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Autore: Marauder Juggernaut    05/11/2019    3 recensioni
{Dal testo}
Non fare domande di cui non si vuole sapere la risposta.
Una regola non detta, una legge non scritta, un dogma che era implicitamente entrato nell’inconscio di tutti i fratelli Charlotte.
[...]
Katakuri, perché non sei sposato?
[...]
“Sono la lama più affilata di questa famiglia. Devo mantenermi tale in ogni momento. Non avrò tempo per una moglie.”
Flambé era contenta di questo. Si mangiava con gli occhi il fratello maggiore e godeva dell’idea che non ci sarebbe mai stata una donna che avrebbe occupato il cuore di Katakuri. Ma Flambé aveva trentatré anni in meno del secondogenito maschio e non sapeva cosa era successo prima;
[...]
Perché Charlotte Katakuri, di donne, ne aveva avute.
E aveva amato ciascuna di loro. Appassionatamente, ferocemente, dolcemente, fino a perdere tutto il fiato che aveva in corpo e tutta la fiducia che aveva in quella vasta porzione di futuro che non riusciva a prevedere.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charlotte Katakuri, Nuovo personaggio
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Note autrice: Non ci sto credendo nemmeno io.


 
Yuma dal Regno Ryugu, parte seconda
 


«Mama, ma sai che Katakuri avrà una moglie?». Il secondogenito maschio sentì davvero il bisogno di strozzare Cracker in quel momento. Lo freddò con uno sguardo che fece rimpiangere al fratellino di aver parlato – o di essere nato in generale.
Ma ormai il danno era fatto. La piratessa si voltò sorpresa verso il secondogenito maschio, squadrandolo con disappunto da capo a piedi.
Rise, con un tono di sufficienza. «Cosa vuol dire questo, Katakuri?».
Il pirata si fece serio, sostenendo lo sguardo curioso e indagatore della madre; ma prima che potesse rispondere, Perospero si intromise con un sorriso malizioso che rendeva la sua bocca ancora più grande e agghiacciante. «Katakuri sta corteggiando una sirena che ha inavvertitamente colpito col proprio tridente poco più di un mese fa, perorin».
A sentire di quella nuova razza da aggiungere alla collezione famigliare, Charlotte LinLin si fece più interessata, uno sguardo languido che infastidiva Katakuri.
Non la stava corteggiando. Non era interessato a quello, non del tutto forse. Cercava solo una discreta compagnia al di fuori di quella famiglia che sembrava sul punto di allargarsi sempre di più: sua madre era nuovamente incinta e ciò significava che Katakuri sarebbe stato il maggiore di altri fratelli ancora.
Il capitano rise. «Chi avrebbe pensato che proprio tu tra tutti trovassi qualcuno…» insinuò poco velatamente la madre, riferendosi con un non detto alla sua bocca deforme.
Katakuri avvertì la bile risalire dallo stomaco per la rabbia. Mai come in quel momento aveva sentito la voglia di attaccare la propria madre; attaccare per fare male. Strinse la presa sull’impugnatura di Mogura fino a far sbiancare le nocche, mentre la pirata continuava con i propri vaneggiamenti.
«Dovrai portarla alla famiglia un giorno o l’altro…».
«È molto schiva ed essendo dell’esercito regolare del Regno Ryugu, non è auspicabile per lei farsi vedere in compagnia di pirati, al momento…» si giustificò rapidamente Katakuri, sperando che, nel contraddire la madre in quel modo, fosse stato comunque rispettoso del suo ego.
«Un soldato, eh? Meglio ancora, non dovremo spiegarle l’arte del combattimento!» esclamò estasiata il capitano al pensiero sempre più concreto di aggiungere alle proprie fila la razza delle sirene grazie a uno dei propri figli. Charlotte LinLin sorrise avida e zuccherosa. «Vedi di non fartela scappare, Katakuri!».
Il figlio non rispose. Si limitò a fissarla e a fare un cenno del capo, nascondendo dietro la calma l’incontenibile voglia ammutinarsi al proprio capitano.
