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Autore: BabyLolita    11/12/2019    1 recensioni
Ricordi di un passato ormai lontano. Di come un'amore ormai decaduto, sopravviva ancora ad un presente che, sempre più, ti allontana da ciò che hai amato di più al mondo. Un racconto un po' romanzato un po' reale. Qualcosa che il tempo non sta riuscendo a cancellare in nessun modo...
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il treno è il ritardo. Che aspettarsi, infondo, da questi dannati trabiccoli? Sbuffo, arrabbiata. Ho aspettato così tanto per rivederti, ed ora il fatto di dover rimandare ancora il nostro incontro per degli stupidi ritardi mi irrita alquanto. Il telefono vibra, ed io sorrido. So bene che sei tu. Lo afferro, mi chiedi dove sono. È strano. Infondo, il nostro rapporto ancora non si è definito. Abbiamo iniziato tutto per gioco, doveva rimanere solo un gioco. Entrambi eravamo re e regina di quel gioco. Nessuno dei due si innamorava mai. Eravamo le due marionette perfette per questo pericoloso gioco basato sul sesso. Ormai erano passati diversi mesi. Ma, in quei mesi, questo gioco aveva preso una via che non mi aspettavo. Mentre mi avvicino a te, mi chiedo cosa rappresenti per me. Perché sorrido quando mi scrivi, perché rido quando mi chiami all’improvviso per parlarmi di niente, o perché spesso mi ritrovo persa ad osservare il telefono, sperando di vederlo illuminare con sopra il tuo nome. Già, il tuo nome su quel minuscolo display. Sono sempre stata solita cambiare i nomi delle persone quando i rapporti cambiavano. Quando mi avvicinavo a qualcuno. Un cuore, un nomignolo, una faccina simpatica. Ma tu eri rimasto tu. Nome e cognome. Un’altra anomalia nel mio sistema. Ma, infondo, eri sempre stato un’anomalia. L’anomalia perfetta, quella che credevo sarebbe stata funzionale ed incrollabile per il mio gioco. Per cui non necessitava di un cambio di nome. Un cambio di nome avrebbe significato un cambiamento in me. E, benché in parte lo notassi, non ero pronta ad accettarlo. Io non perdevo mai, perché avrei dovuto perdere proprio ora?

 

Il treno rallenta, finalmente sono arrivata. Ripongo il libro nello zaino e, pressata dalla folla, scendo lentamente fino ad infilarmi in mezzo al flusso delle persone che, di punto in bianco, aumentano il passo affrettandosi. Il mio telefono vibra ancora, questa volta mi stai chiamando.

   «Dove sei?»

   «Sono scesa ora. Mi aspetti al solito parcheggio?»

   «No, sono entrato.»

Oh… davvero? Strano… non lo avevi mai fatto prima.

In quel momento, accadde. Per la prima volta, il mio cuore perse il primo battito.

Davvero? Dai, su, non diciamolo nemmeno per scherzo.

   «Ok, ottimo, dove mi stai aspettando?»

   «Sotto l’orologio.»

   «Arrivo.»

Rimaniamo al telefono mentre mi muovo goffamente fra la gente indaffarata e piena di valigie. Esco dalla stazione e scendo la lunga scalinata. Il freddo mi congela la faccia, ma non mi dispiace. Alzo lo sguardo.

Grandioso. Qui abbiamo due orologi.

   «Senti, ma quale orologio? Ne vedo due.»

   «Ma si, quello sulla sinistra! Vicino a dove ti aspetto di solito.»

Mi volto e lo vedo. Mi dirigo in quella direzione. Cammino, cammino e cammino, ma ancora non ti vedo.

   «Non ti vedo.»

   «Vieni più vicina.»

Sbuffo, ancora. Comincio ad essere seriamente seccata. E poi, ti vedo. Eccoti lì. Non appena mi vedi allontani il telefono dall’orecchio e spalanchi le braccia, come a chiedermi di correre da te. E quella fu un’altra delle tante prime volte con te. Mai, prima di allora, avevo provato il desiderio di correre fra le braccia di qualcuno. Trattenni il desiderio, in primo luogo perché non volevo darti quella soddisfazione. Ma, soprattutto, perché il mio cuore cessò di battere per quello che fu più di un lungo secondo. Ti vidi sorridere. Quel sorriso che mi facevi sempre. Quel sorriso che, quella volta, non era più lui. Quel sorriso che prima era quello del rimorchiatore seriale quale eri, ma che in quel momento era un sorriso sincero. Un sorriso che era mutato proprio davanti ai miei occhi. Il sorriso di chi urlava silenziosamente: “finalmente sei qui”. In quel momento capii. Capii che non serviva nessun treno in ritardo, capii che non serviva nessun cambio di nome sulla rubrica del telefono, capii che non importava la distanza che ci separava. Per tutto quel tempo, ero io che stavo aspettando te. Per tutta la mia vita, non ho fatto altro che vivere nel vuoto affinché tu mi trovassi. Avevo perso al mio stesso gioco. Per l’ennesima prima volta, tu mi facevi scoprire qualcosa di nuovo di me.

Arrivata da te mi stringesti forte, ed io sentii finalmente tutti i pezzi del puzzle della mia anima tornare al loro posto. Dopo tutto quel tempo, ero finalmente a casa.

   «Ti stavo aspettando!»

No. Fidati. Sono io che ho aspettato te per tutto questo tempo.

   
 
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