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Autore: Mary P_Stark    17/12/2019    2 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Giardino delle Esperidi – Luglio 2018
 
 
Apollo riposava tranquillo sotto le fronde di un melo, un tiepido venticello a rinfrescargli il viso e il profumo dei fiori a solleticargli le narici.

Accanto a lui, intenta a intrecciare una ghirlanda di margherite, Clizia sorrideva pacifica, lo sguardo perso nel vuoto mentre le mani si muovevano meccanicamente tra i fiori.

Ormai non contava più gli appuntamenti che aveva condiviso con Apollo, ma il solo pensarci la rendeva felice.

Se le prime volte era stato difficile conciliare l’antica figura di Apollo con il nuovo dio del sole, più attento alle parole e ai gesti, si era poco a poco abituata al suo desiderio di conoscerla davvero, e non solo come un uomo conosce una donna.

A ben vedere, da quando avevano deciso di frequentarsi, non erano mai arrivati al dunque, dal punto di vista fisico. C’era stato qualche bacio, qualche atteggiamento intimo piuttosto inequivocabile, ma il dio non aveva mai voluto andare oltre.

Clizia lo aveva trovato strano ma, tutto sommato, anche appagante e, dopo mesi e mesi di quel lento conoscersi, ora era soddisfatta anche soltanto di guardarlo dormire. Davvero un bel cambiamento, da quando loro due non pensavano che a divertirsi in un letto.

Sorridendo suo malgrado di fronte alla superficialità con cui aveva vissuto quel loro primo rapporto, fatto di carnalità ma non di interconnessione tra le menti, Clizia si sentì baciata dalla fortuna, al pensiero di poter rimediare.

Apollo stesso si era detto grato di poter recuperare un rapporto a cui aveva tenuto molto, ma nel modo sbagliato e ora, almeno agli occhi di Clizia, sembrava essere soddisfatto e compiaciuto dalla loro relazione.

Lanciato uno sguardo in lontananza, dove Alekos e Acaste stavano discorrendo con Egle e Aretusa in merito alla coltivazione dei pomi d’oro di Era, Clizia si domandò cosa ne pensasse la sorella del giovane semidio.

Anche loro, ormai, si frequentavano da mesi, ma non le era sembrato che i due avessero maturato qualcosa di diverso da una bella amicizia. Non che la cosa fosse sbagliata, ma Clizia era curiosa di sapere se fosse la verità, o solo un abile metodo per tenere a bada Afrodite e le sue mire da ‘abito bianco’.

Il solo pensiero la fece ridere istintivamente e Apollo, ridestandosi dal suo sonno leggero, sorrise dubbioso e domandò: «Ho il moccolo al naso, per caso? Per questo ridi?»

Lei scosse il capo, ridendo ancora di più al solo pensiero di vedere il viso perfetto di Apollo macchiato da un indecoroso moccolo. La cosa l’avrebbe davvero fatta sbellicare.

Messosi a sedere, il dio si guardò intorno, chiedendosi cos’avesse destato in Clizia una simile ilarità ma, nulla vedendo di strano o curioso, tornò a domandarle lumi.

Clizia, allora, si limitò a dire: «Mi domandavo se Alekos e Acaste stiano in qualche modo nascondendo i loro reali sentimenti per non incuriosire Afrodite, o se davvero sono soltanto amici.»

Apollo ammiccò divertito a quel pensiero e ammise: «Ah, beh, conoscendo Afrodite, capisco bene che i due ragazzi vogliano tenerla alla larga. Quella birbante potrebbe organizzare un matrimonio tra capo e collo, e sedarli per far dire loro senza che se ne rendano conto.»

«Quindi, secondo te, si piacciono?» domandò Clizia, tergendosi una lacrima di ilarità.

Tornando serio, Apollo si lasciò andare a un sorriso dolce e chiosò: «Poco importa, io credo. Sono giovani e stanno bene insieme. Hanno tutto il tempo del mondo per scoprire se la loro amicizia fiorirà in qualcosa d’altro. Grazie al legame di Alekos e Athena, il ragazzo è immortale al pari nostro, perciò Acaste non dovrà mai temere di perderlo a causa della vecchiaia.»

