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Autore: Mary P_Stark    31/12/2019    3 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4.
 
 
 
 
Rigirandosi una gonna gitana tra le mani con aria accigliata, l’ennesima gonna che Afrodite le aveva offerto di provare, Eris borbottò confusa: «Non hai qualcosa di più sobrio di così? Mi sembra che il giallo, il verde e il blu messi assieme, siano un po’ troppo, per me.»

Afrodite sbuffò contrariata e replicò: «L’idea è quella di svecchiare la tua linea e, se lo faccio solo coi capelli, sarà un lavoro fatto a metà. Già hai rifiutato il trucco, cosa per me inaccettabile, perché degli occhi così belli devono essere valorizzati, ma posso anche soprassedere. Sui vestiti, però, mi rifiuto di farti indossare un total black

«Ma non dovrebbe piacere a me?» sottolineò Eris, piantando le mani sui fianchi.

«Ora non atteggiarti con me, cara. Sarai anche la dea della discordia, e avrai ordito piani diabolici per una vita ma credimi, posso farmi valere quando voglio. Anche io posso diventare diabolica, se voglio. Inoltre, sono la maggiore, qui dentro, quindi mi darai retta!»

«Solo perché ti ho permesso di acconciarmi i capelli, questo non vuol dire che ora puoi disporre di me come se fossi una bambola!» replicò accigliata Eris.

Sospirando irritata, Afrodite allora sbottò: «Bene! Facciamo come dici tu, ed escludiamo il genere gitano! Cosa vorresti, allora?!»

Ritenendosi soddisfatta, Eris si chetò un poco e tornò a sfogliare febbrilmente le riviste di moda di Afrodite.

Quei pochi giorni passati in compagnia di Afrodite le avevano aperto un mondo – a volte davvero sconcertante – su cosa a cui non si era mai minimamente interessata. Soprattutto, però, le avevano permesso di conoscere una donna che lei aveva ingiustamente creduto soltanto vanesia e superficiale, ma che invece aveva saputo sorprenderla in positivo.

Certo, Afrodite era e rimaneva una dea fuori di cervello, quando si trattava di ciarlare di cosmetici o di moda – a Eris dolevano ancora le orecchie, a furia di sentirle parlare di sfilate – ma, in fondo in fondo, sapeva anche essere simpatica.

Continuando a sfogliare la rivista che teneva tra le mani al pari di una preda, Eris ghignò soddisfatta quando infine incappò in un completo sobrio e più nelle sue corde.

Era un semplice abito plissettato in maglia blu navy e, quando lo mostrò ad Afrodite, questa scosse il capo rassegnata ma ammise: «E va bene. Non è quello che avrei scelto io, ma fa risaltare la tua pelle eburnea, quindi può andare. Ed Elisabetta Franchi sia.»

«Chi è, scusa?» domandò Eris, confusa.

«La stilista che ha disegnato l’abito» le spiegò Afrodite, schioccando le dita.

Sull’enorme catasta di abiti fin lì selezionati, comparve l’abito richiesto da Eris e, dopo averlo indossato e averlo trovato assai comodo, la dea disse: «Ai piedi posso portare i miei calzari? Non indosserò mai quei trampoli che usi tu.»

«Sì, tanto vanno di moda» acconsentì Afrodite, scuotendo negligente una mano.

A quel punto, Eris si guardò allo specchio e non si riconobbe.

Quella che vedeva riflessa non era la se stessa di sempre. Era una donna che non la rispecchiava, che voleva essere qualcuna che non era e, quasi senza accorgersene, le mani corsero ai capelli perché le ricoprissero il viso.

Afrodite, però, la bloccò sul nascere e replicò secca: «Ti sei nascosta per troppo tempo, e non è affatto giusto! Non hai niente per cui essere messa alla gogna, credimi.»

«Eppure sai cos’ho fatto!» protestò Eris, rabbiosa.

