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Autore: Jeo 95    03/11/2019    0 recensioni
[Saga del Filo Rosso; Storia 1- Destino Maledetto]
***
La leggenda del Filo Rosso del Destino è una romantica leggenda che racconta di come al mondo, per ogni persona, ve ne sia una predestinata, la cosiddetta Anima Gemella.
Eppure non è l'unico Destino che il Filo Rosso può creare. Ve ne è uno più cupo, crudele, che da secoli colpisce determinate persone, accomunate tutte da particolare accessori.
Lo sanno bene Tikki e gli altri Kwamii, o almeno dovrebbero, poichè quello stesso destino sta per bussare alla porta dei loro Prescelti, ancora una volta.
Memorie perdute, passati remoti, mentre le vecchie e le nuove generazioni di Eroi si incontrano, Marinette dovrà trovare il modo di sfuggire ad un fato che non desidera.
Perchè lei è Ladybug, ed il suo destino è scritto col sangue.
***
Spero che vi incuriosisca almeno un po? :3 non so quante saghe saranno, dipenderà dall'audience xD
Bacioni e ringraziamenti a chiunque mi seguirà
Jeo 95 =3 (o ArhiShay)
p.s. La storia verrà aggiornata ogni Mercoledì u.u
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Sorpresa, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
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Fil Rouge


Livre 1

~ Destin Maudit~

  

Tutto sommato -enorme pericolo in fiamme a parte- Adrien non poteva lamentarsi di come le sue giornate fossero migliorate nelle ultime settimane, da quando sua zia e Manuèl avevano deciso di sorprenderli con il loro arrivo: spendeva gran parte delle serate in compagnia di suo cugino, ridendo e scherzando come quando erano piccoli, finendo per addormentarsi con ancora i controller della console tra le mani dopo un'intensa sfida a Ultimate Mecha Strike III, conclusasi con un pareggio e la promessa di regolare i conti in una prossima sfida.

Anche il lavoro era diventato meno stressante, anzi si era rivelato quasi divertente partecipare a servizi fotografici e spot pubblicitari con la consapevolezza che nello stesso studio -e occasionalmente insieme- suo cugino stava lavorando esattamente come lui: Spagna o Francia, Manuèl era comunque uno dei volti principali della linea Agreste quanto lo era lui, ragion per cui né sua zia né suo padre avrebbero mai permesso che restasse indietro con il lavoro.

Era fantastico avere sua zia e Manuèl sotto lo stesso tetto, nonostante le circostanze non fossero le migliori -pensare alle condizioni che li avevano portati a Parigi era sempre una pugnalata al cuore per ognuno dei suoi famigliari, perfino suo padre- Adrien non poteva che gioire della loro compagnia, sentendosi un po' meno solo in una casa altrimenti troppo grande e vuota per lui.

Ancora non gli sembrava vero di poter passare i pasti in compagnia, di riuscire a chiacchierare con la zia sulle giornate trascorse tra impegni lavorativi ed uscite con gli amici, di avere la compagnia di Manuèl quando era obbligato a restare in casa senza nulla da fare: nonostante la presenza di Plagg e la sua immancabile compagnia, il calore e l'affetto famigliare erano qualcosa di cui aveva sentito terribilmente la mancanza.

L'unica situazione di cui si dispiaceva era che suo cugino fosse stato iscritto all'istituto privato Charlemagne -«Perdonami mi querido, credevo che Gabriel ti facesse ancora studiare a casa, altrimenti lo avrei iscritto alla tua scuola.»- non potendo così presentargli direttamente tutti i fantastici amici che si era finalmente fatto, situazione a cui avrebbe però posto rimedio non appena ne avrebbero avuto l'occasione: con la settimana della moda in avvicinamento e l'esposizione della nuova collezione del padre in avvicinamento avrebbero dovuto lavorare molto, ma Adrien era positivo che sarebbero riusciti a ritagliarsi del tempo per uscire e divertirsi come ragazzi normali.

Al picco della felicità, non avrebbe potuto chiedere nulla di più dalla vita: qualcosa c'era veramente, ma l'amore della sua Lady non poteva certo essere conquistato con facilità in un solo giorno, ma non aveva certo fretta, ed era sicuro che presto anche Ladybug si sarebbe accorta di quanto perfetti fossero insieme. Era solo questione di pazienza.

«Yo bro!» una volta sceso dall'auto salutò allegramente Nino, scambiandosi il classico pugno e avviandosi con lui verso l'ingresso della scuola, pronto a godersi una nuova e pacifica giornata all'insegna dell'amicizia e del divertimento -e dello studio, ma quello poteva passare in secondo piano.

S'incamminarono fino a raggiungere il cortile, dove le loro amiche si erano già riunite a parlare mentre aspettavano l'inizio delle lezioni. Adrien fu piacevolmente sorpreso di vedere Marinette già tra loro, puntuale e addirittura in anticipo rispetto a quanto non fosse solitamente: non che lui potesse farle alcuna predica, tra gli akuma e le ronde notturne con la sua Lady, gli unici motivi per cui riusciva ad arrivare in orario erano Nathalie, la sua rigida scheda d'impegni ed il fatto che venisse accompagnato dal Gorilla. Era l'ultima persona a poter far prediche da quel punto di vista.

Mentre le guardava non poté trattenere un sorriso di gioia nel vedere quanto bene Ameliè si fosse ambientata nella nuova scuola, dell'incredibile rapporto che stava costruendo -passo dopo passo, con calma e senza fretta- con Marinette e Alya, rallegrandosi che finalmente anche la più timida ed impacciata delle sorelle Bourgeois avesse trovato delle buone amiche su cui contare: credeva sinceramente che la grinta di Alya e la dolcezza di Marinette potessero farle senz'altro bene per sciogliere quel guscio di tensione e paura che la circondava, rendendola incapace di conversare pacificamente con chiunque e rendendo così vani i suoi tentativi di fare amicizia.

«Ehi ragazze!» le salutarono lui e Nino, scatenando nelle tre reazioni completamente diverse l'una dall'altra.

Alya ricambiò il saluto sorridendo, senza scomporsi minimamente, andando verso il proprio ragazzo in cerca di un abbraccio e di un bacio fugace che durò pochi secondi, ma che costrinse comunque Adrien a distogliere lo sguardo, imbarazzato.

Al contrario, Ameliè aveva compiuto un salto non indifferente, colta alla sprovvista e spaventata dalla loro improvvisa comparsa, balbettando un saluto e nascondendosi appena dietro la coda di capelli biondi che le ricadeva sul lato, in un vano tentativo di nascondere l'imbarazzo per l'ennesima figura da gattino spaventato che aveva fatto.

Marinette invece sorrideva, di quel sogghigno particolare che gli rivolgeva ogni volta che riuscivano a scambiare qualche parola di senso compiuto, prima che la ragazza iniziasse a balbettare frasi senza senso, strappandogli sempre un sorriso: nonostante le sue stranezze, Adrien considerava Marinette una cara amica, ed il modo in cui riusciva sempre a tirargli su l'umore aveva un che d'incredibile, non riusciva a darsi una spiegazione concreta, ma era una sensazione che non gli dispiaceva.

«Allora signor modello, sarà finalmente dei nostri o anche oggi i suoi impegni la terranno occupato tutto il giorno?» scherzò Alya, ricevendo in cambio solo uno sguardo confuso e spaesato da parte del suddetto modello.