Sfiorando il viso di Apollo con una carezza, Clizia mormorò dolente: «Sei preoccupato per Artemide, vero?»

«Credo, più o meno, di essere venuto a patti con la mortalità di Felipe e degli altri, ma a volte mi sveglio terrorizzato, e non so come Arty riesca a non essere altrettanto rosa dai dubbi» ammise lui, accettando la carezza e sorridendole di rimando. «Va detto che anche le figlie che ebbe con Endimione, sono mortali, perciò lei dovrebbe già essere preparata a quel che avverrà, ma…»

«… ma credi che ciò che la lega a Felipe sia qualcosa di così profondo e unico, da poterla spezzare» aggiunse Clizia, vedendolo annuire torvo.

L’oceanina gli sorrise comprensiva, replicando pensierosa: «Molte mie sorelle e diversi miei fratelli hanno vissuto quello stesso dolore, e posso dirti questo, Apollo; per quanto le lacrime scorrano a fiumi, se vi è stato reale amore, il ricordo diventerà dolce e stempererà pian piano il dolore. Non è un procedimento facile, o veloce, ma avviene. E tua sorella è una donna troppo forte e di carattere, per cedere allo sconforto. Inoltre, ha tutti noi accanto a lei, no?»

«Vero» assentì Apollo, pacificato dalle parole di Clizia. «Grazie, Clizia. Mi fa sempre bene parlarne con te.»

Lei sorrise deliziata, ammettendo con candore: «Prima, ridevo anche di questo, effettivamente. Siamo così cambiati, rispetto agli albori! Se penso alle volte in cui siamo rimasti in silenzio nel nostro talamo, perché non avevamo nulla da dirci dopo ore e ore di sesso. Solo adesso riesco a capire quanto vuoto fosse il nostro rapporto… e quanto preferisca quello di adesso.»

«Anche se mi sto comportando come un monaco?» ironizzò Apollo, sfiorandole una ciocca dei biondi capelli.

Clizia assentì, lasciò un bacio sul dorso della mano che le stava carezzando la chioma e mormorò: «Ti desidero, anche più di un tempo, ma è così bello starti accanto, parlare con te, confrontarmi con le tue opinioni, che l’aspetto carnale passa in secondo piano.»

Poi, ammiccando, aggiunse maliziosa e con un desiderio bramoso nello sguardo: «Beh, quasi sempre in secondo piano.»

Apollo assottigliò le palpebre e, nel far distendere Clizia sul prato, mormorò: «Mi rendo conto che lasciarti senza nutrimento fin quasi ad affamarti a questo modo, non è una bella cosa. Lascia che ti dia sollievo, mio bellissimo fiore1

Clizia rise dolcemente quando le labbra morbide e calde di Apollo sfiorarono le sue nel più ammaliante e malizioso dei baci e, mentre le sue mani ne avvolgevano il collo, quelle del dio le sfiorarono i fianchi in brevi, lente carezze.

Non seppe dire se Alekos e Acaste si fossero accorti di ciò che stava succedendo, ma non se ne curò. Le labbra di Apollo richiedevano tutta la sua attenzione.
 
***

Allontanandosi strategicamente dalla radura per oltrepassare il colle e rendersi così invisibili alla vista, Alekos sorrise tra sé al pensiero della richiesta giunta in tutta fretta dallo zio.

Si era sorpreso non poco dalle richieste sempre più frequenti di Apollo di uscire insieme a lui e Acaste ma, con il passare del tempo, ne aveva compreso i motivi.

Pur se la volontà dello zio di conoscere meglio Clizia era lodevole, la volontà altrettanto forte della carne era difficile da gestire, dopo millenni di cinico inasprimento di sé. Apollo aveva avuto necessità di avere una spalla a cui aggrapparsi per non venire meno ai suoi precetti, e Alekos era stato ben lieto di dargli una mano.

Inoltre, questo gli aveva dato la possibilità di conoscere a sua volta meglio Acaste, così come Clizia, che trovava assai adatta allo zio. Quanto ad Acaste, Alekos la trovava grandiosa e simpaticissima ma, al pari della ragazza, non era scattato il classico fuoco che, invece, vedeva chiaramente negli occhi di Apollo quando guardava Clizia.

