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Autore: Mary P_Stark    23/12/2019    2 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3.
 
 
 

 
Pur se non aveva alcun legame con Era, fin da bambino Alekos l’aveva sempre chiamata nonna e, nonostante le perplessità di tutti, lei aveva sempre accettato volentieri l’epiteto.

Per quanto Era non fosse mai andata particolarmente d’accordo con Athena, la dea del focolare aveva invece amato molto il suo figliolo semidio.

Fin dai tempi dell’Oltretomba, Era non gli aveva mai fatto mancare il suo affetto. Nel crescere, quella colloquialità era rimasta e, ancora adesso, Alekos vedeva in Era una nonna premurosa, così come la vedeva in Anita, la madre di Miguel.

La dea, che in quel momento stava tenendo in braccio Buffy, salutò Alekos al suo arrivo e, nell’invitarlo a entrare nel tempio, disse a mo’ di spiegazione: «Oggi ho Buffy, mentre sua sorella Xena è da Efesto. Pare che queste due pesti abbiano litigato così tanto da far decidere ai genitori di tenerle momentaneamente lontane.»

Sorpreso, Alekos guardò la cuginetta in viso – visibilmente segnata da un graffio sotto allo zigomo – e domandò curioso: «Ma cos’avete combinato, voi due?»

«Xena mi ha rotto il pony di legno, così io le ho rotto lo scudo, e allora lei mi ha rotto…» borbottò la bambina, compitando sulle sue piccole dita la serie sempre più lunga di oggetti distrutti dai loro atti vendicativi.

Cominciando a impensierirsi quando la lista superò le venti unità, Alekos la interruppe con un sorriso nervoso e le chiese: «Immagino che abbiate dato letteralmente in escandescenze. Per questo siete qui, e non a casa, vero?»

«Mamma ha detto che da nonna Anita avremmo potuto far danni molto seri, così mi ha portato qui da nonna Era, mentre quella schif…»

Era tappò preventivamente la bocca alla nipotina putativa, ammonendola poi con lo sguardo a non proseguire e la bimba, nonostante tutto, si azzittì, mettendo il broncio.

«Okay, ho più o meno capito» sospirò Alekos, scuotendo il capo e carezzando il viso tumefatto della bambina. «Ti fa molto male, piccolina?»

Lei scosse il capo, orgogliosa ma, nemmeno un minuto dopo, scoppiò in lacrime e si allungò per essere presa in braccio dal cugino, che la accolse volentieri accanto a sé.

Cullandola gentilmente mentre il pianto purificatore di Buffy proseguiva senza sosta, Alekos ascoltò le proteste della bimba, condite però anche di scuse alla sorella, a cui aveva strappato una ciocca di capelli.

Era osservò l’intera scena con un sorriso sul volto e, quando infine Buffy fu abbastanza stanca da collassare, la dea chiamò una delle sue ancelle perché la mettesse a dormire.

Non appena la vide andare via, sorrise quindi al nipote acquisito e dichiarò: «Solo tu riesci a dirimere le contese con così tanta facilità. Il tuo dono è davvero superbo.»

Alekos infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans, come sempre in imbarazzo di fronte ai complimenti tributatigli e, sorridendo a mezzo, replicò: «Mi viene spontaneo farlo.»

«Dai voce alle tue qualità più intime» gli spiegò la dea, invitandolo a passeggiare nel suo giardino privato. «Zeus mi ha detto che, secondo lui, il dono ti viene direttamente da tuo padre e che, tramite il sangue divino di tua madre, ha preso corpo concretamente.»

Vagamente sorpreso da quell’accenno, Alekos domandò cauto, pur se speranzoso: «Ma… tu e nonno… va tutto bene?»

Era sorrise mesta e rassegnata e, nell’indicare un gazebo circondato di rose, invitò il nipote acquisito a sedersi con lei sulla panchina in ferro battuto che vi aveva fatto sistemare.

