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Autore: Marauder Juggernaut    11/04/2018    3 recensioni
{Dal testo}
Non fare domande di cui non si vuole sapere la risposta.
Una regola non detta, una legge non scritta, un dogma che era implicitamente entrato nell’inconscio di tutti i fratelli Charlotte.
[...]
Katakuri, perché non sei sposato?
[...]
“Sono la lama più affilata di questa famiglia. Devo mantenermi tale in ogni momento. Non avrò tempo per una moglie.”
Flambé era contenta di questo. Si mangiava con gli occhi il fratello maggiore e godeva dell’idea che non ci sarebbe mai stata una donna che avrebbe occupato il cuore di Katakuri. Ma Flambé aveva trentatré anni in meno del secondogenito maschio e non sapeva cosa era successo prima;
[...]
Perché Charlotte Katakuri, di donne, ne aveva avute.
E aveva amato ciascuna di loro. Appassionatamente, ferocemente, dolcemente, fino a perdere tutto il fiato che aveva in corpo e tutta la fiducia che aveva in quella vasta porzione di futuro che non riusciva a prevedere.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charlotte Katakuri, Nuovo personaggio
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Doverose - doverosissime - note iniziali: 
Dovete sapere che non ho resistito; l'idea iniziale era di pubblicare domani questa storia, ma la verità è che non ho saputo trattenermi e ho voluto pubblicarla stasera. Questa storia avrebbe persino dovuto avere un banner, ma dopo il sesto tentativo ho rinunciato perché sono negata con la grafica.
Perché questa storia per me è importante. Come mai? Io ho una grande avversione verso i cosiddetti original character, sviluppatasi e ingigantitasi quando mi sono ritrovata sotto occhio tante, tantissime fanfiction contenenti personaggi originali perfetti. I tristemente famosi Mary Sue e Gary Stu, senza difetti, belli e dannati, a cui nessuno dei personaggi dell'opera sa resistere e con cui intrecceranno relazioni travagliate ma dall'happy ending.
E da questo mucchio non mi tiro fuori, perché ho sempre avuto l'impressione che se avessi creato un personaggio originale non sarebbe stato tanto diverso; per questo motivo praticamente tutte le mie storie hanno come protagonisti i personaggi veri dell'opera.
Open Window è stata l'eccezione, ma il personaggio là descritto era davvero qualcosa di talmente evanescente da passare in realtà in secondo piano, lasciando posto al vero protagonista della storia.
Qui è diverso, più o meno. I personaggi originali saranno presenti in dose consistente, co-protagoniste dell'opera. E io in questa storia, qualora abbiate voglia di commentare, vi chiedo di essere davvero critici; di dirmi se i personaggi scivolano nell'essere perfette oppure ho saputo dare la giusta dose di qualità e difetti che ogni personaggio, di ogni opera in generale, merita e possiede. Perché non si può mai migliorare davvero nella scrittura se si resta nella comfort zone e non si superano i limiti che si è imposti a se stessi in questo campo.
Marauder Juggernaut

Ps. Il titolo dell'opera è la -banale- citazione a un film. Vediamo se lo conoscete.

 





Tutte le donne del comandante 
 
 
 
La donna è nata dalla costola dell'uomo. Non dai piedi, per essere calpestata,
non dalla testa per essere superiore, ma dal fianco per essere uguale, 
sotto il braccio per essere protetta, accanto al cuore per essere amata.
(William Shakespeare)



