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Autore: PiscesNoAphrodite    20/12/2019    1 recensioni
"La Dodicesima Casa non mi era mai sembrata così tetra – col suo perimetro regolare e incastonata come un diamante tra le pareti verticali del monte – benché non la ricordassi come un luogo ridente, se non per la presenza dei fiori i quali però aulivano, anch'essi, di un sentore di morte."
***
In un ipotetico post-Ade Misty è riuscito a conquistare le Sacre Vestigia di Libra, a dispetto di trascorsi poco brillanti; ma è possibile che nel raggiungimento di uno status ambito ed elevato non risieda la felicità? Dove cercarla, dunque? In bilico tra la vita e la morte? In gesta eroiche o in qualcosa di più ordinario?
(Narrazione a punti di vista alternati)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Apollo, Lizard Misty, Perseus Algol, Pisces Aphrodite
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I prati d'asfodelo, capitolo III

 

(Un breve estratto di questo capitolo partecipa all'Advent Calendar 2019 del gruppo Hurt/Comfort Italia – Fanfiction & Fanart. Finestrella numero 17 – seconda opera del giorno, parola chiave n.4: foglia.)

 

VII

 

Talvolta mi recavo al villaggio di Rodorio, dopo aver svolto le solite mansioni, e quel giorno imboccai il sentiero opposto evitando il tragitto che mi avrebbe condotto a destinazione. Era stata la distrazione a farmi deviare da un percorso prestabilito. Troppe preoccupazioni si sommavano al mio consueto rimuginare: Febo... la dimensione parallela nella quale mi ero risvegliato; la scoperta esecrabile del legame con Aphrodite di cui non sapevo se rallegrarmi o detestare. Confidavo nella speranza che il dio si fosse scordato di me e mi lasciasse in pace perché avevo avuto l'impressione di non essergli molto simpatico; erano passati diversi giorni e non aveva dato segno della sua presenza. Forse si trattava di una falsa illusione e avevo il presentimento che quel silenzio preludesse in realtà a qualcos'altro di ben peggiore. Proprio adesso... proprio nel momento in cui credevo di essere sulla strada giusta. Mi fermai stringendomi nelle spalle, avvolto nel mantello, il soffio della brezza mi blandiva il collo attraverso uno spiraglio tra i capelli. Mi imbattei in un viottolo accidentato tra la boscaglia, d'estate rigogliosa e ora brulla, a tratti, non completamente spoglia. Scossi il capo, percorrendo il declivio fino al punto in cui si estendeva una piana ondulata.

Mi appollaiai sul moncone di una colonna in rovina e, in lontananza, riuscivo a scorgere le lapidi emergere dal terreno frammisto a erbacce incolte, fiori bianchi di cui non rammentavo il nome ma sapevo costituissero un nesso con le divinità ctonie e il mondo sotterraneo. Fredde lastre di pietra la cui epigrafe era stata cancellata dal tempo... ormai non si leggevano nemmeno più i nomi. In quel luogo sacro e profano giacevano le spoglie di eroi senza nome. Strano... veder ripagati il sacrificio e la devozione con l'oblio. Ciononostante, coloro che avevano qualcuno da ricordare ne rimembravano altresì la tomba anonima: eccola, è lei, mi dissi dopo aver adocchiato una figura longilinea – bardata d'argento, in controluce – contrapposta all'alchimia di sfumature rossastre del cielo al tramonto.
Shaina è venuta di sicuro a porgere omaggio al suo allievo, dunque la morte non cancella i ricordi e la tomba è un anello di congiunzione tra noi e i defunti. Io non ho nessuno da compiangere nell'aldilà, ma forse riesco a immedesimarmi nei sentimenti di chi resta... soprattutto se si tratta di conti in sospeso o rimpianti.

Mi sovvenne il ricordo di quando le avevo donato un fiore per deporlo sulla tomba di Cassios, mi lusingava l'idea lo facesse d'abitudine dopo il mio suggerimento.

Cassios, il discepolo di Shaina, un energumeno senza arte né parte, si era sacrificato per amore guadagnandosi l'Elisio. Per amore... che idiozia! È questa la ricompensa dei reietti dall'animo nobile? Se è così, allora, posso ancora confidare nella Giustizia.

