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Autore: 50shadesofLOTS_Always    14/12/2019    1 recensioni
Dal terzo film della saga: “Si comincia con qualcosa di puro, di eccitante. Poi arrivano gli errori, i compromessi. Noi creiamo i nostri demoni.”
I demoni - e non solo - incombono su Tony Stark, che ha appena dichiarato al mondo di essere Iron Man...
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[probabile OOC di Tony/dosi massicce di Pepperony con una spolverata di zucchero a velo/perché amo Ironman]
Genere: Azione, Comico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Tony Stark
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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SPOT

“I fear who I am becoming,
I feel that I am losing the struggle within.
I can no longer restrain it.
My strength, it is fading…
I have to give in.”
- It’s the Fear, Within Temptation
 
“It's heaven on earth…
In her embrace, her gentle touch
And her smiling face.
I'm just one wishing
That I was a pair
With someone…
Oh, somewhere.”
- Too Afraid to Love you, Black Keys

Il nulla, vuoto come una notte senza stelle. Non importava dove volgesse lo sguardo, tutto ciò che vedeva attorno a sé era il buio. Come se l’avessero ridotta alla misura di formica e l’avessero chiusa in una grossa e sconfinata scatola nera di cui non riusciva neanche a distinguere i confini.
< Resta con me >.
Nell’astrusa tranquillità di quello spazio indefinito, Virginia percepì un tenue tepore che allontanò il primo gelo che l’aveva cullata. Non seppe quanto tempo fosse trascorso prima che l’eco sordo di un ritmico battito la raggiungesse. Distinto, ma impossibile da localizzare. Il calore nel frattempo si era gradatamente dissipato per poi ammantarla con la stessa leggerezza di una ragnatela. Piano piano come percorrendo una ripida scalinata, si accorse che il battito che sentiva somigliava sempre più ad un bip elettronico. Proveniva da sinistra.
< Resta con me >.
Fu come trovare l’interruttore per la realtà presente e quando lo schiacciò, la memoria riemerse con veemenza – il regalo di Tony che, dopo essersi lanciato dall’elicottero, l'aveva stretta durante il ballo e il suo tocco sulla schiena, il suo sorriso – fino quasi a soffocarla. Le sue palpebre ebbero appena il modo dischiudersi che fu obbligata a richiuderle quando il sole le ferì le pupille. Intanto le sovvennero il metallo nel fianco, il proprio terrore riflesso negli occhi parimente smarriti del miliardario, il rombo della Rolls Royce, Natalie o forse un’infermiera.
< Resta con me >.
Di netto, come un cazzotto nel plesso solare, avvertì lo sforzo dei propri polmoni ridotti a muscoli atrofizzati.
« T-Tony… » biascicò mentre cercava di prendere fiato e nonostante la fatica di udirsi, fu abbastanza perché qualcuno le prestasse attenzione.
« Con calma, bambina » le disse con la stessa affettuosa cadenza di sua nonna Elinor, carezzandole un braccio per rassicurarla.
Riconobbe quella sensazione, simile per certi versi all’annegamento. Episodi isolati che coincidevano con periodi stressanti, in cui non riusciva a vedersi in un domani. Applicò quindi la tecnica che aveva dedotto da vari articoli che Jarvis aveva estrapolato da internet e proiettò davanti a sé il laboratorio. Tony addormentato scompostamente davanti allo schermo del computer e intorno, i fogli disegnati alla rinfusa di qualche nuova diavoleria.
Con quell’immagine più nitida dietro le cornee, fu in grado di riacquistare la percezione di sé, stiracchiandosi come un neonato che deve ancora conoscersi e quando finalmente riuscì a scollare le ciglia, lasciò che la propria vista si abituasse al fastidioso bianco ottico delle pareti e del soffitto. Infastidita dall’alone luminoso che le appannava la vista, incontrò il viso un po’ paffuto e rigato dall’incedere temporale dell’infermiera. Adocchiò la targhetta distintiva – su cui era segnata come Dorothy – appuntata sul camice, che scendeva un po’ spiegazzato sulla costituzione robusta. I capelli che una volta dovevano esser stati di un bel biondo dorato, adesso erano quasi tutti bianchi e raccolti sotto la cuffietta sanitaria.
