fa scattare sull’attenti fiutando l’odore di trappola, preparando le valigie e prenotando il primo volo per Mosca, fin troppo consapevole di andare incontro al proprio carnefice adeguandosi al suo gioco ed alle sue regole, avvisando Fury sul canale di emergenza facendo richiesta che le invii qualcuno in supporto nel caso le cose dovessero prendere una brutta piega.

Carica la valigia nel bagagliaio del taxi ed ordina all'autista di raggiungere l’aeroporto, chiudendosi alle spalle la breve parentesi di pseudo-quiete contenuta e cristallizzata tra le pareti del proprio appartamento, ora abitato da un gatto randagio che ormai di randagio aveva solo l’atteggiamento. 

L’ultima cosa che fa prima di spegnere il cellulare e scomparire dai radar, è digitare il contatto di Clint e recapitargli un messaggio: 

Ho adottato un gatto, non lasciarlo morire di fame mentre sono via… torno presto, credo ;)

 

***

 

28 settembre 2018, Dark Room - Base operativa, Mosca

 

Negli anni i corridoi della Base non sono cambiati di una virgola, ma agli occhi di Natasha appaiono impoveriti… ci sono meno telecamere, meno guardie, meno ombre onniscienti pronte a ghermirla e trascinarla nel buio… ed il fatto che Natasha le veda, quelle ombre, come pallidi fantasmi generati dalle proprie reminiscenze dimenticate, non la aiuta affatto.

Scivola lungo le pareti e si nasconde nei punti ciechi più impensabili ignorando chi glielo abbia insegnato tra i tanti fantasmi che aleggiano tra quelle mura, puntando a passo sicuro all’ufficio di Madame B, perché una volta collegati i puntini risultanti dalle sue ricerche non restavano molte altre persone da biasimare e su cui puntare il dito per gli orrori che continuavano ad inseguirla.

Socchiude una lama di luce nella stanza buia scoprendola deserta, mentre una morsa gelida le attanaglia le viscere nel vedere lo scenario che si dipinge davanti ai suoi occhi oltre la parete di vetro… osserva gli sguardi sofferenti delle bambine che si sforzano di restare sulle punte da ballo, i lividi che appaiono tra gli intrecci scoperti del tutù e l’ombra della paura che aleggia nella stanza ad ogni respiro affaticato e sospiro trattenuto. Trattiene il fiato quando vede Yelena, viva, fiera e ben piantata a terra che recita passi con sequenza metodica, mentre marcia avanti e indietro in attesa di un qualcosa… un passo falso probabilmente, ma un incurvatura inusuale della bocca le comunica qualcosa di diverso, una sorta di tacita concessione ad uno spettatore silenzioso, sottintendendo che lei non desidera ferirle davvero quelle bambine, come se incarnasse la lama brandita da un burattinaio nascosto. 

Ed eccola lì, la conduttrice di quel circo degli orrori, nascosta nel buio di un angolo con una cartellina sottobraccio mentre appunta ogni più piccolo errore commesso dalle reclute, scrutando con lo sguardo affilato di un avvoltoio le caviglie delle piccole, animata dal desiderio viscerale di vederle storcersi e spezzarsi… e Natasha agisce fulminea prima di poter pensare seriamente alle conseguenze delle proprie azioni, il desiderio atavico di fermare il tempo e cancellare tutto, di salvare le piccole dal suo stesso destino infame, fondendosi con le ombre raggiungendo Madame B accarezzandole la gola con una lama affilata. Capisce di aver fatto una cazzata quando percepisce il sorriso della donna con la coda dell’occhio, lo assimila mentre la consapevolezza la raggiunge fino al midollo realizzando che la donna non aveva minimamente fatto resistenza, sconvolgendosi per aver percepito l’odore della gratitudine rassegnata e non della paura.

Natasha si risveglia dal momento di blackout quando le ginocchia di Madame B impattano contro il parquet in un tonfo secco, cadendo scomposta iniziando a formare un lago di sangue ai suoi piedi, mentre un urlo strozzato scuote gli animi delle bambine sorprese… e ciò che vede nei loro occhi non è sgomento per il cadavere che giace abbandonato a terra, ma è timore reverenziale perchè la Morte Rossa ha mietuto l’ennesima vittima.

-Bambine… silenzio. -ordina Yelena glaciale ed impassibile, mentre le ragazzine eseguono gli ordini e si zittiscono come automi. 