«Oh, per carità! Vai a chiedere ad Apollo quanto sono stata stronza con lui, e solo perché era andato a spifferare la verità a Efesto su quel che stava succedendo tra me e Ares» replicò burbera Afrodite. «Feci uccidere un’umana a Clizia, in pratica, e tutto perché volevo vendicarmi perché Apollo aveva aperto bocca con il mio ex. Ti pare un’azione onorevole? E che dire di Apollo e Artemide! Uccisero i figli di un’umana, perché Latona glielo ordinò, e tutto per invidia. Credimi, non hai l’esclusiva delle cattiverie e non ci hai suggerito tu di farlo, quindi non prenderti dubbi meriti che non hai. Comunque, se vuoi, posso restare qui fino a stasera a raccontarti aneddoti simili in cui non hai preso parte e vedrai, alla fine cederai tu. Non hai ancora capito con chi hai a che fare.»

Eris, a quel punto, lasciò ricadere le mani e Afrodite, nel passare veloce le dita tra i capelli per rassettarli, aggiunse più gentilmente: «Siamo emanazioni di ciò che l’Universo ha bisogno per sopravvivere, non dimenticarlo, perciò ognuno di noi è necessario. Zeus ed Era ne sono stati il lungo braccio, facendoci nascere con ciò che serviva e mettendoci anche del loro, se vuoi il mio parere personale. Non a tutti capitano cose simpatiche come far sorgere il sole, o elevare la luna, ma mica per questo uno si deve rovinare l’esistenza! Pensa a Thanatos… credi che portare in giro dei morti per tutto il tempo sia divertente? No di certo. Eppure lo fa, ma non per questo non ha una vita sociale.»

Eris fece per replicare, ma l’arrivo di Deimos e Phobos la interruppe.

I due giovani raggiunsero la stanza da letto della madre quasi buttando giù la porta e Deimos, entrato per primo, esclamò furibondo: «Ehi, madre! Devi assolutamente dire a Phobos che…»

Inquadrando Eris nel suo campo visivo, Deimos interruppe la sua arringa e si raddrizzò immediatamente, si rassettò il giubbotto di pelle nera che indossava dopodiché, sorridendo con l’intento di apparire affascinante, domandò con voce profonda: «Wow… chi è questa gnocca da paura?»

Afrodite sbottò con un’imprecazione inviperita, mentre Eris faceva tanto d’occhi e Phobos spingeva via il fratello per poter vedere a sua volta e rifarsi la vista.

«Ma è il modo di entrare nelle stanze di una donna?!» sbraitò poi la loro madre. «E poi, vedi di parlare a modo, visto che è tua zia, quella che stai guardando come un pesce lesso!»

«Mia… zia? Di che zia stai parlando?» domandò Deimos, scrutando Eris con maggiore attenzione.

Afrodite scosse il capo per l’esasperazione e borbottò: «Proprio dei maschi dovevo far nascere. Ragionano solo con le parti basse, quando vedono una donna.»

«Madre!» protestarono con veemenza i due figli, mentre Eris li fissava stranita.

«Parlo di Eris, debosciati che non siete altro! E sì, ragionate davvero con le parti basse, se non l’avete riconosciuta subito.»

I due giovani dèi sbatterono confusi le palpebre ed Eris, mossa a pietà, ammise: «Va detto che non ci siamo visti spesso… né con queste vesti.»

«Ecco! Ecco, diglielo, Eris!» scattò subito Phobos, annuendo a più riprese. «Però, cavoli… stai davvero bene, sai, zia?»

Eris allora si guardò di nuovo allo specchio e, ancora poco convinta, borbottò: «Non sembro… finta

«Se non hai fatto ricorso al chirurgo estetico, allora non sei finta» chiosò con semplicità Deimos. «Hai solo cambiato stile.»

«Chirurgo… estetico? E chi è? E per fare cosa, poi?» esalò Eris, più che confusa.

