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Autore: UlquiorraSegundaEtapa    02/11/2019    2 recensioni
"[...] Eppure lo erano davvero: il marciapiede su cui hanno risuonato i passi delle tue scarpe, e il suono piatto dei piedi nudi; la sabbia fredda della spiaggia, su cui hanno lasciato impronte i tuoi piedi. Il mare che ha lambito il tuo corpo, le finestre delle case dalle quali ti sei affacciata, le porte che hai varcato, sulle quali hai appoggiato delicatamente le nocche, o che hai spalancato senza pensieri. Le vetrate dei bar dalle quali traspariva la tua immagine, le sedie su cui ti sei appoggiata. Gli specchi che hanno riflesso il tuo volto, le lenzuola che hanno accarezzato il tuo corpo. E quei posti nascosti che ora sono anche lontani, e mille altri mondi che abbiamo varcato insieme, anche se non potevo vederli, sapevo che c'erano. Ma almeno loro c'erano. E di te mi parlavano. [...]"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mondo parla di noi, e quel giorno il mondo mi parlava di te.
Tutto quanto mi parlava di te, nel suo silenzio, nella sua desolazione, nel grigiore del cielo, una placca d'argento sul mare piatto. Tutto era piatto, e tutto mi parlava di te. Della tua assenza, ed è strano, perché finché c'eri io non mi rendevo completamente conto del fatto che quei luoghi fossero tuoi.
Eppure lo erano davvero: il marciapiede su cui hanno risuonato i passi delle tue scarpe, e il suono piatto dei piedi nudi; la sabbia fredda della spiaggia, su cui hanno lasciato impronte i tuoi piedi. Il mare che ha lambito il tuo corpo, le finestre delle case dalle quali ti sei affacciata, le porte che hai varcato, sulle quali hai appoggiato delicatamente le nocche, o che hai spalancato senza pensieri. Le vetrate dei bar dalle quali traspariva la tua immagine, le sedie su cui ti sei appoggiata. Gli specchi che hanno riflesso il tuo volto, le lenzuola che hanno accarezzato il tuo corpo. E quei posti nascosti che ora sono anche lontani, e mille altri mondi che abbiamo varcato insieme, anche se non potevo vederli, sapevo che c'erano. Ma almeno loro c'erano. E di te mi parlavano.
Viviamo nella convinzione di poterci astrarre dal mondo, di poter vivere indipendentemente da ciò che ci circonda. Ma forse solo quando perdiamo qualcosa di veramente importante la realtà riesce a colpirci in tutta la sua forza. Forse dovevo perderti per poterti veramente sapere mia.
Io ti ho amata per tutto quello che mi hai dato senza mai chiedere nulla in cambio, e ti ho odiata, Dio! quanto ti ho odiata, perché da quando ti ho vista non ho più saputo vivere senza di te, perché da quando ti ho conosciuta il mondo non ha fatto altro che parlarmi di te. E ogni volta che una donna passa per strada, se ha anche solo un tratto che mi ricorda il tuo viso, io mi volto e la seguo con lo sguardo, sperando che si volti anche lei e mi saluti, e mi sorrida. Che mi dica "Ciao", e che mi faccia svegliare. Che mi faccia capire che questo non è altro che un sogno, che questo silenzio non è reale. E che non è così soffocante.
Questo penso, mentre sono all'estremità della banchina, e soffia un vento freddo. Alle mie spalle passano alcuni individui, ma non mi interessa. Solo una cosa ha il mio interesse ora, e come Maldoror guardo il mare sperando che ad alimentarlo sia il fiato caldo del demonio, e che il cielo freddo sopra di me non sia lo specchio di un vuoto regno addormentato.
L’unica cosa che mi riecheggia in testa sono le tue parole quella volta.
 
Non piangere perché Adamo ed Eva hanno perduto il loro paradiso. Nessun paradiso può dirsi tale se non lo si perde. E ognuno di noi ha la forza per coltivarne uno nel proprio cuore. Non fra le stelle, ma nei tuoi sogni io sarò.
 
ANGOLO DELL’AUTORE
 
Hola, popolo di EFP!
Questo piccolo esperimento è il primo che faccio con una flashfic. Ho ritrovato questo pezzo scritto fra i miei disordinati appunti; vi capita mai di riprendere in mano qualcosa a distanza di anni e di trovarlo meraviglioso, più di quanto lo fosse quando lo avete scritto?
A me ogni tanto succede, e così ho pensato di condividerlo. In realtà, questo pezzo si inserirebbe all’interno di un contesto più ampio, di un’opera molto complicata, molto personale alla quale lavoro da anni, ma che non mi sento ancora pronto a espletare. È strano, lo so, ma sento che è uno di quei lavori per i quali non ho ancora raggiunto la maturità necessaria. Tuttavia, questo pezzo ha ancora la sua forte carica emotiva, e mi pareva troppo bello per non sistemarlo e condividerlo.
Ci sono un paio di riferimenti letterari che giocano qui, e sono a Les Chants du Maldoror del conte di Lautreamont e a uno dei capisaldi della mia vita, Paradise Lost, di Milton.
Il finale, in particolare, fa appello a ciò che io ho appreso da Paradise Lost, anche grazie a studi futuri e a persone che me ne hanno parlato: il paradiso, se lo si pensa in un certo modo, non può esistere se non finché lo si perde. Finché ci si è immersi dentro, lo si dà per assodato, e non lo si considera un paradiso. Quando invece ne veniamo cacciati, i nostri genitori prima, e noi per conseguenza, solo allora possiamo veramente guardarci indietro, e scopriamo che ciò a cui stiamo guardando è un paradiso.
Ma la grande forza e il messaggio positivo di Paradise Lost sta nel fatto che ogni uomo può trovare la forza di coltivare un suo paradiso dentro di sé. Certo, quel paradiso non richiamerà mai quello originale, ma ogni uomo può farlo.
Rendere il proprio mondo, il proprio posto, un paradiso. È una lezione sulla quale credo dovremmo riflettere in molti.
Grazie a tutti per la lettura.
Ciao ciao da UlquiorraSegundaEtapa!!
  
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