 
«La tua coda sta guarendo…» notò Katakuri osservando come la carne oltre le squame si stesse ricompattando, lasciando cicatrici come ricordo del macabro incontro.
Yuma esaminò lei stessa le tracce delle punte di Mogura rimaste sulla coda; allungò la mano per andare a sfiorarle con le dita, sobbalzando appena quando avvertì la parte molle della cicatrice. «Fa ancora un po’ male, ma nulla di insopportabile: fra alcuni giorni tornerò al Regno Ryugu e darò notizia che non sono morta come sicuramente penseranno…».
Katakuri chiuse gli occhi, ma non negò a se stesso l’esistenza di quel macigno che si era aggravato nel suo petto quando lei aveva confermato la propria partenza. Era ormai indiscutibile quanto lui stesse bene quando era in compagnia di Yuma, come non avvertisse il peso della responsabilità della famiglia, sentendosi più leggero, svincolato da qualsiasi obbligo.
Si sentì osservato: alzò la testa e la sirena era ancora lì a guardarlo di sottecchi, come se non capisse cosa lo stesse affliggendo. I suoi occhi blu erano più vasti e brillanti del mare a mezzogiorno. Non sarebbe stato male affogarci dentro.
Si stupì da solo per quel pensiero assurdo e incoerente.
«Voi Charlotte quanto resterete ancora su quest’isola?» chiese, ma probabilmente solo per riempire quel silenzio che si era creato e protratto troppo a lungo, che aveva portato inavvertitamente Katakuri ad avvicinarsi ancora un poco a Yuma; perché erano settimane che la sirena non si allontanava più quando Katakuri le si faceva vicino; perché erano giorni che quando si sedevano vicini, a separarli c’era solo un alito d’aria.
«Un mese ancora al massimo … poi ci dirigeremo verso la prossima isola» rispose serio Katakuri, smettendo di guardarla per rimettere in sesto i propri pensieri che avevano preso una piega indesiderata ma allo stesso tempo fortemente voluta.
«Che sarà..?» e lasciò a Katakuri il compito di concludere la frase.
«Il capitano non ha ancora deciso» rispose secco, chiudendo il discorso; creando un altro silenzio carico di un’aspettativa di niente. Quelle assenze di parole colme di un qualcosa di indefinibile si erano fatte troppo ricorrenti negli ultimi giorni.
Fuori dalla grotta, il sole al tramonto tingeva di corallo il mare più calmo del solito, piatto come una tavola.
Il giovane pirata sospirò, chiudendo gli occhi. Era ora di tornare dalla famiglia.
Si alzò lentamente, mettendosi in spalla il tridente, ma delle dita sottili lo afferrarono per il polso prima ancora che lui potesse allontanarsi. Katakuri si voltò a guardare la sirena: Yuma era entrata in acqua e al di sopra della superficie c’era unicamente la metà umana che si sporgeva per fermarlo; l’enorme coda era deformata dal riflesso del liquido mentre si agitava per tenere a galla la proprietaria.
Gli occhi blu della sirena fissavano con tremenda serietà il giovane pirata; si mordeva le labbra, come se fosse sul punto di dire qualcosa di scomodo che non sarebbe piaciuto a Katakuri.
«Non ti ho ancora ringraziato adeguatamente per avermi … salvato la vita…». Sembrava le costasse ammettere di aver avuto bisogno di qualcuno; Katakuri aveva già capito dal loro primo incontro che in quel corpo esile e in quella lunga coda si nascondesse un orgoglio ampio quanto il cielo.
«Prego» rispose semplicemente il pirata, ma inginocchiandosi per essere alla sua altezza.
Yuma arrossì vistosamente e per un istante Katakuri temette di aver appena detto qualcosa di sbagliato.
«Vorrei ringraziarti in modo … più concreto…». La sua voce si era fatta quasi un pigolio mentre stava facendo un evidente sforzo per tenere alto lo sguardo e non abbassare gli occhi, nonostante la vergogna sembrasse pressante.