Circondati dal profumo dei fiori e il cinguettio degli uccelli, la dea ammise: «Mi sono crogiolata per secoli, millenni, nell’illusione che lui, prima o poi, sarebbe cambiato e, nel frattempo, ho patito pene inenarrabili e le ho fatte patire a chi mi stava vicino. Zeus, semplicemente, è così. O lo tengo per quello che è, oppure dovremo inscenare una seconda guerra titanica, con quello che ne verrebbe in conseguenza.»

«Ma non ti senti presa in giro, così?» le domandò turbato il giovane.

«Un po’, ma anche chiedendo a Lachesi, ho avuto conferma del fatto che, con questioni come il Fato, non si può mettere il becco, e lui è e sarà sempre così» scrollò le spalle la dea. «Ci sono cose che vanno oltre la nostra comprensione, e che non vengono decise da noi, che pure siamo divinità.»

«Quindi…»

«Non mi chiedo più con chi lui sia. Lascio perdere. Mi diverto per conto mio, con chi desidero e, così facendo, riusciamo a parlarci come due persone civili. Non sarà il massimo, ma è meglio che prenderci per i capelli o lanciarci strali come facevamo in passato» gli spiegò lei, sorridendo suo malgrado alla sorte spettatale.

Alekos assentì spiacente, avendo sperato in un finale del tutto diverso, per loro. Aveva segretamente sperato – e pregato – che tra i due nonni vi potesse essere un’intesa di qualche tipo… ma non aveva pensato di certo a quello.

Se a Era stava bene, però, poteva anche accontentarsi. Per il momento.

Vedendolo dubbioso quanto pensieroso, Era gli venne incontro e, sorridendogli, domandò: «Cosa ti porta qui? Non che non mi facciano piacere le tue richieste di essere convocato, ma vedo che qualcosa ti rode il fegato, e sembra che tu non voglia parlarmene per qualche motivo che non comprendo.»

«Ho paura di ferirti, chiedendo, e davvero non vorrei» ammise il giovane, fissandola pieno di contrizione.

Era allora gli sorrise, carezzò gli scuri capelli del giovane quasi egli fosse ancora un bambino e infine disse: «Nessuno potrà mai farmi male come me lo fece Zeus, perciò parla.»

«Ho bisogno di sapere di Eris» mormorò allora Alekos, in un soffio.

Sinceramente sorpresa, Era esalò: «E perché mai, scusa?»

Alekos si strinse una mano al petto, arruffando la maglietta che indossava e, con sincero dolore, ammise: «La sento. Sento quando è vicina, e sono lieto che ci sia, perché sembra che la mia vicinanza mitighi il dolore che la divora, ma al tempo stesso mi fa male pensare che lei non voglia parlare con me.»

Era sospirò, annuendo debolmente, e ammise: «Quella ragazza è sempre stata un problema, fin dalla nascita. Temo, tra le altre cose, che sia colpa mia e di Zeus, se il suo lato più oscuro ha predominato su quello buono.»

«Cosa vuoi dire, nonna?» esalò confuso Alekos.

Lei gli sorrise tristemente, mormorando: «Come abbiamo ipotizzato che tuo padre ti abbia passato il dono che tu ora usi per portare armonia, così io e Zeus possiamo aver incanalato in lei tutto il nostro livore, il nostro odio, la nostra frustrazione, generando in lei ciò che poi ha distribuito intorno a sé nel corso dei millenni. I suoi figli ne hanno rispecchiato i malumori e ora esiste solo una creatura ferita, che odia tutto e tutti. Così, per lo meno, io mi spiego il suo carattere.»

«Non odia tutti. Non me» sottolineò Alekos, sicuro di sé.

«Tu dici che la tua presenza la rende quieta? Può essere… ma finirà con il ferire anche te, ragazzo mio, come ha fatto con tutti, oltre che con se stessa» lo mise in guardia Era, senza malanimo alcuno nella voce. Semplicemente, esprimeva un dato di fatto.

Per nulla scoraggiato, Alekos replicò: «Se è vero che Eris è il frutto dei vostri recessi più oscuri, mentre io sono il frutto della parte migliore dei miei genitori, credo possa esistere una speranza, per lei. Non potrei semplicemente usare il mio potere su di lei?»

«Caro, è encomiabile da parte tua pensarlo, ma si parla di millenni di malvagità e di sotterfugi, non di pochi attimi» sottolineò la dea.