«Mi sono perso qualcosa?» a giudicare dagli sguardi degli amici, probabilmente si.

«Ma come bro? Non ricordi? Oggi andiamo a mangiare un gelato dopo la scuola!» gli ricordò Nino, riaccendendo nella mente di Adrien il ricordo di quando gli stava venendo riferito.

Come aveva potuto scordarsi di un appuntamento così importate con i suoi amici? Beh, certo gli eventi degli ultimi giorni non aiutavano la sua povera mente a tenere conto di ogni cosa, ma comunque non era certo una cosa carina da fare ai suoi amici.

Si prese qualche secondo per pensarci, e se i suoi calcoli non erano errati, lui e Manuèl avevano un solo servizio fotogramma in programma quel giorno -schedato immediatamente dopo le lezioni-e nient'altro, quindi forse potevano riuscire a raggiungere gli amici una volta finito il lavoro: e nel caso suo padre si fosse dimostrato contrario, chiedere un piccolo aiuto a sua zia poteva risultare in una mossa vincente.

Era tutto troppo perfetto per essere vero.

Senza pensarci ulteriormente Adrien annuì sorridendo.«Dopo la scuola ho un servizio fotografico, ma dovrei riuscire a raggiungervi appena finisco! Va bene se porto con me anche mio cugino?»

«Certo! Più siamo, meglio è.» sorrise Nino. «Finalmente avremo l'occasione di conoscere il famoso cugino di cui parli tanto negli ultimi giorni! Sono davvero curioso.»

«Vedrai che ti piacerà, Manuèl è davvero un tipo in gamba.» Adrien stesso era euforico all'idea di presentare il cugino agli amici, poiché sperava di poter passare più tempo assieme a tutte le persone per lui importanti.

«Grande! Sentito Marinette? Non è fantastico che anche Adrien possa essere dei nostri?»

Annuendo all'affermazione di Alya, Marinette gli sorrise ampiamente, quasi tra i due fosse lei la più contenta che -nonostante gli impegni- avesse trovato il modo di poter uscire anche con loro.

«Sei fantastico... cioè! È fantastico che tu possa venire! Non che tu non sia fantastico, anzi... cioè sei molto più che fantastico, CIOÈ CHE BELLO!»

Ancora, quel piacevole calore si diffuse nel petto di Adrien mentre sogghignava alla vista della faccia frustrata di Marinette -cavolo, era diventata davvero rossa stavolta, sembrava quasi un'adorabile fragola matura!- mentre alle sue risate si univano anche quelle leggere ma divertite dei loro amici.

Era di questo che parlava: ovunque ella andasse portava gioia e sorrisi, senza fare niente di particolare per riuscirci, e non poteva che trovare questa -così come tante altre- sua qualità davvero fantastica.

Alya -probabilmente provando pietà per l'amica e volendo concederle una pausa dall'imbarazzo- decise di spostare la sua attenzione su Ameliè, un'altra persona che sembrava avere problemi ad uscire con l'approvazione dei genitori -beh, un genitore a dire il vero, e Adrien non comprendeva quale problema avesse Audrey Bourgeois nel concedere a sua figlia la possibilità di farsi degli amici, Chloè non aveva tutti questi problemi.

«E lei Cinderella? La sorellastra cattiva la lascerà venire al ballo o chiamerà la matrigna per confinarla in casa ancora una volta?» non avrebbe saputo descrivere la situazione meglio del paragone fatto da Alya.

«N-Nostra m-madre è volata a New York, u-un impegno improvviso c-con alcune modelle. N-non tornerà prima del m-mese prossimo.»

Il che per Ameliè significava poter respirare aria fresca, lontano dalle grinfie della madre che sembrava avere verso di lei una sorta di ossessione, un bisogno ingiustificato ed irrazionale di creare una mini versione di sé: la domanda -conoscendo la sua situazione famigliare almeno in parte- gli nacque spontanea.

«E ti ha lasciato qui? Da sola? CON TUO PADRE?»

Ameliè sorrise amaramente mostrando a tutti una schermata del cellulare in cui comparivano così tanti punti di un'enorme lista di compiti che superava senza ombra di dubbio tutti gli impegni di Adrien fino alla fine del mese.

«Mi ha lasciato dei c-compiti da fare, d-dice che a P-Parigi forse potrò i-imparare qualcosa.» rimise il cellulare nella tasca dello zaino da cui l'aveva tirato fuori, sorridendo verso gli amici.«L'i-importante è finire la l-lista, giusto? E s-se mentre la c-completo dovessi per c-caso incrociarvi e f-fermarmi per un gelato...» provò a fare l'occhiolino, ma era evidente che non era un'azione solita fare, risultando soltanto in una serie di facce buffe che strapparono una sonora risata a tutti i suoi amici. Ameliè era arrossita più di Marinette, torturandosi la punta dei capelli per cercare di nascondere l'imbarazzo e la frustrazione di aver fatto qualcosa di male.

«Ahahahahah sei grande Ameliè!» disse Marinette, mentre la circondava in un abbraccio comprensivo e solidale.«Non preoccuparti, siamo compagne d'imbarazzo! Ti proteggerò io da quelle risa malefiche!»

Continuarono a ridere e a parlare per diversi minuti, fino a quando il suono della prima campanella non li avvisò che era il momento di entrare in classe, prossimi ormai all'inizio delle lezioni: decisero di avviarsi, poiché anche se di buon cuore ed estremamente paziente, Mrs. Bustier non apprezzava i ritardatari.

«Allora, per quel gelato di cui parlavamo...»

«Maaaaaaariiiiiiiiiiii!»

Un tifone verde interruppe Adrien, costringendolo a voltarsi verso l'amica alle sue spalle per capire cosa fosse appena accaduto: sgranò gli occhi quando vide un ragazzo incredibilmente alto -ci mancavano solo i giganti ad invadere Parigi!- gettarsi quasi a peso morto sulle spalle di Marinette, abbracciandola di sorpresa.

Evidentemente lo sconcerto della scena fu soltanto suo, poiché gli altri amici stavano ridacchiando tranquillamente, e la stessa interessata non sembrava minimamente scossa dal peso improvviso sulle spalle, concedendosi anche una risatina e scompigliando affettuosamente i capelli verdi del misterioso assalitore.

Il cuore di Adrien saltò un battito, ma cercò di non darci peso.

«Hai scoperto in quale aula sei?» le sentì chiedere, mentre l'attenzione di tutti passava dal gelato alla nuova presenza apparsa alle spalle di Marinette, che ancora non sembrava intenzionato a lasciarla andare.

«Yup! Mr. Damocles mi ha appena fornito l'orario completo, e ho già intravisto alcuni compagni di classe, sarà una passeggiata!» Marinette guardò scettica il ragazzo, voltando appena il capo affinché anche lui potesse vedere il cipiglio dubbioso che le corrucciava la fronte.«Sul serio! Ti prometto che se dovessi faticare chiederò subito indicazioni!»

«Va bene, ma fammi sapere quando arrivi in classe... o se mentre ci vai inizi a vedere la Tour Eiffel...» fu il sarcastico commento della ragazza, che strappò una risata a tutti, escluso lui.

