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Autore: Mary P_Stark    08/11/2019    1 recensioni
Una serie di OS dedicate ai personaggi della Trilogia della Luna. Qui raccoglierò le avventure, i segreti e le speranze di Brianna, Duncan, Alec e tutti gli altri personaggi facenti parte dell'universo di licantropi di cui vi ho narrato in "Figli della Luna", "Vendetta al chiaro di Luna", "All'ombra dell'eclissi" e "Avventura al chiaro di Luna" - AVVERTENZA: prima di leggere queste OS, è preferibile aver letto prima tutta la trilogia + lo Spin Off di Cecily
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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Per una questione di sicurezza, né a Tyler né a Beth fu permesso di uscire dall’appartamento di Joshua perciò, per quel giorno, nessuno dei due tornò a casa.

Non che Tyler non si fosse aspettato quella decisione preventiva. Quale persona sana di mente avrebbe lasciato scappare una potenziale spia, dopo ciò che era stato detto entro quelle pareti?

Beth era a conoscenza dell’ubicazione della casa del capoclan del branco di Londra, ne conosceva il volto e sapeva che egli aveva una compagna. Era davvero in possesso di troppe informazioni, per poter essere lasciata libera di muoversi a suo piacimento.

Non senza che venissero chiarite una volta per tutte le sue effettive intenzioni, per lo meno.
Lui stesso poteva essere visto come un traditore e, in tutta onestà, non se la sentiva di dare delle colpe a nessuno dei suoi amici, a causa delle contromisure che avevano preso per tenerli d’occhio.

Ciò che però lo rendeva ansioso, ma che avrebbe dovuto attendere il ritorno di Beth perché questa condizione scemasse, era il tono della chiacchierata che stavano tenendo la sua donna e Keath.

Subito dopo la partenza di Joshua per il lavoro, Elizabeth aveva chiesto un colloquio privato con Keath, e il licantropo non ci aveva pensato sopra due volte ad accettare.

Senza dare spiegazioni a Tyler, aveva ordinato a Beth di seguirla sul tetto, dove Joshua e Gretch avevano sistemato un paio di sdraio e due ombrelloni per le giornate estive.

La giovane lo aveva seguito senza fiatare, e a Tyler non era rimasto altro che attendere paziente nel salotto del loft, in compagnia di Gretchen.

Ben sapendo che Keath non avrebbe mai disobbedito agli ordini di Joshua – che aveva garantito a Tyler la sicurezza di Elizabeth fino al suo ritorno – il giovane aveva preso per buono anche quella scelta.

Dopo più di un’ora, non vedendoli ancora tornare, Tyler non si sentiva però più così tranquillo all’idea di sapere la donna che amava in compagnia del lupo più pericoloso di tutta Londra.

Sospirando per la millesima volta, si passò le mani sul viso, scrutò Gretchen impegnata a lavorare al computer portatile – essendo insegnante, per qualche mese ancora sarebbe stata tranquilla – e si chiese cosa sarebbe successo, una volta giunta Cecily.

L’avrebbe sicuramente delusa e, quasi certamente, tutta la fiducia che lei aveva sempre riposto nella sua persona, sarebbe scemata nel nulla.

Eppure, Tyler non poteva negare al suo cuore di amare Elizabeth. Sapeva che nessun’altra donna sarebbe stata ugualmente importante, per lui, neppure la sua Fenrir.

La sua bellezza delicata non risaltava, in mezzo alle bionde mozzafiato che giravano per i corridoi dell’ateneo, eppure lui ne era rimasto subito colpito.

La sua chioma corvina, lunga e ondulata, circondava un viso delicato, dalla pelle chiara e gli intensi occhi blu. Occhi talmente profondi da sembrare neri, a un primo sguardo, ma che davano il meglio di sé sotto la luce del sole, quando ricordavano l’immensità dell’oceano più profondo.

Erano occhi attenti – per più di un motivo, aveva poi scoperto in seguito – e a lui erano piaciuti subito, prima di qualsiasi altra cosa.

Lunghe ciglia scure li accarezzavano a ogni sguardo, e a lui avevano ricordato subito quelli degli anime giapponesi, che tanto apprezzava.

Si era sentito ridicolo ogni volta, al solo pensarlo, ma la sensazione era rimasta. Gli occhi di Elizabeth gli ricordavano quelli stupendi delle eroine degli anime, e lui ne era rimasto stregato suo malgrado.