Avvolsi un ciuffo di capelli a spirale tra le dita e socchiusi gli occhi, l'effluvio delle foglie intrise di pioggia mi salì alle narici. Avrei voluto palesarmi davanti a lei per scambiare qualche parola e, di contro, mi sentivo profondamente inibito.
Timidezza? Oh, santa Athena! Non sono mai stato timido in vita mia.
Allora cosa poteva essere? Sbattei le palpebre destandomi a forza da quello stato d'irragionevole esitazione, balzando giù come un gatto dal mio nascondiglio.

Sbucai alle sue spalle con discrezione, si udì lo sferragliare dell'armatura malgrado la mia accortezza, ed ero certo lei avesse avvertito la mia presenza pur permanendo immobile.

“A volte vengo qui... vecchi ricordi.” Shaina infranse il silenzio.

“Io, invece, vi sono capitato per caso.”

“Sentiamo la mancanza delle persone quando non ci sono più.”

“Non ho mai sperimentato questa sensazione.” Le risposi in tutta onestà.

“Perché sei freddo come il ghiaccio” ribatté, ridendo attraverso la maschera. La manopola mi impedì di affondare le unghie nel palmo, non sopportavo di essere giudicato sebbene alcune osservazioni suonassero legittime.

“Oh no, Misty, non prendertela. Lo so bene il tuo cuore è puro, dopotutto hai un animo gentile, non fraintendermi” rettificò, portandosi le mani ai fianchi con un movimento elegante. Distolsi l'attenzione da quella visione sensuale temendo si facesse idee strane su un mio presunto interesse nei suoi confronti.

“Non ho ancora conosciuto persone degne della mia attenzione o interessamento.”

“Tu lo dici, o ne sei semplicemente convinto.” Quell'affermazione mi lasciò interdetto. Cosa significa? Avrebbe fatto meglio a pensare per sé, alla sua debolezza, alla svenevole predilezione – non contraccambiata – per uno indegno. Io ero molto più interessante di quel ronzino alato e anche quest'ultimo, tutto sommato, era un povero illuso perché qualsiasi sentimento nutrito nei confronti di Athena Parthenos non poteva essere che platonico...

D'un tratto sentii il tocco della sua mano contro il mio viso, afferrò una ciocca di capelli scostandola dietro l'orecchio, come per darmi un contentino che ebbe l'effetto di un buffetto sulla guancia. Sentivo caldo, dovevo essere arrossito e ne ebbi la conferma vedendo il mio volto riflesso sulla superficie della maschera. Ricollocai l'elmo, che trattenevo sotto un braccio, sul capo.

“La vita è fatta di sentimenti non corrisposti” sentenziò, come se avesse letto nei miei pensieri, chinandosi sulla lapide per deporvi il fiore. Senza dubbio... mi dissi di rimando pensando al sacrificio del povero Cassios.

 

Anticipai Shaina piantandola in asso, ero ipersensibile, il mio orgoglio ne aveva risentito. Mi incamminai verso la valle giungendo a ridosso dei suoi confini. Quella sensazione di inadeguatezza si stava nuovamente impadronendo di me; l'amazzone non aveva occhi che per quel Santo di Bronzo, era innegabile, ed ero sicuro fosse ancora innamorata di lui. Nemmeno le Sacre Vestigia d'oro riuscivano a catturare l'attenzione di quella donna. Calciai un sasso, a volte mi sentivo così inutile.

Scendeva la sera, le ombre tra gli arbusti s'infittivano e la vista, assuefatta all'oscurità, sembrava acuirsi. Gli ultimi residui di luce, filtrando attraverso le fronde, si rifransero contro l'armatura la quale rifulse avviluppata da un'aura di cosmo. Non avevo motivo di celare la mia presenza. Incrociai sentinelle di guardia lungo il percorso, gli uomini mi rivolsero un cenno. Forse quella parvenza di rispetto era dovuta più al mio rango che non a un sentimento di ammirazione; per molti Santi la devozione era indiscussa, ma al di là di ossequi formali non percepivo alcunché. Ero abituato ad apprezzamenti sul mio aspetto fisico e se, un tempo, bastavano a gratificarmi adesso mi lasciavano un senso di vuoto. Volevo di più. Volevo essere ammirato non soltanto a cagione dell'esteriorità di cui andavo fiero. Sospirai scalzando l'elmo per deporlo sul muretto di mattoni antistante, e mi accostai a ridosso come se abbisognassi di essere sorretto. Non era difficile fare un parallelismo tra la mia vita effimera e le foglie.