Alekos assentì torvo, a quelle parole e, reclinando il viso, fissò i suoi pugni stretti sui jeans, chiaro segno della sua frustrazione. Era mai possibile che non potesse fare niente per chetare i dolenti pensieri di Eris?
 
***

Come aveva potuto farsi giocare a quel modo da un’oceanina? Come aveva potuto essere così sciocca e incauta?!

Torcendosi le mani per il nervosismo e la rabbia, Eris scagliò contro il muro una coppa brunita che, tintinnando, cadde poi a terra producendo echi sinistri nel suo piccolo tempio, sperduto in un angolo dell’Olimpo.

Nessuno l’aveva voluta come vicina di casa, perciò lei si era ritagliata un posticino su uno spuntone di roccia, lontana da tutto e da tutti, e lì si era rinchiusa a meditar vendetta.

Nel corso dei secoli era riuscita a prendersi qualche soddisfazione e, anche grazie ai suoi figli, aveva altresì sorriso qualche volta, di fronte ai loro successi ma, come spesso avviene, in mezzo a tante, una mela marcia compare sempre.

Sua figlia Ate aveva fatto il passo più lungo della gamba, non le aveva dato ascolto e si era fatta cacciare per sempre dall’Olimpo. Da quel giorno, la figlia non aveva più voluto parlarle, accusandola di non averla difesa a sufficienza dalle accuse di Zeus.

Non che Eris fosse mai stata una madre protettiva o calorosa, ma l’aveva ferita sentir parlare Ate a quel modo; dopotutto, lei le aveva pur detto di non sfidare il sommo Zeus. Ate, però, non aveva voluto ascoltarla, si era messa nelle mani di nonna Era per farla contenta – come se si aspettasse di essere poi amata dalla nonna, per questo – e quello era stato il risultato.

Disgustata da entrambi i nonni, Ate aveva ben volentieri accettato il divieto a tornare sull’Olimpo e, da quel giorno, aveva fatto impazzire gli uomini con i suoi sussurri e le sue minacce.

A lei non era rimasto altro che veder allontanarsi un altro pezzo di sé, e sempre a causa dei suoi genitori e del loro modo egoistico di trattare le persone.

Una seconda coppa seguì la prima e, subito dopo, un grido di rabbia e frustrazione echeggiò nel tempio mentre, stanca e provata, crollava a terra in lacrime.

Non avrebbe mai dovuto avvicinarsi tanto ad Alekos, rischiando di rovinare a quel modo quel giovane perfetto e dal futuro luminoso e puro.

Ma era stato più forte di lei e, pur avendo tentato in tutti i modi possibili di evitarlo, aveva voluto sentire su di sé il tocco del suo potere, la dolce brezza della sua pace che, invero, riusciva a scacciare i suoi pensieri folli.

Tergendosi il viso come se non avesse più forze anche solo per manifestare la propria rabbia, Eris si lasciò scivolare a terra e, in un pianto silenzioso, sfogò così frustrazione e dolore.

Fu in quella posa davvero inusuale che la trovò Ares, ancora stesa a terra, in lacrime e stremata.

Sorpreso da quel cedimento davvero inconsueto, che nella sorella non aveva mai visto in tanti millenni, Ares la avvicinò cauto e, sollevandola da terra, la trovò inerme tra le sue braccia, del tutto cedevole e fiacca.

«Ma cosa ti è successo?»

«Uccidimi, fratello, ti prego…» mormorò Eris, sentendosi male al solo pensiero di chiedere aiuto, ma non sapendo in che altro modo proteggere Alekos da lei.

Sgranando gli occhi per lo sgomento, Ares la sollevò con facilità da terra e, in tutta fretta, la condusse nelle sue stanze, borbottando contrariato: «Ma che scemenze stai dicendo?! Non ci penso minimamente! A parte che non saprei neanche fisicamente come fare, e poi abbiamo già rischiato il botto con Hermes, …figurarsi se permetterei a te di fare una follia simile. Manderesti il mondo in rovina.»

«Non mi importa del mondo! Mi importa di Alekos!» esclamò con una scintilla di forza residua la dea, sgomentando ulteriormente il fratello.