Non fare domande di cui non si vuole sapere la risposta.
Una regola non detta, una legge non scritta, un dogma che era implicitamente entrato nell’inconscio di tutti i fratelli Charlotte. Magari il quesito si trovava propria sulla punta della lingua, premeva contro i denti e contro le labbra per uscire, ma il fiato si spezzava in gola e restavano solo non detti.
Cracker, come ti sei fatto quella cicatrice?
Perospero, perché sei così forte eppure non sei un Dolce Comandante?
Amande, perché sei così sanguinaria?
Tutte domande che non avrebbero trovato mai risposta perché nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di porle ai diretti interessati.
Katakuri, perché non sei sposato?
Questa in particolare lasciava spaesati parecchi fratelli. Erano in molti, in realtà, a non essere sposati nella famiglia Charlotte, ma Katakuri era il mistero più grande. Era un bell’uomo, era protettivo e dannatamente potente; solerte nel proprio lavoro. Perospero raccontava che era stato proprio Katakuri a dire alla madre, dopo aver ottenuto la carica di Dolce Comandante, che non si sarebbe più sposato.
“Sono la lama più affilata di questa famiglia. Devo mantenermi tale in ogni momento. Non avrò tempo per una moglie.”
Flambé era contenta di questo. Si mangiava con gli occhi il fratello maggiore e godeva dell’idea che non ci sarebbe mai stata una donna che avrebbe occupato il cuore di Katakuri. Ma Flambé aveva trentatré anni in meno del secondogenito maschio e non sapeva cosa era successo prima; anche perché la famiglia non ne parlava – e quando accadeva, lo faceva velatamente, per doppi sensi.
Forse perché la storia era quasi patetica da ascoltare – avrebbe macchiato la perfetta icona del terzogenito Charlotte; forse perché Katakuri stesso non voleva che si sapessero in giro i fatti propri.
Perché di Charlotte Katakuri di donne ne aveva avute.
E aveva amato ciascuna di loro. Appassionatamente, ferocemente, dolcemente, fino a perdere tutto il fiato che aveva in corpo e tutta la fiducia che aveva in quella vasta porzione di futuro che non riusciva a prevedere.
Ma il vero problema – che pochi conoscevano – era sempre stato lo stesso.
 
 
 Yuma dal Regno Ryugu, parte prima
 

La prima in assoluto fu Yuma.
Una sirena direttamente dall’Isola degli Uomini Pesce, quando Katakuri aveva solo sedici anni. Era più grande di lui di tre anni, ma il terzogenito Charlotte possedeva già la fisionomia di un uomo più adulto e maturo.
Yuma aveva i capelli turchesi legati in una corona di trecce e una coda grigia talmente grossa e lunga da far passare la proprietaria per un mostro marino, se vista nuotare un poco al di sotto della superficie. Cosa che era capitata a Katakuri; l’aveva arpionata col proprio tridente, ma l’urlo che ne era susseguito aveva fatto intuire al pirata che ciò che aveva colpito era più umano di quanto immaginasse. Il sangue aveva colorato l’acqua di un inquietante scarlatto e, capendo il madornale errore, il giovane uomo si era tuffato in mare per provare a porvi rimedio in qualche modo.
L’aveva presa e trascinata sulla terraferma, la sirena tremava tra le sue braccia e la ferita non accennava a smettere di sanguinare. Katakuri si sentiva quasi in colpa mentre Compote, compresa la situazione, risolveva la questione con delle medicazioni e delle bende sommarie. Lei non diceva una parola, paralizzata dal dolore e dalla paura di cosa sarebbe accaduto dopo. Non si fidava dei pirati.
«Ti avevo scambiato per un mostro marino» giustificò Katakuri una volta che la sorella maggiore ebbe finito.
Sul viso affilato della sirena passarono prima lo sconcerto e poi lo sdegno. Nulla la fermò dal tirare due schiaffi sul viso del pirata, prima con una mano e poi con l’altra. Il giovane uomo rimase spiazzato a guardarla mentre, incurante della ferita, lei si ributtava in acqua.
«Te li sei meritati entrambi». Quello fu l’unico commento di Compote che aveva osservato stupita la scena.
 