Phobos, allora, mise le mani a coppa sul torace e replicò: «Beh, il chirurgo estetico ti può rifare il seno… un po’ come quello di mamma, per intenderci.»

Afrodite esplose in un urlo disumano che fece rabbrividire la stessa Eris e, mentre Deimos e Phobos diventavano cerei in volto, la dea dell’Amore rifilò una spazzolata in testa a entrambi, strillando: «I miei seni sono veri, non rifatti!»

«Ma era per dire… per spiegare a Eris» si lagnò Phobos, passandosi una mano sulla parte dolente.

Ancora furente, la dea sibilò: «Cos’eravate venuti a fare, per la cronaca? E siate veloci, prima che vi butti fuori a calci nel sedere.»

Deimos storse la bocca e borbottò: «Volevo che dicessi a Phobos che sono nato prima io, di lui.»

Afrodite strabuzzò gli occhi ed esalò sconvolta: «E perché dovrei dirglielo? Che rilevanza potrebbe mai avere, saperlo?»

«Perché, se si convincesse una volta per tutte che sono suo fratello maggiore, lui mi dovrebbe obbedienza!» sbottò querulo Deimos.

Afrodite chiuse gli occhi per l’impazienza, si massaggiò l’attaccatura del naso con pollice e indice e, con una voce che risuonò pericolosa anche alle orecchie di Eris, sibilò: «Uscite immediatamente da qui, e non tornate finché non avrete infilato un po’ di intelligenza in quelle due teste vuote. FUOOORIII!»

Con un ‘ciao, zia’ gorgogliato tra i denti, mentre l’urlo diabolico di Afrodite rimbalzava tra le pareti del tempio al pari di una scarica di mitragliatrice, Deimos e Phobos si dileguarono, lasciando nuovamente sole le due dee.

Dee che si fissarono reciprocamente prima di sospirare all’unisono.

«Se ti lamenti dei tuoi figli, facciamo a cambio, se vuoi» le propose Afrodite, vedendola scuotere il capo in risposta.

«Credo che, più o meno, le soddisfazioni siano le stesse» chiosò Eris, sospirando.

«Già, temo di sì» ammise Afrodite, prima di scoppiare a ridere.

Eris la seguì con tono più blando e controllato, ma per Afrodite fu già un traguardo insperato.

Quando aveva iniziato a lavorare assieme a Eris, non aveva davvero sperato di poter raggiungere, in così pochi giorni, una tale sintonia, eppure era davvero bastato lasciare da parte le ansie, per trovare in lei solo una creatura ferita e bisognosa di attenzioni.

In Eris non v’era nulla di volutamente crudele o malvagio e, gran parte delle sue azioni passate, erano nate a causa del profondo senso di vuoto e rabbia che aveva sentito dentro.

Che fosse veramente dovuto al comportamento egoista di Era e Zeus, alla mano onnisciente dell’Universo, o a un mix di entrambe le cose, nessuno avrebbe potuto dirlo, poiché non esistevano esami probanti che potessero asserirlo, ma tant’era.

Eris aveva sofferto di una solitudine e di un dolore così cocenti, tali da essersi trasformati in ciò che poi l’aveva contraddistinta nei secoli. Questi sentimenti erano sorti in lei da ben prima della nascita, maturati in nove mesi di gestazione sofferta, in cui la sua divinità si era abbeverata degli scontri tra i due genitori.

Che fosse stato l’Universo a volere ciò, poteva essere una buona spiegazione, esattamente come mille altre ancora, ma la sostanza era una sola; Eris aveva sofferto e fatto soffrire, così come aveva pungolato gli uomini a migliorare loro stessi.

Era tempo che Eris pungolasse se stessa per fare altrettanto.

«Cosa dovrei fare, secondo te?» domandò Eris dopo quel momento di ilarità.

«Affrontare ciò che temi, credo. Nel caso specifico, parlare con Alekos… anche se mi fa strano pensare che tu ne abbia timore» asserì Afrodite.