Accigliandosi al solo sentir nominare il nipote, lui ringhiò: «Che intendi dire? Cosa gli hai fatto?!»

Eris, a quel punto, crollò a sorpresa contro l’ampio torace del fratello e, tra le lacrime, raccontò del suo primo incontro con Alekos e delle parole piene di speranza e di rimprovero insieme del giovane.

Ares ascoltò in silenzio per tutto il tempo e, dopo averla depositata sul suo letto, prese una pezzuola e un catino d’acqua e lavò via le lacrime dal volto della sorella, guardandola poi con espressione burbera.

«Mi hai fatto venire un colpo, Eris. Pensavo gli avessi fatto del male, mentre invece vi siete solo parlati. Che vuoi che sia?» scrollò le spalle il dio, non più così irritato.

Lei fece tanto d’occhi, a quelle parole, e replicò furiosa: «Che vuoi che sia?! Io sono dannata, fratello, e non ho il diritto di parlare con una creatura pura come lui! Tantomeno di toccarlo!»

Ares sbuffò per tutta risposta e, gettata la pezzuola nel catino, replicò serafico: «Dici un mucchio di scemenze. Non sei dannata, e Alekos non è un angelo dei cristiani, o un kami giapponese. E’ fatto di carne e sangue, come me e te.»

Eris lo fissò stranita, battendo le palpebre ora asciutte e Ares, tossicchiando imbarazzato, borbottò: «Non ti venisse in mente di dire che mi hai sentito citare una cosa simile, o giuro che ci farò un pensierino, sull’ammazzarti.»

«Hai… studiato gli altri culti?» esalò Eris, ormai più sorpresa che rattristata.

«Beh, che c’è? Bisogna conoscere il proprio nemico, no?!» sbottò Ares, sulle sue.

Lei ristette zitta a fissarlo e Ares, tossicchiando più volte per l’imbarazzo di essere stato scoperto, riprese a parlare con tono burbero, dicendo: «Se Alekos vuole parlarti, e Athena dice che va bene, che problemi devi farti? Neanch’io sono uno stinco di santo, sai? Ho versato più sangue di te, sorella, e con gran diletto, credimi. Ma non mi pento di nulla. Io sono così, eppure so provare amore per la mia Afrodite…»

«E’ lussuria» sottolineò Eris.

«Fammi finire!» sbottò il fratello. «Dicevo, …posso provare amore per la mia Afrodite, per le mie sorelle e fratelli, e per Alekos, pur avendo fomentato guerre e dispute per millenni. Una cosa non esclude l’altra, perché è nella nostra natura

Stringendo le mani sulla sua nera veste, Eris reclinò colpevole il capo e mormorò: «Non dovresti neppure tentare di consolarmi. Anche tu dovresti odiarmi, come tutti gli altri.»

«E perché mai, scusa?» gracchiò il fratello, ora confuso.

«Pentesilea. Tua figlia» mormorò Eris. «Fui io a forgiare l’arma che usò durante la Guerra di Troia, pensando di esserne in grado, ma non la salvò dalla morte. Dal disonore.»

Sorridendo a mezzo, Ares le risollevò il viso pallido poggiando un dito sotto il suo mento e, tranquillo, disse: «Fu Pentesilea a scegliere di partecipare, alleandosi con Priamo, e chiese a te, sua zia, di forgiare la sua arma perché si fidava della tua bravura. E la tua arma fu davvero straordinaria. Non fu la lancia a farla fallire, ma la bravura di Achille nella lotta. Non fu tua la colpa della sua morte, Eris. Non pensarlo, neppure per un attimo.»

«Eppure, se io avessi…»

Ares la azzittì con un’occhiata gelida, replicando: «Fu Efesto stesso a lodare l’arma da te forgiata, non solo io. Accetta che non fu colpa tua, e perdonati per una colpa che non hai.»

«Perdonarmi?» mugolò la dea, incredula.