-Yelena... credevo fossi… -tenta Natasha, ma le parole le muoiono in gola incollandole la lingua al palato… ciò che ha davanti non ha senso, perchè Yelena è viva e nessuno sta reagendo come dovrebbe, mentre un dubbio esistenziale agita i pensieri che le vorticano in testa sconquassandoli, realizzando di aver mal interpretato l’intera situazione, che nel tentare di orchestrare un’imboscata era caduta a sua volta in una trappola molto più complessa.

-Morta? -termina Yelena al suo posto con un verso di scherno, fronteggiandola con uno sguardo fiero al gusto di rivalsa dipinto sul volto, sollevando il mento dandosi importanza. -Tania sí, io persisto, sono la nuova te.

Lo sguardo cristallino della sorella d’armi cade inevitabilmente ai suoi piedi, mentre un sorriso germoglia dalle sue labbra gelando il sangue di Natasha all’istante, comprendendo per la prima volta da quando ha messo piede nell’edificio di essere incappata –ed aver reso possibile– un colpo di stato, mentre la gratitudine rassegnata di Madame B diventa improvvisamente nitida ai suoi occhi per quello che è… un’ultima beffa ai danni di chi la desiderava morta, la tacita soddisfazione di aver avuto l’ultima parola in merito alla propria morte, seppur violenta.

-Brava царица1, lavoro impeccabile, pulito… chissà se ad averlo saputo ti avrebbe perdonato anche questo affronto. -continua a schernirla Yelena, troppo presa dal vantarsi del suo piano ben orchestrato per comprendere l’errore di fondo in quel gesto estremo… perchè è giovane, perché è ancora tragicamente troppo inesperta del mondo in miniatura che le gravita attorno al punto da riuscire a vederlo solamente attraverso una patina di vernice rosso sangue, troppo orgogliosa ed assetata di un qualsiasi riconoscimento per capire in che modo subdolo era stata manipolata e raggirata in tutto quel tempo che aveva trascorso tra le mura di ciò che restava della Stanza Rossa.

-Sapeva... sperava che questa fosse la sua fine dal primo giorno in cui me ne sono andata. -cerca di ammonirla Natasha, ma dai lampi che illuminano lo sguardo di Yelena intuisce che la sorella comprende solamente il linguaggio inculcatole dal Leviathan, rassegnandosi a ritorcerle contro il suo stesso senso di inadeguatezza pur di racimolare un qualche indizio sul manipolatore… perché nessuna persona sana di mente vorrebbe fare a scambio con la sua vita, nemmeno per un secondo. -Ha provato a rimpiazzarmi… ma credo tu l’abbia delusa mini-me, non sei nemmeno stata capace di portare a termine una vendetta come si deve da sola, mi hai lasciato tutto il lavoro sporco.

-Io ho architettato tutto il tuo lavoro sporco, non sono così incapace come tu credi. -replica la sorella risentita, indirizzandola nella giusta direzione. -Madame B non mi ha mai dato credito, ma l’ho fatto. Ce l’ho fatta… sono meglio di te, del tuo Soldato…

-Primo: зимний солдат non appartiene a nessuno, e di certo non a me. -la lingua di Natasha articola sillabe autonomamente prima che lei possa ragionare sul discorso in atto, prima di potersela mordere riducendosi a silenzio, dominandosi e correggendo la sbandata dopo una leggera battuta d’arresto interrogandosi in sordina sul perché abbia reagito in quel modo insolito, ritornando sulla via dell’istigazione con più convinzione di prima… è lei che conduce il gioco, mai il contrario. -Secondo: tu sei e resti la mia brutta copia. 

-Una brutta copia… -Yelena sembra riflettere sulla scelta di quelle parole, ma quello che Natasha interpreta come una scalfittura alla campana di vetro che imprigiona la sorella, si rivela essere il barlume di un’ira sorda ed onnipresente che lei aveva inconsapevolmente contribuito a creare. -Quindi non siamo mai state nulla di più di una brutta copia per te? Un nessuno, un qualcuno di dimenticabile? Tania non era nessuno per te?

La pugnalata arriva alle spalle trapassando la gabbia toracica di Natasha, conficcandosi nel suo cuore e colando a picco fino allo stomaco, sventrandola… Tania era stata il primo mostro che aveva cresciuto e plasmato a sua immagine e somiglianza, era stata la seconda persona che aveva segretamente corrotto e successivamente cercato dopo Odessa… trovandola in una distesa di neve candida che celava le sue ossa congelate nel terreno duro della steppa, mentre il mal di testa impietoso la coglie di sorpresa impedendole di identificare il volto del primo nome sulla lista.

-Tania era diversa, lei a differenza tua aveva capito di essere una marionetta… -Natasha si ritrova a difenderla, mossa da un affetto che credeva di aver dimenticato, indicando prima la sorella e poi il cadavere ai suoi piedi. -Guardati, sei così fiera di aver architettato il suo assassinio da non aver capito che questo era esattamente ciò che voleva.