La falce d'argento brillava fendendo stralci di nubi che si sfilacciavano come un drappo a brandelli, illuminando i sentieri che si dipanavano tra cespugli e rovine. Avevo effettuato un sopralluogo non molto tempo fa, ed ero consapevole fosse stato l'istinto a condurmi laggiù perché, in cuor mio, desideravo incontrare qualcuno. Qualcuno solito presidiare la zona. Ero così assorto da non accorgermi che l'oggetto dei miei pensieri mi stava osservando da lontano.

Vidi sfavillare, al chiaro di luna, la sagoma inconfondibile della tiara e le protuberanze sugli spallacci della corazza.

Gioia? Sollievo? Non riuscivo a dare un nome alle innumerevoli sensazioni provate in quel momento e restai in silenzio col respiro bloccato in gola. Inibizione...

Algol mi aveva già raggiunto e, in barba alle solite formalità, mi sfiorò il volto con la punta delle dita gelide, mi sollevò il mento. Quello era il suo modo di darmi il benvenuto. Un ripiego, per me era soltanto un ripiego, lo avevo capito facendo una sorta di autoanalisi: il Santo di Perseus era senza dubbio attraente e io – come lui – non ero indifferente al fascino della bellezza. Ma poteva anche essere sgradevole... perché non disdegnavo quelle attenzioni... Mi scostai di poco, e quel poco fu sufficiente affinché avvertisse la mia riluttanza.

“Non ti piace più?” domandò. Non riuscivo a distinguere l'espressione del volto, nell'ombra, ma colsi il suo probabile disappunto.

“Non so se il mio sia sincero interesse, o tornaconto personale” affermai sottovoce. Perseus rise, ed era un riso beffardo il suo.

“Conoscendoti propenderei più per la seconda opzione” replicò in risposta alle mie perplessità espresse involontariamente. Alzai gli occhi su di lui, indispettito, come se l'intimità dei miei pensieri fosse stata violata. Non ebbi modo di ribattere poiché riuscì a zittirmi nel modo a lui più congeniale.

Mi asciugai le labbra col dorso della mano.

“I sentimentalismi lasciamoli alle donne” concluse, e non mi restò che annuire in silenzio. Aveva ragione, la nostra relazione era fondata sull'opportunismo e, forse, volta a soddisfare le pulsioni più basse – o, da parte mia, a colmare una profonda solitudine – malgrado la stretta amicizia.

 

...

 

“Tra non molto sarà giorno e devo rientrare al Tempio. Quest'oggi è in programma la visita di milady, ci saranno anche... i suoi protetti, ma credo tu lo sappia. Si tratterranno per qualche tempo al Santuario.”

“Sì, lo so, ma è ancora presto e io ho terminato il mio turno di guardia." Mi disse, facendomi cenno di seguirlo. Lo assecondai perché desideravo prolungare quell'incontro e, come supponevo, mi stava conducendo alla solita spiaggia. Percepivo la brezza salmastra sul volto, il sentore umido preannunciava un inverno mite.

Si accostò contro la parete rocciosa della falesia e mi approssimai non distante da lui, fermo, con lo sguardo orientato laddove la superficie increspata del mare – ancora adombrata dall'oscurità punteggiata di stelle – svaniva congiungendosi con lo sfondo.

“Le Sacre Vestigia d'oro si addicono al tuo portamento altero, ma sei diventato più algido. Sei peggiorato” interloquì lui. Non replicai, aveva ragione. Mi ero allontanato da tutti a causa del mio ruolo; da persona ligia al dovere qual ero avevo pensato fosse giusto mantenere le distanze, oltre a credere che fosse tutto più facile al fine di ottenere maggior considerazione presso i Santi d'Oro, invece non era affatto così. Le responsabilità mi pesavano enormemente, tanto da non immaginare di ritrovarmi in quella situazione. I miei pari non percepivano quella condizione di disagio dall'esterno ma era insostenibile.

Avevo le mani gelide e sudate. Sospirai sfilando l'elmo e, meccanicamente, mi liberai dai restanti elementi della corazza, deponendoli sulla sabbia con accortezza benché sapessi che la consistenza aurea non ne avrebbe risentito. Rimasi con i semplici indumenti sottostanti.