Ora, Adrien non era una persona irritabile e difficilmente concedeva agli altri la possibilità di vederlo irritato -salvo quando riceveva proibizioni assurde da parte del padre- ma doveva ammettere che qualcosa di tutta quella situazione gli stava procurando un certo fastidio alla bocca dello stomaco incredibilmente difficile da digerire: probabilmente era dovuto dal fatto che in quel determinato frangente si sentiva isolato, quasi tagliato fuori dalla conversazione -e no, non era assolutamente dovuto alla troppa vicinanza di quel tipo a Marinette, non c'era motivo per cui fosse quella la ragione.

Nino sembrò ricordarsi di avere un confuso migliore amico alle spalle, sbrigandosi quindi a chiarire finalmente la situazione.«Ah giusto! Ieri non sei venuto e non hai potuto conoscerlo! Adrien, ti presento un ragazzo del secondo anno di Lycée, Wen Nyug... Gyun... ehm, una mano amico?»

Il ragazzo rise, staccandosi -finalmente- da Marinette e avvicinandosi a lui con la mano tesa ed un grande sorriso stampato in faccia: sembrava simpatico, ma per qualche ragione la sola vista di quel tipo gli procurava un fastidio indescrivibile allo stomaco che gli impediva di accoglierlo come dovuto.

«Wen Nguyen, piacere!»

Adrien ricambiò la stretta, sfoderando il miglior sorriso di circostanza che riuscì a fare.«Adrien Agreste, piacere.»

Il viso di Wen si illuminò.«Ah, il famoso Adrien! I tuoi amici mi hanno parlato molto di te, non vedevo l'ora di conoscerti! Specialmente Mari, sai lei...»

Prima che potesse continuare, “Mari” cominciò a spingere Wen, il viso rosso quanto un peperone, insistendo nel volerlo accompagnare in classe per evitare che si perdesse -a quanto pare il ragazzo aveva un pessimo orientamento.

«Ma Mari...»

«N-Niente ma! Muoviti!» si voltò verso di loro, ancora rossa in volto, sorridendo nervosamente.«A-Andate pure, dite a M-Mrs. Bustier che la amo... CIOÈ CHE ARRIVO!» e sparirono così, lungo le scale del secondo piano, sotto gli sguardi divertiti -e irritati- dei loro amici.
 

***
 

«Chi era quello esattamente?»

Nino sussultò nel sentire il tono brusco con cui il suo migliore amico aveva posto la domanda, percependo tutta l'ostilità che sembrava provare nei confronti del nuovo arrivato: probabilmente non se ne era nemmeno reso conto, ma per loro che ormai lo conoscevano bene era stato immediato riconoscere il cambiamento nel tono di voce solitamente docile e amichevole.

Si girò a guardarlo, scorgendo negli occhi del migliore amico qualcosa che raramente gli aveva visto in volto, un'espressione corrucciata ed infastidita che di solito era rivolta tutta verso suo padre e le sue innumerevoli restrizioni.

Lanciò poi un'occhiata veloce alla propria ragazza, ritrovandosi a sudare copiosamente, in pena per l'ignaro amico: Adrien non riuscì a scorgere il ghigno saccente e calcolatore di Alya, troppo concentrato a seguire con lo sguardo Marinette e Wen.

«Il nipote di un conoscente, da quello che ho capito è arrivato in città da poco, ed il nonno di Wen ha chiesto a Marinette di prendersi cura di lui.» Alya non tolse lo sguardo da Adrien per tutto il tempo.

«Capisco...»

Nino lo conosceva talmente bene da sapere che, in quel preciso momento, Adrien stava combattendo una lotta interiore che non sapeva come placare, diviso tra il voler conoscere e fare amicizia con Wen e la nuova strana sensazione che probabilmente lo logorava da dentro, intimandogli di prendere a pugni il nuovo studente.

Se non fosse stato per il fatto che Adrien fosse completamente inconsapevole delle ragioni di questo suo conflitto, probabilmente Nino gli avrebbe riso in faccia, scuotendo il capo a quanto -nonostante l'incredibile cervello che si nascondeva sotto quella zucca bionda- il suo migliore amico risultasse ingenuo su certe questioni.

«S-Sembra simpatico, e M-Marinette dice c-che è un bravo r-ragazzo.» aggiunse Ameliè, completamente inconsapevole di aver alimentato ancor maggiormente l'irritazione inspiegata di Adrien.

Al contrario dei due invece, così come la sua ragazza, anche Nino aveva capito che c'era qualcosa di strano nelle reazioni di Adrien, e che se avesse lasciato correre, Alya avrebbe probabilmente ficcato il naso così da “aiutare” -«In buona fede! Non c'è alcun secondo fine!»- Adrien a capire cosa succedesse e perché fosse rimasto così turbato dall'incontro con Wen.

Decise di intervenire prima che Alya dicesse o facesse qualcosa che mettesse in crisi il suo migliore amico: amava Alya con tutto il cuore, pregi e difetti annessi, ma sapeva anche che spingere troppo sull'acceleratore e forzare Adrien in qualcosa che lui stesso non aveva ancora realizzato rischiava di rivelarsi una mossa controproducente. Non poteva semplicemente spingerlo tra le braccia di una ragazza che non amava per vedere quest'ultima felice.

Non c'era dubbio che volesse aiutare Marinette a realizzare il suo sogno d'amore, cavolo era sua amica da così tanto tempo che potevano definirsi fratelli, non esagerando nel dire che forse la conosceva quasi meglio lui di Alya, ma per quanto volesse vederla felice, non era disposto a barattare la felicità della ragazza con quella di Adrien: anche lui era suo amico e meritava di stare con qualcuno che lui stesso desiderava.

Per quanto gli dolesse dirlo, al momento Marinette non era la ragazza adatta a lui: lei vedeva soltanto la parte del ragazzo perfetto, incapace di andare oltre ed ignorando quasi inconsciamente i difetti e i sentimenti di quest'ultimo. Senza contare che -anche se dopo quel che aveva visto non era era poi così sicuro- Adrien non vedeva in lei che una buona amica e nulla più.

Nonostante la situazione sembrasse disperata, comunque Nino era fiducioso che, al momento giusto, entrambi avrebbero trovato la felicità l'uno tra le braccia dell'altra, ma solo quando fossero stati pronti ad accogliersi completamente, pregi e difetti annessi, senza obblighi e restrizioni.

Le reazioni di Adrien a Wen, per il momento, erano un inizio più che sufficiente.

«Coraggio, è meglio avviarsi o rischiamo di tardare.» per quel giorno era meglio non mettere troppa carne al fuoco e forzare la mano, quindi prese per mano Alya e la trascinò verso la classe prima che potesse dire altro, ricevendo un'occhiataccia a cui rispose con un ghigno ed un occhiolino.

La pazienza era la virtù dei forti.
 

***

 

Sdraiandosi con un tonfo sul proprio letto, assicurandosi di aver chiuso a chiave la porta della stanza, Ameliè abbracciò il cuscino, perdendosi a guardare il soffitto color crema, con il cuore che ancora le martellava in petto come un rumoroso tamburo dal ritmo scandito, costante e veloce, il sangue scorrerle veloce come un fiume in piena, inondandole le gote di un rossore pallido ma visibile.

Aveva il fiatone, l'adrenalina che le faceva scuotere il corpo di brividi incontrollabili, annebbiandole vista e mente che ancora non riusciva a realizzare quanto fosse accaduto solo pochi minuti prima.

«Sei stata molto coraggiosa signorina.»