La sua intelligenza, invece, lo aveva intimidito, dapprima, e conquistato, in seguito. Con lei aveva seguito molti corsi e, in alcuni casi, si era anche fatto aiutare a rimanere in pari e, grazie a questa vicinanza ‘d’interesse’, avevano potuto approfondire la loro amicizia.

Da lì a innamorarsene, era occorso molto poco. Quale uomo sano di mente non avrebbe apprezzato di camminare al fianco di una donna così capace, così bella e così brava nel fare i muffin al cioccolato?

Sorridendo nonostante tutto, ripensò alla volta in cui, trovatisi in biblioteca, lei lo aveva raggiunto con una scatola di muffin da lei preparati.

Tyler si disse che, a farlo capitolare, erano state quasi sicuramente le sue doti culinarie, prima della sua bellezza o del suo carattere. Si riteneva assai debole, da quel punto di vista.

«Se vuoi sbirciare quello che sta succedendo sulla terrazza, nell’ufficio di Jo c’è un monitor che controlla proprio quel posto. Non sentirai il sonoro, ma forse ti sentirai più tranquillo» dichiarò Gretchen a sorpresa, sollevando il viso per scrutarlo.

«Ho sbagliato a innamorarmene?» domandò dolente Tyler.

Sospirando, Gretch si scostò dal notebook per scrutarlo in viso e, piena di compassione, ammise: «L’amore non si sceglie, arriva e basta, ma non ti nego che questa situazione è assai pericolosa. Se il giudizio di William non sarà positivo, lei dovrà morire e il tuo cuore, temo, si spezzerà per il dolore. Lance è sopravvissuto a un trauma simile, e ora è sposato con una donna che lo ama, ma non a tutti viene concessa una seconda occasione.»

Tyler assentì cupo, ma disse: «Lei mi ama. Non sta mentendo.»

«Lo spero per te. Dico davvero» annuì torva Gretchen.
 
***

La leggera brezza che spirava su Londra non bastava a scacciare calura e afa ma, su quella terrazza privata e ricoperta da begli ombrelloni rettangolari, si sopportava con più facilità.

Seduta su una comoda sedia a sdraio, Beth ammirava il paesaggio con apparente tranquillità, ma era ben lungi dal sentirsi tale, con un mastodontico licantropo seduto a pochi centimetri da lei.

«La tua paura sa di buono…» ghignò Keath, mostrandole un arsenale di zanne di tutto pregio. «… e di solito non è così. Solitamente, è aspra come acido da batteria, ma la tua profuma di agrumi.»

«Quindi? Significa che sono buona da mangiare?» gli domandò lei, accigliandosi a quell’accenno. Si divertiva davvero tanto, a tentare di spaventarla!

Lui rise derisorio, scosse il capo e replicò: «Non mi abbasserei mai a mangiare un essere umano. Sapete di stoppa. Inoltre, avete una carne dura e nervosa che proprio non mi va giù. No, Cacciatrice, significa che, anche se hai paura, sei determinata e salda nelle tue intenzioni. La determinazione sa di buono, e stempera la tua ansia.»

Elizabeth non poté esimersi dall’annusarsi un’ascella e, ancora, Keath rise, ma stavolta in modo più naturale e meno stizzito.

«Non sono odori percettibili per un umano. Tu puoi sentire se sai di sudore o di pulito. Nient’altro. Quel che avverto io sono le tue emozioni e, in parte, le tue motivazioni» dichiarò lui, sorprendendola.

«Quindi, sai che non mento?» esalò lei, più che mai sorpresa. Cosa voleva dire, con quelle parole? Cosa erano in grado di fare, realmente, i licantropi?

«So che c’è del vero, nel tuo dire, ma non posso trascurare nulla, quando c’è di mezzo il mio Fenrir, perciò tu dovrai essere giudicata da chi ha più potere di me, oltre che dalla mammina adottiva di quello scavezzacollo che si è innamorato di te» replicò Keath, facendo spallucce.

«Parli di potere, ma cosa intendi veramente?» domandò dubbiosa la giovane. Anche Tyler le aveva accennato a qualcosa del genere, nei loro discorsi, ma era sempre rimasto sul vago, quasi avesse avuto timore di inoltrarsi troppo in argomenti così sensibili.

Keath ghignò per tutta risposta, a quella domanda, e disse: «Pensate di conoscerci, ma avete solo scalfito la superficie. Voi sapete che siamo forti, che possediamo delle doti che rassomigliano a quelle dei lupi… ma quanto altro?»

Beth scosse il capo per l’esasperazione, rendendosi perfettamente della propria ignoranza, perciò asserì con semplicità: «Sappiamo che, in forma animale, le vostre impronte non sono rintracciabili, anche se non ce ne spieghiamo il motivo. In forma umana, invece, lasciate impronte come noi.»