«Invero, ma non tutte le sventure nascono da te. Le persone riescono a fare prodigi anche da soli. Basta guardare fuori dalla finestra, per rendersene conto. Gli umani sono bravissimi a causarsi sofferenze senza richiedere il nostro aiuto» celiò lui, dandole un pizzicotto sul naso. «Piuttosto, quanti giovani hai spronato, pungolato perché migliorassero loro stessi? Questo lo dimentichi sempre, eh?»

«Non compensa le mie cattiverie» brontolò Eris, cocciuta.

Ares allora sospirò, le diede una gran spinta alla spalla, mandandola lunga riversa sul letto e sbottò dicendo: «Sai che ti dico, Eris? Finché andrai in giro camuffandoti da Samara di The Ring, lo so anch’io che ti sembrerà di essere un’appestata. Devi riprenderti un po’, sorella, e convincerti che non sei poi quel gran disastro che credi.»

Lei lo fissò malissimo, si risollevò a sedere e, afferrata la stoffa del suo abito dimesso, borbottò: «Cosa intendi dire, scusa?!»

Il fratello la fissò esasperato e, dopo un attimo di indecisione, la afferrò a un polso con malagrazia e se la tirò dietro, incurante delle proteste della sorella e dei suoi sguardi omicidi.

Con uno scintillio, si trasmutò poi nel suo tempio assieme a lei e, dopo aver afferrato un Blue-ray disc, lo infilò nel lettore e disse: «Questa è la bambina di The Ring

Eris osservò per diversi attimi lo schermo gigante posto nella sala privata di Ares. Portandosi lentamente una mano al volto quando una ragazzina pallida, vestita di bianco e con scialbi capelli neri se ne andava in giro a spaventare la gente attraverso uno schermo, esalò: «Io… sono così?»

Scettico, Ares replicò: «Scusa… ma da quand’è che non ti guardi allo specchio?»

«Da quando in qua ne ho bisogno?» sbottò lei, fissandolo arcigna.

Il fratello sospirò nuovamente, scosse il capo e, dopo aver afferrato il suo cellulare, borbottò alla persona all’altro capo: «Ciao, tesoro. Non è che potresti passare qui con il tuo armamentario da donne? No, non per me, sciocchina. Non voglio farmi le french

Alcuni borbottii al telefono e Ares replicò: «Ti pare che ti direi di venire qui per fare un servizietto a una mia amante? Sono un po’ tonto, te lo concedo, ma non così tanto. E’ per mia sorella Eris.»

La diretta interessata sgranò gli occhi sgomenta, fece per scappare al solo pensiero ma Ares la afferrò nuovamente a un polso, fissandola poi con un ghigno che non ammetteva repliche.

Ciò fatto, aggiunse: «No, non sono ammattito. E’ che avrebbe bisogno di un tocco femminile, e il massimo a cui arrivo io sono le forcine per i capelli e i cerchietti.»

Quando ebbe chiuso la chiamata, si volse infine verso la sorella, ancora inorridita, e dichiarò: «Sei stata troppo tempo per i fatti tuoi, da sola a rimuginare soltanto su cose brutte e io, da bravo idiota, te l’ho lasciato fare perché, inutile dirlo, solo un insensibile e un egoista, e ne capisco poco di donne.»

Ciò detto, rise di sé e aggiunse: «Questo me l’ha detto Athena, e sono propenso a crederle, perché di solito non mi dice bugie. Questa cosa con Alekos, però, sta diventando un’ossessione che ti sta facendo uscire di testa, ed è brutto vederti così indifesa, perché non lo sei mai stata.»

«Non so che mi stia succedendo» esalò lei, scuotendo il capo di fronte all’ineluttabilità delle sue stesse parole.

Suo fratello aveva ragione. Mai una volta, nella sua esistenza, si era sentita così persa e desolata, così priva di appigli a cui aggrapparsi… e non capiva perché proprio quel giovane immortale dovesse farle quell’effetto.

«Parla con Afrodite. Tutti pensano che sia un po’ superficiale e svampita, e forse per certe cose lo è, ma è brava ad ascoltare» cercò di rassicurarla Ares, dandole una goffa pacca sulla spalla.

Eris annuì cauta ma, quando la dea dell’Amore giunse in tutta la sua scintillante bellezza a rischiarare il tempio dell’amante, quasi desiderò fuggire dalla gentile stretta del fratello.