Katakuri non aveva ancora sviluppato haki della percezione abbastanza da prevedere le intenzioni degli altri, ma gli era sufficiente per avvertire tutte le presenze sull’isola su cui si trovava stanziata la ciurma di Charlotte LinLin in quel momento; anche quella che si era rintanata in un’insenatura che si restringeva in una grotta fra le rocce della costa frastagliata.
La ferita non smetteva di sanguinare.
«La ferita sta andando in suppurazione» fece notare Katakuri una volta che l’ebbe trovata. Era attrezzato con bende pulite, farmaci e strumenti chirurgici: il medico della ciurma e la sorella maggiore gli avevano insegnato qualcosa a riguardo.
«Temo l’abbia già fatto…» ribatté lei e il giovane uomo aveva poté godere della sua voce per la prima volta; era rauca per il dolore e lo sforzo.
«Sono qui per aiutarti.»
«Non ne ho bisogno». Una testardaggine e un orgoglio che stavano cominciando a dare fastidio a Katakuri.
«La realtà dei fatti dice altro». Fece un nuovo passo in avanti sul pavimento umido di quella grotta invasa per metà dal mare.
Lei strisciò indietro. «Non ci guadagni nulla nell’aiutarmi».
«E tu muori se non ti aiuto». La prospettiva così reale della morte abbatté quel muro di diffidenza che la sirena si era costruita intorno. Distese la lunga coda e le bende sfibrate che aveva applicato qualche giorno prima Compote ondeggiarono fradice e pesanti.
«Sai come si usano quelle cose che hai in mano?» chiese scettica dopo aver esposto la delicata ferita alle mani inesperte di Katakuri.
«Più o meno» rispose l’altro, guadagnandosi un’occhiata spaventata e poi imbufalita.
Lei gli strappò il bisturi di mano. «Dà qua. Tutto da sola mi tocca fare.» Guardò il ragazzo che a sua volta la stava fissando con un’espressione che diceva a chiare lettere “E adesso?”.
«Io chirurgo, tu infermiera» decretò, pronta a incidere la propria stessa carne. La lama del bisturi si avvicinò alle scaglie brillanti, prima di bloccarsi terrorizzata.
Katakuri sbuffò divertito, contento di essere ancora una volta dalla parte della ragione e rovistando alla ricerca di una bottiglia di vetro marrone. Guardò ancora la sirena. «Se vuoi, faccio io e tu ti bevi il rhum».
L’altra valutò valutare quell’offerta allettante, con ancora il bisturi sollevato a pochi centimetri dalla coda di pesce. «Quanto rhum hai?»
«Quanto basta» spiegò, mostrando altre bottiglie.
«Affare fatto» confermò, tendendogli il bisturi e afferrando la bottiglia, attaccandosi direttamente al collo. Aveva cambiato idea in fretta e per Katakuri sarebbe stato meglio avere un corpo senza sensi su cui lavorare. O che come minimo non avrebbe sentito il dolore dettato dalla sua inesperienza.
 
«Il mio nome è Katakuri Charlotte» si presentò una volta finita quella penosa operazione di drenaggio. Si stava asciugando le mani dal misto di sangue e altri fluidi corporei. Aveva cambiato le bende e applicato delle pomate antibiotiche, sperando che ciò bastasse a rimediare a tutto.
Chinata su una pozza di acqua marina, la sirena alzò la testa dopo aver tentato in tutti i modi di non rimettere anche lo stomaco in seguito a tutte le bottiglie di rhum che si era bevuta per sopportare l’operazione di un medico incapace.
Si lasciò cadere sulla schiena, con un rivolo di bile che le colava dalla bocca, ma abbastanza cosciente da saper mettere in ordine delle frasi sensate. «Non serve che me lo dici, bimbo. Li leggo gli avvisi di taglia…» bofonchiò, concentrata sul soffitto roccioso della caverna per non farsi prendere dai capogiri.
«Io non ho avuto l’onore di leggere il tuo» ribatté sarcastico, buttando da una parte il panno sporco e voltandosi ancora verso di lei che non si accennava a muoversi.
«Né lo avrai mai. Yuma, dell’esercito di Re Nettuno» affermò, prima di addormentarsi colma di alcool e stanchezza.
 
