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Autore: PiscesNoAphrodite    26/10/2019    1 recensioni
"La Dodicesima Casa non mi era mai sembrata così tetra – col suo perimetro regolare e incastonata come un diamante tra le pareti verticali del monte – benché non la ricordassi come un luogo ridente, se non per la presenza dei fiori i quali però aulivano, anch'essi, di un sentore di morte."
***
In un ipotetico post-Ade Misty è riuscito a conquistare le Sacre Vestigia di Libra, a dispetto di trascorsi poco brillanti; ma è possibile che nel raggiungimento di uno status ambito ed elevato non risieda la felicità? Dove cercarla, dunque? In bilico tra la vita e la morte? In gesta eroiche o in qualcosa di più ordinario?
(Narrazione a punti di vista alternati)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Apollo, Lizard Misty, Perseus Algol, Pisces Aphrodite
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I prati d'asfodelo, capitolo II

 

 

IV

 

Cosa avrà da guardare? Quello da ricucire è più di uno strappo sulla camicia, pensai sondando negli occhi di Milo. Dopo di questo... Aphrodite non vorrà più saperne ma non sono in errore e la colpa è soltanto sua; le sue insinuazioni mi hanno ferito.

“Va tutto bene?”

“Sì” risposi, destatomi dal torpore indotto da foschi pensieri. Il Santo dell'Ottava Casa si stava ponendo con gentilezza nei miei confronti, facendo breccia nella mia corazza virtuale in punta di piedi. Non avevo mai interagito con Milo se non in veste formale, lo avevo percepito – da sempre – come una persona scostante, la cui tendenza all'ironia mi aveva esortato a tenermi alla larga. Ma adesso eravamo vicini di casa, c'era solo una rampa di scale a distanziare i nostri Templi e a dire il vero, né lui, né Shaka di Virgo – che dimorava nel Tempio sottostante – mi incuriosivano come persone; uno mi metteva soggezione, l'altro era investito da un'aura di spiritualità così intensa da rendersi inavvicinabile... chissà se sarei mai riuscito a rivolgergli la parola.

“Non ci conosciamo, se non superficialmente, e questa sembra una buona occasione per approfondire la nostra conoscenza.” Mi disse mentre ero ancora sovrappensiero, preoccupato di ricomporre parte dei miei indumenti.

“Sì, certo” risposi dissimulando una condiscendenza ben lungi dalla verità. Ero talmente deluso che mi sarei rifugiato nel mio Tempio, o meglio in un altro luogo più distante, lontano da tutto e da tutti.

“Cos'è accaduto? Puoi parlare, se vuoi. Non sono qui per giudicarti” insisté, sfilandosi la tiara per detergere il sudore dalla fronte.

Temporeggiai, non sapevo cosa dire, e infine riuscii ad articolare qualche parola: “Pisces ha parlato a sproposito.” Conclusi, ma non dovevo essere stato del tutto convincente a giudicare dall'espressione del mio interlocutore, una linea verticale s'insinuò nello spazio tra le sopracciglia folte e ben delineate.

“Uhm... e Kanon? Anche lui avrebbe parlato a sproposito?” esordì a bruciapelo, ricollocando la tiara sul capo con tutta tranquillità.

Kanon? Cosa c'entra il fratello di Saga? Ci siamo affrontati nell'Arena come tutti i Santi fanno di routine al Grande Tempio.


“Non è difficile immaginare cosa stai pensando. È normale per i Santi affrontarsi nell'Arena, fa parte del rituale di addestramento quotidiano e c'è chi – più o meno – vi prende parte” continuò Scorpio. Avevo subodorato dove volesse arrivare, e lui doveva aver intuito a sua volta che desideravo controbattere.

“La sfida che hai ingaggiato con Kanon non è stata per niente amichevole. Posso capire il risentimento per qualcosa che non mi interessa sapere, credimi. Ma ciò non collima con i doveri di un Santo, nei quali non dovrebbero essere contemplati interessi personali.” Mi anticipò, prima che potessi replicare.