«Sbaglio o questo cambiamento di rotta è stato pilotato da qualcuno?» ironizzò Acaste, mentre Egle e Aretusa sorridevano divertite, facendo di tutto per non guardarsi alle spalle.
Alekos ghignò furbo e fece spallucce, così l’oceanina chiosò birbante: «Ce ne è voluto, però! Pensavo che Apollo si sarebbe rinchiuso in un monastero, di questo passo.»

A quel punto, le due esperidi scoppiarono in una calda risata mentre Alekos, arrossendo suo malgrado, replicava: «Voleva solo concedere a entrambi del tempo.»

«Non ne dubito, Alekos, ma uno di questi giorni li avremmo visti entrambi sciogliersi di desiderio represso… ammettilo» ribatté lei con fare malizioso.

La dolce, tenera, apparentemente ingenua Acaste, si era dimostrata nel tempo assai furba e dall’occhio attento e, ogni volta, sapeva sorprendere Alekos con le sue uscite. Zio Felipe l’aveva definita diabolica al pari delle altre dee di loro conoscenza, e in fondo non aveva tutti i torti. Teti doveva averci messo lo zampino, rendendola più edotta di quanto, in un primo momento, Alekos stesso non avesse immaginato.

«Purtroppo è vero. Quei due avrebbero resistito ancora poco, però va anche detto che sono stati assai bravi a trattenersi dal gettarsi addosso l’un l’altra, senza prima badare ai pensieri reciproci. Non ti pare?»

«Ma certo. Ora sanno di poterlo fare conoscendosi davvero, il che è un traguardo non da poco, per una divinità, non è così?» sorrise Acaste, soddisfatta al pari di una maestrina con i suoi due allievi prediletti.

«Sentire due giovani che parlano di divinità come se fossero degli alunni indisciplinati e un po’ sciocchi, è davvero divertente» ammise Aretusa, avvolgendo con un braccio i fianchi del fratellastro. «Se penso a quanto eri giovane e timido, la prima volta che venisti a trovarci qui, Alekos! Sei davvero maturato molto anche tu!»

«E a me ha fatto piacere conoscervi tutte… è bello avere una famiglia così numerosa e amorevole» replicò Alekos, sorridendo alla ninfa prima di rendersi conto di una presenza estranea, ferma nell’ombra a poca distanza da loro.

L’attimo successivo, però, ne comprese l’entità e non si preoccupò, continuando la sua passeggiata assieme alle sue sorellastre e ad Acaste.

Non gli spiaceva che Eris fosse presente; avrebbe però preferito parlare con lei, invece di saperla sempre a distanza di sicurezza, ma veramente vicino a lui.
 
***

Seduti a gambe intrecciate sul bordo di una polla d’acqua, in attesa che Egle e Aretusa tornassero con le libagioni per il pranzo, Acaste sorrise enigmatica ad Alekos e domandò: «Eris è da queste parti, vero?»

Sorridendo ammirato all’amica, il giovane assentì e domandò: «Cosa mi ha tradito?»

«Sono brava a cogliere le espressioni facciali delle persone, e ormai riconosco molto bene le tue» ammise lei, con una scrollatina di spalle. «Hai sempre la stessa espressione felice e, al tempo stesso, preoccupata, quando avverti la presenza di Eris. Quel che mi sorprende è che solo tu sei in grado di avvertirla. Io non la sento affatto.»

«Non so esattamente spiegarti come funziona, ma credo che lei voglia che sappia che è nei paraggi ma, al tempo stesso, non vuole disturbarmi. Io, però, vorrei parlare con lei.»

Acuendo il suo sorriso, Acaste allora gli domandò: «Sai dirmi dove si trova? Più o meno.»

Alekos si concentrò sul sottile filo di potere che lo univa a Eris e, seguendolo fino a raggiungerla, sorrise debolmente e disse: «Poco distante da qui, nel bosco, nei pressi di un torrente sorgivo.»