«Non ho timore di lui, ma per lui» sottolineò Eris.

«Beh, quel ragazzo potrebbe ammansire una tigre e strapparle di bocca il pranzo, se volesse… dubito che potresti contaminarlo, se è questo il tuo cruccio» chiosò Afrodite, facendo spallucce. «Ognuno di noi ha dei lati oscuri, alcuni si vedono più di altri, ma nessuno ne è immune. Altrimenti, non saremmo in equilibrio con il Cosmo.»

Ciò detto, ridacchiò di fronte all’espressione confusa di Eris e aggiunse: «Parole di Érebos, non mie.»

A quel punto, a Eris non restò che dire: «Andrò, allora.»

Afrodite assentì, sollevò una mano a palmo aperto e, strizzando l’occhio, disse: «Batti la tua mano contro la mia. E’ benaugurante.»

Eris lo fece un po’ goffamente e, in uno scintillio d’argento, infine svanì, lasciando sola Afrodite con la sua montagna di abiti da sistemare.

La dea, però, non pensò affatto a quello quanto, piuttosto, ad Alekos. Sperò davvero di aver fatto la cosa giusta. Per entrambi.
 
***

Clizia stava carezzando le tempie di Alekos con movimenti circolari e lenti mentre Apollo, turbato, asseriva: «Non ci si può ridurre così soltanto perché non hai potuto parlare con Eris. Per cosa, poi? Per chiederle scusa? Mica le hai fatto qualcosa!»

«Sono stato scortese!» sbottò Alekos, prima di digrignare i denti e poggiare una mano sulla fronte per il gran male.

Un’emicrania pazzesca lo aveva colto alla fine di un week-end in cui, per tutto il tempo, non aveva fatto che pensare a un modo per scusarsi con Eris.

Tornato a casa dopo la visita a Era e alle Esperidi, Alekos non aveva fatto altro che passeggiare nervosamente avanti e indietro per il corridoio, arrivando a obbligare la madre a lanciargli un ultimatum.

Alekos, d’altra parte, non aveva fatto menzione alla madre in merito ai motivi di una tale ansia, perciò era stato quasi scontato che vederlo così fuori di sé l’avesse sia alterata che preoccupata.

Come spiegarle, d'altronde, qualcosa a cui neppure lui sapeva dare un nome?

Non sapendo che altro fare, Alekos si era scusato con la madre e, dopo aver trovato Apollo, gli aveva chiesto consiglio in merito. Per tutta risposta, lo zio lo aveva portato con sé nel regno di Oceano, dove stava soggiornando assieme a Clizia.

Lì, la coppia lo aveva accolto negli appartamenti dell’oceanina, e Acaste si era unita al trio, una volta saputa la presenza del giovane nel mondo dei mari.

Oceano e Teti si erano dichiarati disponibili a ospitarlo per tutto il tempo necessario, certi che cambiare aria avrebbe aiutato Alekos a ristabilirsi e schiarirsi le idee.

Nei tre giorni trascorsi sotto i mari, però, Alekos aveva continuato a sentirsi stranito, a disagio, nervoso e inappetente, arrivando a collezionare, per l’appunto, un’emicrania di proporzioni bibliche.

«So benissimo che è assurdo, zio, ma mi sento così per questo» sottolineò Alekos, cercando di non irritarsi e sorridendo grato a Clizia, che si stava prendendo cura di lui.

«Non angustiarlo, Apollo. Se Alekos pensa di averla offesa in qualche modo, e desidera rimediare, tu dovresti credergli» asserì Clizia, carezzando gentilmente la fronte di Alekos, che teneva il capo poggiato sulle gambe dell’oceanina.

Apollo, però, replicò piccato, dicendo per contro: «Quel che so io è che mio nipote ha il capo poggiato su cosce su cui ho il diritto di prelazione, e perciò sono un tantino restio ad avere la mente lucida per pensare ad altro se non a questo.»