“Vuole essere un rimprovero da parte tua?” domandai senza celare una nota di risentimento nelle parole.

“Sì e no” osservò. “È, più che altro, sottolineare un codice di comportamento.”

Chinai il capo, non sapevo cosa rispondere, Milo era nel giusto perché non avevo fatto che anteporre le mie ragioni – o presunte tali – nelle ultime scelte fatte. E le conseguenti azioni non erano state consone al mio ruolo. Ma neppure gli altri avevano dimostrato rispetto nei miei riguardi, lo pensavo ma non potevo dirlo. No? E perché no? Per paura, o ipocrisia? Forse la verità sta nel mezzo. Alzai gli occhi al cielo, e poi mi voltai appoggiando la mano contro una colonna.

“Sì, ho disatteso i precetti che sono priorità del nostro status. Sono stato impulsivo, a dispetto dell'emblema dell'equilibrio che contraddistingue il mio segno.” Affermare ciò mi costò molta fatica ma non avevo scelta.

“Tuttavia questa tua ammissione avalla la scelta dell'armatura, ne sei un degno possessore, ma che ne diresti di indossarla?” Milo di Scorpio stava esprimendo una sorta di apprezzamento, non me lo aspettavo, quelle parole erano una schiarita nel buio profondo in cui brancolavo. Non risposi, se non con un silenzioso assenso e con un sorriso, muovendo un passo indietro per procedere verso l'ingresso della Settima Casa. Lo vidi allontanarsi, rimpicciolirsi fino a scomparire sulla sommità della scalinata, dopo essersi congedato con un saluto.

 

...

 

Dal giorno in cui mi sono trasferito in questo Tempio vivo in perenne imbarazzo, c'è un via vai di servitori e ancelle; ma cosa credono, che non sappia cavarmela da solo?

 

“La cena è servita, non vi resta che prendere posto a tavola.”

 

Replicai con un cenno del capo alla persona che mi aveva avvisato. Avevo incontrato poche volte quel tizio al Santuario, doveva essere in servizio da qualche tempo. Era un tipo strano, non riuscivo a dargli un'età, non era di bell'aspetto – per come intendevo io essere di bell'aspetto – ma in compenso era dotato di buona dialettica. Mah, strano per un inserviente.

Mi incamminai verso la sala da pranzo e, dopo aver occupato il mio posto, mi ritrovai di nuovo in compagnia dell'uomo che sedette di fronte a me come fosse comparso dal nulla. Era una situazione insolita – dovevo riconoscerlo – a cui non diedi eccessivo peso. Pensavo e ripensavo alla breve conversazione con Milo...

“Un po' sfacciato, non credi?” esordii istintivamente, non avevo intenzione di redarguirlo. No, ero afflitto da ben altre preoccupazioni; abbassai gli occhi sulle portate, senza appetito, soffermandomi a osservare la fattura di quei suppellettili e i dettagli che li impreziosivano. Ero abituato a grezze terraglie dai bordi sbeccati. Soppesai un coltello rigirandolo tra le dita, insinuando un'unghia nelle incisioni che decoravano l'impugnatura.

“Pensavo che reagissi male, invece sei tollerante con i sottoposti.”

“Non ho voglia di affrontare un'altra discussione. Per oggi ho sopportato abbastanza, ragion per cui mi adatterò, volente o nolente, alla tua presenza” sentenziai riponendo il coltello accanto alle altre posate.

“Puoi chiamarmi Sileno.”

“Non te l'ho chiesto.” Gli risposi con un tono non del tutto conciliante, desideravo rimarcare il divario tra un Santo di Athena e la servitù. “Tuttavia – non so perché – è un nome che mi suona familiare” soggiunsi alzando lo sguardo, dovevo aver sgranato gli occhi senza rendermene conto. Il mio commensale aveva iniziato a interloquire in modo formale per poi rapportarsi da pari a pari. Mi soffermai su quei lineamenti con più attenzione: forse uno spirito, un'entità ultraterrena poteva ostentare fattezze così inconsistenti, ma reali al tempo stesso. E il suono di quella voce incantava, era pervaso da una sovrumana malia, era così persuasivo... rassicurante.

