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Autore: _Lightning_    28/12/2019    6 recensioni
Thanos è stato sconfitto e la metà scomparsa dell'universo è tornata, andando a rioccupare i vuoti di cinque anni d'assenza. Anche Peter Parker è tornato, nonostante a volte si senta ancora su Titano e non sia certo che il costume di Spider-Man o le vesti di adolescente del Queens gli appartengano ancora. Ad aiutarlo sul suo nuovo cammino di supereroe c'è almeno Tony Stark - vivo per miracolo, anche se segnato da cicatrici insanabili.
Mentre il mondo tenta di rimettersi in marcia, coloro che lo hanno salvato vengono messi di fronte alle conseguenze delle proprie azioni: i superumani sono un aiuto o una minaccia? Non è forse vero che hanno contribuito a sconvolgere il mondo ben due volte?
Una nuova tempesta si addensa all'orizzonte, e Peter sembra destinato a trovarsi nell'occhio del ciclone...
Dal Capitolo IX: "Zona Negativa"«Parker, non te lo ripeterò: lascia perdere.»
«Altrimenti che fa? Mi toglie di nuovo il costume?» Peter allargò le braccia con aria di sfida.
«Non hai più quindici anni,» ribatté freddamente Tony. «Se non sei in grado di seguire le mie direttive, sei fuori.» Indurì le labbra in una piega severa. «E questo non è un bel momento per essere "fuori".»
Genere: Azione, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'As if it never happened'
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Spider-Man: Back In Black

 

§

 

Capitolo V

La scacchiera



 

“We get some rules to follow
That and this
These and those
No one knows
We get these pills to swallow
How they stick
In your throat
Tastes like gold”

 [No One Knows – Queens Of The Stone Age]

 

 

 

 

 

 

 

3 Maggio, Sede del FEAST, Forest Hills, Queens
 

Tenere sott’occhio i machiavellici ingranaggi di New York e il modo in cui si incastravano e inceppavano tra loro sarebbe stato difficile sotto qualsiasi circostanza, ma con una prova di maturità alle porte sarebbe stata un’impresa impossibile per chiunque, anche per un adolescente con potenziamenti ragneschi.

Peter strizzò gli occhi per mettere a fuoco l’ottava equazione differenziale che svolgeva di fila, nonostante fossero in teoria un semplice ripasso di un argomento affrontato all’inizio dell’anno – ma non per lui, che si era ritrovato a comprimere i primi mesi in poche settimane nel folle quanto per lui necessario tentativo di rimettersi in pari. A gennaio aveva davvero provato a stare al passo col programma tramite Ned e MJ, anche senza frequentare la Midtown, ma aveva capito ben presto che non sarebbe mai riuscito a concentrarsi sullo studio mentre passava le giornate seduto accanto al letto d’ospedale di Tony in attesa che si svegliasse.

I testi scolastici si limitavano ad entrargli dagli occhi, ristagnare per qualche minuto nel cervello e poi volatilizzarsi nel nulla, senza che lui riuscisse a trattenere alcuna informazione. Giornate intere passate nel grigio dell’ala medica al Complesso, con solo le visite per Tony a ravvivarle. Chi passava di lì aveva sempre una parola anche per lui, soprattutto Pepper e Happy, ma anche quelle spesso finivano per scivolargli addosso, come se non fossero realmente dirette a lui. Titano era stato più vicino che mai, allora.

Si premette con forza il retro della matita sulla fronte a spremersi via quel brutto ricordo, fece a mente un paio di calcoli, saltò più passaggi di quanto il professor Harrington avrebbe ritenuto opportuno e segnò il risultato con un tratto di grafite leggero, per poi ricalcarlo dopo essersi accertato che fosse giusto – lo era, come gli altri sette.

Liberò uno sbuffo sollevato e lasciò cadere la biro tra le pagine del quaderno, scrocchiandosi poi il collo. Ned alzò brevemente lo sguardo dalla sua relazione di chimica per puntarlo su di lui: recepì il messaggio implicito e si affrettò a completare la frase che stava scrivendo per poi imitarlo. MJ rimase invece concentrata sul libro assegnatole per letteratura inglese, con le cuffiette nelle orecchie che sparavano una musica affatto calma e un’espressione imbronciata in volto, finché Ned non le sfilò un auricolare facendola trasalire e riportandola nel mondo reale.

«Pausa, ora, prima che inizi a colarci il cervello dalle orecchie come in Indiana Jones,» dichiarò, e per una volta nemmeno lei ebbe nulla da ridire e si tolse anche l’altro auricolare, piantando a faccia in giù Cuore di Tenebra senza troppo riguardo per le pagine già spiegazzate.

Peter si stropicciò gli occhi con la base dei palmi, sapendo che quella sarebbe stata solo una pausa illusoria: dopo la sessione di studio intensivo era di pattuglia e, nonostante fosse su di giri al pensiero di poter compiere ulteriori progressi nella sua indagine, una parte piuttosto veemente di lui avrebbe solo voluto ficcarsi sotto alle coperte e dormire per qualche giorno.

A dispetto del surplus di energia iperattiva che si ritrovava, iniziava ad accusare una certa stanchezza mentale; più per la difficoltà di gestire tutte le fila che si era ritrovato annodato alle proprie dita, in effetti. Se ne tendeva una, ne faceva muovere collateralmente un’altra e, da burattinaio maldestro qual era, la marionetta con le sue sembianze ad esse appesa finiva per inciampare e scivolare più del dovuto, soprattutto se doveva coordinare al contempo i panni di Spider-Man e quelli di Peter Parker.