Sapeva, però, che Ares l’avrebbe rincorsa per tutto il mondo pur di portare a termine ciò che si era prefissato, perciò lasciò perdere il pensiero di scappare a gambe levate e si ripromise di sopportare quel supplizio fino alla fine.

Dopotutto, non capitava spesso – per non dire mai! – che qualcuno si prendesse cura di lei, perciò poteva approfittarne almeno un po’.

Afrodite avanzò con la sua falcata elegante e slanciata, vestita con un completino bianco da estetista e un’enorme borsa a tracolla e, dopo averla poggiata a terra, squadrò i due fratelli, la stanza disordinata di Ares e infine disse: «Bene. Tu sistema un po’ qui intorno; sembra una porcilaia. Io ed Eris, nel frattempo, capiremo cosa fare.»

Ares borbottò un insulto colorito e riferito ai sopracitati animali da fattoria, prima di mettersi a sistemare di malavoglia quanto detto da Afrodite. A sua volta, la dea si morse pensierosa il labbro inferiore, dimostrando in parte ansia e in parte calcolo.

Eris non fece altro che rimanere ferma, le mani serrate a pugno lungo i fianchi e i lunghi capelli neri a coprirle in parte il volto.

Alla fine, Afrodite si lasciò andare a un sospiro tremulo e, senza toccare Eris, le domandò: «Dove vuoi sistemarti?»

La dea della discordia si guardò intorno con espressione mogia ma, infine, borbottò: «Sulla balconata va bene?»

Afrodite assentì e, nel recuperare la borsa, disse: «E’ un ottimo posto. Si vede la vallata, da lì, e il sole fa bene alla pelle.»

Con uno schiocco di dita, Afrodite fece poi apparire un comodo sgabello imbottito per Eris e, dopo averla pregata di sedersi, le domandò: «Posso toccarti i capelli?»

«Anche se molti lo pensano, non mordo» sospirò Eris, annuendo.

Afrodite storse appena il naso, di fronte al suo tono querulo, ma cercò di non farci caso. Non era mai capitato che Ares le chiedesse aiuto per sua sorella e, se era accaduto, evidentemente doveva aver visto qualcosa che lo aveva turbato.

Era passato troppo poco tempo dalla crisi di Hermes, per non temere episodi simili, ed Eris era un’ottima candidata per il ruolo della vittima predestinata.

Forse, Ares aveva avuto in qualche modo timore che la sorella potesse meditare il suicidio, perciò l’aveva interpellata perché gli desse una mano con la scontrosa sorella.

A ogni buon conto, iniziò a districare delicatamente con una spazzola i capelli di Eris e, debolmente, disse: «Sei fortunata. Sono capelli forti e senza doppie punte. Per averli così lunghi, non sembrano affatto sfibrati.»

Eris rispose con un mmmh monocorde che, però, non scoraggiò Afrodite dal proseguire la sua analisi del capello e, dopo quasi mezz’ora di quel trattamento, le liberò il viso per mettere in luce un ovale perfetto e dalla pelle eburnea.

Sollevando sorpresa le sopracciglia, Afrodite borbottò: «Beh, che mi venga un colpo!»

«Che c’è? Ho una verruca sul naso?» ironizzò la dea della discordia.

La divinità dell’Amore, per contro, sbuffò dicendo: «So che ti viene spontaneo cercare di metter zizzania ma ti prego, non farlo proprio ora. La mia esclamazione veniva dal fatto che non immaginavo tu avessi una pelle così bella, o degli occhi così singolari.»

Sinceramente sorpresa da quel commento, Eris se ne ristette zitta a rimirare i cerulei occhi della dea che, attenti, la stavano squadrando con competenza.

Non stava mentendo, lo si poteva leggere chiaramente dalla sua espressione.

Ormai del tutto presa dalla sua missione, Afrodite non perse tempo a chiedere il permesso e carezzò il viso di Eris per delineare con il tocco delle dita la curva morbida di guance e mandibola, borbottando poi pensierosa: «Uhm, decisamente bei lineamenti. Oserei dire che hai preso da Era, che ha sempre avuto un bell’ovale del volto. Ma i colori sono tutti tuoi, non te li ha dati nessuno.»