“Infatti, sei un ragazzo colto.” Sileno colpì la brocca di vetro con la punta di un dito, anzi no, con un artiglio, e io sbattei le ciglia. Non avevo notato avesse unghie così lunghe. L'acqua contenuta all'interno del recipiente si tinse di porpora.

“Sembrerebbe un prodigio!” esclamai, dondolandomi sulla sedia.

“Già, ma non sono un prestigiatore. Diciamo qualcuno più affine all'arte della vinificazione.”

“Non sono abituato a berlo senza dapprima diluirlo con dell'acqua” replicai con noncuranza, ma quel suo modo di fare riuscì comunque a strapparmi un sorriso.

“Sei esigente, signorino. Ma per il figlio di Apollo posso fare un'eccezione.”

“Stai farneticando?” sussultai.
Che cosa?! Cosa ha detto?

“No, mio caro. Dico la verità.”

Mi grattai il mento, Sileno era una figura enigmatica e conversare con lui mi aveva riportato alla memoria antiche leggende. Sileno era il nome di un fauno, finalmente ci ero arrivato; un fauno che, per mia fortuna, aveva deciso di palesarsi in veste di emissario senza sfoggiare connotati animaleschi. Potevo ben comprenderlo... con corna e zampe caprine avrebbe attirato l'attenzione; scostai la sedia indietro per mantenermi a debita distanza, tale consapevolezza mi indusse a provare ribrezzo. Eppure mi auguravo di non risultare troppo scortese, la mia preoccupazione era quella di apparire sempre amabile agli occhi degli altri. Evitai, di proposito, lo sguardo indagatore della creatura.
Che motivo avrebbe di ingannarmi?

Le sue affermazioni non facevano che confermare il mio sentirmi speciale e mi ero già calato nella parte senza difficoltà. Lo specchio me ne dava conferma ogni giorno, avevo sempre sospettato una discendenza divina. Ne ero certo. Ero figlio di un dio... invero c'era una spiegazione a tutto.

“La rivelazione non sembra averti colto di sorpresa” convenne prendendomi le mani nelle sue, e in quel frangente rabbrividii.

“So dissimulare per bene i miei sentimenti, ma in un certo senso non ne sono sorpreso. Sai perché? È una conferma di quanto io sia speciale” risposi leccandomi le labbra. Stavo già sognando a occhi aperti, sebbene avessi la pelle d'oca.

“Sì, trovo tu sia davvero speciale. Dunque puoi accettare la mia offerta, non sortirà effetto alcuno su di te, non obnubilerà la tua mente” sorrise maliziosamente e io trangugiai mezzo bicchiere di vino. Si lisciò la barba crespa e appuntita, riempendo di nuovo il bicchiere che vuotai con un paio di sorsi percependo un pizzicore al naso. Ebbi il primo capogiro, quella bevanda era così inebriante; i suoni si attutirono e fui sopraffatto da una leggera euforia che mi indusse a scordare gli avvenimenti della giornata appena trascorsa. La compagnia di Sileno era piacevolissima ed erano esilaranti gli aneddoti che raccontava a proposito della sua vita silvestre. Mi solleticò le gote con le unghie, affondò le dita tra i miei capelli – oddèi, mi sta toccando – e lo allontanai con garbo, un po' disgustato, la sua sfrontatezza mi ricordava il Santo di Perseus.