Il pirata capì e fu davvero combattuto tra l’allontanarsi e l’esporsi completamente a lei, convinto che si potesse davvero fidare.
«Yuma, non serve che…».
«Non vuoi?». I suoi occhi blu erano pieni di aspettative deluse, convinti di aver frainteso ogni gesto, ogni parola che si erano scambiati negli ultimi tempi. Katakuri davvero voleva rassicurarla dicendogli che sì, voleva, con ogni fibra del suo essere bramava quello che Yuma voleva dargli. Ma non poteva, lei non avrebbe capito del tutto, era troppo diverso quello che lui…
«Sì, voglio».
Katakuri passò un braccio dietro la sua vita, tenendola sollevata con disarmante facilità. Lasciò che abbassasse la sciarpa, lasciò che si avvicinasse e gli regalasse quel bacio leggero e tiepido che entrambi desideravano da giorni ormai. La schiena di Yuma era filiforme sotto le sue dita, le sue labbra morbide come schiuma. E Katakuri fu davvero, davvero grato che lei, per rispetto dei suoi segreti, avesse tenuto gli occhi chiusi per tutto il tempo. La lasciò andare dopo alcuni secondi, sentendo che risollevava a sciarpa per nascondere ancora la sua bocca.
I grandi occhi di Yuma erano liquidi come l’acqua dello stesso mare. Katakuri sentì le sue mani premersi di più contro la sua schiena, come se non volesse allontanarsi da lui per nessun motivo al mondo.
«Katakuri…»
«Yuma…» la sua voce si sovrappose a quella di lei, costringendo entrambi a zittirsi. Il pirata la fissò in silenzio. La sua gola secca non riusciva ad articolare nessun’altra parola che il nome di lei.
«Katakuri» lei si umettò le labbra e deglutì un groppo di saliva, a disagio «verrai qui, stanotte?».
«Come…» mai? Oh… «…desideri».
 
Era uscito di soppiatto dalla nave ammiraglia mentre tutti stavano finendo di cenare; purtroppo la ronda lo aveva sorpreso: Cracker, di vedetta sul pennone dell’albero maestro, era sceso di fronte a lui con un balzo e un sorriso incuriosito. «Vai da qualche parte, fratello Katakuri?» domandò con un ghigno; quella derisoria piega delle labbra aveva fatto fremere Katakuri dalla voglia di prenderlo a pugni, di metterlo a dormire per un po’, giusto il tempo per andare e tornare, convincendolo di non essersi mosso dalla nave quando si sarebbe svegliato.
«Ricognizione sulla terra ferma» spiegò con freddezza, senza staccare gli occhi dal viso del minore. Questi sembrava particolarmente divertito di aver colto il fratello con le mani nel sacco – o meglio, con un piede in fuga – e dal suo sguardo si vedeva benissimo che alla storia della ricognizione non credeva neanche un po’: Cracker non era così stupido da riuscire a fare due più due, unendo la storia della sirena con il suo sgattaiolare via in una notte calda.
«Vai a raccont…»
«Cracker, Mama richiede la tua presenza sottocoperta. Vuole che tu dia il cambio di guardia a Daifuku. Subito» lo interruppe Perospero comparendo da chissà dove, con un’espressione seria; Cracker lo guardò per alcuni secondi con espressione scocciata, prima di allontanarsi sottocoperta borbottando qualcosa.
Katakuri fissò il fratello maggiore con aria interrogativa mentre quest’ultimo si avviava per salire sul pennone. Perospero non si girò nemmeno per rispondere a quel muto interrogativo che Katakuri aveva in mente.
«Ho appena allontanato con una scusa chi era di guardia sul ponte stanotte, come minimo devo prendere il suo posto» spiegò annoiato, voltandosi solo in quel momento.