«Che intendi dire?» esalò la dea.

Sorridendole complice, Afrodite dichiarò: «Dovevi essere già decisa in partenza a non voler rassomigliare ai tuoi genitori, perché sia Zeus che Era hanno una pelle bronzea, mentre la tua è algida come il latte. I tuoi capelli sono neri, mentre quelli di Zeus sono castani, e quelli di Era, biondi. Infine, i tuoi occhi sono di un grigio così chiaro da far pensare ai diamanti, e nessuno dei due li ha di quel colore. Volevi essere te stessa, non un loro surrogato.»

Sgranando gli occhi di fronte a quelle parole, Eris non seppe come replicare e, dentro di sé, si sentì paradossalmente sollevata all’idea di non rassomigliare ai genitori, pur avendolo sempre saputo.

Eppure, le parole di Afrodite lo avevano reso reale, tangibile. Lei non era come i suoi genitori, poteva essere diversa da ciò che le avevano riversato dentro durante tutto il periodo della sua gestazione, e durante i primi anni della sua crescita.

Ringalluzzita dal silenzio di Eris, Afrodite proseguì nel dire: «Se posso permettermi, con un incarnato come il tuo, stirerei i capelli, li scalerei e accorcerei la lunghezza generale per renderli più leggeri. Inoltre, non per offendere, cambierei sartoria. Le tuniche di questo genere, andavano bene qualche secolo fa.»

Sbattendo confusa le palpebre, Eris reclinò il capo a guardarsi l’abito semplice e scuro come la notte e, storcendo la bocca, mormorò: «Non voglio i jeans. Sono ruvidi.»

«Concordo… fanno seccare la pelle con facilità. Opterei per dei pantaloni in lana secca, o del lino in estate. Ammesso che tu non voglia rimanere sulle gonne. Per quelle, ti puoi sbizzarrire» dichiarò con competenza Afrodite.

«Senti…»

«Dimmi, Eris.»

«Perché mi aiuti?» domandò con sincerità la dea. «Non ti sono mai stata simpatica, ammettilo.»

La bionda divinità soppesò con attenzione sia la domanda che l’affermazione di Eris e, dopo quasi un minuto di pesante silenzio, disse: «Avevo timore di te, non antipatia, ma semplicemente perché non ti conoscevo bene, e tu sembravi non avere alcuna intenzione di conoscere tua cognata. Quanto all’aiutarti, me l’ha chiesto Ares, ed è ben difficile che lui mi chieda favori, perciò ho accettato volentieri.»

Eris assentì alla sua risposta, rimanendo a lungo in silenzio mentre Afrodite faceva comparire un bacile con acqua e oli profumati per lavarle i capelli. Dopo averlo fatto e averli risciacquati con attenzione, iniziò a sforbiciare ciocca dopo ciocca per sistemarle la chioma come precedentemente detto.

Mentre i capelli corvini cadevano sul pavimento marmoreo in lievi fruscii, un caldo venticello risalì dalla valle, portando con sé il profumo degli oliveti e dei fiori di zagara. Eris ne assaporò gli aromi socchiudendo gli occhi e Afrodite, sorridendo appena, asserì: «Ares mi disse che Athena avrebbe voluto prenderti come sorella, se Era non ti avesse voluta. Credo si sentisse un po’ sola, nel palazzo di Zeus, senza nessuna ragazza con cui giocare.»

Eris si irrigidì leggermente, a quelle parole, ma Afrodite continuò dicendo: «Sai, penso che in generale, a quel tempo, avrebbero dovuto sterilizzare il sommo Zeus, perché causò un sacco di disagi e problemi a tutti i suoi figli. Non era proprio il genere di personaggio che avrebbe dovuto avere una stirpe.»

«Anche se sei sposata con uno di loro?»

«Ares ha un caratteraccio che ha trasmesso anche ai nostri figli e, secondo me, è tutto merito di quei due scriteriati dei genitori, se ha dei comportamenti ai limiti dell’assurdo. Ama il sangue e le guerre ma, per assurdo, adora guardare Pollyanna. Ora, capirai quanto suona contorto, vero?» celiò Afrodite.