Affondò la testa nel cuscino, imbarazzata, mentre la frase detta da quel gentile vecchietto ancora riecheggiava nelle sue orecchie, incapace di dimenticarla e lasciarsela alle spalle assieme agli spaventosi eventi cui si era ritrovata partecipe.

Coraggiosa.

Era stata coraggiosa per qualcuno.

La codarda, timida e fragile Ameliè era riuscita ad agire con coraggio, aiutando un povero signore anziano che era stato aggredito da alcuni brutti ceffi in cerca di soldi facili, accerchiandolo in un vicolo isolato che soltanto lei sembrava aver notato appena in tempo.

«H-Ho... aiutato q-qualcuno...»

Forse era ancora a causa dello spavento -le gambe le erano cedute un secondo dopo che i criminali erano fuggiti, spaventati dalla sua bugia sull'arrivo della polizia- ma il cuore sembrava non voler rallentare i propri battiti, unito però a una qualche sorta di felicità che Ameliè non aveva mai provato prima.

Non c'era solo paura in lei, ma una sorta di sollievo e felicità che non riusciva a spiegarsi, una sensazione strana ma per nulla sgradevole, nonostante il nodo allo stomaco che non sembrava volersi sciogliere -sicuramente a causa del nervosismo, di quello era certa.

Mentre un vortice di emozione le esplodeva nel corpo, il pensiero di Ameliè volò istintivamente a Chat Noir, al ricordo di come l'aveva salvata, e si chiese se magari -in una remota occasione che si ricordasse di lei- il giovane eroe non sarebbe stato orgoglioso di lei.

Arrossì, coprendosi nuovamente nel cuscino e dandosi da sola della sciocca, poiché un eroe impegnato e famoso come lui non aveva certo tempo di pensare ad una persona qualunque come lei: considerato poi che salvava centinaia di persone ogni giorno, non c'era certamente possibilità che potesse ricordarsi proprio di lei.

Eppure...

Eppure la speranza era l'ultima a morire.

Lasciando che il cuscino scivolasse nuovamente al lato del letto, Ameliè si mise a sedere, stringendo i pugni e sorridendo a sé stessa, per una volta fiera delle proprie azioni: anche una come lei poteva farcela se ci provava davvero.

Si ricordò all'improvviso di non aver ancora contattato Lila quel giorno, improvvisamente emozionata nel raccontare alla propria amica dell'avventura vissuta quel giorno: era anche merito delle sue parole che era stata capace di trovare il proprio coraggio, doveva ringraziarla a dovere.

Si alzò per recuperare il cellulare lasciato sulla scrivania, accorgendosi in un secondo momento che qualcosa d'insolito era poggiato proprio lì accanto, qualcosa di cui prima non aveva affatto notato la presenza: una scatolina nera, posata non troppo lontana da dove aveva lasciato il cellulare appena entrata in camera.

Corrugando la fronte, Ameliè tentò di ricordare se fosse qualcosa di appartenente a lei, ma più di pensava, più era sicura di non aver mai visto quella scatola prima d'ora.

Possibile fosse di Chloè?

Impallidì alla sola idea, terrorizzata anche solo nell'immaginare la reazione della sorella se mai avesse scoperto che qualcosa di suo era finito tra le sue mani: non importava che lei non fosse la responsabile di quell'errore, Chloè l'avrebbe accusata di furto e non avrebbe potuto dormire sonni tranquilli per paura della vendetta che, presto o tardi, sarebbe certamente arrivata.

Erano molto unite una volta, tempo prima, quando erano bambine innocenti a cui piaceva giocare con le bambole sognando l'arrivo del principe azzurro, quando la loro madre sembrava ancora innamorata del padre: ma quei tempi erano finiti, ed ora ad Ameliè non restava che il terrore nei confronti di quella sorella capace di ogni cosa pur di renderle la vita difficile.

Scuotendo il capo e ricacciando ogni possibile disastroso futuro nei meandri della propria immaginazione, Ameliè prese la scatolina tra le dita, decisa a riportarla a Chloè prima ancora che quest'ultima potesse accorgersi della scomparsa.

Mentre se la rigirava tra le dita si chiese come avesse fatto quella strana scatolina ad arrivare nella sua stanza, e cosa vi fosse nascosto all'interno: sembrava antica e preziosa, e la curiosità di sapere cosa vi fosse all'interno si fece sempre più forte, fino al punto che non riuscì a resistere, decidendo che si, l'avrebbe riportata il prima possibile al proprio posto, dando però prima una sbirciatina all'interno per scoprirne il contenuto.

Lentamente, con le mani che le tremavano visibilmente, Ameliè aprì il cofanetto, ma prima che potesse vederne il contenuto, una luce intensa la costrinse a distogliere lo sguardo mentre la paura di aver fatto qualcosa di sbagliato tornava a morderle la bocca dello stomaco.

Non riuscì a riaprire gli occhi fino a quando una vocetta impaziente non rimproverò le sue maniere poco cortesi e rispettose.

«Ti sembra forse questo il modo di accogliere un ospite?! Serrando gli occhi e voltando il capo?! Uff, grandi Dei, ma cosa insegnano al giorno d'oggi, “Mille e uno modi per essere cafoni”?!»

Incerta -e anche spaventata- Ameliè aprì prima uno poi l'altro occhio, ritrovandosi davanti ad una strana creaturina gialla parlante, tanto somigliante ad un'ape un po' fuori misura.

Rimase a fissarla per diversi secondi, incredula, scioccata, incapace di registrare ciò che si stava palesando davanti ai propri occhi.

Non era reale, non poteva esserlo.

«Ehi, ci sei?»

Non era reale.

«Ehi.»

Doveva aver per forza battuto la testa.

«Ehi!»

Non poteva...

L'esserino le si avvicinò, dandole un piccolo buffetto sul naso e soffiando irritato.

«Non lo sai che è maleducazione fissare una signora?!»

Era reale.

Era molto reale.

Ameliè rimbalzò all'indietro, cadendo sul letto e afferrando un uscino da usare come scudo, le lacrime che già copiosamente le si formarono alla base degli occhi, mentre cercava le parole da dire in un momento come quello.

Infine urlò.

 

 

 

 

«Ci sei Ameliè? Non è educato far aspettare gli altri!»

Annuendo alla piccola Kwami, Ameliè si diede un'ultima controllata allo specchio, aggiustando il Miraculous che faceva bella figura tra i suoi capelli, un fermaglio argentato all'apparenza normale che però poteva garantirle incredibili poteri che non avrebbe mai pensato di poter usare.

Si guardò un'ultima volta, attenta che nulla fosse fuori posto, lasciandosi poi andare ad un sospiro rassegnato: non importava quanto impegno ci mettesse, i risultati sembravano non essere mai quelli sperati.

Sentiva lo sguardo indagatore di Reein su di lei, intenta a studiarla per capire quale fosse il problema.

«Cosa, esattamente, non ti convince?» chiese la Kwami giocherellando con una delle antenne prima di risistemarla all'indietro, perfetta come se non l'avesse nemmeno toccata: alle volte Ameliè davvero la invidiava per quella sua perfezione naturale.

Non importa cosa facesse, Reein era sempre impeccabile e perfetta, l'esempio perfetto di quello che sua madre avrebbe voluto da lei, ma che Ameliè sapeva di non poter essere: non era una strada fatta di moda che voleva, ma sfortunatamente non era nata con la possibilità di scegliere e mai l'avrebbe avuta.