« Tony… »
« Il Signor Stark è qui fuori, sta bene – chiarì, facendo il giro per controllare i valori sui macchinari e annotarli su un dossier riposto in una cassetta in fondo al letto – Come si sente? »
‘Come se un bus mi fosse passato sopra’, pensò Virginia, ‘Prima normalmente e poi in retromarcia’.
« Ouch! » sussultò quando, nel tentativo di trovare una posizione più comoda, uno spillo di dolore le percorse l’intero corpo con la potenza di una mazza da baseball sulla testa, facendola sprofondare malamente sul materassino.
« Sono postumi chirurgici, ma passeranno tra un paio di giorni – le assicurò, poggiandole una mano sulla caviglia coperta dal lenzuolo – Se dovesse avvertire vertigini o nausee, non si agiti. Si tratta degli antipiretici »
« Ho la febbre? »
« Una piccola reazione al proiettile – spiegò con un sorrisetto – E’ stata fortunata ».
Virginia annuì, impaurita da tanta verità. Pochi centimetri, un passo diverso e/o una lancetta più là e sul letto ci sarebbe finito Tony che, una decina di domande e tre emocromi dopo, fece capolino nella stanza. Dorothy trattenne la porta e aggrottò stizzita le sopracciglia quando l’uomo le spinse con malagrazia un plico di carte sul petto. Virginia ebbe l’impressione che stessero per riprendere un vecchio litigio.
« I parametri sono eccellenti, proprio come avevo predetto – aggiunse l’anziana, ringhiando verso l’uomo che sembrò sul punto di rifarle il verso – Perciò nel giro di quattro settimane… »
« Cosa?! » mormorò lei con l’intenzione di balzare in piedi.
« E’ la normale prassi per questo genere di situazioni, Signorina Potts » rispose l’infermiera sporgendosi un poco mentre sbuffava.
Un mese di degenza le sembrava inammissibile dopo aver affrontato cicli lavorativi di trentasei ore consecutive, a volte con un unico pasto. Lei era Virginia Potts e la parola ‘riposo’ era inesistente nel proprio vocabolario, se non in particolari accezioni.
« E’ possibile ottenere uno sconto della pena? »
« Il Signor Stark mi aveva avvertito della sua testardaggine… » annetté Dorothy con fare ammonitivo.
« E della sua non le ha detto niente? » rispose, mordendosi il labbro inferiore quando Tony, ad appena un braccio di distanza, le lanciò un’occhiata risentita. Con un pizzico di… ‘Quello è un avvertimento?!’.
L’infermeria, che aveva avuto una prova della tenacia del genio – neanche uno spazzolone era riuscito a farlo sloggiare dalla finestra della sala operatoria – li scrutò e non potè che sorridere.
Tony le occhieggiò, incerto se sentirsi o meno in imbarazzo quando le due donne ridacchiarono. Finché la rossa non smise bruscamente, stringendo il lenzuolo fino a sbiancarsi le nocche.
« Ci dovrebbe essere un pulsante » intervenne, avvicinandosi immediatamente per rintracciare il cicalino collegato ad una delle due sacche appese accanto alle altre macchine.
« No » protestò debolmente Virginia mentre aspettava che il riverbero della scossa scemasse con un effetto Doppler.
« …per la morfina »
« Non voglio quella roba – dichiarò, aggrappandogli un avambraccio – Mi mette sonno ».
Tony intercettò prima la presa e poi gli occhi della donna, a cui rispose con una smorfia nervosa. Conosceva il disagio che si provava in ospedale. Essere assistiti era come ricevere un pugno direttamente all’orgoglio per chi era certo di poter essere invincibile.
« Dovrebbe riposare… » suggerì conciliante.
« Il Signor Stark ha ragione » concordò l’infermiera.
« Oh allora la fine del mondo è vicina » sussurrò Virginia, notando il modo in cui la stava fissando, incredulo e sollevato.
« Che è successo? » mugolò, invitandolo nello spazio libero sul bordo della lettiga mentre tornava alla modalità CEO.
« Non ha sentito Miss Kansas? » replicò Tony retorico, puntando un pollice verso la porta, oltre la quale Dorothy era sparita, e sollevando un’anca per accontentarla.
Lei scosse piano il capo, quel tanto da testare le proprie abilità motorie e per accantonare la discussione imminente.