«Perché sei ancora qui?» domandò sorpreso Katakuri, tornato alla grotta giorni dopo, avendo avvertito ancora una volta la presenza lì. A onor del vero, la presenza da quella caverna non se ne era mai andata.
Yuma gli scoccò un’occhiata disinteressata, ma almeno si degnò di rispondergli: «Non sono così matta da cominciare una nuotata fino al regno di Nettuno con la coda in queste condizioni».
«Non ti ha però impedito di andartene alla svelta dopo avermi preso a schiaffi» le ricordò piccato.
Lei sembrò offendersi; la sua bocca si aprì in una perfetta “o” di puro smacco. «Mi hai dato del “mostro marino”, era il minimo che ti meritassi…».
«La tua coda è enorme, è stato un errore pienamente giustificabile».
La sirena, dopo quella frase, si raggomitolò su se stessa, avvolgendo le braccia attorno alla propria coda argentata, come per proteggerla. Il suo viso si contrasse in una smorfia in parte di dolore per la posizione assunta e in parte di sdegno e voltò la faccia con un gesto di stizza pur di non guardare in faccia Katakuri.
«È un difetto difficile da nascondere…» ribatté semplicemente e il secondogenito maschio della famiglia Charlotte avvertì la morbida sciarpa che portava attorno al collo farsi più pesante del piombo.
«Non ho detto che era un difetto» provò a giustificarsi e per la prima volta nella vita Katakuri sentì la propria voce abbassarsi fino a venire meno. Resistette in silenziò all’occhiata dubbiosa che Yuma gli stava lanciando. Lei distese nuovamente la coda: probabilmente il dolore si era fatto più forte.
«Forse per te no, ma per altri è stato motivo di divertimento. Non ci sono così tanti tritoni o sirene dalla coda a ventaglio così grande e lunga. E inoltre impedisce i movimenti nelle zone strette o non del tutto sommerse» si lamentò lei, dando dei colpetti dove ci sarebbe stata la coscia.
«Ti rende una preda facile» osservò, avvicinandosi di un altro passo.
Lei lo squadrò diffidente. Gli occhi erano di un intenso blu oltremare, tremendamente limpidi ed espressivi da renderla leggibile come un libro aperto.
«Sì, proprio così…». Sembrava sentirsi minacciata dalle parole del giovane pirata, che si immobilizzò  e alzò le mani con un gesto involontario, come a voler dimostrare di non avere cattive intenzioni.
Lei si ricompose subito. «Faccio il soldato proprio perché non sia troppo facile». Katakui non disse nulla, si limitò a studiarla per un’ennesima volta, come se non conoscesse già a memoria ogni fossetta del suo viso, tutti i tratti del suo collo, ognuno dei particolari della sua armatura.
«Perché non togli l’armatura? Deve essere pesante…». Yuma arrossì scandalizzata e Katakuri solo in quel momento realizzò cosa le aveva effettivamente chiesto; avrebbe dovuto formulare meglio la proposta.
«Vuoi un altro schiaffo?» ironizzò senza nascondere l’offesa, stringendo le braccia al petto come per nascondersi, come se non bastasse la robusta armatura che tintinnò a contatto coi suoi bracciali.
«Ho espresso male il concetto».
«Hai espresso molto male il concetto» lo corresse lei, strisciando indietro e urtando con le spalle la parete della caverna. Un animale in trappola.
Katakuri fu colto da un dubbio. Fece un passo in avanti; come a confermare le sue tesi, la sirena si mise in guardia con la serietà e la rapidità di un lupo e, impercettibilmente, tremò. Per un istante le spalle venivano scosse da un brivido ogni volta che il terzogenito Charlotte si muoveva.
Il giovane pirata corrugò la fronte. «Hai paura di me perché sin da subito hai capito il divario di forza tra di noi. Questo l’ho capito…» spiegò, facendo un altro passo in avanti; e un altro ancora. «Quello che non ho capito è cosa temi che ti faccia». Si inginocchiò di fronte a lei, ormai premuta contro l’umida parete della roccia senza alcuna via d’uscita; il suo sguardo blu era pieno di tensione scalpitante.
Katakuri continuò: «Che ti uccida? Che ti violenti? Che ti venda a mercanti di schiavi?».
Era palese che lei volesse unicamente spingerlo via per scappare – strisciare – fino all’insenatura marina e nuotare più lontano possibile da quel luogo; ma era chiaro persino a lei che, anche se ci avesse provato, quella sua lunga e scomoda coda sarebbe diventata un ostacolo e non sarebbe arrivata all’acqua prima che Katakuri la catturasse.
«Sei un pirata» rispose solamente; un titolo che poteva legittimare le intenzioni che Katakuri stesso aveva elencato. Non si sarebbe fidata lui.
Il giovane uomo non si mosse dalla propria posizione, ma anzi i suoi occhi si fecero più seri e penetranti e fu quasi tentato di avvicinarsi ancora. «Non farò nulla di quello che immagini» la rassicurò con tono basso, anche se ciò non sembrò calmare la sirena che stava ancora sull’attenti.
«Perché sei venuto qui, oggi?» chiese Yuma diffidente; il tono duro cercava di dissimulare inutilmente il tremore della voce.
«Fare conoscenza».
 