Soffiò via un sospiro, trovandosi a fissare il vuoto e prestando solo mezzo orecchio a Ned e MJ intenti a discutere del finale della quinta stagione di Stranger Things [1], mentre la sua mente s’imbarcava in tutt’altro luogo.

 
 

«Sei sicuro che sia la scelta migliore?»

«Non saprei, nonnetto: di solito lo scopro sempre quando è ormai troppo tardi.»

Il sospiro con il quale Tony chiuse la frase arrivò chiaramente sin lì, e Peter si pietrificò nel disimpegno della sala comune, ringraziando di avere dei passi molto lievi e che l’udito di Capitan… del Capitano Rogers non fosse più così fino. Tony lo stava ormai aspettando da un pezzo, ma invece di venire a recuperarlo aveva ritenuto opportuno eclissarsi dal momento esatto in cui aveva preso a parlare piuttosto vivacemente con Shuri, senza risparmiarsi un occhiolino complice nella sua direzione. Peter aveva avuto il forte impulso di sparargli una ragnatela in faccia.

E adesso, l’impulso era quello di segnalare la propria presenza, come sarebbe stato opportuno e educato fare… ma rimase con la suola delle scarpe incollata a terra, le orecchie istintivamente tese verso le voci di Tony e Steve. Una persona normale non avrebbe udito altro che un brusio indistinto, visto il volume ridotto in cui stavano discorrendo… ma non lui. Tecnicamente, non stava origliando: li sentiva forti e chiari. Non suonò molto credibile nemmeno a se stesso, come ultimamente gli accadeva sempre più di frequente.

«Credi che farti coinvolgere in via ufficiale lo terrà più al sicuro?»

Peter mancò un respiro.

«È già coinvolto e lo sarebbe stato in ogni caso… a prescindere da me. Anche se, in effetti, sarei comunque stato la causa scatenante. Il Big Bang di tutte le beghe legali supereroistiche, o qualcosa del genere.»

«Invece è fortunato ad averti dalla sua parte.»

«Certo… è quello che mi ripeto la notte per dormire, no?»

«Tony…» Fu Steve a sospirare stavolta, profondamente, e la sua voce suonò più stanca della sua già veneranda età. «Non sono gli Accordi. Non è… quel tipo di situazione. E noi non siamo le stesse persone di allora.»

«Lo spero davvero.» Peter lo sentì muoversi inquieto sul posto, strusciando i piedi a terra. «C’era una morale, vero? Fai sempre discorsi con una morale, e anche abbastanza evidente: fingo di non coglierla solo per lasciarti il gusto di spiegarmela.»

«Non c’è una morale… ma forse dovresti fare un passo indietro. Il fatto di esporti in prima linea, di tornare ad essere Iron Man nelle tue condizioni…»

«Le mie “condizioni” sono ininfluenti,» lo troncò Tony, con una vena di tensione. «Il punto è che ho già assistito troppe volte a situazioni stabili che precipitano: non so starmene con le mani in mano, o “dietro le quinte” come vorrebbero Pepper e Rhodey e Happy e chiunque abbia un briciolo del buonsenso che non ho mai avuto, incluso a quanto pare tu.»

Si udì una sedia che cigolava sotto il peso di Steve che cambiò posizione, irrequieto.

«Non fraintendermi: non ho alcuna intenzione di interferire, Tony. Ho rinunciato a quel diritto assieme allo scudo… e a questo proposito, ti ringrazio per aver dato una possibilità a Bucky. Lo farebbe lui, di persona, ma…»

«C’erano delle priorità da rispettare e questo è un compromesso sopportabile,» lo fermò Tony, facendo fischiare un sospiro tra i denti. «L’ho fatto perché era la cosa giusta da fare. Ma non chiedermi mai più di stringergli la mano, per il bene della mia sanità mentale e della sua integrità fisica.»

Ci fu un battito di silenzio sospeso, in cui Peter quasi non si arrischiò a deglutire.

«Gli dispiace.»

«Lo so, ma così va il mondo: a forza di priorità e compromessi.»

«Però sei tu a determinare e accettare entrambi.»

«Perché sono aperto ai compromessi, al contrario di un certo soldatino a stelle e strisce di mia conoscenza…» sbuffò Tony, schioccando la lingua. «E la mia priorità è la mia famiglia, adesso che ne ho una. Ma non posso farne la priorità. Capisci cosa intendo?»

«Fin troppo bene. Per quello che vale, ci sono anch’io a coprirti le spalle.»

Peter sentì Tony esalare una mezza risata, forse ironica, forse sincera.

«Vale quel che vale… ovvero un briciolo di fiducia, Rogers.» Si udì risuonare quella che sembrò una lieve pacca sulla schiena ossuta di Steve. «Ora, piantala di farmi diventare melenso come te e accompagnami a recuperare il ragazzo, prima che me lo ritrovi futuro erede di riserva al trono del Wakanda.»

Peter si affrettò a tornare sui suoi passi, col cuore troppo rapido che gli batteva tra i denti.

 
 

«Peter?»

La voce di Ned lo riscosse e lui si schiarì la voce per prendere tempo, nel tentativo di non dare loro a vedere di essersi distratto; fu tradito dai suoi occhi che si sbarrarono leggermente e rinunciò subito alla farsa.

«Scusate, stavo ripassando a mente,» proferì con una mezza verità, anche se avrebbe preferito “ripassare” nozioni di fisica piuttosto che quella conversazione che gli si riavvolgeva in testa da due settimane, volente o nolente.