Clizia rise sommessamente, mentre Acaste rideva dell’imbarazzo di Alekos e, con gentilezza, lo aiutava a rimettersi seduto sul divano che aveva occupato fino a quel momento.

«Oh, cielo! Geloso del proprio nipote! Come se tu potessi avere dubbi sulla mia fedeltà» ironizzò Clizia, alzandosi per andare a dare un bacio sulla fronte ad Apollo.

«Scusa, cara, ma ho passato millenni a fare l’idiota in giro e, ora che ti ho ritrovato e ho di nuovo un mio centro emotivo stabile e sicuro, stento a dividerti con gli altri. Sono un ben misero zio, lo so» chiosò il dio, lanciando un sorriso di scuse ad Alekos.

Clizia sorrise compiaciuta, gli avvolse il collo con le braccia nel sistemarsi dietro di lui e, poggiando il mento sul suo capo, disse: «Gelosie a parte, è chiaro che quello che è successo nel giardino delle Esperidi, prima, e da Era, poi, ti ha angustiato non poco, se sei arrivato a ridurti così.»

«Non posso che darti ragione, Clizia, ma non so davvero come spiegare questo mio stato, se non dicendo che mi sento tremendamente in colpa nei confronti di Eris, e…» cominciò col dire Alekos prima di irrigidirsi, fissare il soffitto delle stanze di Clizia e mettersi come in ascolto di qualcosa.

Acaste gli afferrò una mano, si concentrò e mormorò ansiosa: «Eris… ormai ho imparato a riconoscere la sua traccia, e…»

Volgendosi eccitata verso l’amico, l’oceanina concluse dicendo: «Sta andando a casa tua!»

«Andiamo, ti prego!» esalò Alekos, ricevendo il pieno assenso della ragazza, che strizzò gli occhi e si concentrò per trasmutare entrambi fino alla terraferma.

Prima che Apollo o Clizia potessero dire alcunché, i due giovani svanirono in una nuvoletta scintillante e il dio solare, sbuffando, borbottò: «E’ diventato un vizio, quello di mollarci senza neanche un saluto.»

Scoppiando a ridere, Clizia gli si strinse maggiormente contro e mormorò: «Lasciali fare. Sono molto giovani e assai emotivi, e hanno bisogno di seguire i propri impulsi… e, finché questi non li faranno cacciare nei guai, che facciano, no?»

«Sei molto più saggia e paziente di me» ammise Apollo, attirandosela sulle ginocchia.

«Può essere, potente divinità solare» ammiccò Clizia, dandogli un bacetto sul naso prima di dire più seriamente: «So che sei in ansia per Alekos e, da quel po’ che ho visto finora, non credo sia mai stato così nervoso o turbato in vita sua, perciò lascialo fare. Deve poter dare voce anche ai suoi timori e alle sue debolezze, non soltanto ai suoi punti di forza.»

«Come abbiamo fatto noi?»

«Esatto. Significa diventare adulti, mi dicono» ironizzò Clizia.

«Buono a sapersi» mormorò lui, levando il viso per darle un bacio.

Bacio a cui ne seguirono molti… molti altri.
 
***

Riprendere forma all’ombra della veranda della villetta di Athena, parve a Eris un compito più improbo e difficile del solito e, quando ad accoglierla fu Érebos, e non l’amica, il suo imbarazzo salì alle stelle.

Intento a rientrare in casa dopo aver dato da mangiare a Pallade, il dio Ctonio levò un sopracciglio con espressione sorpresa e, lento, un sorriso si andò a dipingere sul suo viso perfetto.

Di pari passo con il sorriso di Érebos, sorse sul viso di Eris un profuso rossore, che lei cercò di mascherare volgendosi a mezzo e borbottando irritata: «Non c’è Athena?»

«Sta facendo la doccia» disse con naturalezza il dio, poggiando la ciotola del cibo di Pallade su un tavolino per poi intrecciare le braccia sul torace e aggiungere: «Te lo dirò lo stesso, anche se so che ti infurierai. Stai molto bene, così.»