Keath assentì, indicandole di proseguire.

«E’ sempre il lupo bianco, a guidare il branco, ma non conosciamo la gerarchia esatta all’interno del clan. Tu, per esempio, chi sei per Fenrir, e perché lui si chiama così?»

«Bambina, come ti dicevo, avete solo scalfito la superficie, ma non avete la minima idea di cosa vi sia dietro alla nostra razza, né in quale ginepraio vi abbiano infilato i vostri avi» motteggiò Keath, chiudendo gli occhi e lasciando che il sole lo baciasse col suo calore.

Beth lo scrutò piena di curiosità, notando la sua bellezza sopraffina, il modo in cui il volto appariva quasi cesellato da una mano d’artista. Per quanto si rendesse conto della sua pericolosità – le sembrava di trovarsi accanto a una tigre in libertà – non poteva non notare anche la sua ferina eleganza.

«Per farla molto breve, so che uno dei vostri uccise uno dei miei, e tutto ebbe inizio da lì» scrollò le spalle Beth, ritrovando la forza di parlare.

«Ti hanno mentito, ma come nel tuo caso, senza una controprova, che valore ha la mia parola, per te?» le disse lui, scrutandola distrattamente con un solo occhio.

«I lupi non abbassano mai la guardia, eppure tu tieni gli occhi chiusi in mia presenza, anche se sai che potrei essere tua nemica. Perché? Pensi davvero che non potrei farti del male, anche se sei tanto più forte di me? Sono addestrata a colpire, oltre che a difendermi» gli fece notare lei, non sapendo se sentirti insultata dal suo disinteresse, o rassicurata dal fatto che lui si sentisse abbastanza a suo agio da rilassarsi in sua presenza.

«L’argento ha un odore peculiare, e so che tu non ne hai con te. Indossi una collana in acciaio satinato – carina, tra l’altro. A mia moglie piacerebbe, visto che ama i delfini – mentre i tuoi anelli sono in lega polimetallica e non contengono argento. Lo fai per non ferire per errore Tyler, vero?»

Lei assentì cauta e Keath, stringendo le mani dietro la nuca con fare assolutamente disinvolto, aggiunse: «Nella borsetta non porti altri oggetti pericolosi, oltre a quello schifo che ci hai mostrato dabbasso, perciò sono tranquillo che non mi attaccherai a mani nude. Riguardo a chi sono io per Fenrir, ti dirò questo. Il migliore amico del mio Fenrir lo tradì per dei debiti di gioco, e ci vendette a un gruppo di Cacciatori per poter aver salva la vita. Alcuni strozzini lo cercavano per fargli la pelle, così ci usò per avere il denaro dai Cacciatori e sdebitarsi con chi doveva. Scoprimmo l’inganno grazie a mia moglie che, all’epoca, era solo una ragazzina umana. Alla fine, fui io ad ammazzare quel traditore. Sono questo, per lui.»

Beth annuì debolmente, deglutendo a fatica e lui, torvo in viso, mormorò: «Non permetterò mai più a nessuno di ferire a quel modo il mio Fenrir.»

«Che fine fecero i Cacciatori?»

«Vennero risparmiati. Fu loro candeggiata la memoria e rispediti a casa come se niente fosse» disse lui, sorprendendola non poco e provocando in Keath un sorriso derisorio. «Pensi davvero che ci piaccia ammazzarvi? Detestiamo essere braccati, è ben diverso.»

«Cosa intendi per… candeggiare la memoria?» esalò Elizabeth, sconvolta.

«Che esistono persone in grado di fare autentiche magie, bambina. La lady Fenrir che il tuo Tyler ha nominato, altri non è che la strega più potente di tutti i tempi… dai tempi in cui la mia razza nacque, per intenderci. Il tocco del suo potere potrebbe ridurre me e te a vegetali, se solo volesse ma, cosa più terribile di tutte, potrebbe ridurre il pianeta in briciole, se si incazzasse troppo.»

«Tu menti» ansimò scioccata Elizabeth, trovando inconcepibile ogni sua parola. Pensava davvero che avrebbe creduto a simili panzane? Non erano in un film fantasy!

«Ti piacerebbe» replicò Keath, serafico e per nulla turbato dalla sua incredulità. «Se William dirà che sei pulita, scoprirai un mondo che voi Cacciatori neppure immaginate… e saprai quanto è profonda la tana del Bianconiglio. Contenta?»