«Ti sta per esplodere il telefono,» gli annunciò serafica MJ, con un cenno del mento verso il suddetto che, realizzò Peter, aveva appena cessato di vibrare a raffica.

Ringraziò di aver disattivato la suoneria, così da evitare la cacofonia di spari laser di Star Wars, che avrebbero turbato la quiete della sala lettura del FEAST, e si affrettò a controllare: sulla tendina delle notifiche spiccavano ben sei messaggi non letti. Uno da Tony, quattro da May e uno da Yuri, reindirizzato a quel numero da quello “ufficiale” di Spider-Man che le aveva dato. Sentendosi un po’ in difetto aprì subito quest’ultimo: era una comunicazione stringata e puntuale con una spolverata d’ironia tipica del Capitano Watanabe:

 
Capo Yuri
Stanotte tra le 21 e le 2 al molo 7, Hell's Kitchen, magazzino D. Novità scottanti, vieni armato. O il tuo equivalente di armato.

 

Un pizzicore adrenalinico gli percorse le vene in un lampo e i suoi pollici scattarono a compilare l’immediata risposta, che inviò prima di poterci ripensare:

 
Peter
Ricevuto, Agente Ragno a rapporto con ragnatele extra!

 

Lei visualizzò subito, senza rispondere, ma poté quasi udire il suo sospiro esasperato.

I messaggi di May erano un semplice promemoria del fatto che stasera non avrebbe fatto in tempo a passare dal FEAST e di chiedere quindi al signor Li se avesse bisogno di una mano a chiudere la sede; che al suo ritorno dalla ronda l’avrebbe probabilmente già trovata a dormire, e che a casa lo aspettava una porzione di polpettone in microonde.

«Vi va di cenare al thailandese, stasera?» chiese in fretta, scoccando un’occhiata speranzosa agli altri due.

«Perché no, dopotutto è martedì,» gli accordò Ned, un po’ assente e chiaramente risollevato dal pensiero della cena dopo una giornata di studio che l’aveva provato più del solito.

«Andata,» fu la laconica risposta di MJ, corredata però da un lieve sorriso.

Peter annuì soddisfatto, passando infine al messaggio di Tony con un fremito d’angoscia: non era quasi mai lui a scrivergli, e ogni volta che accadeva si sentiva entrare in lieve agitazione, soprattutto considerati i recenti tumulti e il fatto che aveva di nuovo preso ad evitarlo attivamente.


Tony Stark
Ciao Peter

 

Il suddetto fissò l’enunciato corrugando le sopracciglia, temendo di aver sviluppato una forma di dislessia fulminante. I tre puntini in cima alla chat gli annunciarono che Tony “stava scrivendo”, e attese il seguito con un groppo in gola. Sta scrivendo. Pausa. Sta scrivendo. Pausa più lunga. Sta scrivendo.

Era legale tutto ciò? Non poteva semplicemente chiamarlo? Deglutì rumorosamente, sotto gli sguardi ora curiosi e impensieriti di Ned e MJ.

«È il signor Stark,» chiarì a mo’ di spiegazione, un po’ rigidamente e optando per l’appellativo formale.

«Quindi adesso sei in missione?» sussurrò esaltato Ned, aprendosi in un gran sorriso.

Peter alzò gli occhi al cielo e gli intimò di tacere con un indice alle labbra, scoccando occhiate ansiose verso i soli due altri avventori della sala lettura, entrambi addormentati nelle poltroncine o in procinto di farlo. Evitò rapido lo sguardo di MJ, ancora non del tutto a suo agio nel saperla a conoscenza della propria doppia identità – anzi, particolarmente a disagio in luce degli ultimi avvenimenti.

«No, te l’ho detto: sono quasi in pausa,» replicò testardo, e vide l’amico incupirsi e MJ corrugare le sopracciglia in quel suo modo particolare, di quando captava un turbamento nella Forza… o qualunque altro metodo extrasensoriale avesse per capire che stava dicendo una bugia.

Tornò allo schermo del cellulare, con Tony che a quanto pareva era intento a trascrivere per intero un romanzo via chat. Forse aveva indagato più a fondo sulla sua “operazione collaterale” e aveva deciso di porvi un taglio netto – o di provare a farlo. Forse voleva spiegargli cosa diavolo fossero quelle “priorità” e “compromessi” di cui aveva parlato con Steve, visto che teoricamente riguardavano anche lui. Forse, conoscendo Tony, aveva appena rivisto un episodio di Clone Wars con Morgan e stava per criticare punto per punto il funzionamento teorico di un caccia stellare. Con lui, tutto era possibile.

Infine, l’agognato messaggio arrivò con un ronzio, facendogli cadere la mandibola: in ordinata processione apparvero sulla chat un’emoticon con gli occhiali da sole, una con gli occhi a cuore, un ragno, una ragnatela e una sfilza di cuori variopinti in ordine cromatico.

Cosa… diavolo era? Un messaggio in codice?

«Peter?» lo richiamò Ned, probabilmente allarmato dalla sua espressione.

«Uh… credo che Tony abbia avuto un ictus e sia crollato sul touchscreen,» dedusse Peter, sollevando basito le sopracciglia e rimanendo a bocca semiaperta. «Oppure ha ricevuto lezioni di messaggistica da zia May,» aggiunse, tornando ad accigliarsi nel fissare quell’accozzaglia di emoticon.