Katakuri lo fissò per alcuni secondi senza dire una parola, squadrando da capo a piedi il suo corpo longilineo. «Perché lo hai fatto?» domandò diffidente, facendo un passo avanti.
Perospero sorrise malizioso – molto malizioso – deformando la bocca e mostrando la lingua. «Perché tutti hanno il diritto di diventare grandi senza avere intorno nessun ficcanaso» ridacchiò, continuando a salire sul pennone.
Katakuri ringraziò la notte, la sua sciarpa e il suo temperamento gelido che lo fermarono dall’arrossire e surriscaldarsi come una pentola sul fuoco.
 
Le labbra di Yuma erano appena tiepide, per nulla timide, come se sapesse come muoverle sulla pelle di un amante e probabilmente era anche vero. Era Katakuri che non sapeva davvero come usare le mani, come accarezzare il suo corpo, come avere davvero un amplesso con una sirena.
Le dita del giovane uomo vagavano ora sul ventre candido, ora sulle spalle eburnee di lei senza avere davvero coraggio di scendere sui suoi seni, ora denudati della sua armatura come Yuma stessa aveva promesso.
Katakuri, nonostante fosse ancora giovane, già aveva affrontato battaglie che lo avevano lasciato sul filo del rasoio tra la vita e la morte, uscendone vincitore. Ma mai si era trovato tanto in difficoltà come quando Yuma prese i suoi polsi con un sorriso dolcissimo e rassicurante per portarli senza timore sui propri fianchi.
Katakuri deglutì rumorosamente, spostandosi indietro, insicuro.
La sirena sbuffò quasi intenerita, prima di prendere nuovamente l’iniziativa, dando un bacio leggero sullo zigomo del pirata così imbarazzato da essersi quasi bloccato. La sciarpa gli copriva ancora la bocca e, nonostante avvertisse il calore corporeo salire, non aveva intenzione di toglierla.
Lei respirò leggera sulla sua pelle, guardandolo con occhi privi di malizia. «Sdraiati qui con me, Katakuri…» disse tranquilla, picchiettando col palmo il terreno accanto a lei.
Katakuri si sentì un fallito nel fare anche le cose più semplici, ma ubbidì stendendosi accanto alla sirena; questa ridacchiò quando notò che il giovane si era messo a una decina di centimetri di distanza da lei.
«Non lì» chiarificò, avvolgendo le sue spalle con le braccia per trascinarlo contro il proprio petto «Qui».
Il pirata trattenne il respiro, avvertendo il suo petto vicino al viso, sentendo il suo corpo caldo che si stringeva al proprio in un’intimità che non aveva mai potuto provare prima.
«Agitato?» domandò lei quasi divertita, passando una mano tra i suoi capelli come per calmarlo. Sortì l’effetto sperato.
«Mi prendi in giro?» in quella domanda c’era meno risentimento di quanto Katakuri avesse voluto imprimere; stava facendo la figura del bambino che deve essere guidato e a cui devono essere spiegate le cose. Non era del tutto vero: Katakuri sapeva perfettamente cosa doveva fare, cosa doveva usare, come doveva comportarsi. Che poi l’imbarazzo e l’inesperienza lo fermassero era un’altra questione.
«Non ti sto prendendo in giro. Capisco la tua situazione…» mormorò con voce dolce Yuma nell’orecchio del pirata, accarezzandogli le labbra con le dita. Quel tono rassicurante calmò lo spirito agitato di Katakuri che - con un’audacia che non credeva di avere – posò una mano sul seno morbido della sirena. Lei esalò un respiro più forte impregnato di un’onda di piacere.
«Davvero?» mormorò più calmo il giovane pirata.
«Sì. Sei giovane, è comprensibile l’inesperienza» il suo tono era diventato ora un sussurro delicato e assuefante e Katakuri si domandò se era quella la voce delle sirene di cui si parlava nelle leggende, che incantava i marinai e li induceva nell’oblio degli abissi.