L’oceanina assentì e, nello sfiorare l’acqua con una mano, si fece assente, quasi la sua anima non fosse più presente nel corpo. Alekos la sostenne gentilmente perché non cadesse – non era certo che non potesse succedere – mentre Acaste, trasmutata in parte in acqua, andò alla ricerca di Eris.

Era ormai da tempo che la dea li seguiva a distanza di sicurezza, e credeva fosse giunto il momento in cui si palesasse una volta per tutte. Alekos ne aveva percepito la presenza ogni volta, e aveva desiderato parlare con lei in ogni occasione.

Chissà che, cogliendola di sorpresa, non accettasse un invito formale e smettesse di nascondersi nell’ombra.

Già pronta a un rimbrotto, così come a frasi ben più volgari di un semplice ‘vai al diavolo’ – trattandosi di Eris, Acaste era più o meno propensa a pensare qualsiasi cosa – l’oceanina la colse alle spalle con la sua seconda forma liquida e, balzando dal torrente, esclamò: «Eccoti, finalmente!»

Eris si volse nervosa, le mani pallide arricciate ad artiglio e lo sguardo rabbioso avvolto da una nuvola di capelli neri. Furente con se stessa per essere stata colta in flagrante, balzò all’indietro esclamando: «Tu! Perché diavolo non sei con Alekos! Devi stare con lui! Torna immediatamente nel tuo corpo, E RESTACI!»

Vagamente perplessa di fronte all’ansia trasudante da quelle parole apparentemente furenti, Acaste avanzò di un passo nonostante la postura difensiva di Eris e aggiunse: «Alekos è ormai un uomo, e non ha bisogno di compagnia in ogni attimo della sua giornata.»

Falciando l’aria con un braccio, Eris la tenne a distanza e sibilò: «Tu servi alla sua luce, perciò torna! TORNA!»

«La sua…luce?» esalò confusa Acaste, bloccando il suo incedere.

L’oceanina scrutò il volto pallido della dea con espressione più che mai incerta e, per un attimo, desiderò scostarle i capelli per essere certa di comprendere bene la sua espressione.

Quell’ammasso scomposto e corvino di capelli ne confondeva i tratti, rendendole difficile capire i suoi reali sentimenti, ma gli occhi – di un grigio così chiaro da sembrare bianco – parlavano di odio e, al tempo stesso, di paura.

Ma paura di cosa, alla fine?

«Vattene…» ringhiò a quel punto Eris, falciando l’aria ma stando ben attenta a non toccarla. «VATTENE

Acaste non si lasciò intimidire – sua madre Teti le aveva spesso detto che pensieri e parole non sempre collimavano, e quello sembrava il tipico esempio – così, avanzando ancora di un passo, replicò: «Non andrò… se non assieme a te.»

Ciò detto, le sorrise contrita e, sussurrando un ‘mi spiace’, allungò il suo braccio acquatico per afferrarla a un polso e, grazie a quel contatto, la forzò a una trasmutazione per portarla via con sé.

Eris non poté liberarsi da quella gabbia – Acaste, dopotutto, era figlia di due titani, e il suo potere era antecedente a quello di Era e Zeus – e, suo malgrado, dovette seguirla.

Sotto gli occhi attenti di Alekos, quindi, Acaste riprese il controllo del proprio corpo mentre una smarrita quanto furiosa Eris cadeva a terra, a pochi passi da loro.

Carponi e quasi senza fiato, la dea fissò quindi con livore la giovane oceanina mentre riprendeva coscienza e, furiosa, esclamò: «Tu, maledetta! Adesso te la faccio pagare!»

Prima ancora di potersi avvicinare, però, Alekos intrecciò il suo sguardo con Eris e, sorridendole, levò una mano per dire: «Non avercela con lei. Un po’ è anche colpa mia, che volevo conoscerti. Acaste mi ha solo accontentato.»

Bloccandosi a metà di un passo, Eris distolse in fretta lo sguardo e, in un borbottio sommesso, mormorò: «Non avresti dovuto volere questo.»

«E perché mai? Sei l’unica della famiglia che non ho ancora conosciuto» replicò Alekos, scrutando per un istante Acaste per rendersi conto se stesse o meno bene.