A coronare il tutto arrivò in coda anche un breve audio, e Peter si affrettò a portare il telefono all’orecchio.

«Tranquillo, non sono stato contagiato dal morbo degli ultraquarantenni… Maguna mi ha solo indebitamente sottratto il telefono,» si udì un risolino in sottofondo, sovrastato dallo sbuffo divertito di Tony, «comunque, stasera mentre sei di pattuglia puoi passare di volata alla Tower?»

L’audio terminò bruscamente con quella che parve una colluttazione tra padre e figlia e Peter si coprì la bocca col dorso della mano, soffocando una risatina e inviando poi un cuore indirizzato al messaggio di Morgan… per poi realizzare la richiesta di Tony e rabbuiarsi repentinamente.

Non era sicuro che sarebbe riuscito a passare alla Tower entro il coprifuoco, considerando l’impegno con Yuri… anzi, non era sicuro di volerlo fare. Non era mai entusiasta di parlare con Tony in quel periodo, non quando ogni conversazione finiva per tramutarsi in una sorta di interrogatorio. Non quando lui gli stava chiaramente celando parte di quello scricchiolante meccanismo di cui faceva suo malgrado parte – quella più pericolosa.

Il suo senso di ragno ebbe un picco, uno dei tanti insensati a cui aveva quasi cominciato a non fare più caso. Ormai aveva stabilito che non reagiva più soltanto per pericoli imminenti, ma anche in relazione a ciò che lui considerava un potenziale pericolo. Era snervante e lo innervosiva, soprattutto perché pensare a Tony non avrebbe dovuto scatenare reazioni moleste. Eppure, ecco là quel formicolio spiacevole ad increspargli la pelle. Lo detestava, lo faceva sentire difettoso.

Si costrinse però a riflettere in fretta: era online e doveva rispondere in tempi ragionevoli e non sospetti – sospetti? Stava davvero pensando in quei termini? Iniziava a sentirsi come durante i primi tempi in cui aveva indossato la maschera di Spider-Man: costantemente sul filo del rasoio con scuse e bugie rifilate a May. Una vita fa, quando il costume non era altro che una tuta sdrucita e la morte una macchia nella sua vita e non dentro di lui. Serrò la mascella e compilò la risposta, sapendo che Ned e MJ, nonostante stessero di nuovo chiacchierando tra loro, lo tenevano d’occhio di sfuggita, preoccupati dai suoi visibili sbalzi d’umore.



Peter
Sono di pattuglia a Bayside, ma farò il possibile!

 

La replica di Tony si fece attendere qualche secondo di troppo – almeno così ritenne Peter:



Tony Stark
Mi trovi sveglio. Se si fa tardi, puoi sempre rimanere per la notte e fare una sorpresa a Mo. Col via libera di May, ovviamente.

 

Il sottotesto incalzante era più che chiaro, ma Peter continuò a cavalcare l’onda della propria malfatta scusa, inviando un pollice in su e uno smiley generico a chiudere la conversazione in modo neutrale. Uscì in fretta dalla chat, cogliendo la sequenza “May-Tony-Yuri” sulla schermata delle anteprime.

Si sentì appeso a un filo molto, molto sottile che rischiava sempre più di cedere sotto al suo stesso peso, ma si costrinse a bloccare il telefono e a rituffarsi a testa bassa nello studio, parlottando e scherzando con Ned e MJ e lasciando che portassero alla deriva un po’ di quei pensieri cupi che lo attorniavano.

 

 

 

 

3 Maggio, Sede del F.E.A.S.T., Forest Hills, Queens

 

Ovviamente, il signor Li ebbe bisogno di una mano per chiudere la giornata lavorativa al FEAST, così la cena al thailandese fu rimandata e Peter si ritrovò ad affiancarlo, piuttosto volentieri in realtà. Il collaboratore e braccio destro di zia May nell’organizzazione di beneficenza chiedeva raramente e malvolentieri favori: anche stavolta, Peter si dovette quasi imporre per aiutarlo a scaricare i rifornimenti settimanali dal camion alle cucine del FEAST – stando ben attento a non trasportare mai più di quanto un normale adolescente di diciassette anni piuttosto in forma avrebbe potuto trasportare. E dire che avrebbe probabilmente potuto spostare l’intero camion, se ci si fosse messo d’impegno... ma a volte era bello dimenticarsi di essere Spider-Man e rendersi utile anche solo come Peter Parker.

Martin Li, per una volta libero da giacca e cravatta, era un uomo sempre cordiale e sorridente, ma non molto loquace; così si trovarono ad operare il corposo trasferimento in silenzio, con il sottofondo della radio accesa nella zona mensa. Li fischiettava di tanto in tanto a tempo con la musica e Peter si ritrovò a mente un po’ più libera mentre prendeva un ritmo nel tragitto che percorrevano metodicamente avanti e indietro.

L’intermezzo musicale fu interrotto dallo speaker radiofonico, una voce rauca che Peter riconobbe all’istante e che gli fece venire voglia di spegnere il dispositivo – o di fracassarlo contro il muro:

«Buonasera, New York, e bentornati a “Solo i Fatti” con J. Jonah Jameson, l’unico notiziario che vi dirà davvero come stanno le cose!»

Il signor Li sospirò, lanciando un’occhiataccia alla radio, ma il carico di scatoloni che gli occupava le mani parve farlo desistere dall’intento di spegnerla. Peter sorrise segretamente, contento di condividere l’astio per Jameson con qualcuno, ma non si fidò ad esternare commenti.