« Gli altr…i invitati? » chiese, compiendo l’ennesima prova di riassettare i ricordi arruffati fra loro in una nebbia lanuginosa, che le ottenebrava i sensi.
« Molti feriti, ma nessuno grave » le rispose e si accorse con un secondo di ritardo che l’uomo aveva cambiato espressione. Un cipiglio suscettibile che da qualche tempo, era un segnale per qualcos’altro di ben più drammatico.
Si allungò e facendole passare una mano sotto il collo, usò l’altra per sprimacciarle il guanciale. Non lo informò della seconda sprangata che si abbatté su di lei. Per celarla, dovette stringere i denti e per ignorarla, si focalizzò sul suo palmo che le sorreggeva la nuca. Ruvido e allo stesso tempo, premuroso.
« Mi dia il suo telefono – ordinò, adagiandosi sulla branda e incurante la maniera in cui la stava squadrando – Devo chiamare Hannah ».
Tony arcuò un sopracciglio, cercando il potenziale decorso di qualche sconosciuto effetto collaterale dovuto ai farmaci che le avevano somministrato.
« Cosa? »
« …e Bambi. Dobbiamo fare un resoconto dei danni » continuò sottovoce, quasi delirante.
« Pepper »
« E devo vedere Natalie per scrivere una dichiarazione stampa »
« …fermati un secondo » mormorò, allargando le narici quando fu completamente ignorato dalla donna, a sua volta inconsapevole del caos che si era generato nelle ultime ore e che aveva disperatamente provato ad arginare fin dagli albori. Doppiamente irritato dal fatto che dei perfetti sconosciuti lo costringessero ad allontanarsi da lei, aveva lasciato Happy di guardia dinanzi al reparto in compagnia della Signorina Rushman, che si era fatta carico di tutte le postille accessorie come l’insulsa preoccupazione del Consiglio.
« …e dovrò contattare Darril del legale ».
« Stop! » sbottò, riuscendo finalmente a metter fine a quei vaneggiamenti.
La studiò in attesa, dandole modo di riprendere fiato prima di rivelarle un dettaglio di cui avrebbe voluto parlare l’indomani oppure mai. Soprattutto per impedirle di dare di matto a scapito della sua e di conseguenza, della propria salute.
« Hanno chiuso l’Expo » sospirò rumorosamente, divenuto a patti con la certezza che la propria delusione fosse troppo trasparente perché potesse sfuggirle.
« Ma… » bisbigliò, scuotendo leggermente il capo in segno di rifiuto e Tony ebbe la sensazione che il reattore si fosse spostato, se non addirittura scollegato.
« Avevano un mandato » disse col desiderio sempre più impellente di fare una capatina da Stern per rifilargli un soddisfacente gancio destro.
Virginia rimase attonita, riflettendo su quello che significava, sia per le Enterprises sia per l’uomo che ora teneva una delle sue mani fra le proprie. Avvistò le mezzelune violacee sotto i suoi occhi, i cui bordi arrossati rendevano pienamente la portata spossante di quella notte. Lunga per entrambi.
Sentì il peso del fallimento che la schiacciava come se le mura, il tetto e l’aria la stessero inscatolando. L'Expo rappresentava molto più che una semplice mostra tecnologica col duplice scopo di attrarre dipendenti e clienti. Era Il Progetto.
Ci avevano lavorato per non lasciare niente di incompiuto, per avere una soddisfazione prima di perdere tutto. Chissà, magari perfino una soluzione perché anche se non c’erano stati discorsi ad alta voce, sapeva che l’uomo stava riordinando casa: affidando a lei l’azienda – con mobili ed immobili annessi – e a Rhodey l’armatura. Nel caso in cui…
« Non è la cosa peggiore che potesse capitare comunque » aggiunse Tony con un sorriso mesto, sfregando dolcemente il pollice su ogni sua nocca.
La consapevolezza che ormai non fosse in pericolo sovrastò il resto, permettendogli di pigiare i propri demoni nell’antro più angusto che riuscì a scorgere in sé. E di rincuorarla quando sollevando lo sguardo, incrociò il suo.
Sconfortato, sfuggevole, colpevole.
« Cos-a dice la polizia…? » si schiarì la gola dopo un eterno istante in cui sembrò valutare almeno un centinaio di reazioni diverse.
La scelta lo turbò al punto da non trovare le parole per risponderle.
« Happy sta seguendo le indagini » mormorò e nella quiete che seguì, lo spazio tra loro divenne denso e grumoso.