Accigliandosi, Elizabeth borbottò: «Ho visto anch’io Matrix. Cosa credi? Pensi di sorprendermi con battute a effetto?»

«Bene. Solo per questo, non ti ammazzerò. Promesso» sentenziò Keath, strizzandole l’occhio.

Facendo tanto d’occhi di fronte a quell’affermazione inaspettata quanto inquietante, Beth gracchiò: «Ma perché parli sempre di ammazzare e ammazzare? Il tuo capo non è così!»

Ghignando, Keath si avvicinò fino a sfiorarle il naso e, sardonico, chiosò: «Bimba bella… io sono Freki, il sicario del branco, e il mio mestiere è uccidere

Elizabeth ammutolì e, deglutendo a fatica, incamerò l’informazione non senza una certa fatica. Quindi, all’interno del clan, esisteva qualcuno deputato esclusivamente all’uccisione dei nemici?

Con tono più quieto, nel frattempo, Keath aggiunse: «Non ammazzo tanto per fare, bambina. Così come non ammazziamo i Cacciatori al solo sentirli nominare. Noi ci difendiamo, non vi prediamo. C’è una sottile differenza, ma è importantissima.»

La giovane si passò le mani tra i capelli, chiaramente frastornata da quella marea di informazioni – quanto le aveva nascosto, Tyler, nonostante si fossero parlati moltissimo, in merito?! – e ammise: «Sì, a ben pensarci, è così.»

«Il tuo uomo non ti ha detto molto, riguardo al funzionamento del branco, mi pare di capire…» dichiarò a quel punto Keath, vedendola annuire in risposta.

Freki sorrise compiaciuto, e aggiunse: «Ha fatto bene. Era giusto che te ne parlassero dei lupi più alti in grado. Non era compito suo dirti la verità su di noi.»

«Siete molto ligi alle gerarchie, mi pare di capire» mormorò lei, attirandosi le ginocchia al petto. Aveva l’idea che, da un momento all’altro, sarebbe esplosa per i troppi input, se non avesse trattenuto a sé il proprio corpo in qualche modo.

«Sono basilari, perché un branco sia coeso e funzioni. Io servo anche, e soprattutto, a questo» le spiegò Keath, atono. «Credi davvero che il nostro principale cruccio siate voi? No, mia cara. Sono i nemici interni, a preoccuparci maggiormente perché, ci piaccia o meno ammetterlo, la nostra parte umana ci condiziona molto, soprattutto per quel che riguarda il lato più oscuro di una vita di comunità.»

«Crisi di potere?» ipotizzò Beth.

«Tra le altre cose. Voi siete una scomodità in più, un prurito nelle parti basse che non vorremmo avere, ma che abbiamo sempre… perciò capirai il nostro fastidio, quando incappiamo in uno dei tuoi ex colleghi» ammiccò sardonico al suo indirizzo, prima di tornare a scrutare pensieroso la città.

Beth accennò un mezzo sorriso, di fronte a quella colorita metafora ma, soprattutto, per l’uso della parola ex. Era già un passo avanti, in un certo qual modo.

«Credo che, se si potesse organizzare una sorta di Conferenza di Pace tra voi e noi, si potrebbero risolvere almeno in parte i problemi» buttò lì Beth, ottenendo però soltanto di far ridere flebilmente Keath.

Sinceramente spiacente, lui replicò: «Forse non mi sono spiegato, bambina. La nostra parte umana e la vostra, si scontreranno sempre. Se la cosa si riducesse a pochi membri di ogni clan, forse sarebbe anche fattibile, ma non con tutte le parti in causa presenti a questo fantomatico G8. Ti pare che, al mondo, le guerre siano magicamente finite perché fanno i Summit per la Pace?»

«No» mugugnò Beth, ammettendo quella tragica realtà.

«Saremo sempre in conflitto per il solo fatto di essere diversi. E’ nella natura dell’uomo aver paura delle diversità e, per quanto si progredisca, questo fatto rimarrà nel nostro codice genetico come una pestilenza non debellabile» mormorò Keath, prima di aggiungere: «Mio padre abbandonò me e mia madre perché odiava che io avessi il gene della licantropia dentro di me. Odiava talmente tanto se stesso, e il suo essere lupo, da decidere di lasciare entrambi noi per cercarsi una donna umana, e ora è felicemente sposato con lei e hanno un bambino senza pelo. Perciò, se persino tra noi ci sono persone che si odiano con così tanto livore, di cosa ti stupisci che esista la faida tra noi e i Cacciatori?»