«È-È solo che... T-Tu sei sempre p-perfetta Reein, non importa c-cosa e come, e-e anche Chloè è così... mentre io... io...»

Lei era solo capace di rendersi ridicola ogni volta che tentava di combinare qualcosa di buono, quanto provava ad imitare anche solo in parte i movimenti aggraziati e fieri della madre, quando goffamente cercava di vestirsi con la stessa cura e stile della sorella, quando con incredibile fatica imitava i make-up che tante volte aveva visto sui visi luminosi delle modelle che sfilavano per Audrey Bourgeois sulle passerelle più famose del mondo.

Ad Ameliè piaceva il mondo lucente e accattivante della moda, semplicemente non era tagliata per farne parte come sua madre avrebbe voluto.

«Oh sciocchezze! Cosa mi tocca sentire, e proprio da una mia portatrice!» Reein le arrivò ad un soffio dal naso, puntando gli occhietti azzurri dritti nei suoi, ardenti di una fiamma che Ameliè le aveva visto diverse volte, quando parlava di qualcosa in cui credeva fermamente: non poteva credere che avesse quello sguardo mentre parlava di lei.

«Nessuna, e ripeto, nessuna delle mie portatrici è mai stata un disastro, e se lo è stata, dopo aver avuto a che fare con me ognuna di loro ha scoperto la bellezza che risiedeva dentro di lei, e tu mia cara non fai eccezione.» si allontanò appena, sistemandosi l'antenna che nuovamente era ricaduta in avanti, spinta dalla troppa foga con cui si era lanciata in difesa delle sua portatrice da essa stessa.«Sei lontana dall'essere perfetta? Ovviamente si. Commetti errori e sei impacciata? Dei, assolutamente sì. Non sai la differenza tra pumps e mules? A questo punto mi stupirei se la conoscessi.»

Ameliè avrebbe voluto dirle che sapeva trattarsi di nomi di scarpe, ma non lo fece, accorgendosi che in fondo Reein aveva ragione, che anche se ci avesse provato non avrebbe saputo dire cosa differenziasse un paio di scarpe dall'altro, né in quali occasioni era meglio utilizzare o l'una o l'altra: rimase quindi in silenzio ad ascoltare.

«Ma va bene così.» questo la colse impreparata.«Nessuno si aspetta che tu conosca tutto e subito, sei ancora giovane, sei intelligente e puoi imparare tutto senza fretta, con il tempo che più ti serve. Inoltre hai già delle ottime basi, sei di sicuro fra le cinque portatrici più carine che io abbia avuto, quindi del make-up non mi preoccuperei troppo. Per quanto riguarda lo stile invece... gnh, ragazza, dobbiamo lavorare su quel tuo bisogno di maglioni larghi il doppio, perché seriamente, capisco quando sei a casa da sola, ma in certe occasioni...»

Ameliè non la lasciò finire, stringendo la Kwami tra le proprie mani e coccolandola, sull'orlo di un pianto che però non si sarebbe lasciata scappare, non questa volta: le parole di Reein erano quello di cui aveva bisogno, un'ulteriore rassicurazione tra le mille aspettative che ogni volta sembravano volerla soffocare.

«Grazie R-Reein... sei la migliore.» la sentì sbuffare, ma Ameliè potè giurare che ad un certo punto anche la Kwami si fosse lasciata andare ad un piccolo sorriso.

Passarono diversi secondi, prima che Reein si liberasse dall'abbraccio, risistemandosi per bene e tornando nuovamente a concentrarsi su di lei.

«Ora basta incertezze, abbi un po' più di confidenza e ricorda: se scelgo io il tuo outfit, niente può andare storto!»

«C-Ci proverò!» rispose con quanta più convinzione possibile, ricevendo da Reein un occhiata incerta ed un cenno col capo.

«Ottimo, ora andiamo, a nessuno piacciono i ritardatari.»
 

***
 

Marinette era nervosa.

Molto nervosa.

Incredibilmente nervosa.

Era talmente nervosa che il suo stomaco si era contorto e ritorto in una spirale indefinita, quasi come la più complicata delle montagne russe con giri della morte costanti, una salita ed una discesa continua di ansia, paura ed emozione: ancora non riusciva a capacitarsi che un solo ragazzo riuscisse a scatenarle una così forte serie di emozioni da ridurla ogni volta ad uno scherzo di sé stessa.

«Marinette, ricordati di respirare ogni tanto.» scherzò Alya, ma Marinette non trovò in sé la forza di risponderle.

Era come paralizzata, un blocco di ghiaccio teso quanto una corda di violino, pronta a spezzarsi l'istante in cui fosse stata forzata a suonare una nota fin troppo lunga e stonata -e vista la rigidità con cui stringeva le spalle, non mancava molto affinché accadesse.

La sola idea di incontrare Adrien riusciva a renderla talmente felice che avrebbe potuto toccare il cielo con un dito anche senza l'aiuto del costume di Ladybug a garantirle i poteri, ma allo stesso tempo la innervosiva più di quanto lei stessa avrebbe mai potuto prevedere, facendola agire ogni volta come una completa stupida agli occhi dell'unica persona che davvero avrebbe voluto impressionare.

E oggi quella persona avrebbe portato con sé il proprio cugino: ottimo, non solo si sarebbe resa ridicola davanti ad Adrien, ma anche davanti ad un membro della sua famiglia. Perfetto.

Già poteva vedersi, presentarsi al fantomatico cugino con aria spavalda e sicura, prima di inciampare rovinosamente a terra, trascinando con sé lo sventurato rovinandogli i preziosi vestiti della collezione Agreste e magari ferendolo pure. E magari, mentre cercava in ogni modo di scusarsi e rimediare agli errori compiuti per non perdere la simpatia di Adrien, finire col rovesciargli addosso l'intero carretto dei gelati, finendo così permanentemente sulla lista nera della famiglia Agreste.

Il solo pensiero la fece tremare.

Niente futuro nella moda, ogni possibilità di lavorare per il Mr. Agreste rovinata per sempre, e la cosa peggiore era che non avrebbe mai potuto stare insieme ad Adrien, che l'avrebbe odiata per l'onta subita dalla famiglia Agreste a causa della sua inescusabile goffaggine.

Avrebbe rovinato tutto, rinunciando per sempre alla convivenza che progettava di proporgli una volta finito il college, niente matrimonio da sogno, con l'abito bianco disegnato da lei stessa e la torta preparata con amore dai suoi genitori, i suoi tre figli immaginari sarebbero rimasti tali, così come il criceto che voleva tanto adottare.

Quel piccolo, adorabile criceto...

Due mani le si posarono sulle spalle, muovendo le dita in cerchi concentrici atti a rilassare almeno in parte le spalle che erano ormai diventate cemento armato irremovibile, ma che collassarono come burro sotto il tocco apparentemente esperto e piacevole di Wen, spezzando il flusso di catastrofici pensieri che l'avevano quasi portata ad un collasso.

Si girò appena, guardando con occhi grati Wen, che sorridendo continuava a massaggiarle le spalle: fortunatamente era seduta su una panchina, altrimenti sarebbe probabilmente caduta a terra con un tonfo nel momento in cui era tornata a respirare normalmente.

«Rilassati Mari, vedrai che andrà tutto bene!»

Nonostante la convinzione e l'energia con cui Wen sembrava positivo riguardo alla buon andamento dell'uscita, Marinette non poteva che essere nervosa, sicura che qualcosa avrebbe rovinato quella piacevole esperienza.