Lodava la mia bellezza: “Somigli a Giacinto.” Mi sussurrò a un orecchio. Le sue esternazioni audaci gonfiavano il mio ego, e d'un tratto percepii un calore salirmi al volto... pensai a Shaina sebbene fossi conscio che il suo cuore appartenesse a un altro. Algol... pensai anche a lui, alla sua devozione nei miei confronti e a quanto ne fossi compiaciuto. La testa... mi girava la testa. Avevo bevuto senza toccare cibo, mi smarrii in quegli occhi ardenti; scuri e profondi – al contempo – come un abisso senza fondo, come la notte senza stelle. Dovevo aver perso l'equilibrio giacché mi trovai letteralmente tra le braccia del satiro che riscoprii dotato di un fascino ambiguo e sottile, affatto sgradevole come poteva esserlo una creatura irsuta e sgraziata.

“La mia vita è vuota... vorrei brillare per la grandezza di atti che non ho compiuto, e non di luce riflessa.” Quella confessione mi sfuggì dalle labbra a discapito della volontà.

“È probabile che ciò che cerchi non sia veicolo della felicità cui ambisci, quanto possano esserlo semplici atti di altruismo...” replicò lui. Si esprimeva come un essere dotato del dono della preveggenza e io chiusi gli occhi senza riuscire a decifrare l'arcano, senza comprendere il significato di ciò che aveva appena affermato: avevo l'impressione di fluttuare o levitare a mezz'aria, incapace di formulare una frase di senso compiuto e di sorreggermi sulle gambe. Mi aveva sollevato di peso... sentivo le palpebre pesanti, molto pesanti.

 

***

 

V

 

Ho vissuto con la nomea di vecchio saggio e adesso ho come la sensazione che la mia pazienza stia venendo meno. Sarà a causa del giovane volto riflesso allo specchio... pensai distogliendomi dall'immagine che balenava di fronte a me, falsata dalla flebile illuminazione nella sera. Mi allontanai e presi posto alla scrivania, soffermandomi a leggere alcuni vecchi appunti sparsi su fogli ingialliti. Mentre assemblavo quelle carte per rimetterle a posto mi sovvenne una considerazione inevitabile rivolta ai Santi con i quali mi ero relazionato durante la giornata. Il fatto che stessimo vivendo in pace non implicava l'assenza di dissidi all'interno dell'istituzione, e il colloquio con Pisces ne era stato un chiaro esempio. Forse stare con le mani in mano non era una condizione ottimale per loro sebbene i Custodi delle Dodici Case dovessero – salvo, in casi estremi – presidiare i rispettivi Templi. Forse qualcuno necessitava di essere spedito in missione, magari ricoprendo incarichi di scarsa importanza che fungessero da distrazione o placassero gli ardori. Serrai uno di quei fogli volanti appallottolandolo tra le dita.

In realtà non ero così insensibile da ignorare le esigenze e le ragioni di ognuno, ma tutto ciò suonava davvero futile – e irritante – se comparato alle imprese del passato dove il susseguirsi tragico degli eventi non aveva lasciato il tempo per pensare e infondeva un senso di precarietà all'esistenza stessa. Proprio come questa falena che si sta avvicinando incauta al lume...

Eppure gli stessi Santi, i quali avevano vissuto l'odio e la guerra, ora redivivi, avevano bisogno di sperimentare una parvenza di normalità in quanto esseri senzienti fatti di carne, ossa, e sentimenti. Forse ne avevo bisogno anche io e la stessa Saori che, col suo candore, me lo ricordava ogni volta.

Mi levai in piedi dopo aver messo tutto in ordine, accostandomi alla portafinestra che si affacciava sulla terrazza; un'altra stagione si era conclusa lasciando spazio alla quiete silente e ovattata dell'autunno. Inspirai l'aria frizzante e mi soffermai a contemplare la sagoma della statua di Athena – avvolta dall'oscurità –, la quale dominava il vasto spiazzo stagliandosi contro la volta del cielo cui brillavano alcune stelle. Era un po' velato ma alcune si distinguevano meglio di altre. Nei giorni seguenti mi sarei premurato di consultare gli astri sebbene percepissi un confortante sentore di tranquillità. Probabilmente il mio presentimento non era correlato al destino del mondo o a quello di Athena, né a quello del Santuario stesso; bensì a qualcuno all'apparenza insignito di minore importanza e tuttavia parte integrante. Forse un singolo Santo, o alcuni di loro...