«Mi spiace» mormorò Beth, sorpresa che il lupo si fosse aperto così tanto con lei. «Mia madre e mio padre si detestano, ma stanno insieme perché le famiglie non accetterebbero mai un divorzio, e loro stessi non vogliono essere additati come i primi, in famiglia, a lasciarsi. Perciò si ignorano bellamente e, se non ho capito male, mia madre ha un amante da qualche parte, qui a Londra.»

Sbuffando, Keath le schiaffò una manata in testa a mo’ di consolazione e Beth, per poco, non sentì il collo andarle in briciole. Di certo, come dimostrazione di comprensione, fu assai poco delicata, ma la giovane la apprezzò in ogni caso. Dopotutto, sembrava davvero che quel grosso lupo non l’avrebbe divorata.

«Non mi hai ancora detto il perché dei nomi. Perché proprio Fenrir? Non ha una connotazione negativa, in ambito mitologico?» domandò a quel punto Beth.

Keath sbuffò per tutta risposta, replicando: «Stavo pensando a come risponderti, a dire la verità, ma non esiste un modo semplice per dirlo, perciò te lo dirò e basta… in sostanza, con quel titolo, onoriamo nostro padre. Il nostro primo padre.»

Elizabeth strabuzzò gli occhi, si aggrappò ai braccioli della sedia a sdraio e sbottò contrariata: «Ora so che mi stai prendendo in giro. Forse, e sottolineo forse, potrei anche arrivare a credere che avere un qualche genere di potere soprannaturale, ma andiamo… Lui non è mai esistito! E’ solo un mito nordico, così come tutti i nomi che hai usato fino a ora!»

Keath allora scoppiò in una calda, bellissima risata che fece arrossire suo malgrado Beth. Quel suono emesso dalla gola del lupo era piacevole, caldo e avvolgente, e trasfigurava il volto dell’uomo al suo fianco, rendendolo ancor più affascinante e misterioso.

Pur amando Tyler, non poté che apprezzare e ammirare il carisma e lo charme di quel licantropo così ombroso e serio. Era talmente difficile non guardarlo con interesse, da chiedersi se i licantropi possedessero un qualche genere di potere a livello sessuale.

Di sicuro, Elizabeth ne era rimasta davvero colpita e, con una certa dose di imbarazzo, si chiese se il licantropo, grazie al suo fiuto, si fosse reso conto di questo particolare.

Sperò ardentemente che, qualsiasi fosse la risposta, lui fosse così educato da non fargliela notare.

Sollevandosi dalla sedia a sdraio con un fluido movimento di gambe, Keath le allungò una mano con un sogghigno malizioso dipinto sul volto e aggiunse: «Vorrei davvero farti conoscere lady Fenrir. Allora che non avresti più dubbi… ma forse moriresti di paura. Chissà.»

Elizabeth accettò cauta quella mano e, nel risollevarsi grazie al suo aiuto – fu come essere trascinati dalla forza di una gru – gorgogliò preoccupata: «Perché… chiamate lady Fenrir questa fantomatica persona?»

Lui però non rispose direttamente alla domanda, limitandosi a dire: «Aspetta di conoscere quella sciroccata che guida il branco in Cornovaglia. Al resto, arriveremo per gradi.»

Tornando nel loft di Fenrir di Londra assieme a Freki, Elizabeth cominciò a familiarizzare con l’idea che, questa fantomatica Tana del Bianconiglio, fosse più profonda di quanto avesse in principio immaginato.

Contro chi stavano realmente combattendo, i Cacciatori?
 
***

Tyler avvertì l’arrivo della sua Fenrir molto prima che la donna imboccasse la porta del condominio dove Joshua e Gretchen abitavano. L’onda del suo potere riverberò all’interno dello stabile come una tromba d’aria e, rabbrividendo, si passò le mani tra i capelli castani ed esalò: «Dio! E’ incazzata come una bestia!»

Beth lo fissò dubbiosa mentre Michael – Hati del branco – e Gretchen si guardavano vicendevolmente con aria preoccupata.

Michael Buckanan si era sostituito a Keath nel tardo pomeriggio, raggiungendo il loft di Fenrir ancora in divisa da poliziotto, e confermando a Beth i sospetti dei Cacciatori riguardo ai licantropi. Era dunque vero che vi erano alcuni membri dei clan all’interno delle forze di polizia, e questo spiegava come certi eventi fossero stati mascherati – o cancellati – nel corso degli anni.

Tornato una decina di minuti addietro dal suo ufficio proprio per essere presente all’arrivo dei membri del clan di Falmouth, Joshua sospirò esasperato e borbottò: «Quella donna non sa davvero contenersi.»