Come prevedibile, Eris gli sibilò contro ma, pur a volto basso e mogio, borbottò: «Grazie.»

Addolcendo lo sguardo, la divinità Ctonia mormorò: «Le mie figlie ti hanno reso la vita difficile, è ben chiaro ai miei occhi e, se non sapessi che tu hai sempre dimostrato di avere la forza per sopportare il peso del tuo destino, ti chiederei anche umile perdono. Trattandosi di te, però, potrebbe risultare un insulto, lo so.»

«Hai sempre parlato troppo, Érebos» brontolò Eris, scrutando il giardino - illuminato dal sole - e la voliera di Pallade. La piccola civetta appariva felice e spensierata, ben lieta di poter affondare artigli e becco nel pezzo di carne fresca che il dio Ctonio le aveva appena lasciato.

Per quanto potesse apparire una scena cruenta, la bellezza di Pallade non veniva minimamente sminuita dal sangue su becco e zampe, né si sarebbe potuto pensare di lei che fosse una creatura feroce o crudele.

Era solo la sua natura, che la voleva predatrice e carnivora.

«Cominci a capire?» domandò criptico Érebos.

La dea finalmente si volse ad affrontare lo sguardo del dio ma, invece di trovarvi dell’ironia, vi scorse solo una profonda comprensione.

Érebos non la stava affatto deridendo. Comprendeva i suoi dubbi e i suoi stati di rabbia infinita e non li trovava fuori luogo, ma una conseguenza di ciò che altri le avevano messo sulle spalle.

Chetandosi leggermente, la dea si studiò le mani – dove Afrodite aveva accorciato le unghie, dandole del rinforzante trasparente – e mormorò stanca: «Perché proprio io, Érebos?»

«Come ti ho detto prima, perché ciò che sovrasta tutti noi ti ha ritenuto abbastanza forte per sopportare il peso dell’ingombrante filo del tuo destino, messo nelle mani delle mie figlie perché lo tessessero. Purtroppo, non di soli sentimenti puri è composto l’Universo. Laddove vi è bene, vi sarà male, laddove vi è luce, vi sarà oscurità, perché l’una non può esistere senza l’altra. Tu puoi sia istigare che stimolare, con le tue parole. Sono le due facce della stessa medaglia. La persona che sarà votata al male, seguirà la via dell’istigazione a delinquere, mentre la persona votata al bene, sarà stimolata a migliorarsi, a primeggiare per portare la luce. Non sei mai tu a scegliere, ma loro.»

«Ma ho anche peccato di invidia e per vendetta… ho fatto cose per il mio piacere personale» sottolineò Eris, turbata dalle parole del dio Ctonio.

Érebos allora rise, schernendo se stesso, e replicò: «Perché, dopotutto, hai un cuore e una mente che operano per se stessi, e non solo per obbedire ciecamente al Fato. Ti è concesso. Tutti noi, a suo tempo, abbiamo commesso crimini più o meno gravi, ci siamo presi libertà più o meno grandi.»

«Anche tu?» esalò Eris, sorpresa.

«Forzai la Natura stessa, per salvare Alekos da un’esistenza come anima senziente imprigionata per l’eternità nell’Oltretomba, entro il corpo di un neonato non più in grado di crescere» ammise lui, sorprendendola. «Ordinai a Thanatos di compiere un gesto mai fatto prima, e legai l’anima di Athena a quella del suo bambino morto, prima che questo venisse partorito, perché potesse vivere in eterno …ma non feci solo questo. Non sarebbe bastato.»

«Cosa intendi dire?» mormorò la dea, pur subodorando le implicazioni indirette del suo gesto.

«Pur se fu fatto per un bene superiore, per salvare una vita, ciò che feci per Alekos creò uno squilibrio nel Chaos primigenio. Alekos era morto, e non aveva un suo filo del destino, poiché non ne avrebbe avuto bisogno, nell’Oltretomba. Atropo lo aveva reciso.»