“Ho rimosso l'impedimento” puntualizzai mettendo a tacere sul nascere una sua possibile replica. Avevo compiuto quel gesto per metterlo a proprio agio, affinché potessimo relazionarci da pari a pari come un tempo, o forse no? Forse, a livello inconscio, desideravo essere subordinato a lui... cosa mi stava succedendo? Riconobbi di avere bisogno di calore umano, ma più che calore saggiai l'asperità della fredda corazza contro le mie membra gracili, avvinto in quella stretta, e non osai lamentarmi. Per la prima volta mi sentii a disagio in contrapposizione alla sua indole dominante.

 

...

 

Sbattei le ciglia umide, mi trovai disteso sulla battigia con granelli di sabbia ovunque: nelle pieghe degli indumenti in disordine, tra i capelli che scostai dalla fronte. Il sole stava sorgendo e mi feriva gli occhi sensibili, realizzai di essermi perso in chiacchiere e, successivamente, dovevo essermi assopito con lo sciabordio delle onde nelle orecchie. Un breve frammento della nostra conversazione mi tornò in mente proprio in quel momento.

 

Non sei l'unico a vivere una specie di dramma esistenziale. Il mondo non ruota intorno a te, damerino.”

Cosa ti fa pensare che io stia vivendo un dramma?”

Spiacente, ma sei come un libro aperto. Ognuno di noi dovrebbe avere un conto in sospeso con qualcun altro o essere combattuto tra mille dilemmi, ma non è una soluzione continuare a rimuginare sul passato...”

Esatto. E tu non dovresti essere tra quelli più propensi a dimenticare... non così facilmente come vuoi far credere.”

Infatti non ho dimenticato, ma il rancore verso coloro che reputavo nemici si sta attenuando col passare del tempo.”

Ne abbiamo già discusso. Vale anche per me, purtroppo eravamo schierati dalla parte sbagliata della guerra... anche se...”

Non avevo continuato il discorso perché negavo le mie insicurezze anche a me stesso, e sarebbe stato illogico confermarle in presenza del mio migliore amico.

 

Ero certo si fosse soffermato a contemplare l'opera d'arte che aveva giaciuto sotto il suo sguardo concupiscente, mi piegai sulle ginocchia mordendo il labbro inferiore per trattenere un sorriso. Soppesai i vari componenti dell'armatura soffiando sulla superficie fulgida per rimuovere i granelli di sabbia, si appannò, e non esitai a lustrarla con un lembo di stoffa: era un dono prezioso – forse troppo prezioso per me – non avevo ancora realizzato del tutto quale fosse l'entità del privilegio concessomi. Procedetti alla vestizione col solito timore reverenziale e tuttavia sentivo le Sacre Vestigia sempre più affini al mio essere, come sigillate alla mia anima.

Mi ricomposi, ritrovando la dignità che credevo di aver perso, eppure qualcosa non tornava... mi guardai intorno, affondai le dita tra i capelli... l'elmo.

“L'elmo!” esclamai. Algol mi guardò con un'espressione attonita, grattandosi il mento. La leggerezza mi aveva portato a commettere una grave infrazione, e chissà quali conseguenze avrebbe avuto proprio nel momento in cui avrei dovuto dar lustro alla mia immagine.

“Presto, aiutami a cercarlo. Non può essere svanito nel nulla.” Perseus trasalì udendo la mia sollecitazione, doveva aver intuito la gravità del problema.

“Sta' calmo” disse per tranquillizzarmi, probabilmente aveva letto nei miei occhi la disperazione e lo sconforto in cui versavo. “Non può essersi volatilizzato, e nessuno lo ha trafugato dal momento che non abbiamo avvertito presenze, né benevole, né ostili.”

 

Le ricerche furono vane, perlustrammo la zona circostante ma dell'oggetto non vi era traccia. Nascosi il volto con le mani, non volevo lui notasse il mio smarrimento, mi avrebbe deriso. Ma la sua reazione al mio atteggiamento fu differente, inaspettata. Mi scrollò per le spalle obbligandomi a mostrare il viso, senza schernirmi: “Sei un Santo d'oro, comportati come tale. C'è solo una cosa che puoi fare: assumerti le tue responsabilità, non ci sono scappatoie” esordì, determinato come non lo avevo mai visto, ma in quel momento non capivo volesse aiutarmi, infondermi il coraggio che avevo smarrito.