«In questa puntata ci occuperemo ancora di politica! Le elezioni per il sindaco di New York sono ormai alle porte e Osborn sembra essere definitivamente in testa alle…»

Peter uscì nell’aria tiepida della sera, tagliando fuori campo la voce del giornalista, anche se riusciva comunque a sentirla molto chiaramente. Forse avrebbe dovuto interessarsi di più all’andamento delle elezioni e della campagna elettorale, considerando il tipo d’indagine che stava portando avanti e il fatto che una vittoria di Osborn l’avrebbe infastidito sia a livello personale che “professionale”. Campbell non gli stava poi molto più simpatico, considerando che era mosso da un lord del crimine, quindi non poteva dire di avere una preferenza vera e propria… non ne capiva davvero nulla di politica e ringraziò di non avere ancora diritto di voto.

«… magari dovrei candidarmi io, chissà! Se non altro, nel mio programma figurerebbe di certo un ridimensionamento dell’attività illecita di quell’insetto molesto, che ultimamente si diverte a gettar fango su uomini rispettabili in corsa per il mandato!»

Peter roteò gli occhi al cielo nel rientrare nell’edificio, e non trattenne un commento a mezza voce:

«Aracnide, non insetto,» puntualizzò seccato, posando un po’ bruscamente l’ultimo carico in cima alla pila già instabile di scatoloni.

Udì uno sbuffo divertito da parte del signor Li, che l’aveva evidentemente sentito.

«Se deve criticare qualcuno potrebbe almeno informarsi, no?» commentò, additando la radio con fare critico mentre riponeva un paio di scatole nella credenza.

Peter scrollò le spalle, sorridendo nervoso.

«Beh… capita a tutti di sbagliare sui dettagli. Ma Jameson…» cominciò titubante, cercando di smorzare l’astio, ma il signor Li si limitò a sbuffare di nuovo.

«Ma Jameson non sta simpatico a nessuno, quindi dà ancora più fastidio,» concluse, cogliendo al volo l’antifona.

Peter tirò le labbra in un mezzo cenno d’assenso, osservandolo mentre spegneva infine la radio troncando l’ennesima invettiva del giornalista contro Spider-Man.

«Dopotutto, Spider-Man cerca solo di aiutare, come facciamo noi,» aggiunse poi l’altro, con una naturalezza che fece quasi vacillare Peter.

«Uh… immagino di sì,» rispose esitante, come sempre sulle spine nel parlare di sé in terza persona. «Per questo non capisco perché Jameson si accanisca così tanto coi super,» continuò poi, sia per sincera curiosità che per spostare il fulcro del discorso dal proprio alter ego.

Il signor Li sembrò prendersi qualche secondo per riflettere, approfittandone per controllare di aver sistemato tutto e facendogli poi cenno di uscire dalle cucine.

«Forse è invidia, forse solo frustrazione perché una singola persona con dei poteri riesce a fare più di quanto riuscirebbe a fare lui, o chiunque altro,» rifletté poi, mentre chiudeva a chiave la porta delle cucine e si avviavano all’esterno. «Forse è paura. Dopotutto, esistono persone come Spider-Man e i Vendicatori che stanno scontando una pena a Ryker’s per i loro crimini… non tutti i supereroi sono buoni, Peter,» concluse un po’ amaramente, rivolgendogli uno sguardo quasi dispiaciuto.

Peter deglutì in silenzio, annuendo appena in risposta e stringendosi nelle braccia mentre si congedavano con un cenno dalla guardia notturna, per poi avviarsi all’esterno sulla strada mal illuminata.

«Magari…» cominciò Peter, finendo di aggiustarsi lo zaino sulle spalle, e il signor Li si fece attento. «Magari i supereroi dovrebbero solo diventare… “normali”. Come se fosse un lavoro vero e proprio… anzi, come il volontariato,» sottolineò con un gesto verso l’insegna del FEAST, col cuore che batteva un po’ più forte con tutti i pensieri dell’ultimo mese che gli si accavallavano in testa. «Con i Vendicatori ha funzionato, no?»

Il signor Li scrollò le spalle nella giacca elegante che era tornato a indossare, con un’espressione gioviale sul volto.

«Sarebbe bello potermi considerare un “collega” di Spider-Man e Daredevil,» ammise divertito, con uno sguardo all’edificio squadrato dell’associazione. «Chissà, tutto è possibile. In fondo, è ancora un mondo nuovo,» concluse, con la leggerezza di chi vede quel mondo da lontano, al sicuro dietro un binocolo.

Peter si umettò le labbra cercando di mostrarsi indifferente, ma erano fin troppi giorni che la sua mente era tappezzata di poster di se stesso nelle vesti di Spider-Man, a volto scoperto. Era un mondo nuovo, su questo non aveva alcun dubbio… ma lui era ancora bloccato in quello vecchio, e non aveva idea di dove fosse la porta da varcare per uscirne.

 

 

 

4 Maggio, Hell’s Kitchen, Manhattan,

 

Peter schivò un altro proiettile, si gettò all’indietro atterrando sulle mani e si diede lo slancio verso la parete, per poi schizzar via come una molla e atterrare l’assalitore con un diretto in volo ben piazzato. Sparò al contempo una ragnatela contro l’altro criminale, tappando la canna della pistola appena un istante prima che facesse fuoco. La strattonò poi via dalla sua presa per evitare che gli esplodesse in mano. Una pallottola vagante gli sfiorò comunque il braccio – trattenne un sibilo tra i denti prima di appendersi al soffitto per oscillare fuori tiro, almeno per il tempo di una boccata d’ossigeno.