«Ma non gli bastava essere legato ad Athena?» domandò turbata Eris.

«L’anima e il destino non sono la stessa cosa. Le due entità devono coesistere, perché vi sia vita e, senza un destino prefissato che venga intessuto, l’anima non può fare molto, da sola» replicò Érebos, scuotendo il capo. «Fu per questo che creai uno squilibrio… feci ciò che nessun dio dovrebbe fare. Dare vita al nulla.»

«Lo facesti perché… eri innamorato di Athena?» esalò Eris, sgranando gli occhi.

Annuendo, il dio Ctonio le sorrise pieno di dolcezza e aggiunse: «Non mi importava che Alekos non fosse figlio mio, o che Athena potesse amare per sempre il suo Miguel. Volevo fare qualcosa per lei, perché non perdesse qualcuno a lei così caro. Forzai decisamente la mano, e Cloto me la fece pagare cara, lo ammetto.»

Eris si accigliò, a quelle parole, e domandò: «Cosa intendi dire?»

«Poiché ero io ad aver creato lo scompenso, dovevo essere io a pagare il fio, a prendere sulle spalle il peso di quell’anima che avevo strappato ad Ade. Diversamente, avrebbe dovuto farlo Athena, e io non lo avrei mai permesso» scosse il capo Érebos.

«Cosa significano, quindi, le tue parole?» domandò Eris, sempre più in ansia.

«Parte del mio filo del destino serve a far vivere Alekos e, con l’andare del tempo, il mio si sfilaccerà sempre di più fino a rompersi e, quando ciò avverrà, io morrò» ammise con naturalezza il dio Ctonio, sgomentando la dea. «Ma non turbarti di ciò. Non avverrà né domani né tra dieci anni. Solo, devo stare molto più attento a come uso i miei poteri. Più li sfrutto, più il mio tempo si estingue velocemente.»

Eris fece tanto d’occhi, a quella notizia, e mormorò turbata: «Alekos lo sa? E Athena?»

«Athena lo sa, ma non Alekos, perciò ti prego di non dirgli nulla. Non desidero che soffra per una cosa che ho fatto in piena coscienza e che, a quanto pare, andava fatta da qualcuno con abbastanza forza da poter reggerne il peso» le raccomandò lui, avvicinandosi per sfiorarle il viso.

«Quanto… quanto pensi vivrai ancora?» esalò lei. «E perché dici che andava fatta

«Se nessuno di voi combina più guai come Hermes? Ancora diversi secoli, …forse millenni» le sorrise lui, scrollando le spalle. «Quanto alla tua seconda domanda, ci vorrà ancora qualche tempo, prima che tu ti possa rispondere da sola.»

Eris si sentì in colpa al pensiero di aver chiesto al fratello di ucciderla. Per farlo, Ares avrebbe dovuto rivolgersi a Érebos e, inconsapevolmente, questo avrebbe ridotto di molto le sue possibilità di rimanere al fianco dell’amata.

«Niente è accaduto…» sottolineò lui, carezzandole la guancia con il pollice. «…perciò non mi hai fatto nulla, Eris.»

«Però…» tentennò lei, bloccandosi all’inizio della frase quando percepì due nuove presenze avvicinarsi a loro.

Volgendosi, Eris spalancò le palpebre quando vide comparire sia Acaste che Alekos da una nuvola multicolore e scintillante. L’attimo dopo, gli occhi smeraldini di Alekos la fissarono basiti per alcuni istanti, quasi non riconoscendola, e lo stesso fu per Acaste.

«Eris… sei… sei tu?» esalò il giovane, confuso.

Lei assentì timida e Alekos, senza dire altro, le corse incontro e la abbracciò con foga, sgomentandola e sorprendendola al tempo stesso.