Sospirai indietreggiando per rientrare all'interno della biblioteca. Pensavo al mio ruolo e, a volte, lo percepivo come un gravoso fardello sebbene fossi consapevole che nessun altro avrebbe potuto ricoprirlo; né Saga, né Aiolos. Il passato era passato ma non si poteva annullare. Se Shion fosse sopravvissuto, se il suo destino fosse stato differente, avrebbe sicuramente assolto questo compito; pensavo spesso a lui, sentivo la mancanza di chi era stato un buon amico e mi chiedevo come si sarebbe comportato al mio posto.

 

***

 

VI

 

Dopo aver reciso l'ultimo fiore allungai lo sguardo alla distesa cremisi e alle propaggini che si abbarbicavano lungo la scalinata, per poi affacciarmi sporgendomi di poco oltre il parapetto della terrazza a strapiombo sulle pareti verticali della falesia e contemplare il mare: il cielo era limpido e proiettava riflessi sulle acque increspate e spumeggianti. Rimembrai le parole del Sommo scorgendo il Tempio principale ergersi alla mia destra: l'aurora tingeva le mura millenarie di un bagliore color arancio. Il riposo notturno mi aveva giovato, ero più tranquillo e – trascorsi alcuni giorni – riuscivo a vedere la realtà da una prospettiva differente. Sbirciai il calendario: era l'undici di ottobre, il giorno del compleanno di Misty. Decisi di scendere per fargli gli auguri mettendo da parte l'orgoglio, proprio come mi aveva suggerito Dohko.

 

Giunto alla Settima Casa non percepii il suo cosmo, mi sembrava strano poiché non aveva ricevuto l'ordine di allontanarsi dal Tempio, né gli era stata assegnata qualche missione altrimenti sarei stato il primo a saperlo. Varcai l'ingresso attraversando le sale scarsamente illuminate. Regnava un silenzio lugubre, infranto dal rumore scandito dai miei passi che rimbombava sordo nelle volte. Imboccai il vasto corridoio inframezzato da sprazzi di luce e ombre proiettate da statue e pilastri; il tratto finale fece capolino nel naos: quivi il totem giaceva splendente fendendo l'oscurità circostante. Mi attardai dinanzi al simulacro in rispettosa contemplazione, dopodiché abbandonai quel luogo inoltrandomi nell'ala privata del Tempio dove trovai tutto in perfetto ordine, ma di Ariele non vi era traccia. Stetti fermo a pensare fissando un anfratto buio tra le colonne, un punto cieco in cui non convergeva luce, né proveniente dall'esterno, né dalla fiamma dei bracieri. Il Tempio, nella sua vastità, era assimilabile a un antro desolato e tetro... in cui non c'era nulla che rimandasse alla presenza di mio fratello – o meglio – al suo temperamento egocentrico e solare. Come se quel luogo ancora non gli appartenesse, e viceversa. La porta della stanza da letto cigolò, era socchiusa, così come la finestra dalla quale spirava un refolo di vento. Una stanza luminosa, a dispetto delle premesse, ma disadorna: nella nicchia tra due lesene era posto uno specchio mobile a ruote, uno specchio...

Mi sorse un dubbio. Febo non poteva essersi palesato proprio nel giorno in cui avevo deciso di rivelare a Misty la verità sulle nostre origini, avrei preferito essere io stesso a confidargliela. Non volevo mi serbasse rancore per averglielo nascosto troppo a lungo e, con certezza, quella scoperta ci avrebbe allontanati ancor di più. Il sospetto mi fece perdere, sì, il lume della ragione perché invocai Febo col pensiero, lo pregai di aprirmi le porte del suo regno come spesso aveva fatto negli ultimi tempi, ma niente... sulla superficie dello specchio non comparve nulla all'infuori del mio riflesso. Serrai la mano a pugno, un fragore di vetri infranti sovrastò quel disarmante silenzio. Mi soffermai inebetito a guardare l'avambraccio sanguinante, le schegge avevano lacerato pelle e carne.