 
«Così tua madre vorrebbe creare una famiglia dove tutte le razze del mondo vivono in armonia?» domandò sorpresa Yuma, la punta della sua enorme coda sommersa nell’acqua per sfuggire a quella insopportabile calura dell’estate.
Katakuri annuì. «Il sogno sarebbe quello» confermò, sentendo il sudore colare lungo la tempia e dietro la nuca, scorrendo sul collo. Una vampata di calore lo colpì in pieno e sentì davvero il bisogno di buttarsi in acqua per trovare un minimo di refrigerio. Anche solo togliersi la…
No.
«E ci sta riuscendo?». La curiosità di Yuma pareva davvero ingenua.
Katakuri rifletté per un istante, alzando gli occhi al soffitto. Radunare tutte le razze che vivevano sulla Rotta Maggiore, in ogni mare e nel Nuovo Mondo, ci stava riuscendo; piccoli passi alla volta, non razzie di specie contro la loro volontà. Quello sì.
Sull’armonia, Katakuri avrebbe avuto da ridire per colpa della madre. Era solita riempirsi la bocca di belle parole sull’amicizia e l’affetto che ognuno in quella ciurma avrebbe dovuto provare nei confronti degli altri. Katakuri amava i suoi fratelli; non poteva dire lo stesso della madre nei confronti dei figli. Le cicatrici che portava sulle guance gli fecero male per un singolo istante, un dolore fantasma.
«Più o meno». Non indorò la pillola e quella sua schiettezza rese diffidente la sirena che lo fissò storto per alcuni secondi. Il suo sguardo fisso non accennò ad attenuarsi mentre si faceva un poco più vicina, strisciando sulla coda.
«Katakuri, ma non hai caldo con quella sciarpa?».
Come contrasto, a sentire quelle parole il giovane uomo gelò. Sarebbe stato da ingenui credere che Yuma non notasse quel particolare; lo sarebbe stato meno sperare che non facesse mai domande a riguardo.
«Sto bene così» il tono risultò più duro di quanto in realtà volesse. Yuma sembrò capire l’antifona e rimase immobile, sebbene fosse chiara sul suo volto la voglia di chiedere di più a riguardo. Perlomeno sapeva cosa fosse la discrezione e Katakuri le fu davvero grato per questo.
All’improvviso un ghigno apparve sul suo volto affilato e il pirata sapeva di non doversi aspettare nulla di buono; si mise in guardia, diffidente.
La voce di Yuma si trasformò in un miagolio divertito e sornione. «Eppure mi sembri parecchio accaldato, Charlotte Katakuri. Quello che sto per fare è tutto per il tuo bene…».
«Cosa hai intenzione di…» non ebbe il tempo di concludere la frase che un’onda d’acqua proveniente dalla pozza lo travolse in pieno. La sua irritazione fu però dissipata dalla risata divertita della sirena, che agitava la grossa coda appena usata come secchiata impropria.
Katakuri provò a fare un passo nella sua direzione, ma questa si era già immersa completamente in acqua allontanandosi verso chissà dove e lasciando al giovane pirata per quel pomeriggio nient’altro che l’ipnotica eco della sua risata.

 
   
 
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