A un assenso dell’oceanina, il giovane tornò a volgersi verso Eris e aggiunse: «Sai, ho conosciuto tuo figlio Horkos. Era con le Erinni, poco tempo fa, e stavano componendo un nuovo brano da proporre ad Ade. Suona il basso in modo strepitoso.»

Se mai possibile, Eris impallidì più di quanto già non fosse e, contrariamente a qualsiasi sua precedente azione, afferrò Alekos per le braccia ed esclamò: «Tu non devi avvicinarti alla mia progenie! Mai! Ti insozzerebbe!»

Ciò detto, forse rendendosi conto del suo gesto, si allontanò scandalizzata, forse pronta a fuggire, ma Alekos glielo impedì, asserendo atono: «Hai detto una sciocchezza.»

Acaste lo fissò preoccupata, forse non aspettandosi una frase simile enunciata proprio dall’amico, ma Alekos scosse il capo nella sua direzione e, dopo un attimo di indecisione, aggiunse: «Non desidero offenderti, Eris, ma denigrare se stessi o i propri figli, è da sciocchi. Non hai nessun motivo per vergognarti di loro, o di te, se è per questo.»

La dea, immobile fin dal momento in cui lui aveva proferito parola per smentirla, si volse lentamente verso il giovane, lo squadrò con i suoi occhi chiari e mormorò livida: «Non conosci abbastanza nessuno di noi, per dire questo. Il tuo dono è troppo puro, perché una stirpe avariata come la mia insozzi anche la tua sola ombra.»

«Stirpe… avariata?» esalò Acaste, percependo nella dea la sua strenua convinzione di essere imperfetta, impura… inadatta anche soltanto a parlare con Alekos.

La dea fissò rovente l’oceanina e, snudando i denti per l’ira, aggiunse: «Come altro vorresti chiamare una stirpe come la mia, nata da un odio e un risentimento cocenti?!»

A quelle parole, l’oceanina impallidì leggermente ed Eris, cogliendo la palla al balzo, svanì loro innanzi, lasciando dietro di sé solo il profumo amaro delle sue parole.

Alekos e Acaste si fissarono vicendevolmente turbati e quest’ultima, con un sospiro, mormorò spiacente: «Credo di averla fatta infuriare.»

Il giovane, però, scosse il capo e replicò: «Non è colpa tua. Eris è molto amareggiata e crede di meritare solo dolore.»

«Ma perché? Hai ben visto, no? Pur se era furente con me, non ha minimamente tentato di colpirmi» sottolineò Acaste, scuotendo il capo per la confusione.

«Credimi, scoprirò perché crede di essere una persona malvagia» dichiarò Alekos, prendendola per mano. «Credo sia venuto il momento di scambiare quattro parole con i vari fratelli di Eris, e capire cosa ne sanno loro.»

«Beh, allora avremo il nostro daffare…» chiosò Acaste prima di domandargli: «Con Egle e Aretusa, come ci regoliamo?»

Alekos si rammentò solo in quell’istante delle due sorellastre e, battendosi una mano sulla fronte, esalò: «Accidenti! Okay, facciamolo dopo la loro merenda. Non vorrei mai offenderle.»

Acaste gli sorrise dolcemente, mormorando: «Sei proprio un bravo ragazzo, Alekos.»

Lui arrossì un poco, borbottando per contro: «Non fare come mia madre, per favore.»

Lei si limitò a ridacchiare impertinente, e ad Alekos non rimase altro che ignorarla. Replicare non sarebbe servito a niente, quindi tanto valeva non dire altro.
 
***

«Eris?» mormorò dubbioso Apollo, sbocconcellando una fetta di mela dal grande vassoio che Aretusa aveva poggiato su una tovaglia da pic-nic.

Dopo aver lanciato un messaggio mentale allo zio – stando ben attendo a non captare ciò che stava facendo – Alekos aveva dato una mano alle sorellastre ad allestire un pranzo sul prato. Acaste, nel frattempo, era corsa alla sorgente per riempire alcune brocche d’acqua, a cui aveva aggiunto qualche goccia dei succosi limoni che crescevano nel giardino, per renderla più buona.