**

Al sorgere della luna mancava appena un’ora, ma il livello più alto di grado – più basso nella quota marina – dell’Hub era ancora operativo. L’Agente May si fermò con fare circospetto quando il Signor Crossbow le diede la precedenza per entrare nella stanza, quasi interamente scura se non fosse stato per i led che segnavano il percorso. Superò la porta, salutando Coulson e Fury a capotavola. Crossbow la imitò mentre degli altoparlanti avvertivano dell’insonorizzazione. In pochi attimi il tavolo si accese di verde. L’ologramma tridimensionale sfarfallò per poi dar vita all’Agente Romanoff.
« Spero di non essermi persa nulla »
« Si è collegata appena in tempo » la accolse il Direttore, lieto di poter fare un resoconto.
« E’ evidente che qualcosa non ha funzionato » esordì Crossbow sbrigativo, senza riuscire a nascondere la seccatura per il fallimento del piano.
« I Fitzsimmons hanno effettuato un’identificazione grazie alle impronte e alle foto fornite dall’Agente May – intervenne Phil – Il cecchino è »
« Era » specificò l’altro.
« …Aamir Shahad, trentaquattrenne armeno con una discreta collezione di accuse fra cui terrorismo e pluriomicidio politico – listò, scorrendo con un dito lo schermo del proprio tablet – Ha operato come mercenario in Afghanistan, Pakistan e Iran per conto dei Dieci Anelli »
« Non credo che i cammelli sappiano volare » commentò Fury, riuscendo a strappargli un sorriso, condiviso perfino da May.
« Gli sono stati forniti dei documenti falsi insieme a un primo acconto di diecimila bigliettoni sull’ingaggio ».
Natasha sogghignò verso Fury, il cui occhio buono – per inciso, l’unico rimasto – dimostrò quanto fosse urtato dal proprio errore di calcolo.
« Le devo cinquanta dollari, Agente Romanoff » sbuffò.
« Erano cento » specificò la spia.
« Sappiamo nulla sul mandante? »
« I soldi hanno viaggiato per una serie di conti fittizi… – Phil avvicinò il viso al congegno tecnologico, non proprio sicuro di aver letto bene – …fra cui quello di un certo Tobiah Stane ».
Calò un drappo di silenzio i capi si fissarono in modo efficace.
« Ha senso. Obadiah aveva stretto un’alleanza coi Dieci Anelli » ricordò Melinda.
« Sì, ma è morto – rispose Natasha, occhieggiando i presenti – E’ morto? »
« Non è stato ritrovato il cadavere, ma dubito che possa essere sopravvissuto » rispose Phil.
« Ne dubita? » sibilò Crossbow.
« Sul luogo c’erano solo il Signor Stark e la Signorina Potts »
« Ovviamente » bofonchiò, attirando l’attenzione di tutti.
Natasha strinse gli occhi a fessura, riconoscendo l’accento astioso.
« Come ha fatto un mercenario ricercato ad infiltrarsi? » domandò Fury a cui non era ancora ben chiara la mobilità dell’inaugurazione.
« Ho richiamato tutti quelli presenti come scorta ieri sera – rispose la russa, visibilmente scocciata – Tutti hanno risposto ai recapiti tranne coloro che sorvegliavano il ballatoio. Francamente non mi spiego come sia possibile »
« C’è una talpa » si frappose Crossbow.
Phil e Melinda si adocchiarono.
« Un momento… Sta forse insinuando che la Signorina Potts sia coinvolta? » chiese Natasha, assumendo un’atteggiamento aggressivo mentre l’uomo compiva un passo avanti per farle capire che non si stava limitando ad insinuare.
« E’ ridicolo »
« Era presente alle Industries al momento dell’incidente »
« Ha salvato il Signor Stark » rispose la donna con la mascella sempre più stretta.
« Lei conosce le dinamiche? »
« Ho letto il fascicolo »
« Quindi sa di che cosa stiamo parlando »
« Mi chiedo se lo sappia lei, Signor Crossbow » disse, non riuscendo a capire come e su quali prove avesse formulato quella strampalata teoria.
« Natasha » la sgridò Fury, tagliente ma trovando una certa concordanza fra gli altri due sottoposti.
« Se è così informata, si renderà conto quanto sia sospetto »
« Cosa? Il fatto che una donna ricopra un ruolo di prestigio mentre il suo capo soffre di depressione post traumatica? – lo interruppe ancora – Sorveglio da mesi la Signorina Potts e so che passa la metà del proprio stipendio alla madre vedova. Non ha tempo per orchestrare un omicidio. Inoltre si occupa da dieci anni di ripulire il fango dalla faccia di Stark e si è beccata una pallottola per lui »
« Lei dovrebbe sapere come si comportano le spie » fischiò Crossobow, ambiguo.
« Sta forse mettendo in dubbio il mio curriculum? »
« Facciamo tutti un bel respiro e ricordiamo perché siamo qui » tuonò Fury.
« Già, potreste ricordarmelo per favore? » appuntò sarcastica.
« Abbiamo bisogno che Stark guarisca e si riprenda dall’avvelenamento » s’interpose Melinda, più remissiva.
« …cosicché possa diventare un burattino? » eruppe Crossbow e il suo sguardo scuro si posò a turno sulle due agenti, Phil e infine Nich che accolse un respiro.
« Mi aveva dato la sua approvazione, Signore » evidenziò con un cipiglio perplesso.
« Posso anche riprendermela. Si ricordi la gerarchia, Colonnello »
« Ho una buona memoria » mormorò con le mani giunte dietro la schiena.
« Bene – disse bieco – Allora si ricordi questo: raddrizzi le file e si occupi della protezione di Anthony ».