Erano… troppi, decisamente troppi. Yuri l’aveva sopravvalutato; lui si era sopravvalutato, pur di non dirle che avrebbero avuto bisogno di rinforzi. E adesso si trovava da solo contro dieci uomini armati, a corto di ragnatele speciali e con quella che a giudicare dalle fitte era una costola incrinata… avrebbe davvero dovuto fare più attenzione a quella pila di casse d’acciaio pericolante.

Era così affannato che non aveva neanche il tempo di elargire le sue solite battute di spirito, né riusciva a stare appresso a tutti gli input sensoriali che si intersecavano tra loro, e ciò voleva dire schivare due proiettili su tre e sperare che il terzo non lo colpisse.

Sfrecciò sul soffitto, evitando per un soffio la raffica di piombo che segnò i suoi passi concitati. Quello che vide dall’alto non gli piacque affatto: gli scagnozzi di Fisk – od Osborn, chi poteva dirlo – si erano sparpagliati nell’ampia sala del magazzino portuale, vanificando la sua idea di usare le granate-web per concludere alla svelta quello scontro non preventivato.

Lasciò comunque partire l’ultima verso i tre uomini più vicini tra loro. Furono scagliati contro la parete retrostante, con un impatto tale da farli svenire sul colpo, immobilizzati dall’esplosione di ragnatele. Ebbe appena il tempo di esultare mentalmente, che un secondo proiettile gli sfiorò il polso con cui stava ondeggiando a destra e a manca.

Perse di colpo la presa sul suo appiglio elastico, ma sfruttò a proprio vantaggio l’incidente, atterrando come un macigno addosso a uno degli uomini. Lo spedì bocconi, per poi inchiodargli a terra le mani. Schizzò via dalla zona di tiro, urtandone un altro a tutta forza e mandandolo a rovinare addosso a un terzo che si era incautamente avvicinato. Sparò una raffica di ragnatele per lo più alla cieca, immobilizzandoli alla buona, per poi trasferirsi nuovamente sul soffitto.

Polso e spalla bruciavano sotto il costume intaccato dai colpi, ma non erano che graffi superficiali che sarebbero guariti in poche ore. La costola era più problematica: iniziava a mancargli il fiato e rischiava di rompersela. Vide con la coda dell’occhio uno dei tre che aveva appena messo fuori gioco che si liberava dall’intrico di ragnatele e recuperava la pistola, resettando il conto degli avversari.

«Andiamo, ragazzi, fate i bravi! Non vi sembra…» balzò lateralmente, carponi sul soffitto, «un pochino…» si lasciò cadere a siluro su uno degli assalitori replicando la mossa di poco prima, «… sleale?!» concluse, prendendolo di peso per la maglia e scaraventandolo addosso agli altri due.

L’ultimo rimasto, quello che aveva disarmato all’inizio, lo fissò spaesato per qualche istante quando si voltò nella sua direzione; parve riflettere per un paio di secondi sul da farsi, ad occhi sgranati, e poi se la diede a gambe senza pensarci due volte.

«Arbitro, fallo! Scappare è contro le regole!» lo richiamò Peter, sebbene affannato.

Sparò una blanda ragnatela nella sua direzione, riuscendo a farlo incespicare nei suoi stessi piedi e a mettersi KO da solo.

«Ahia,» commentò lui, strizzandosi nelle spalle nel vederlo impattare malamente faccia a terra.

Si concesse qualche secondo per ammirare il proprio operato, assicurandosi che nessuno dei malviventi riuscisse a muovere un muscolo e immobilizzando quelli svenuti ma ancora esenti da manette di ragnatele, poi si piantò le mani sui fianchi e aspettò che gli passasse il fiatone prima di contattare Yuri:

«Capitano, via libera,» annunciò, deglutendo poi a fatica con la bocca secca.

«Wow, Spider-Man, ho sentito dei Quattro di luglio più tranquilli,» replicò lei nel suo orecchio.

Udì la portiera di un’auto che sbatteva all’esterno, seguita dal cigolio della porta di servizio e da due paia di passi in avvicinamento.

«Sì, uh… erano più di cinque. Il doppio, in effetti, ma che Quattro di luglio sarebbe senza invitati?» tentò di scherzare, anche se in verità si sentiva un poco risentito per essere stato mandato allo sbando con informazioni così lacunose.

Tenne per sé quei pensieri, ricomponendosi quando il capitano della polizia entrò a passo di marcia nel magazzino, lanciando una critica occhiata attorno a sé e sembrando compiaciuta nel vedere i nuovi “addobbi” ragneschi, ancora fin troppo rumorosi sebbene imbavagliati. Un uomo dall’aspetto torvo, alto, con una folta barba e capelli lunghi e corvini le teneva dietro ad ampie falcate, con un semiautomatico imbracciato con la stessa nonchalance con cui si sarebbe portato un ombrello. Gli si fecero rapidi incontro, e Peter vide Yuri accigliarsi con ogni passo che faceva.

«Sei ferito?» indagò, adocchiando gli strappi sul costume, e Peter si limitò a fingere di scrollarsi della polvere immaginaria dalle braccia.

«Un paio di graffi… mi toccherà darmi al cucito,» concluse con un sospiro falsamente irritato, pizzicando la stoffa aderente nel punto in cui lasciava intravedere una sottile linea rossastra sul bicipite.