Era la prima volta che veniva abbracciata a quel modo, con un fervore e un sentimento così forti da stordirla.

Subito dopo, altre due braccia la avvolsero ed Eris si ritrovò stretta nell’abbraccio soffocante di Alekos e Acaste che, in lacrime, le chiesero perdono per la loro insolenza.

Érebos le sorrise da sopra una spalla, rientrando in casa perché rimanessero soli ed Eris, non sapendo bene che fare, sospinse entrambi per poterli guardare in volto, dopodiché sbottò dicendo: «Ma perché diavolo vi state scusando?»

Acaste fu la prima a esclamare: «Sono stata un’insolente a trasportarti via come ho fatto nel giardino delle Esperidi. Non dovevo farlo, dovevo rispettare il tuo desiderio di non avvicinarci.»

Alekos assentì alle sue parole e aggiunse: «Non avremmo dovuto forzarti a un incontro, Eris, se tu non lo volevi, perciò ti chiediamo perdono. Siamo giovani e sciocchi, e spesso agiamo senza pensare. Scusaci.»

Ciò detto, si inchinò al pari di Acaste ed Eris venne presa dallo strano, insolito desiderio di abbracciarli per scacciare il loro disagio.

Per contro, invece, diede un pugno in testa a entrambi e, nel sentirli lamentarsi, borbottò contrariata: «Ma vi pare un buon motivo per piangere e disperarsi? Vi sembro irritata con voi, o pronta a meditar vendetta soltanto perché avete aggirato quello che, ai vostri occhi, sembrava un problema?»

Massaggiandosi la nuca, dove Eris lo aveva colpito, Alekos mormorò confuso: «Beh, un po’ arrabbiata la sembri, ma non come pensavo.»

Acaste mugugnò un assenso ed Eris, con un sospiro esasperato, poggiò le mani sui fianchi e borbottò: «Ma proprio due giovani così educati, dovevano capitarmi.»

…la persona votata al bene, sarà stimolata a migliorarsi, a primeggiare per portare luce. Non sei mai tu a scegliere, ma loro…

Le parole di Érebos tornarono a risuonarle nella mente e, tra sé, si disse che dopotutto poteva anche restare vicino ad Alekos senza rovinarlo, se il farlo lo spronava a ingegnarsi per ottenere ciò che voleva.

E se lui voleva parlarle, conoscerla, che male c’era?

Accennando un mezzo sorriso, Eris quindi aggiunse: «Sembriamo tre idioti, qui fuori in veranda senza far niente. Andiamo ad aiutare Érebos in cucina, visto che è quasi ora di cena.»

Poi, guardandosi intorno, domandò: «Ma di solito non siete in compagnia di Apollo e Clizia, voi due?»

Ridendo maliziosa, Acaste chiosò: «Oh, credo che stiano facendo qualcosa di mooolto più interessante che apprestarsi a cucinare.»

«Preferisco non sapere» borbottò Eris, entrando in casa assieme ai due giovani.

«Eris… una cosa» le disse Alekos, richiamando la sua attenzione mentre si avviavano verso la cucina.

«Dimmi» mormorò la dea.

Lui le sorrise e, strizzandole l’occhio, disse: «Stai molto bene, così.»

Eris avvampò in volto e, non potendoselo evitare, gli diede uno scappellotto sulla nuca, portandolo a ridere a crepapelle.






N.d.A.: con questo capitolo vi auguro buona chiusura d'anno e buon inizio, sperando che il 2020 sia un anno decente... non pretendo tanto, dai. ;-)
Eris scopre il segreto celato dietro ad Alekos, ma Erebos la prega di non dire nulla, e a ciò lei si attiene. Per quel che riguarda la criptica frase di Erebos riguardo al "doveva essere fatta", la ritroveremo più avanti, quando Eris dovrà compiere una scelta che la coinvolgerà per il resto della sua esistenza.
Alla prossima, e grazie per avermi seguito fin qui!



 




 
  
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