Elizabeth continuò a passare in rassegna i volti assai turbati e, al tempo stesso, esasperati, dei licantropi presenti, il tutto senza comprendere appieno le loro parole.

Scrollando le spalle, Tyler si limitò a dire: «I lupi emettono una sorta di aura, perché il potere che abbiamo non riesce interamente a restare confinato all’interno del nostro corpo e, più un lupo è potente, più quest’aura è percepibile. Se poi ti lasci andare alle emozioni, beh…»

Deglutendo a fatica, Beth assentì suo malgrado – Keath le aveva dato una dimostrazione di ciò che loro intendevano per potere, mandando Tyler lungo riverso sul divano soltanto guardandolo – e mormorò: «Quindi, potrebbe causare danni alla struttura?»

«Non in questo caso. Sta solo disperdendo l’aura per non accumulare energia ma, se la confluisse in un punto preciso, allora potrebbe causare qualche problema» ammise Tyler. «Per questo, nei combattimenti tra lupi, esistono sempre dei testimoni. Coloro che non combattono controllano le auree dei licantropi, così che queste non facciano danni.»

Il suono del campanello interruppe qualsiasi altra domanda da parte di Beth. Quando però Michael andò ad aprire e, sulla porta, la giovane vide soltanto una donna molto bella e di bassa statura, altre mille e più domande le si affastellarono nella mente.

Era dunque di lei che avevano così tanto timore e rispetto? Di quello scricciolo di donna dai capelli rosso fuoco?

Dietro la donna dallo sguardo volitivo, alto e dell’aria quieta e pacifica, Elizabeth intravide un uomo bruno dall’aspetto piacente e che teneva in braccio un bambino di circa due, tre anni. A chiudere la fila, Beth vide infine entrare un giovane che dimostrava all’incirca vent’anni, biondo di capelli e dal naso ricoperto di efelidi chiare.

Appariva cupo in viso e attento a qualsiasi movimento e, sebbene fosse giovane, la sua statura e prestanza fisica lo facevano sembrare molto più vecchio.

Nel chiudere la porta, Michael dichiarò pieno di ironia: «Mi stai facendo ballare i denti, sai, Ceel? Vuoi calmarti? Il tuo cucciolo è sano e salvo, e ha ancora tutti i peli addosso.»

La donna fulva lo frizzò con uno sguardo che fece raggelare Beth e, tremenda, sibilò: «Il solo fatto che sia in difficoltà, quando io ve l’avevo affidato perché non avesse difficoltà, dimostra che HO TUTTE LE RAGIONI per essere incazzata come una biscia quindi, se non vuoi che ti morda le palle nel giro dei prossimi due minuti, Mickey, vedi di cucirti il becco.»

«Anch’io ti amo, Ceel» dichiarò per tutta risposta Michael, per nulla turbato da quella dichiarazione tutt’altro che delicata, o elegante.

Beth fece tanto d’occhi di fronte a quello scambio di battute ma, notando quanto nessun altro ne fosse rimasto turbato, cominciò a chiedersi se non fosse la normalità, per loro.

Joshua si avvicinò alla donna con passo tranquillo, si chinò – o, per meglio dire, si piegò quasi in due, vista la differenza d’altezza – per baciarla dietro l’orecchio e disse: «E io che temevo che la nascita di Ben ti avrebbe raddolcita. Sono felice di saperti sempre isterica come al solito.»

«Vuoi che assaggi di nuovo il tuo sedere, Joshua?» ironizzò Cecily, sorridendogli con affetto a dispetto delle parole.

«Sono migliorato, nella corsa» affermò lui con una strizzatina d’occhio.

Cecily rise, a quel commento e, nel salutare Gretchen, disse: «Non ti offenderai se lo sfido, vero?»

«E’ lui che si vuole cacciare nei guai, perciò fai pure» ammiccò la donna prima di rivolgersi a William e dire: «Fatti salutare, Will, e fammi dare un bacio a questa meraviglia.»

L’alto uomo bruno che Gretchen aveva chiamato William si avvicinò con un sorriso e, sotto gli occhi stralunati di Elizabeth, i convenevoli di rito vennero espletati in modo ironico e divertente.

Da un certo punto di vista, e vedendo con quanta solennità Keath avesse trattato Fenrir, Beth si era aspettata un altro genere di comportamento ma, a quanto pareva, si era decisamente sbagliata.

Forse era soltanto Keath a tenere alle formalità, mentre per gli altri membri del branco, l’onore e il rispetto passavano in secondo piano, prediligendo l’informalità e la leggerezza.