*

I primi raggi di sole s’infilavano tra gli edifici, dirottati dal metallo e dal vetro, come lame che tagliavano lo skyline della Grande Mela insonne. Happy invece si era accontentato della tregua, che i paparazzi avevano loro concesso, per riposarsi abbastanza per poter tornare al proprio posto di vedetta, consapevole che quello status si sarebbe protratto per una settimana. Mentre attraversava il reparto pressoché deserto, scandagliò tutte le facce. Conosciute e non. Ignorò le occhiate delle infermiere e dei medici, tesi almeno quanto lui dalla minaccia che incombeva su un paziente – suo malgrado – fin troppo conosciuto. Si accostò alla porta e dopo un ultimo e attento controllo, sfuggì nella stanza dove Virginia dormiva pacificamente. Il viso rivolto verso la finestra e una mano abbandonata in un’altra, più grande e abbronzata. Il proprietario, il miliardario per cui lavorava, sonnecchiava poco distante dalla branda su una poltroncina imbottita. Come se avesse annusato il caffè che gli aveva portato, si svegliò con un grugnito sommesso. Happy chiuse il battente senza far rumore, appoggiò sul pavimento il borsone sportivo richiesto e porse a Tony il bicchiere di carta da cui si sollevò una voluta. Non disse niente quando lo ringraziò con un lieve gesto, troppo stanco per qualcosa di verbale.
« A che ora la devo accompagnare in sede? » domandò, fissando la donna.
« Resterai qui » mormorò l’altro, guadagnandosi la propria apprensione.
« Non posso lasciarla da solo » sentenziò, illudendosi che la voce fosse risultata tanto perentoria da persuadere il genio dalle sue pericolose intenzioni.
« Ti scriverò al mio arrivo » replicò Tony quasi in falsetto.
« La Signorina Potts mi taglierà la testa quando si accorgerà che sono qui » protestò ancora Happy, spingendolo alla compassione.
« Per ordine del medico non può alzarsi. Se resti ad una distanza accettabile, terrai ogni pezzetto di te » mormorò, alzandosi e dirigendosi verso la sacca sportiva dove lo chauffeur aveva riposto il cambio d’abito e tutto il necessaire.
Riusciva a percepire distintamente i sentimenti che turbinavano nel suo corpo come un tornado imbottigliato. Simili ai propri del resto…
« Capo… »
« Happy, sai perché odio le guardie del corpo? – disse Tony all’improvviso, girandosi nuovamente per affrontarlo – Perché a differenza delle macchine, non possono essere programmate per la fedeltà o la discrezione » spiegò, trovando dietro i suoi occhi il riflesso del proprio senso di responsabilità.
« Non sono una macchina » balbettò Happy, preso alla sprovvista da tanta veemenza.
Rimembrava con precisione il giorno in cui era stato assunto, uno dei più bizzarri che avesse mai vissuto in effetti.
Gli sembrò di vedere l’ombra di un sorriso, a metà tra l’affetto e la stima, ma non poteva esserne sicuro.
« No, ma ti affiderò la mia vita » rispose Tony, sommesso e con lo sguardo torbido che si spostò per un brevissimo, morbido istante su Virginia.
Happy comprese che quella fra sé e il proprio ego, tra il suo migliore amico e il suo orgoglio, era una battaglia inutile: tutti si sentivano parimente smarriti nell’impotenza, sotto l'ombra di un pericolo imminente ma invisibile.

   
 
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