E se non lo farà la mia goffaggine, di sicuro un'akuma verrà a rovinarmi la giornata...

Non avrebbe mai ringraziato Papillon abbastanza per tutti i fantastici pomeriggi in cui aveva dovuto mentire ai suoi amici -o ai suoi genitori, ai poliziotti e ai professori... wow, stava diventando davvero una bugiarda professionista, l'ironia- rovinando una o più occasioni in cui avrebbe potuto godersi la vita semplicemente come Marinette: adorava essere Ladybug, ma se ogni tanto il crimine si fosse preso una vacanza o due, di sicuro non si sarebbe lamentata.

Nonostante tutto però, non avrebbe rinunciato al suo ruolo da supereroina e a Tikki per nulla al mondo, troppo legata alla kwami della creazione per poter immaginare la sua vita senza di lei, e poi c'era Chat Noir...

Scosse il capo, attenta a non lasciare che nessuno vedesse il vivido rossore che le aveva imporporato le guance.

No si disse, il suo amare essere un'eroe non centrava nulla con la rassicurante presenza di Chat Noir accanto a lei, la sua personalità frizzante e spiritosa, i suoi giochi di parole non sempre divertenti, il suo fisico che -Marinette non avrebbe mai potuto negarlo- era incredibilmente mozzaf... COS- EH?!

Il rossore si intensificò notevolmente, costringendo Marinette a raggomitolarsi su sé stessa per nasconderlo, lasciando un confuso Wen a guardarla compiere una o più torsioni solo per nascondere il volto.

Calma Marinette, respira... non stavi assolutamente pensando che Chat Noir ha un bel fisico, non stavi ASSOLUTAMENTE pensando a lui con quasi la stessa aria con cui pensi ad Adrien. Devono essere gli ormoni, per forza...

Non c'era altra spiegazione per cui avrebbe dovuto vedere qualcosa nel suo partner se non un picco ormonale che, alla sua età era completamente normale -dopotutto Chat Noir era un bel ragazzo, non c'erano dubbi a riguardo- non stava sicuramente prendendo una cotta per il suo partner, non c'era possibilità.

Lanciò uno sguardo di sottecchi ad Ameliè, intenta a scambiare qualche goffa parola con Nino e Alya: anche se per qualche strano caso avesse iniziato a sentirsi attratta da Chat Noir -e non era questo il caso, soltanto per ipotesi- la sua nuova amica sembrava essere rimasta colpita dal giovane eroe vestito in pelle nera, e se c'era qualcosa che Marinette non avrebbe mai potuto fare era tradire un'amica.

Per quanto imparentata con quella strega di Chloè -nessuna offesa verso le streghe, tutte docili agnellini a confronto- Ameliè era diventata una persona importante nella sua vita, che anche senza conoscerla bene si era dimostrata dolce e l'aveva supportata nella sua cotta per Adrien dal primo momento: lei avrebbe fatto lo stesso, mettendo da parte ogni strano istinto che la spingeva verso Chat Noir e facendo quanto più possibile per avvicinare il ragazzo dietro la maschera alla sua nuova amica.

Non sapeva come ancora, ma avrebbe di sicuro trovato un modo.
 

***
 

«Allora Manuèl, come ti trovi nella nuova scuola?»

Il gelato di André Glacier era senza ombra di dubbio il più buono di tutta Parigi, forse anche il più difficile da gustare senza l'aiuto del gps che era diventato il nuovo modo in cui il gelataio itinerante faceva sapere ai suoi clienti dove fosse in ogni momento: ai tempi del bisnonno -una storia che lo stesso André si divertiva a raccontare di tanto in tanto- chi voleva gustare il suo gelato degli innamorati doveva seguire le tracce di gelato che venivano lasciate in giro per la città di proposito, e non era sempre scontato che riuscissero a trovarlo prima che attraversasse la città due, tre volte al giorno.

Era una specie di caccia al tesoro il cui premio era il più fresco, dolce e miracoloso gelato che la città avesse da offrire: forse anche per la corsa fatta per trovarlo, il sapore era più buono che mai.

Non era occorso molto per trovarlo quel giorno per trovarlo, una volta che Adrien e Manuèl si erano presentati di tutta fretta all'appuntamento, e dopo una buona mezz'ora passata per le strade in un divertente tour della città -con Wen praticamente al guinzaglio, per evitare che si distraesse e finisse per perdersi- si erano potuti gustare il premio della loro fatica.

Alya aveva osservato Manuèl per tutto il tempo -da brava giornalista quale sognava di diventare, scovare i dettagli nelle persone nuove che incontrava era ormai diventato un hobby quasi inconscio- e più ispezionava, più notava le somiglianze fisiche che lo rendevano parte dell'albero genealogico “Agreste”.

Assomigliava un po' ad Adrien nei tratti del viso, come fisico ed altezza, e per gli occhi verdi che erano brillanti quanto quelli del cugino, forse di una sfumatura più scura, ma non per questo meno belli e magnetici. I capelli erano più corti e neri come la notte, in perfetto contrasto con la pelle olivastra che era l'opposto di quella chiara di Adrien -«Un lascito dei miei geni spagnoli, credo! Mi padre ha lo stesso colore.»

Le era sembrato adombrarsi alla nomina di suo padre, tuttavia Alya sapeva di non avere abbastanza confidenza per potergli chiedere alcunché: voleva essere una giornalista ed indagare nei segreti degli altri era il suo mestiere, ma capiva quando era meglio non toccare certi tasti dolenti che potevano riaprire ferite non completamente rimarginate. Non era ancora così spietata, non del tutto almeno.

Aveva quindi optato per l'argomento scolastico, dando così la possibilità al nuovo ragazzo di potersi ambientare, parlando di sé e della sua quotidianità -e dando a lei la possibilità di studiarne il carattere e farsi un'idea su chi avesse di fronte.

«Non c'è male, Parigi è piena di gente strana ma amichevole, e le ragazze della Charlemagne sono davvero carine con l'uniforme.» lo vide lanciare occhiatine veloci ad Ameliè, intenta a gustarsi con gioia il suo gelato -More selvatiche per rappresentare i suoi capelli, yogurt al cioccolato come i suoi occhi!»- e verso Marinette, che cercava di difendere la sua coppetta -«Pesca rosa come le sue labbra, menta come i suoi occhi, una combinazione esplosiva che ti donerà il sorriso!» dagli assalti di un insaziabile Wen, che dopo aver divorato il suo cono -«Cioccolato al latte per rappresentare i suoi capelli, menta piperita, come il freddo dei suoi occhi!»- cercava di rubarne un cucchiaio alla sua migliore amica.

Ovviamente lo sguardo contrariato di Adrien non era sfuggito ai suoi occhi, ma aveva promesso a Nino di non affrettare le cose, e di lasciare a lui il compito di schiarire le idee al giovane modello: sapeva che il suo amore avrebbe fatto le cose nel modo giusto, dunque non vide il motivo per il quale non lasciare il destino della coppia predestinata nelle sue abili mani da DJ.

«Ma devo ammettere che anche le ragazze della Dupont non sono affatto male.» concluse, ammiccando verso di lei con malizia, lasciandola interdetta per qualche secondo, salvo poi ricambiare con un sorrisetto furbo e ferino.