 

***

 

VIII

 

Saori Kido aveva, forse, deciso di rendersi partecipe della vita dei Santi a lei devoti. Eravamo nuovamente riuniti per ricevere i Santi di Bronzo, i campioni indiscussi, e chissà se Misty – era così bello vederlo insignito del suo titolo – fosse guarito dal proprio rancore. A quel punto credetti proprio di sì, non aveva nulla da invidiare a nessuno e le imprese cui ambiva sarebbero presto giunte, ne ero certo. Mi mossi un poco per sciogliere le articolazioni da una postura che stava divenendo troppo rigida, volgendogli un fuggevole sguardo: stava allineato tra Scorpio e Virgo ma notai qualcosa di insolito. La sua chioma d'oro ricadeva ben oltre le spalle incorniciando il volto delicato e pallido; le singole parti dell'armatura, decorate a volute e intarsi, concave e a sbalzo, ne valorizzavano la figura aggraziata... ma mancava qualcosa. Cosa? M'interrogai realizzando, subito dopo, si trattasse dell'elmo – elmo o tiara – il quale ognuno di noi calza come parte integrante delle Sacre Vestigia.
Santi numi, dove aveva la testa, come aveva fatto a dimenticarselo?

Athena interloquiva con noi presenti e con Dohko, era maturata molto ma ai miei occhi era ancora una ragazzetta ingenua malgrado i gioielli e l'aria altezzosa. Da una parte tale constatazione mi rasserenava in quanto la sua gaiezza avrebbe distolto l'attenzione del Sommo dalla mise incompleta di mio fratello e, forse, avrei fatto in tempo a farglielo notare affinché rimediasse. Spezzai il gambo della rosa tra i denti. Per il momento nessuno sembrava aver notato il particolare dell'elmo ma, ahimè, Dohko non era uno sprovveduto e interruppe con garbo i convenevoli. Si rivolse verso la schiera dei Santi d'Oro, e il mormorio tacque nell'istante in cui vidi guizzare un bagliore nei rubini scarlatti incastonati nella maschera aderente al volto.

“Libra” esordì e, in quel frangente, vidi Misty impallidire ancor di più, era dunque consapevole della propria dimenticanza. “La tua armatura è incompleta, manca il copricapo. Potresti spiegare il motivo?” Lo interrogò.

Abbassai gli occhi portando il fiore spezzato all'altezza del mento, come a voler dissimulare i sentimenti che sarebbero trapelati dal mio viso, e in quel mentre calò il silenzio; ebbi l'impressione di essere investito da un'ondata di gelo, schiusi un occhio: mio fratello avanzò di qualche passo ponendosi sulla guida rossa per interloquire col Gran Sacerdote. Si chinò in ottemperanza al galateo scostando una ciocca fulva dal volto cereo, vessillo di purezza e... innocenza. Gli occhi bassi, fissi sulla passatoia cremisi. Era un déjà-vu, io – e anche lui, probabilmente – stavo rivivendo il non lontano passato.

Le Sacre Vestigia tintinnarono al minimo movimento sfavillando nella semioscurità dell'aula: “L'ho smarrito” replicò conciso, senza provare nemmeno a giustificarsi. Non riuscivo a comprendere quella sorta di inspiegabile candore sebbene la sua incuria nel custodire l'armatura fosse palese e ingiustificabile. Eppure non era da lui, era così attento e scrupoloso in certe cose.

“In quali circostanze? Dove?”

“Nel tratto finale di spiaggia ai confini con la valle sacra.”

“E cosa ci facevi in spiaggia?” Quella domanda, permeata da sottesa ironia, suscitò l'ilarità dei presenti. Non distolsi l'attenzione dal volto serafico dell'interrogato, il quale ebbe – nonostante tutto – la prontezza di spirito di non scomporsi mantenendo un distacco che mi lasciò esterrefatto. E, in quell'attimo, come folgorato da una fugace intuizione o chissà cos'altro, guardai in direzione dei Santi d'Argento e notai Algol... sempre lui; il Santo di Perseus aveva l'aria di chi la sapesse lunga, e malgrado l'apparente sicumera qualcosa nel suo atteggiamento tradiva inquietudine...

“Ho l'abitudine di passeggiare sul lungomare nei ritagli di tempo libero” replicò Misty, impassibile, rialzando il capo come nell'atto di penetrare la maschera inespressiva per incontrare quello sguardo insondabile.

“Avrai tolto l'armatura per farti il bagno, suppongo... Siamo in tempo di pace e non sei nemmeno in grado di custodire le Sacre Vestigia. Affermare di averne smarrito un pezzo non è una giustificazione, ne converrai, mi auguro.” Il timbro della voce risuonò metallico dietro la maschera. Le parole del Sommo erano come un pugnale conficcato tra costole: pesavano come macigni e, stranamente, mi ferivano sebbene non fossero rivolte a me medesimo. Fui indotto a chinare, di riflesso, il capo verso il basso.