“Sei impazzito?!?” Dopo aver udito quella voce mi voltai con lentezza a causa del dolore e dello shock, e poi lo vidi: il mio fratellino. Misty...

Gli tremavano le labbra, era pallido e sgomento. Si precipitò verso di me strappando un lembo di stoffa dalla camicia per avvolgerlo a monte e rallentare il flusso del sangue che si riversava a gocce sul pavimento, mi avvidi che stava lottando contro se stesso per non cedere al disgusto. Mi trascinò fuori dal Tempio senza dire una parola; raggiungemmo la fontana e lavò la ferita sotto l'acqua corrente. Rimosse i frammenti di vetro con molta cautela estraendoli, uno a uno, con le dita sottili ed effettuò un bendaggio di fortuna. Ero sconcertato dalla sua capacità di mediare tra autocontrollo e impulso irrazionale; di porsi in perfetto equilibrio tra sentimenti contrastanti che contendevano nel suo stesso essere. Appose una mano sulla parte lesa e la sua aura mi lenì il dolore.

“È meno grave del previsto, non necessita punti di sutura.” Mi disse col volto imperlato di sudore, avevo la vaga sensazione di udire i battiti accelerati del suo cuore.

“Da dove sei sbucato?” Gli domandai.

“Ti piacerebbe saperlo, vero?” replicò con uno sguardo aperto che svelava tutto il suo acume. “Te lo racconterò; ma prima dovresti rilassarti mentre ti preparo una tisana... fratello” soggiunse, schietto, corrugando la sottile linea delle sopracciglia.

Chinai il capo e Misty, nel frattempo, era già scomparso all'interno del Tempio. Presi il volto tra le mani massaggiandomi le tempie e poi sedetti accostandomi contro lo schienale della panchina di pietra, osservando alcune foglie che si staccavano dalle piante sovrastanti il declivio inferiore.

Non si fece attendere molto. Sedette al mio fianco dopo aver riposto con mano tremante il vassoio sulla superficie libera. La bevanda annacquata contenuta nella tazza stava per traboccare, a dire il vero non aveva un aspetto invitante.

Misty sospirò, forse non sapeva da dove iniziare, ma io non affrettai i tempi rispettando il suo silenzio. Percepivo gli ansiti e notai il suo volto che non aveva ancora ripreso colore. Si alzò in piedi, iniziando a passeggiare avanti e indietro come se volesse scaricare il nervosismo che il linguaggio del corpo tradiva. Cominciò a raccontare, scrocchiò le dita prendendo un respiro, e poi proseguì rievocando i momenti salienti della sua esperienza.

 

Mi ero svegliato all'ombra delle fronde di un albero, una brezza diffondeva l'odore acre di muschio e licheni. Avevo rivolto gli occhi al cielo che s'intravedeva tra i rami di abete. Era una foresta di conifere, così diversa dalla macchia mediterranea che si estendeva attorno e sui pendii più bassi al Santuario. Quando scorsi il volto gioviale di Sileno realizzai di aver oltrepassato un varco dimensionale... non era una possibilità accessibile a chiunque, ma sapevo che poteva verificarsi per volontà divina.

Sei perspicace.” Il fauno sorrise tendendomi una mano e mi rialzai barcollante per scrollarmi il fogliame dalle vesti. Egli aggiunse, inoltre, che non mancava molto per raggiungere il Tempio di Apollo. Lo pregai di compiere un'altra sosta dopo quelli che erano sembrati estenuanti minuti di cammino – ero spossato – ma quell'essere non volle sentire ragioni.