Fisicamente forse poteva anche assomigliare vagamente ad Adrien, ma caratterialmente erano quasi diametralmente opposti: perché là dove le ragazze si innamoravano di Adrien senza che lui ne fosse consapevole o facesse nulla per attirarne l'attenzione, Manuèl era un rubacuori consapevole dell'effetto che faceva su molte esponenti del gentil sesso.

Alya poteva scommettere che i cuori spezzati da questo giovane una volta che fosse cresciuto -se non si fosse innamorato prima- non si sarebbero potuti contare sulle dita delle mani.

«Adulatore.» scherzò lei allora, ignorando il grugnito infastidito di Nino che le si fece più vicino, come a voler difendere il proprio territorio da un possibile alpha nemico che aveva superato troppo il limite. Era quasi carino quando faceva il geloso possessivo, ma era bastato un gesto di Alya per riportarlo in controllo, come se l'avesse rassicurato che non c'era alcun pericolo e che non era necessario rizzare il pelo per niente.«E dimmi, c'è qualche ragazza alla Charlemagne che ha catturato il tuo interesse?»

Lo vide scuotere le spalle, finendo quel che restava del gelato di cui non era riuscita a sentire la descrizione, quasi come se l'argomento non lo sfiorasse minimamente.«Sono tutte carine, ma nessuna particolarmente interessante.» sembrò però ricordarsi qualcosa, voltandosi verso Adrien e attirandone l'attenzione.«Ehi primo1 ho una tua conoscenza nella mia classe, una ragazza piuttosto seria, pare che venga a praticare scherma alla Dupont. Com'è che si chiamava? Tsumugi... Tsuyumi...»

Adrien sembrò capire a chi si stesse riferendo, sorridendo allegramente.«Ti riferisci a Kagami per caso? Tsurugi Kagami?»

«Esatto! Proprio lei!»

Oh-ho. La conversazione stava prendendo una piega inaspettata, ma Alya non sapeva dire se questa fosse una buona cosa o no.

Alya sapeva di chi stavano parlando, aveva fatto una ricerca su di lei per un compito in classe, ma rimase comunque sorpresa nello scoprire che Adrien fosse conoscente di quella ragazza: certo non avrebbe dovuto stupirsi più del dovuto, in molti articoli era stata evidenziata la rivalità che in gioventù aveva visto Gabriel Agreste competere con Tomoe Tsurugi -madre della ragazza in questione, schermitrice di incredibile talento e discendente di un'antica famiglia giapponese- non aveva mai però considerato la possibilità che lei e la figlia potessero trovarsi proprio a Parigi -non c'era nessuna specifica sulla loro posizione negli articoli che aveva spulciato!

Lanciò uno sguardo a Marinette, che sembrava ascoltare con interesse e palese preoccupazione -poteva leggerle le catastrofiche teorie che si stavano formando nella sua mente a velocità supersonica semplicemente guardandola negli occhi- mentre cercava di capire chi fosse il soggetto della loro conversazione.

«E-Ehm... p-per caso parlate d-della figlia di T-Tomoe Tsurugi?» ed ecco un'altra ricca pupilla dell'aristocrazia che Alya non aveva contato nei propri calcoli, dimenticandosi quasi che la timida e tranquilla Ameliè faceva anch'ella parte dell'aristocrazia parigina -e mondiale, da parte della madre.

«La conosci anche tu, Ameliè?» domandò stupito Adrien, sporgendosi verso la timida amica che aveva iniziato a torturarsi i capelli nervosamente, cercando di scaricare il nervosismo di avere tutta l'attenzione puntata su di lei.

«N-Non proprio. M-Mia madre ha l-lavorato ad una c-collezione in G-Giappone con la f-famiglia Tsurugi, n-non ci siamo m-mai viste prima.»

Al di là del contenuto della frase, Alya si sentì quasi fiera della sua nuova amica, che era riuscita a pronunciare una frase di senso compiuto senza fermarsi nemmeno un secondo, nonostante la balbuzia sempre presente, ma era già un grande passo avanti per una timida cronica come Ameliè.

«Anche io conosco la famiglia Tsurugi!» intervenne allora Wen, aggiustandosi meglio sulla panchina accanto a Marinette, non più interessato a ciò che rimaneva del gelato.«Il padre della signora Tomoe è molto amico di mio nonno, mi ha insegnato le basi del kendo prima di spedirmi in tibet per diventare un G... argh!»

«UN GRAN SACERDOTE TIBETANO!» intervenne urlando Marinette, ridendo nervosamente dopo aver tirato una gomitata non indifferente sul fianco di Wen, che ridendo acconsentì alla versione data dalla ragazza che l'aveva appena attaccato.

Alya li trovava alquanto buffi, quasi come due fratelli separati alla nascita che però non avevano mai perso quel legame speciale che soltanto i fratelli potevano condividere: Adrien non la vedeva allo stesso modo, e questo la divertiva ed esasperava al tempo stesso, perché andiamo! Non era possibile essere così ciechi!

Lo squillare di un cellulare attirò nuovamente l'attenzione su Ameliè, lasciando cadere da parte il discorso sulla famiglia Tsurugi, ma che Alya sapeva avrebbe dovuto riprendere in tempi brevi, appena fosse rimasta sola con Marinette: già poteva sentire le domande incessanti che la sua migliore amica le avrebbe rivolto, in un disperato tentativo di studiare quanto più possibile questo nuovo nemico di cui non aveva mai sentito parlare prima d'ora.

«Ah!» squittì di gioia Ameliè, tenendo gli occhi incollati al cellulare mentre un largo sorriso le cresceva sulle labbra: chiunque fosse, doveva averle scritto un messaggio veramente bello per renderla così felice.

Rispose velocemente, diteggiando sullo schermo senza mai rendere partecipe nessuno della conversazione che stava avendo, riponendo poi il cellulare nella borsetta e continuando a sorridere come se nulla fosse successo: se nessuno le avesse chiesto nulla nei prossimi tre secondi, Alya sarebbe stata la prima.

«Tutto bene Ameliè? Buone notizie?» Nino era un ragazzo d'oro, che sapeva sempre cosa fare per compiacerla perfino quando non esprimeva a parole le sue intenzioni: anche per questo lo amava alla follia.

Lei annuì ma non aggiunse altro, semplicemente dicendo che l'indomani tutto sarebbe stato chiaro, e che avrebbe spiegato tutto per bene, ma che non voleva rovinare a nessuno la sorpresa.

La giornata si concluse poco dopo, ma Alya poteva ritenersi soddisfatta delle osservazioni fatte quel giorno -l'unica cosa a disturbarla era il segreto di Ameliè, ma poteva aspettare una giornata per scoprire cosa nascondesse- tutte atte al compimento del suo più grande piano: tutti i pezzi erano quasi al loro posto, era ormai soltanto questione di tempo.
 

***
 

Nonostante il coraggio e la spavalderia con cui aveva preso quella decisione, ora che si trovava danti all'imponente edificio della scuola Françoise Dupont tutto il coraggio che aveva raccolto in quegli ultimi giorni sembrava come essersi dissolto in una nuvola di fumo che non sarebbe più riuscita ad afferrare.