“Ne convengo” annuì l'altro. Il suo tono parve sereno e cristallino e mi rasserenai sospirando per liberarmi dall'aria trattenuta nei polmoni.

“Neanche la semplice ammissione costituisce una scusante, sappilo.”

“Ho sempre custodito le Sacre Vestigia con la massima cura.” Si schermì Misty, assottigliando lo sguardo, e da quegli occhi cerulei trasparì l'usuale sicurezza. Ma quella parvenza di sincerità non sarebbe valsa a emendarlo dalla mancanza, ne ero convinto. Mi soffermai a fissare la punta degli stivali.

“Non si direbbe a giudicare dai fatti. Sei una persona superficiale e confermo che non sei adatto a questo ruolo, come ho sempre sostenuto a dispetto dell'opinione favorevole di Athena.” Dohko non gli risparmiò i rimproveri, quella era l'occasione propizia per vomitare ogni perplessità nei suoi confronti. Guardai Athena le cui sopracciglia s'incresparono, la commessura delle labbra curvò verso il basso; il volto gentile s'incupì come per effetto di una cocente delusione ma, purtroppo, non mi era dato sapere cosa pensasse.

“Sommo Sacerdote, d'ora in avanti mi asterrò dal fare scelte avventate e delego a voi l'ultima parola. Forse è stato un errore occorso a causa della fiducia mal riposta” esordì lei abbassando gli occhi, probabilmente per evitare di incrociare i nostri sguardi. Non riuscivo a spiegarmi il perché di quella sensazione; a cosa fosse dovuta la mia convinzione che la fanciulla non desiderasse confrontarsi con noi, ma quasi sfuggirci – sottrarsi al compito più gravoso – delegando una decisione, benevola o avversa, ma che sarebbe spettata a lei soltanto.

Mi punsi con le spine, quelle parole furono uno schiaffo in faccia, un duro colpo inferto all'autostima di mio fratello. Solo io sapevo quanto gli avrebbero fatto male stravolgendo il suo labile equilibrio; un equilibrio raggiunto malgrado i problemi, gli ostacoli, e a discapito di tutte le maschere da lui indossate... ora prossimo a sgretolarsi come un castello di sabbia.

Ma... avrei dovuto essere indifferente, anzi, il fatto che non ci fosse nessuno a difenderlo sarebbe stato utile a forgiargli il carattere, a fargli abbassare la cresta; io stesso lo avevo definito un viziato arrogante, tuttavia non riuscivo a pormi nei suoi confronti col dovuto distacco.

Avevo un nodo in gola e mi portai una mano al petto per alleviare l'oppressione al torace, stavo somatizzando il mio malessere. Alzai gli occhi, lo guardai; le gote gli si imporporarono forse era collera malcelata o imbarazzo. Levò lo sguardo da terra: uno sguardo vacuo, disincantato.

“Certo, milady. Ma voi dovreste sapere su chi riporre fiducia incondizionata, a prescindere” affermò, a testa alta, come destatosi dalle illusioni di cui si era nutrito a lungo. Ormai lo conoscevo così bene da leggergli quasi dentro.

Gli errori si pagano, fratellino. Nella posizione elevata in cui ti trovi a maggior ragione.

“E, secondo te, la dèa dovrebbe perdonare la leggerezza di un vanesio imbecille che ha smarrito un pezzo dell'armatura?!”
Sobbalzai dopo aver udito quel commento inopportuno. Tatsumi, il maggiordomo di milady, si era intromesso anche lui come se non bastasse l'ostilità del Sommo. Il sangue pulsò alle tempie ma non potevo intervenire e mostrarmi di parte.

Misty indugiò abbassando di nuovo gli occhi sul pavimento, quasi volesse raccogliere le idee, e poi si riscosse come destato da un blando torpore. “E tu sei un esperto ad adulare i potenti e a trattare con i più deboli” infierì, rievocando i deprecabili trascorsi dell'uomo. Chi voleva intendere avrebbe carpito l'ambiguità velenosa insita in quelle parole. Avevo rilevato una nota d'indignazione nella sua voce, la quale tradì il risentimento per l'affronto ricevuto, ammiravo il suo ardire nonostante tutto.