Katakuri avrebbe voluto lasciarsi trascinare con estremo piacere, come si stava facendo persuadere a farsi spostare la mano con un carezza fino al solco dell’anca, sulla cresta iliaca lì dove in una donna sarebbero iniziate le gambe. La sirena tremò tra le sue braccia, prima di alzargli il mento con un dito, forzandolo a guardarla negli occhi con delicatezza.
Il giovane pirata deglutì, ma già sentiva i propri movimenti più sicuri. Strinse nella mano il suo fianco, sentendo le formi simili a quelle di una signorina.
«Non mi devi dimostrare nulla, Katakuri: non la tua fierezza o la tua mascolinità. Adesso devi solo divertirti» lo rassicurò con dolcezza.
Katakuri inciampò con le dita sul suo corpo, respirò troppo vicino alla sua pelle, morse con bollente fervore la sua carne, ma non ebbe più dubbi.
 
Il sole cominciò a librarsi in volo al di sopra della linea perfetta dell’orizzonte: prima un arco, poi uno spicchio che crebbe in un semicerchio.
Katakuri era rimasto sul ponte della nave, appoggiato alla balaustra, ad osservarlo sorgere, ma senza guardarlo davvero, troppo impegnato a rivivere ogni secondo della nottata. Non si voltò nemmeno quando sentì dietro di sé la presenza di Perospero; si degnò di guardarlo solo quando il fratello maggiore gli mise una mano sulla spalla con fare fraterno e uno sguardo malizioso e insieme orgoglioso.
Katakuri sorrise, abbastanza soddisfatto di sé, ma non disse nulla.
«Stai bene, fratello?» gli domandò il maggiore senza staccargli gli occhi di dosso, come se cercasse curioso sul suo corpo una qualche traccia della notte che aveva appena trascorso.
Il minore sbuffò divertito: avrebbe dovuto togliergli la giacca per vedere i graffi, sollevargli un poco la sciarpa per notare i succhiotti.
«Sto bene».
«E lei sta bene?» gli chiese Perospero, suonando genuinamente interessato e inclinandosi un poco in avanti.
Katakuri sbuffò di nuovo, abbassando lo sguardo. Preoccupato. Intenerito. Innamorato. «Sì. È partita dopo stanotte: l’aspetta un lungo viaggio verso il Regno di Ryuugu…» rispose calmo, sfilando da sotto la sua sciarpa un foglietto quadrato che posò sul legno del parapetto della nave. Il pezzo di carta si mosse con un fruscio verso Sud-Ovest.
Perospero comprese con un’occhiata vivida e divertita. «Lei ha la tua, immagino…». Katakuri annuì, riponendo la vivre card di nuovo sotto la sciarpa proprio mentre il resto della ciurma cominciava a fuoriuscire da sottocoperta per iniziare la giornata; Katakuri invece avrebbe voluto solamente rintanarsi nella sua cabina per tornare a dormire.
«Non vedo l’ora di conoscerla» commentò infine il maggiore, allontanandosi per cominciare i suoi doveri per la ciurma.
Il secondogenito chiuse gli occhi: lui non vedeva l’ora di rivederla.
 
Cinque settimane.
Katakuri rimase impotente a guardare la vivre card che bruciava lentamente nel suo palmo per giorni, che si anneriva e si ricostruiva sula sua mano, urlando e ammutinandosi contro il suo capitano e la sua ciurma perché lo lasciasse andare, perché lo lasciasse correre da lei che si stava consumando nelle sue dita.
Non era un mistero cosa stava accadendo sull’Isola degli Uomini Pesce.
Pirati. Mai Katakuri aveva odiato tanto la sua stessa razza.
Probabilmente il secondogenito non avrebbe mai perdonato la madre che lo aveva confinato sul ponte della nave, temendo il suo impeto quando sul posto era arrivata già un’altra ciurma a proteggere l’Isola. L’urlo del pirata Barbabianca che giurava di proteggere fino alla morte il Regno di Ryuugu era risuonato troppo tardi: sulla mano di Katakuri era rimasta solo la cenere.
   
 
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