Deglutì rumorosamente, indietreggiando di un paio di passi e guardando l'edificio dal basso verso l'alto, mentre uno sconfortante senso di vertigini le dava la nausea, pronta a farle rigettare quel poco cibo con cui aveva fatto colazione: avrebbe voluto che sua madre fosse lì in quel momento -«Oh cara! Sono così felice che tu abbia deciso di tornare a scuola! Cosa? Accompagnarti? Oh cielo, purtroppo ho una riunione all'ambasciata e non posso mancare, ma sono sicura che te la caverai!»- ma come al solito il lavoro era sempre un gradino sopra di lei, sempre più importante di una figlia con un trauma ancora fresco sulla pelle che doveva affrontare il ritorno in una scuola nella quale non era la benvenuta tutto da sola.

Non si stupiva nemmeno più ormai.

Fece un altro paio di passi indietro, sempre più incerta ed insicura, ed anche se le gambe le sembravano gelatina molle e viscosa, capaci di cedere da un momento all'altro se fosse rimasta ferma lì, era sicura che se si fosse messa a correre per tornare a casa queste ce l'avrebbero portata senza vacillare un solo istante.

Sono ancora in tempo per andarmene... non posso farlo, non sono ancora pronta... non posso... non possononpossononpossononpossononpossononposso...

Sembrava quasi che una mano le si fosse stretta al collo -sempre più forte, più costringente- impedendole di respirare come avrebbe voluto, privandola dell'aria necessaria e lasciandole bruciare i polmoni in cerca di sollievo. Il battito del cuore accelerava, il respiro si affannava, e tutto ciò che chiedeva era soltanto un po' di sollievo e di aria.

Portò le mani al collo, cercando istintivamente di rimuovere quel blocco invisibile, quelle mani maligne che le avevano mozzato il respiro, lottando, combattendo per liberarsi e poter così respirare nuovamente, ma più ci provava più difficile diventava: l'aria non sembrava arrivare, il corpo iniziava a dolerle e la mente svuotarsi, tutto attorno a lei prese a vorticare freneticamente, ed in un attimo il caos esplose.

Il ritmo dei respiri si fece più rapido, più intenso, annaspava, ma l'aria ancora non arrivava e lei ne aveva così bisogno: si chiese se non fosse questa la fine, con i polmoni in fiamme ed il cuore che martellava incessante, pronto ad uscirle dal petto per cercare quell'aria che le stava mancando.

La mente era vuota, sterile, l'unico pensiero fisso era trovare un modo per togliere quelle mani che le impedivano di respirare e ricominciare a farlo. Boccheggiava, sempre più spesso, sempre più forte, e anche se la bocca era aperta e funzionava l'aria semplicemente non arrivava e tutto si faceva confuso e caotico, mentre lei voleva soltanto la calma e un po' d'aria per poter finalmente respirare e respirare e...

«Ehi dolcezza, respira.»

Le piccole mani di Veeke le si posarono sulla guancia e fu come se un macigno avesse smesso di opprimerle il petto: le mani che le stringevano la gola con forza persero all'improvviso la presa, concedendole quel sollievo che aveva tanto bramato in quei pochi minuti di panico, quasi il kwami le avesse cacciate per darle la possibilità di respirare nuovamente.

Aveva gli occhi lucidi, la voglia di piangere che ancora le annodava la gola, ma che avrebbe trattenuto per non mostrarsi debole e spaventata davanti a quelli che erano i suoi compagni di classe -no erano nemici, tutti pronti ad abbandonarla qualora le sue parole non avessero compiaciuto coloro a cui le rivolgeva.

«Veeke...»

«Dolcezza, non dobbiamo per forza andare, lo sai vero? Se il pensiero di entrare qui ti fa stare così male da crearti un attacco di panico possiamo sempre tornare a casa. Possiamo guardare qualche film, dormire, farci una bella torta di carote...»

Le parole di Veeke in qualche modo la rincuorarono. Certo, aveva ragione lui, nessuno la obbligava a fare nulla: poteva tornare a casa, nascondersi di nuovo agli occhi del mondo, chiudersi nella sua stanza e lasciare che il mondo si distruggesse da solo. Sarebbe bastato poco, solo un paio di bugie e tutto si sarebbe risolto, non doveva far altro che mentire, manipolare e raggirare le persone, così che tutti facessero ciò che voleva lei: era sempre stata brava a farlo, la perfetta cattiva della storia no? Una bugia in più non avrebbe fatto la differenza, sarebbe comunque rimasta la stessa.

Si, va bene così. Mentire è l'unica cosa che so fare bene, se mentissi potrei finalmente...

«Tuttavia, non credo che tu sia una codarda.» il discorso di Veeke interruppe il flusso dei suoi pensieri, riportando l'attenzione sul kwami e sul significato delle sue parole.«Ti conosco da quanto Lila? Un mese o poco più? E so per certo che non sei una codarda.»

Un'espressione stizzita le deformò il viso, mentre ghiacciava con lo sguardo la figura del suo partner come se l'avesse appena insultata: cosa poteva saperne lui di lei? La conosceva appena! Lei era una codarda, lo era sempre stata! Una spietata manipolatrice bugiarda che senza la sua maschera di falsità non era nessuno!

Fece per urlarglielo, ma Veeke non le diede la possibilità di ribattere.

«Una codarda non avrebbe mai aperto la scatola del mio Miraculous, né si sarebbe trasformata per il bene di qualcun altro. Una codarda non l'avrebbe rifatto una seconda volta, per aiutare quella che è sempre stata considerata un nemico, né per salvare una città di cui non le importa nulla.»

Veeke le si sedette su di una spalla, accarezzandole con dolcezza il collo ed infondendole nel corpo un piacevole calore, ricordandole costantemente che non era sola, che anche se varcare quella porta la terrorizzava, lui era lì con lei, pronto ad aiutarla a superare ognuna delle paure che la bloccavano.

«Se non sei pronta non devi farlo oggi, qualunque cosa tu decida, io sarò dalla tua parte.»

Le parole del kwami la rasserenarono, e sebbene i dubbi e la nebbia che le avvolgeva il cuore non fossero spariti del tutto, ora Lila si sentiva più serena e sicura.

«Chi l'avrebbe mai detto, rimessa in riga da un folletto ossessionato dalle carote, sono davvero caduta così in basso?»

Fu il turno di Veeke di grugnire indignato.«Folletto?! Bella io sono un Dio! D-I-O! Non ti meriti la mia consulenza, tze!»

E Lila rise, lasciando che lo stress, l'ansia e la paura si dissolvessero al suono delle sue risate, tutto merito del piccolo esserino che sedeva offeso sulla sua spalla, braccia conserte e guance leggermente gonfie.

Forse quell'anziano vecchietto aveva ragione, lei e Veeke erano davvero fatti per essere compagni, forse dopotutto non era poi così indegna di riceverne i poteri: aveva ancora una lunga strada da fare per ritenersi completamente meritevole del Miraculous, ma si sentiva più fiduciosa della prima volta in cui aveva indossato la collana. Era già un buon inizio.

«Grazie Veeke, sto molto meglio ora.» sorrise, promettendo una leccornia alle carote come ricompensa per il suo sostegno.«Coraggio, facciamo vedere a tutti che la volpe non si lascia mettere nel sacco facilmente.»

Aveva paura, ma la presenza di Veeke accanto a lei fu abbastanza per darle il coraggio che le serviva a compiere il primo passo verso il suo nuovo inizio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N.D.A

1- Primo_ In spagnolo vuol dire "cugino", semplicemente Manuèl chiama Adrein cugino nella sua lingua natia.

 

   
 
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