Raggiunta la meta, non potevo negare a me stesso che fosse un luogo maestoso come mi aspettavo. Di una bellezza indescrivibile. Se il complesso architettonico del Santuario di Atene era monumentale, questo lo era di più e si confaceva alla magnificenza delle entità divine che vi dimoravano. I marmi candidi e preziosi si armonizzavano integrandosi con la natura circostante; i Templi si ergevano incastonati entro il circolo dei picchi montani, svettanti, a lambire il cielo stellato.

Misty...” Il fauno mi esortò a incamminarmi lungo la scalinata, presi un respiro perché il percorso era ripido e faticoso. Ero emozionato.

 

 

Questo è quanto...” Mi soffermai ad ammirare il volto dell'essere divino: era freddo, impassibile, di una spigolosa perfezione non dissimile alle figure scolpite nella pietra che ornavano i bassorilievi. Desideravo abbracciare mio padre ma dall'istante in cui lo avevo visto: assiso sul trono, bardato in sete preziose, adorno d'oro e di gemme, mi riscoprii distaccato a mia volta. Realizzai che nulla ci accomunava al di là della discendenza, concludendo che – probabilmente – i sentimenti comuni a noi mortali fossero avulsi dal mondo degli dèi o, in qualche modo, la natura divina fosse lungi dal nostro modo di concepire i rapporti umani.

Concluse il discorso dopo avermi messo al corrente di tutto ciò che, fino a quel momento, avevo ignorato – o quasi. E io non replicai in risposta alle sue parole, al contrario, mi asserragliai con diffidenza nel mio guscio.

Gli occhi vagavano a scandagliare il luogo che non avrei mai immaginato di vedere se non nei miei sogni: le decorazioni a festoni e girali, i mosaici; gli affreschi dipinti sull'intonaco narravano storie di dèi e di uomini come arazzi in cui s'intrecciano i fili del destino. Ogni dettaglio era caratterizzato da concreta inconsistenza; persino la figura del dio sembrava avvolta da un alone di luce spettrale, la quale, come un sudario, riluceva congiunta alle fiammelle di fiaccole e bracieri facendomi dubitare si trattasse di un essere in carne e ossa.

Non posso trattenermi nella vostra dimora, padre. Mi sono stati assegnati determinati compiti al Santuario, e non posso esimermi dallo svolgerli senza passare per disertore” dissi, riscuotendomi da quella fascinazione. Apollo aveva abbandonato il seggio elevato fermandosi a pochi passi.

Sei molto diverso da tuo fratello, il tuo modo di porti è differente.”

Aphrodite è un ipocrita, sì, siamo diversi.” (Il modo in cui avevo appreso che Aphrodite fosse mio fratello non mi era piaciuto affatto, e non potevo negare che mi avesse lasciato anche indifferente.)

Taci, sfrontato. Forse non ti è chiaro con chi stai parlando, o preferisci sia Athena a fare ammenda per l'insolenza dei suoi Santi?” Replicò Apollo, con una vena di scherno mista a indignazione. (Dovevo avergli mancato di rispetto. Ero convinto di essermi rapportato con i dovuti riguardi, o forse era il modo in cui mi ero espresso nei confronti di Aphrodite ad averlo irritato? Chissà... tuttavia, se così fosse stato, avrei avuto la conferma che mio fratello maggiore fosse un privilegiato anche agli occhi degli dèi.) Sospirai in silenzio mettendo ordine nei pensieri. Athena... pensavo alla dèa che fino a poco tempo fa avevo disprezzato, a quanto sembrasse misericordiosa e umana a confronto. Mi sovvennero le considerazioni di Algol a proposito degli dèi: di quanto fossero lungi dalle nostre debolezze, di quanto poco – o nulla – se ne curassero, e di come fossero immorali e abbietti.