Quando infine Apollo e Clizia li avevano raggiunti, i due erano apparsi sicuramente rilassati ma, a sorpresa, nessuno aveva mostrato segni evidenti di un rapporto focoso.

O erano stati molto bravi a non sgualcire gli abiti, o alla fine Apollo e Clizia si erano limitati a farsi le coccole.

Alekos aveva preferito non chiedere, e Acaste si era ben guardata dal fare domande alla sorella. Le Esperidi, semplicemente, avevano fatto finta di nulla, come se il momentaneo tête-à-tête di Apollo e Clizia non fosse mai avvenuto.

Annuendo di fronte allo sguardo interrogativo dello zio, Alekos attese suoi lumi in merito e la divinità, dopo essersi sistemata meglio sul prato, ammise: «Beh, forse sono il meno adatto a parlartene, visto che io e Arty nascemmo nove mesi dopo di lei.»

«Oh» esalò Alekos, reclinando spiacente il capo. «Quindi, il nonno era…»

«Già. A spassarsela con mia madre, mentre Era aveva le doglie» ammise con tono fiacco Apollo. «Perché mi chiedi di lei?»

«Vorrei sapere qualcosa di più sulla sua storia. E’ l’unica, tra di voi, con cui non ho mai parlato, e così…» tentennò Alekos, non sapendo bene quanto dire.

Grattandosi una guancia, meditabondo, Apollo replicò: «C’è ben poco da dire. Ha un caratteraccio al pari di Ares, e ama mettere zizzania tra le persone, quasi che vederle litigare sia una panacea, per lei.»

Acaste strinse spiacente la mano di Alekos, ben immaginando la sua frustrazione di fronte alla scarna risposta dello zio. Il giovane, però, non si diede per vinto e rivolse la sua attenzione alle sorellastre, domandando loro lumi sul pomo della discordia.

Aretusa sospirò spiacente e ammise: «Sì, lo colse da una delle nostre piante e convinse Era, tua madre e Afrodite a scendere in competizione per averlo. La cosa sciocca fu che quelle tre accettarono. Come se la bellezza fosse unica e ben definita da regole, e non nel cuore delle persone, e perciò unica e fine a se stessa.»

Egle sorrise nell’annuire e Alekos, subodorando qualcosa, domandò dubbioso: «Cosa combinarono?»

«Per prima cosa, chiesero a Zeus di dirimere la questione, ma lui ovviamente si defilò alla svelta per rifilare all’ignaro Paride la scelta. Costui scelse Afrodite, come ben tutti sappiamo, ma il mito non parla d’altro, in merito alla reazione delle dee. Non dice cosa successe dopo che Afrodite ebbe ottenuto in dono il pomo» ammiccò Egle al fratellastro.

Alekos sospirò e disse sconsolato: «Sto già temendo il peggio, ma dimmi pure.»

«Se tra i mortali si scatenò una guerra a seguito del ratto di Elena, che portò gli dèi a parteggiare per l’una o l’altra fazione, sull’Olimpo si formò un vero e proprio putiferio per una cosa ben più futile. Afrodite tentò di fondere la mela per farne dei gioielli… ma il pomo non cambiò mai forma» ammise Egle. «Ella tentò di tutto, si rivolse persino all’ex marito Efesto pur di avere la meglio sul pomo, ma nulla valse allo scopo. Così, Athena ed Era la presero in giro per i suoi goffi tentativi di ottenere nuovi gioielli e… beh…»

Alekos si passò una mano sul viso e borbottò: «Ad Afrodite non piacciono gli sberleffi.»

«Esatto. Inoltre, il fatto di vedere Athena ed Era coalizzate contro di lei, la fece andare fuori di matto, così ella scatenò Deimos e Phobos perché colpissero le due dee, ma i figli si guardarono bene dal muovere contro simili divinità e defilarono per bella posta, nascondendosi nell’Oltretomba» disse Aretusa, sorridendo divertita.

«Oh, cielo…» esalò Alekos, mentre il resto dei presenti stentava a non ridere.