Quello sul polso era decisamente più fastidioso, e un po’ di sangue aveva impregnato il tessuto sintetico. Non si curò di renderlo noto e si limitò a far entrare in azione i nanobot medici con un battito di palpebre per far rimarginare alla svelta la ferita. A volte la paranoia di Tony era sensata, si trovò ad ammettere.

Yuri sembrò ritenersi soddisfatta della risposta e portò le mani ai fianchi, ruotando qua e là la testa come un segugio in cerca di una pista e scoprendo la fondina da spalla.

«Bene, sbrighiamoci a fare un sopralluogo. Teoricamente la polizia è informata dell’operazione e dovrebbe tenersi alla larga, ma se qualche squadra decidesse di unirsi alla festa non potrei impedirlo,» dichiarò svelta, evitando di guardarlo.

Peter colse senza difficoltà il sottinteso, ovvero che con la baraonda che si era scatenata avevano decisamente attirato l’attenzione di terzi. Avrebbe potuto scusarsi, ma il bruciore dei graffi e il dolore sordo alla costola lo trattennero.

«Cosa speri di trovare?» chiese invece, con una traccia di sospetto. «È il quinto magazzino in cui facciamo irruzione in un mese e il primo che vuoi perquisire…»

«Dmitri [2] ci ha dato qualche dritta utile,» dichiarò spiccia Yuri, accennando al gigante nerboruto accanto a lei, che si limitò a un lento cenno del capo, suggellando la sua natura di uomo di poche parole. «La mafia russa a Rego Park non vede di buon occhio l’alleanza tra Fisk e Osborn, e ha deciso di collaborare,» spiegò poi, con un’occhiata affilata in direzione dell’uomo, che ricambiò in modo altrettanto poco amichevole.

«Due teste a governare: troppe,» dichiarò secco questi, stringendo il fucile con le mani ampie come badili. «Una, tante… ma non due.»

«Uh, certo, chiarissimo,» replicò Peter, schiarendosi la gola e impettendosi nonostante fosse una testa e mezzo più basso di lui, per poi sporgersi verso Yuri e abbassare la voce. «Sicura che non ci ritroveremo sepolti in una fossa a Central Park?»

«Sei qui apposta per impedirlo. E cerca di non parlare troppo come al solito: tende a irritarsi,» lo ammonì lei impassibile, già intenta ad esaminare le diciture sulle casse stipate nel magazzino.

Peter le si accodò, tallonato da Dmitri che non sembrava intenzionato ad aiutarli, ma solo a supervisionarli fissandoli truce.

«Non hai risposto alla domanda,» le fece notare dopo un po’, appollaiato in cima a un container mentre lasciava a Karen il compito di decifrare marchi e simboli delle merci circostanti. «Ovvero: cosa speri di trovare?»

«Indizi, prove,» fu la piatta risposta di Yuri, mentre sfogliava rapida quello che sembrava un registro o libro contabile. «C’è qualcosa di grosso, sotto a questi traffici illeciti. Qualcosa di cui dobbiamo ancora venire a capo… non è una semplice questione di soldi o elezioni,» mormorò, disinteressandosi al registro e adocchiando poi una porta sul fondo del magazzino.

«Qui non c’è niente di niente,» la informò quindi Peter, scendendo a balzelloni dal proprio trespolo. «Merce innocua. Tessuti, giocattoli, vestiti… nulla di lontanamente pericoloso; non sono nemmeno prodotti della Oscorp. È un semplice… magazzino,» constatò, arrivando a terra e affiancandola nella sua marcia verso la porta, che recava l’insegna “uffici”.

«Per questo non mi convince,» ribatté sicura Yuri, abbassando la maniglia e trovandola chiusa. «Abbiamo sempre sequestrato merce contraffatta, o armi, o materiali potenzialmente nocivi… e questo è l’unico magazzino che non abbiamo trovato da soli, ma grazie a una soffiata esterna a Fisk.» Accennò a Dmitri, seduto su una cassa e intento a fissare il vuoto. «Quindi siamo usciti dal loro schema. Non si aspettavano una collaborazione coi russi.»

Peter non obiettò, sentendosi ancora troppo poco pratico di quel mondo per poter davvero avere voce in capitolo. Le fece cenno di scansarsi e aprì senza difficoltà la porta con una semplice spallata, per poi farle un gesto esageratamente galante con tanto di riverenza per invitarla a varcare per prima la soglia. Yuri trattenne un’alzata d’occhi al cielo e sfoderò la pistola, addentrandosi nel corridoio buio. Si intravedeva una mezza dozzina di porte, alcune socchiuse, altre che avrebbe probabilmente dovuto forzare.

Non riponeva troppe speranze nelle affermazioni di Yuri: certo, era un’agente navigata ed esperta che cercava di incastrare Kingpin e Osborn già da molti anni, ma gli sembrava che tutte le piste di quel caso fossero fin troppo labili. Sovrapposizione di impronte tra i due magnati, per lo più, ma mai qualcosa di schiacciante, mai dei nomi e dei passaggi ben chiari che portassero allo scoperto Kingpin sotto la facciata di Fisk.

Tutte le loro azioni illecite passavano per semplici transazioni tra due uomini d’affari, e a nulla valevano gli scontri come quello di poco prima: Kingpin rimaneva il mandante nell’ombra, l’unico colpevole senza volto che orchestrava quei colpi bassi per minare la stabilità di New York e la reputazione di due “uomini perbene” come Fisk e Osborn. E Spider-Man, a detta di Jameson e della stampa becera, era complice di quel caos.