O forse, erano soltanto matti da legare.

Quando infine fu il momento di passare al nocciolo della questione, Cecily squadrò un momento Tyler, fissò curiosa Beth e infine domandò: «D’accordo… immagino che, visto che si trova qui e non ha aperto bocca di fronte alle nostre dubbie battute, la ragazza sappia tutto di noi. Volevate il mio benestare perché i due si potessero frequentare? Direi che potevi farlo anche da solo, Jo.»

«Se fosse stato così facile, non ti avrei chiamata, Ceel. Lo so anche da solo che, per procura, posso dare un benestare del genere anch’io, a un tuo lupo, se si trova sul mio territorio…» sottolineò Joshua, sbuffando. «Il punto è un altro.»

Cecily, a quel punto, si avvicinò al suo lupo dopo aver oltrepassato i divani che li separavano e, aggrottando la fronte, lo guardò negli occhi e domandò: «Cos’hai combinato, mio lupo? Non l’hai messa incinta, sennò avrebbe un odore diverso, anche se sento la tua traccia su di lei. Perciò, dove sta il problema?»

Beth arrossì suo malgrado, non gradendo particolarmente di poter essere vivisezionata soltanto grazie al proprio odore ma, quando Cecily squadrò lei, qualsiasi pensiero le si annullò nel cervello.

Quegli occhi di zaffiro somigliavano molto ai suoi, anche se differivano sicuramente per durezza ed esperienza. Quelli della Fenrir di Tyler erano forti come l’acciaio e brillanti come diamante e, in quel momento, sembravano voler entrarle dentro per comprendere quale difetto lei potesse avere.

Per un istante, temette che quella donna fosse realmente in grado di scandagliarle il cervello ma, dandosi della sciocca, scacciò quel pensiero assurdo dalla mente e disse: «Credo che il mio unico problema sia il retroterra da cui provengo.»

«Che tu sia ricca o povera, Tory o Whig, a noi non interessa» sottolineò Cecily, facendo spallucce. «Ce ne infischiamo di cose simili.»

«Sono Whig, per la cronaca…e una Cacciatrice» si arrischiò a dire Elizabeth, deglutendo poi a fatica non appena quelle parole di condanna sgorgarono dalla sua bocca.

Cecily sgranò per un istante gli occhi, li assottigliò l’attimo seguente e, nel lasciarsi cadere sul tavolino del salotto, si coprì il viso con le mani e borbottò: «Sapevo che eri un incompetente, Jo, ma qui si travalica.»

«Anch’io ti amo, Ceel» gorgogliò Joshua per tutta risposta, e Gretchen sorrise divertita da quello scambio apparentemente assurdo di battute.

Beth ipotizzò che quella frase in particolare significasse qualcosa di simile a ‘non ti mando al diavolo per puro rispetto’, poiché anche la guardia del corpo di Fenrir l’aveva usata in occasione di un insulto gratuito.

Probabilmente, nonostante il loro rapporto così amichevole, era preferibile non esagerare con le battute, almeno non nei confronti di Cecily Fairchild. Che fosse dunque così pericolosa da necessitare questo trattamento di favore?

Fenrir di Falmouth tornò a fissare Tyler dopo alcuni attimi di comprensibile stordimento, e Beth credette di vederla spezzarsi in due non appena quegli occhi oceanici sfiorarono il viso del suo pupillo.

Era chiaramente preoccupata per il suo lupo e, in qualche modo, turbata all’idea che lui potesse soffrire o, addirittura, morire a causa delle sue scelte.

Stordita quanto preoccupata, Elizabeth si chiese quanto si era esposto, per lei, il suo Tyler. Quanto stava rischiando, per l’amore che provava nei suoi confronti?

«Che diavolo hai combinato, Tyler?»

Fu solo un mormorio, ma ridusse in briciole il giovane licantropo che, in lacrime, si gettò in ginocchio dinanzi alla sua Fenrir e, nel prenderle le mani, affondò il viso sulle sue ginocchia come un bambino in punizione.

Beth si sentì straziare nel petto da artigli feroci, a quella visione. Era la prima volta che vedeva Tyler così divorato dal dolore, così straziato dalla pena, e questo le fece capire quanto fosse forte, tra i due, il legame che li univa.

Era qualcosa che rassomigliava molto al rapporto tra una madre amorevole e un figlio devoto, ma Beth credette di vedere molto altro, in quella scena di prostrazione.

Tyler sarebbe davvero morto, per quella donna, se mai fosse stato necessario, e lei avrebbe fatto lo stesso, pur di difenderlo… anche da se stesso, se la necessità lo avesse richiesto.