Scrollando le spalle, Aretusa concluse dicendo: «Non volendo tenere un semplice pomo come ornamento per il suo tempio, Afrodite finì col gettarlo dall’Olimpo e, che io sappia, adesso è in una casa di qualche ricco collezionista di oggetti rari, del tutto ignaro di avere per sé l’unico, originale, pomo della discordia. Deimos e Phobos, ovviamente, dovettero passare duecento anni nella casa di Ade, prima di poter rimettere piede nel tempio di mammina.»

«Si comportavano come bambine capricciose» chiosò derisorio Apollo, guadagnandosi una gomitata nel fianco da Clizia. «Ahia!»

«Parla per te, visto che cambiavi amanti al pari di tuo padre» sottolineò lei, ammiccando maliziosa.

«Beh, non è la stessa cosa, però…» borbottò a quel punto il dio solare, arrossendo suo malgrado.

Clizia acuì lo sguardo per puntarlo contro di lui, e ad Apollo non restò altro che tacere.

Alekos, da parte sua, rise sommessamente e celiò: «Beh, per lo meno so che si sono divertite, a un certo punto.»

«Di sicuro, quella sfida le mise alla prova… e loro fallirono miseramente, dimostrando quanto superficiali fossero all’epoca» motteggiò Egle, senza malizia alcuna.

Alekos assentì, chiosando: «Saprò come prendere in giro mia madre, grazie a questa storia. Grazie, sorelle.»

«Di nulla, Alekos» replicarono in coro le Esperidi, sorridendo complici.

«Ora, però, vorrei chiedere ai diretti interessati» dichiarò a sorpresa Alekos, facendo rizzare in piedi Apollo, già in ansia.

«No, aspetta, Alekos! Non devi…»

Lui non attese di farlo terminare. Domandò mentalmente a Era di poter essere convocato e, grazie ai poteri della dea, scomparve dal giardino delle Esperidi per giungere direttamente sull’Olimpo, di fronte al tempio di sua nonna putativa.

Osservando irritato la nuvoletta scintillante in cui era sparito Alekos, Apollo sbottò dicendo: «Si caccerà nei guai, a ficcare così il naso in questo modo. Adesso vado a riprenderlo, prima che combini un disastro.»

Acaste, però, lo afferrò a un braccio e replicò dolente: «No, per favore, Apollo. Lascialo fare. Alekos tiene molto a conoscere la verità su Eris.»

«Ma perché? Cos’hanno, in comune, loro due?» volle sapere a quel punto Apollo.

«Te lo dovrà dire Alekos, se lo vorrà. Io voglio difendere i suoi passi, però, e a questo precetto mi atterrò» dichiarò lapidaria Acaste.

Apollo la fissò stranito per alcuni istanti, si volse a scrutare la sorella e infine disse: «Voi oceanine avete la testa dura, quando volete.»

«Abbastanza» ammise Clizia, prima di chiedere mentalmente alla sorella: “Sei sicura che Alekos non si caccerà davvero nei guai? Gli sono affezionata, e non voglio che soffra.”

“E’ una cosa che vuole risolvere, e io mi impegnerò con tutta me stessa per aiutarlo.”

“Lo fai per amor suo?”

Acaste le sorrise, replicando con semplicità: “Alekos e io siamo amici. Mi spiace per Afrodite, ma non potrà preparare il nostro matrimonio. Però, potrà divertirsi con te e Apollo, vero?”

Clizia arrossì come un gambero e si allontanò dalla mente della sorella che, soddisfatta, lanciò uno sguardo verso il cielo sgombro di nubi e pregò che andasse tutto bene.

Anche lei non voleva che Alekos soffrisse, ma non voleva neppure negargli la verità. Sapeva che ne aveva bisogno, ormai.

 

 
 
 
 
1: la frase di Apollo non è solo un complimento a Clizia. E’ anche un riferimento al mito, che vede Clizia mutare in un girasole per seguire per sempre il sorgere e il calare del sole, così da poter vedere il suo adorato Apollo, da cui era stata ripudiata (i motivi li ho spiegati nella storia di Apollo).



N.d.A.: Riuscirà Alekos a scoprire tutti i segreti di Eris? Ma, soprattutto, perché è spinto a scoprire la verità su di lei?


 
  
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