Peter non si capacitava di come potesse essere finito dalla parte sbagliata pur facendo la cosa giusta, e temeva sempre più il momento in cui l’Atto di Registrazione sarebbe stato reso noto al pubblico, conscio che da quell’istante in poi avrebbe avuto un riflettore costantemente puntato in testa e due schieramenti da fronteggiare. Proprio come aveva predetto Tony.

Eppure, era disposto a correre quel rischio. Kingpin e Osborn erano sagome stagliate sullo sfondo della propria vita sin da quando aveva memoria: gli omicidi, le stragi, i regolamenti di conti portati avanti dal primo; gli scandali, le indagini, le ricerche illecite di cui era stato accusato il secondo. E poi Osborn

Aprì la terza porta con molto più slancio delle precedenti, rischiando quasi di scardinarla, e udì l’esclamazione trattenuta di Yuri dietro di sé. Si costrinse a mostrarsi disinvolto a dispetto dell’ampia intaccatura che la sua spalla aveva impresso nel metallo.

«Ops. Non conosco la mia forza,» ridacchiò, ma la risata gli morì in gola nel mettere a fuoco ciò che aveva davanti.

Era un piccolo ufficio, certo, come i precedenti tre… e se stavano cercando qualcosa di sospetto, l’avevano decisamente trovato: le pareti erano ricoperte di ritagli di giornale, foto e mappe, con linee di pennarello che viaggiavano da un pezzo di carta all’altro a formare schemi, tracciati e direttive. Foto di Osborn, di Fisk, di Campbell, poster elettorali, ritagli di giornale su Spider-Man e le recenti operazioni, grafici della Borsa, mappe di New York a vari ingrandimenti… tutto si sovrapponeva e intersecava in un patchwork tenuto insieme da frecce e linee tratteggiate.

«Porca vacca,» esalò a mezza voce, permettendo poi a Yuri di entrare.

La udì proferire a sua volta qualcosa d’incomprensibile in giapponese, per poi avanzare verso la parete più vicina con occhi spalancati, quasi a stamparsene ogni dettaglio nelle retine. La vide poi fare un passo indietro, con rughe d’espressione incise in mezzo alla fronte a segnalare la propria contrarietà.

«Che c’è? Abbiamo decisamente trovato qualcosa,» osservò Peter, seguendo con occhi rapidi i flussi di dati che gli stava inviando Karen in sovraimpressione ogni volta che inquadrava una nuova porzione della stanza.

«È quasi troppo sospetto per essere davvero sospetto,» dichiarò lei, mordendosi il labbro inferiore e riassestando nervosa la presa sul calcio della pistola, per poi rinfoderarla.

Si avvicinò rapida al centro di tutta quella ramificazione di documenti, seminascosto da un vecchio computer abbandonato sulla scrivania. Tirò da parte lo schermo a tubo catodico e la sentì trattenere bruscamente il fiato quasi in sincrono con lui, anche se per un motivo del tutto differente, visto che il suo sguardo era puntato all’angolo opposto della stanza. Sentì il sangue defluirgli dal volto e accumularsi nello stomaco, freddo e viscoso.

«Municipio di New York… diciotto giugno,» lesse Yuri, con voce contratta. «Il giorno del discorso elettorale di Campbell e Osborn…»

Peter la sentì a malapena e la sua voce gli arrivò come fosse sott’acqua a mille metri di profondità. Registrò appena le parole “attentato” e “forze speciali”. Tutta la sua attenzione era focalizzata su un unico punto che sembrava inghiottire il resto: una semplice foto seminascosta tra altre scartoffie, ma per lui ben riconoscibile. L’aveva già vista, dopotutto.

La vedeva tutti i giorni sulla libreria del salotto, a casa: la sede del FEAST con festoni variopinti e palloncini ovunque, a festeggiare il ritorno di tutti dopo cinque anni, con in primo piano, vicini, loro: May, Happy, il signor Li… e lui, Peter Parker, perfettamente riconoscibile e cerchiato in rosso.



 




 
Note:
[1] Quel Dmitri, quello di Far From Home, al quale ho voluto dare un cameo :')

Note dell'Autrice:

Carissimi!
No, non mi sono definitivamente dimenticata di questa storia... è che ogni capitolo è un parto trigemellare, quindi ci vuole sempre il suo tempo :') Ci tenevo molto ad aggiornare entro Natale, in realtà, quindi consideratelo come un "regalo" in ritardo, ché ovviamente tra pranzi, cene e compagnia bella il tempo per scrivere è stato molto ridotto.

Che dire... spero di avervi lasciato col fiato sospeso, e qualunque dubbio/supposizione/sospetto in merito all'ultima parte troverà ovviamente lumi nel prossimo capitolo. Questo a dir la verità è stato un capitolo aggiunto per fare da collante ed evitare un malloppo di trenta pagine, di qui la poca introspezione e il focus sui fatti, piuttosto che su Peter in sé. Rimedierò presto, non temete <3
Piccolo avviso: chi conosce i fumetti/videogioco avrà sicuramente già mangiato la foglia relativamente a certi dettagli... se così fosse, non spoilerate in eventuali commenti (sempre super-graditi, sappiatelo), così da mantenere la suspense per gli altri ;)
Ah, e giurò che risponderò a tutti coloro che hanno recensito; avrei voluto farlo prima di pubblicare, ma purtroppo il tempo è tiranno e ci tengo a farlo per bene <3
Detto questo, vi auguro Buone Feste e un Buon Anno Nuovo!

Cheers,

-Light-
   
 
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