«Pollyanna?»

«Una bambina sempre felice, e che vuole trasmettere a tutti la propria gioia, anche quando il mondo attorno a lei va a catafascio» semplificò per lei Afrodite, facendo spallucce. «Arriva a essere stomachevole, per la cronaca.»

Eris sollevò entrambe le sopracciglia per la sorpresa e la dea dell’Amore, annuendo, chiosò: «Capisci che intendo?»

«Quindi, tu dici che…»

«Siamo divinità, e quel che facciamo ha sempre un risvolto più profondo rispetto alle azioni degli umani perciò, secondo me, gli agenti esterni possono influenzarci molto di più rispetto a quanto potrebbe succedere a un mortale. Zeus ed Era avevano liti in continuazione, e spesso di fronte al figlio, che perciò si è abbeverato di violenza. Per lo stesso motivo, forse, anche tu ne hai sofferto, e ora trovi scontato – e più facile – attaccare piuttosto che essere attaccata. Mi sbaglio?» replicò Afrodite, voltandole delicatamente il capo per controllarne il profilo.

«Ma tu non dovresti pensare a persone che fanno sesso, o cose simili?» si lasciò sfuggire Eris, prima di tapparsi spiacente la bocca.

Afrodite, però, non se la prese affatto e asserì con un sorriso: «Come volevasi dimostrare. Quando ti senti attaccata, o punta sul vivo, ti difendi con le offese o le punzecchiature. A riprova di un animo ferito e che non vuole più essere tale.»

«Scusa.»

«Non importa. Ho messo in conto qualche tua rabberciata, quando ho accettato di venire qui» scrollò le spalle la dea. «Zeus mi ha sempre considerata una sciocchina, buona solo a occuparmi di camere da letto e di amori tra le lenzuola. Non ha mai pensato che potesse interessarmi altro.»

«E nonostante tutto, hai continuato ad amare? A dare gioia alle genti?» domandò curiosa Eris.

Sorridendole con sincerità, Afrodite ammise: «E’ stata un po’ una ripicca nei suoi confronti. L’amore è un’arma potente e, ancora oggi, io sono l’unica a essere amata con sincerità dagli umani. Lui si credeva grande e potente, ma ora nessuno lo ricorda, se non per usarlo in pessimi film cinematografici o poco altro. Io, invece…»

Accennando un timido, veloce sorriso, Eris mormorò: «Capisco. Quindi, ti sei presa la tua vendetta, in qualche modo.»

«Già. E senza chiedere il tuo intervento. Spero non ti senta offesa» chiosò Afrodite, ammiccando.

«Niente affatto» scrollò le spalle Eris, provando a sorridere.

Con un’ultima sforbiciata, la dea bionda si ritenne soddisfatta e, dopo aver liberato Eris da alcune ciocche cadute sulla sua tunica, disse: «Direi che ora va molto meglio. Adesso, devo solo stirarteli con la spazzola e il phon.»

Eris annuì e Afrodite, con competenza e impegno, le stirò i capelli e le sistemò l’acconciatura con olii emollienti e spezie nobili.

Fu così che le trovò Ares, intente a chiacchierare e a scambiarsi battute più o meno maliziose sugli dèi. Ed Eris stava sorridendo.







N.d.A.: è chiaro che Alekos si sente in qualche modo interconnesso a Eris, e la dea a sua volta viene condizionata dalla sua presenza nel mondo, al punto tale da sentrisi destabilizzata. 
Questo preoccupa non poco Ares, che già durante la crisi di Hermes aveva tremato di paura per il fratello. Con i suoi gesti goffi, cerca quindi di tirare fuori dai guai la sorella, sperando che l'intervento di Afrodite possa servire allo scopo.
A Eris piaceranno i cambiamenti apportati? Si sentirà un po' meno "appestata", come si definisce lei? E quale effetto avrà, questo discernimento del problema, sul suo rapporto con Alekos?
Naturalmente, vi rimando alla settimana prossima, per una risposta di qualche genere e, nel frattempo, vi auguro Buone Feste. ^_^
  
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