“D'altronde cosa ci si può aspettare da uno che non ha riguardo che per se stesso.”
Un'altra frecciata indirizzata al mio discepolo – e fratello – mi esortò a trasalire nuovamente e stavolta scoccai un'occhiata di traverso all'algido Camus, in piedi accanto a me, ma questi non fece una piega. Eh sì, anche lui aveva dovuto metterci il becco.
Dannazione.

Dohko si scoprì il volto deponendo la maschera blu cobalto a lato dello scranno dorato. La pazienza stava degenerando in collera, era evidente, trapelava dallo sguardo – fisso e penetrante – ma confidavo nel suo notorio autocontrollo. “Basta così” ordinò, e poi si rivolse ai Santi di Bronzo. “Recuperate l'elmo di Libra, perlustrate ogni anfratto del Santuario e dintorni al fine di ritrovarlo; e con esso chi potrebbe averlo trafugato, sebbene quest'ultima mi sembri un'eventualità assai improbabile.”

Tamburellò le dita sui braccioli del trono. “E tu, incapace che non sei altro, sei oppresso dalle troppe responsabilità a quanto pare, e avresti bisogno di riposo. Di un diversivo lungi dal Santuario. Raccogli le tue cose e attendi che ti siano date istruzioni sul luogo dove dovrai recarti a prestare servizio per qualche tempo. Il tempo utile a riflettere. Se in passato ho sorvolato su alcuni comportamenti, da oggi non sono più disposto a tollerarli” stabilì, e quello aveva tutta l'aria di essere un provvedimento irrevocabile. Sapevo che mio fratello non si sarebbe abbassato a invocare misericordia, le sceneggiate patetiche non erano nelle sue corde e ciò precludeva il buon esito della vicenda, anche un bambino sarebbe riuscito a intuirlo.

La serafica strafottenza di Death Mask non mi tangeva più di tanto; richiamai l'attenzione di Saga con un cenno, ma quello, da lontano, replicò scuotendo il capo, nemmeno lui stavolta avrebbe potuto metterci una buona parola.
Misty... volevo parlargli, raggiungerlo, ma ero come incapace di muovermi, paralizzato contro la mia volontà; sdrammatizzò rivolgendomi un'occhiata di sottecchi per rassicurarmi. Lui... voleva rassicurare me.

 

***

 

IX

 

C'era mancato davvero poco a che perdessi il controllo, ero riuscito a trattenermi e, in altre circostanze, avrei agito con maggior fermezza. Varcai l'uscio a doppio battente che mi introdusse nell'ala del Tempio riservata alle Stanze di Athena; le ancelle a servizio della dèa si dileguarono dopo avermi annunciato. Lei era lì, sul terrazzo, le mani appoggiate sulla balaustra di marmo, la silhouette avvolta da una fioca luminescenza contrapposta al cielo notturno, scuro, insondabile come la voragine del Tartaro. Una figura eterea, leggiadra, ma sapevo in quella dolcezza risiedesse la sua forza.

“Non è stato ritrovato, immagino” esordì, ancora voltata di spalle. L'affermazione mi suggerì lei avesse intuito di quale tenore fossero le informazioni che dovevo riportarle.

“Niente. Seiya e gli altri non hanno trovato nulla” replicai, sudando sotto i paramenti sacerdotali.

“È strano” sospirò, ritraendosi verso l'interno mentre il vento gonfiava i ricchi drappeggi dei tendaggi. Il fruscio delle vesti accompagnò i suoi movimenti misurati. Estrasse un fiore con i petali frastagliati da un vaso decorato, rigirandolo con grazia tra le dita scarne, per poi abbandonarsi sul proprio seggio, come assorta nei pensieri.

“Già, è strano che un oggetto smarrito per una semplice distrazione non si ritrovi” replicai confermando i suoi dubbi.

“È molto più probabile che qualcuno se ne sia appropriato indebitamente” soggiunse, deponendo il crisantemo sul bracciolo del seggio. “Ci siamo già imbattuti in un inconveniente del genere, in passato.”

“Sebbene in passato ci fossero in gioco circostanze differenti, particolari concatenazioni di eventi quali un conflitto intestino al Santuario. Ma, ora, a quale scopo sottrarre l'elmo di un'armatura che preso singolarmente è inservibile; inoltre non ci è pervenuta alcuna rivendicazione a proposito di un furto.”