«Non volevo ferirla, prof, ma la amo… davvero! E lei ama me! Ne sono assolutamente certo!»

«Sai che, se Will dirà che è una traditrice, dovremo far intervenire Keath e Gwen, vero?» domandò piena di dolore Cecily, carezzandogli il capo con affetto.

Lui assentì, ma replicò con coraggio: «Non mi sbaglio. Davvero.»

Cecily, allora, tornò a osservare con durezza Elizabeth e, senza delicatezza alcuna, le disse: «Stai facendo soffrire il mio lupo e, solo per questo, vorrei sgozzarti su due piedi. Ma lui dice di amarti, e io sento quanto questo suo sentimento sia vero. La sua aura si è elevata a tua protezione fin da quando siamo entrati, e non ha mai smesso di farlo. Perciò ti concederò di dimostrare a mio marito che non stai mentendo.»

«Cosa potrei dire di diverso, rispetto a ciò che già ho detto a Freki, o a Fenrir di Londra?» replicò Elizabeth senza reclinare assolutamente lo sguardo. Sapeva bene, che se fosse apparsa debole, le chance di conquistare la donna che guidava il branco di Cornovaglia, sarebbero scese a zero.

La donna fulva, però, le sorrise misteriosa, scosse il capo e asserì: «Non dovrai dire nulla più di ciò che senti davvero. Sarà lui a dirmi se menti oppure no.»

«E come potrà capirlo?» replicò Beth, lanciando un’occhiata al piacente uomo bruno che le era stato presentato come il marito di Cecily.

Lasciato il figlio a Gretchen, William si avvicinò alle due donne in competizione, si inginocchiò accanto a Elizabeth e, sorridendole tranquillo, disse: «Sono un sanguemisto, e possiedo delle doti che mi permettono di comprendere se qualcuno sta mentendo, perciò sentirò subito se le tue parole sono vere, oppure no.»

Levando un sopracciglio con evidente perplessità, Beth domandò: «Se sei un sanguemisto, non dovresti comunque essere un lupo come loro? Quindi, perché dovresti essere proprio tu, a studiarmi, e non la tua Fenrir, per esempio?»

«Diciamo che sono come loro fino a un certo punto» ammiccò William, con un certo divertimento. «Rispetto a loro, ho anche sangue di elfo, nelle vene, ed è questo a conferirmi questa dote che, diversamente, sarebbe appannaggio delle nostre wiccan, le nostre sagge.»

Elizabeth si volse sconvolta a guardare Tyler che, però, assentì spiacente e disse: «E’ tutto vero. Capisci perché dovevo parlartene con loro presenti? Il nostro mondo è molto complicato, molto più di quanto i Cacciatori immaginino, e soltanto le mie parole non sarebbero mai bastate a spiegarti tutto, a farti credere

Lei assentì lentamente, quasi in trance, si passò le mani sul viso nel tentativo di calmarsi e, in un borbottio, domandò: «Quanto ancora a fondo dovrò scendere, in questa dannata Tana del Bianconiglio?»

«Hai parlato davvero molto con Keath… questo è sicuro» chiosò Cecily, sorridendo un po’ più tranquilla. «E’ lui che cita sempre Matrix e se ti ha risparmiata, e ti ha persino citato il suo film preferito, mi sento già più serena. Ma voglio comunque che Will ti sondi.»

«Sono qui proprio perché vi fidiate di me… anche se comincio a capire quanto, in effetti, io non abbia capito nulla di ciò che siete. Nessuno dei Cacciatori sa nulla di voi. Non davvero» esalò Elizabeth, gli enormi occhi blu sgranati per lo shock.

Cecily, allora, guardò Joshua – che annuì – e disse: «Se supererai l’esame, faremo venire anche lady Fenrir. E’ giusto che tu senta tutta la storia da chi l’ha vissuta in prima persona. Solo allora saprai quanto è profonda la nostra tana. E di certo, non appartiene al Bianconiglio. Neppure lontanamente.»






N.d.A.: Keath ha iniziato a mostrare a Beth quanto profonda sia la tana del Bianconiglio, ma è chiaro che la nostra ex Cacciatrice dovrà affrontare ben di più di una lezione di Storia da parte di Freki, per capire davvero il mondo dei licantropi che - tanto ingenuamente - pensava di conoscere grazie agli insegnamenti dei suoi maestri.
Riuscirà la ragazza a superare l'esame di William? Ma, soprattutto, ne uscirà ancora sana di mente? ;)
  
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