-Fidati, non era questo ciò che voleva. -il tono di indifferenza con cui commenta la situazione fa contrarre lo stomaco di Natasha in una morsa dolorosa e gelida, ritrovando la propria versione ventenne specchiata nello sguardo della ragazza, quando aveva perso già tutto il perdibile e non aveva altro se non la violenza e il sangue. -Ma la decisione finale non spettava a lei, non in questa partita.

Le parole scelte da Yelena cristallizzano definitivamente il flusso sanguigno nell’apparato circolatorio di Natasha, che manca un battito nel figurarsi l’ombra machiavellica di Zemo alle spalle della ragazza, in una annunciazione mortifera che credeva aver seppellito mesi prima con l’uccisione dell’uomo… scoprendosi meno sorpresa di quanto ipotizzato inizialmente, rassegnandosi che per ogni testa mozzata ce n’era già un’altra pronta a tendere un agguato.

-Una partita? -replica ironica sopprimendo l’ansia che le colora la voce, intonando il principio di un discorso che si sforza di essere ragionevole. -Yelena chiunque te l’ha ordinato non ti sta lasciando una leadership, ma una tomba aperta in cui seppellirti…

-No, non è vero. 

La risposta giunge fulminea con un tono troppo meccanico per essere autentico, intravedendo un lampo di paura nelle iridi azzurre della sorella, che tentenna per una frazione di secondo lasciando che le ossa tremino in uno spasmo contenuto, per poi ricomporsi dando a Natasha la prova inconfutabile di aver fallito… perchè la ragione non può davvero nulla in confronto alla paura della morte. 

-Bambine… in posizione. -ordina Yelena aggrappandosi al proprio esercito per difendersi dall’attacco verbale chiamandone in causa uno fisico, mentre le bambine sollevano i pugni pronte all’offensiva come mastini in allerta.

-Sei a uno è contro le regole. -mormora Natasha reagendo alla provocazione preparandosi allo scontro, lo sguardo riluttante che tradisce la sua volontà di non ferire nessuna ragazzina… e Yelena accenna un microscopico sorriso, perchè forse non le sta piacendo davvero ciò che sta facendo, ma la soddisfazione di vederla combattere andando contro ai propri ideali rivoltandole contro i suoi stessi punti deboli è indubbiamente impagabile.

-Le regole non si sono mai applicate su di te, царица1. -replica freddamente siglando la sua condanna a morte, perchè nonostante la stazza, il peso e l’età, un sei contro uno è pressoché impossibile da gestire anche per lei.

Natasha viene sopraffatta quasi all’istante, la difesa resa fiacca dalla carente convinzione nel contrattaccare l’offensiva, mentre le bambine la sovrastano assalendola senza concederle nemmeno un secondo di respiro… riaprendo spaccature in fase di guarigione, procurandole lividi nuovi da sommare a quelli vecchi, finendo per spezzarle le ossa… mentre la donna si biasima per ogni colpo inflittole, perchè se quella volta a Budapest avesse raso al suolo la Stanza Rossa invece di darsi alla fuga con Clint tutto questo non sarebbe mai successo, perchè se quella volta a Mosca non si fosse mai ribellata ora non si ritroverebbe accecata da un dolore lancinante che la spinge a pregare una divinità qualsiasi di farla finita sul pavimento dove tutto era iniziato. 

Quando la pugnalano allo stomaco, la coltellata assume le sembianze di un intervento divino, accettandola come una benedizione con somma gratitudine… il mondo si rovescia, mentre l’udito sbiadisce e le ombre dell’incoscienza iniziano a sostituire le bambine una ad una, premendo le mani sullo stomaco per puro istinto di sopravvivenza nonostante sia consapevole che senza l’aiuto di qualcuno morirà dissanguata nel giro di poco, riuscendo con un ultimo sforzo a distinguere il profilo di Yelena attraverso la vista appannata.

-Eliminando la concorrenza non sono più seconda a nessuno… e poi, dopo tutto quello che hai fatto, ti meriti di morire sola. -annuncia abbassandosi alla sua altezza quando le passa affianco, mentre l’oscurità cala il sipario magnanima su Natasha, facendole fremere le palpebre e scollegandola definitivamente dalla realtà. -Questa volta non c’è nessun angelo custode pronto a salvarti маленькая балерина2.



 

Note:

  1. Traduzione dal russo: “zarina”.

  2. Traduzione dal russo: “piccola ballerina”.

   
 
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