“Non lo so, Dohko.” Saori abbassò gli occhi sulle mani deposte in grembo, serrandole in un intreccio. “Ma ne verremo a capo, ne sono sicura.”

Non riuscivo a darmi delle risposte concrete e mi voltai a braccia conserte, smarrito, nella vastità di quella sala: un ampio rettangolo, cinto da una doppia fila di colonne, dove le fiamme nei bracieri brillavano come fuochi fatui. Un fulmine illuminò a giorno l'ambiente; avvertivo una strana inquietudine e, nello stesso momento, osservai Saori, la quale sembrava in procinto di dire qualcosa giacché aveva schiuso le labbra sottili e il volto, rischiarato da quella luce, si adombrò di mestizia.

“Mi dispiace.”

“Per cosa, milady?” Le domandai.

“È una decisione irrevocabile, la vostra?”

Stavolta fui io a emettere un sospiro. Quella sensibilità era tipica delle donne. Mi attardai a riflettere prima di concederle una risposta, e infine convenni che l'empatia non fosse prerogativa del genere femminile.

“I Santi hanno bisogno di maturare e, ancor prima di acquisire consapevolezza del proprio valore, dovrebbero essere consci dell'importanza del ruolo che sono deputati a svolgere. E poi, suvvia, non sarà allontanato dal Grande Tempio per sempre; non posso privarmi a lungo di uno dei Santi d'Oro. Giusto il tempo di ravvedersi e ponderare sui propri errori.”

“Capisco, non voglio mettere in discussione la vostra autorità. Dalla vostra esperienza non ho che da imparare” rispose distendendo con le mani le pieghe dell'abito, e un poco d'ansia trapelò da quel gesto lezioso. “Mi rendo conto di essere così giovane e, a volte, il pensiero di detenere diritto di vita e di morte sui miei Santi mi indispone moralmente. Un destino che loro non hanno scelto.”

“Perdonatemi... neanche voi avete scelto di essere ricettacolo di una divinità, sbaglio? Eppure lo accettate, e adempite senza indugi al vostro compito di predestinata.”

“Predestinazione...” mormorò. Lo sguardo fisso nel vuoto, gli occhi le cui pupille dilatate occultavano il colore delle iridi...

“Non si può eludere la sorte. Questo vale per voi, per me, per i Santi di ogni Casta. Di conseguenza, Misty non soffrirà troppo per la mia decisione. Quando accerterò la sua buona fede annullerò il mio provvedimento e potrà tornare alla Settima Casa” le spiegai cercando di rasserenarla.

“Non dubito sia in buona fede. Non possiamo esserci sbagliati sul suo conto. Non è un irresponsabile, la sua efficienza è nota in tutto il Santuario, quanto occorsogli è un incidente di percorso... lo sento.”

Sbagliare è umano e noi siamo esseri umani, mi sentivo in disaccordo con lei ma non replicai. Non riuscivo a scrollarmi di dosso i pregiudizi riemersi nei confronti di quel Santo, sapevo che avrei dovuto evitarli data la mia posizione di assoluta imparzialità. Ma... non mi fidavo ancora: un giovane dall'indole egoista, insulso e vuoto, a dispetto di un bel viso - ingannevole - non poteva aver ereditato le Sacre Vestigia di Libra... non riuscivo ad accettarlo, suonava come una beffa. Serrai il pugno. Forse lo stavo giudicando ingiustamente e sulla base di elementi esteriori – in relazione a ciò che sembrava, e non a ciò che realmente fosse – perché non lo conoscevo a fondo, non abbastanza per elargire giudizi. Ricordai di aver accusato Pisces d'incappare nello stesso errore che stavo per commettere... ma avevo bisogno di tempo.

 

L'ingresso di un servitore in sala interruppe la mia riflessione e l'annuncio che quest'ultimo recava con sé non era dei più graditi – non in quel momento. Tuttavia lasciai che fosse la dèa a decidere se ricevere il Santo della Dodicesima Casa, il quale chiedeva udienza.

Athena si levò dallo scranno, scostando la lunga veste da un lato, e impugnò lo scettro stringendo l'asta con le dita bianche e sottili; come intenta a darsi un contegno autorevole quasi in contrapposizione alle affermazioni proferite poc'anzi. Forse era un meccanismo di difesa volto a consolidare la fiducia – ottenuta a fatica – dei Santi, e a imporre la propria autorità, chi poteva dirlo?

 

 

 

 
   
 
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