No. Non lo farete, non coinvolgerete Athena.” Il mio era un atto di forza e in verità non ero in apprensione per Athena, mi premeva soltanto affermare me stesso e forse mettermi in mostra. Il dio si adombrò in viso sovrastandomi con la propria imponenza. Realizzai di essere stato investito da una sfera di luce nel frangente in cui mi destai riverso sul pavimento con gli occhi aperti rivolti al soffitto ligneo del Tempio, e con un sapore dolciastro in bocca. Mi voltai carponi cercando di rimettermi in piedi, nonostante le vertigini. Incredulo e frastornato per l'umiliazione levai lo sguardo ravviando la chioma scarmigliata, e tra i volti dei cortigiani scorsi quello triste e preoccupato di Sileno che doveva temere per le mie sorti. Mi aveva avvertito del fatto che Apollo avesse un temperamento irascibile e non dovevo contraddirlo ma, ahimè, avevo scordato le sue raccomandazioni.

Buona creanza... tu ne ignori il significato" sibilò il dio, costringendomi a guardarlo in faccia dopo avermi afferrato per i capelli. In realtà fissai un punto senza guardare nulla, senza sbattere le ciglia, sentivo qualcosa scendere lungo le guance e dovevano essere le lacrime che non riuscivo più a trattenere. Apollo allentò la stretta, mi prese il mento, passando con delicatezza un pollice sulle labbra per rimuovere il sangue. (Emersero dei ricordi in cui mi ero rivisto costretto a subire il medesimo trattamento per mano di mio fratello.)

Non puoi vantare trascorsi onorevoli, ma sei bello e l'avvenenza va preservata come un gioiello in una teca.” Detto ciò mi voltò le spalle riguadagnando il trono.

 

Lasciai che Misty si ricomponesse ridestandosi dai suoi ricordi, da qualcosa che credevo avesse omesso dal racconto; non voleva esternare il proprio sgomento ma io avevo intuito quanto fosse turbato. “Ti ha permesso di tornare indietro, al Santuario” affermai esterrefatto.

“Non per molto, esige la mia permanenza nella sua dimora. Ha detto che gli ricordo un certo Giacinto.”

“Giacinto era il suo amante. Il dio del Sole ne ha avuti molti, molte...

“Non ricordavo questo particolare inerente il mito.” Misty fece ricadere le sue bianche mani in grembo, pensoso. “Ma credo il suo sia un interesse platonico...”

“Da cosa lo hai dedotto?”

“È una semplice sensazione" disse piegandosi per raccogliere una foglia trasportata dal vento.

“E, così, vuole che tu torni da lui.”

“Sì, ed è meglio che io lo assecondi per il bene di tutti.”

“Mi aveva assicurato di non voler scatenare una guerra per un motivo del genere.”

“Infatti, credo non sia sua intenzione, ma è meglio non contraddirlo e farò come desidera” rispose, convinto, mentre rigirava il picciolo della foglia secca che si sbriciolò tra le dita.

“E, a parte questo... tu, mi odi?” azzardai temendo di infierire su una ferita già aperta.

“No, non ti odio. Ci sarà pure una ragione per cui tu riesca a entrare nelle grazie di molti, laddove io fallisco" disse stentando a dissimulare una velata amarezza che scaturì parola per parola. Riuscivo a comprendere la frustrazione che gli derivava dal competere con me anziché sforzarsi di migliorare se stesso.

“Grazie per avermi soccorso, Ariele” risposi, prendendogli la mano. D'incanto il mio livore svanì, si dissolse in quella stretta, e lui doveva essersene reso conto ma sgusciò via scostante, rigido come un pezzo di legno. Alzò il mento. La sua freddezza inibì un secondo tentativo di approccio da parte mia ma, d'altronde, era un tratto della personalità che non si smentiva... era solo un piccolo arrogante.

“Chiunque lo avrebbe fatto in simili circostanze, ma ti conviene andare in infermeria per una medicazione adeguata” replicò seccamente, passandosi una mano tra i capelli.

 

 
   
 
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