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Autore: Circe    20/01/2020    3 recensioni
Il veleno del serpente ha effetti diversi a seconda delle persone che colpisce. Una sola cosa è certa: provoca incessantemente forte dolore e sofferenza ovunque si espanda. Quello di Lord Voldemort è un veleno potente e colpisce tutti i suoi più fedeli seguaci. Solo in una persona, quel dolore, non si scinde dall’amore.
Seguito de “Il maestro di arti oscure”.
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Rabastan Lestrange, Rodolphus Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Eclissi di sole: l'ascesa delle tenebre'
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Lord Voldemort : “Sul tappeto, accanto al fuoco”


Era da parecchio tempo che non parlavo un po’ con lei e non la tormentavo su quello sciocco sentimento che la faceva bruciare dentro.
Diciamo che mi mancava. 
Naturalmente non mi mancava lei in persona, mi mancava di poterla tormentare. Inoltre, sapevo bene che quello sciocco sentimento che sentiva per me era l’innesco primordiale del suo elemento di fuoco, era inscindibile da lei e dal suo potere enorme ed inesauribile.
Per cui non poteva essere trascurato. Avrei fatto un grave errore a sottovalutarlo. 
E io non faccio errori.
Fu facile, ancora una volta, leggerle la mente, penso mi lasciasse fare di proposito. Normalmente se ne rendeva conto quando le entravo nei meandri del cervello, stavolta però non se ne accorse, così indugiai su tanti pensieri, riuscii a studiarla a lungo senza che lo sapesse.
Era curioso quello che vedevo.
A parte le sue solite debolezze e tormenti e gelosie di ragazzina nei miei confronti, motivo per il quale si era allontanata, compresi che le era venuto un pensiero, forse un desiderio che si teneva dentro e non palesava. Per paura, o per rispetto non osava chiedere nulla, ma me ne accorsi quasi subito: voleva sapere di me.
Le sorrisi. 
Era ancora così ingenua.
Mi faceva ridere tutta quella gelosia e inutile sofferenza per delle streghe sconosciute, cosa le importava con chi stavo e con chi ero stato? 
Trovavo invece più interessante la sua voglia di sapere di me.
“Davvero vorresti conoscere la mia storia?” 
Glielo chiesi consapevole che non l’avrebbe mai sopportata, la mia storia, e che non le avrei mai detto tutto. 
Eppure… eppure certe cose le poteva sapere solo lei.
“Si, mio maestro…” 
Mi piaceva la sua decisione, ad ogni cosa che le proponevo, lei mi seguiva sempre, non diceva mai di no e anzi, sapeva come stimolare ogni mio desiderio.
Non era mia intenzione parlare, o spiegare, feci diversamente da come si aspettava. La guardai fissamente negli occhi, lei sostenne lo sguardo.
“Io sono l’ erede di Serpeverde, lui era un mio antenato, questo penso sia ormai di conoscenza comune, almeno tra noi Mangiamorte, ma io non lo seppi per molti e molti anni della mia vita.”
Feci una pausa, Bella non batté ciglio.
“Non conobbi mai i miei genitori. Sono cresciuto in un orfanotrofio.”
Mi fermai di nuovo e mi avvicinai con rabbia al suo viso. 
“Tu sai cosa vuol dire orfanotrofio? E crescere soli in un posto come quello? Lo sai… Ragazzina Purosangue?”
Rimase zitta, forse intimorita dal mio tono, poi scosse la testa lentamente: no, certo che non lo sapeva cosa volesse dire sopravvivere ad una vita come la mia.
“Bene, allora vieni qui, avvicinati. Leggilo direttamente dalla mia mente.”
Avvicinai la mano al suo viso, la sfiorai appena, giusto per sentire il calore della sua pelle sulla mia mano gelata. Le spostai con delicatezza lo sguardo nei miei occhi, non successe nulla.
“Avanti, devi leggermi la mente, sono il tuo maestro, devi fare come ti dico, devi imparare a farlo anche con me.”
Allora sentii finalmente la sua forza, il suo potere. 
Era veramente notevole.
La lasciai entrare nella mia mente, nei ricordi, schermai ciò che volevo, ma le lasciai vedere molto.
Le mostrai tante immagini di mille ricordi che avevano plasmato il mio carattere: le mostrai la mia solitudine, che divenne la mia difesa; la mia magia, che divenne la mia forza e la mia vendetta; la mia intelligenza, che mi permetteva, da sempre, di sopravvivere.
Le lasciai vedere quel bambino sporco e cencioso tra bambini sporchi, malati, morti. Le lasciai vedere quel bambino triste e duro tra bambini in lacrime e deboli. Le lasciai vedere il bambino che rubava da mangiare ai più deboli, mentre chi non ce la faceva moriva di incuria, vide il bambino ribelle che si difendeva con rabbia tra i bambini venduti, o violentati, e infine il bambino silenzioso che osservava le ragazzine costrette ad essere puttane. 
Le mostrai tutto l’orrore che per me era pura normalità.
Le lasciai vedere come nessuno si occupasse di nessuno, come ognuno dovesse lottare in solitudine o morire. Le lasciai vedere il freddo, la fame, la disperazione e la morte che ogni giorno mi circondava, da cui con ogni mezzo dovevo difendermi.
Poi la allontanai dalla mia mente e la guardai con calma: la sua espressione era cambiata, ma non la lasciai parlare.
“Ora capisci perché l’amore non esiste? Se esistesse davvero, allora noi bambini sperduti ci saremmo tutti ammazzati per il dolore di non averlo ricevuto, per l’ingiustizia del destino che ce ne ha privato.”
Rimanemmo in silenzio.
“Maestro… potrei conoscere anche qualche momento bello?”
Rimasi spiazzato dalla domanda, pensavo che tutto quello che aveva visto l’avesse sconvolta e allontanata. Invece voleva vedere altro, voleva sapere se avevo ricordi belli.
La disprezzai perché nonostante tutto continuava a volermi restare vicina. Però, stupendo anche me stesso, le lasciai riprendere il contatto, schermai tante cose e ne liberai alcune, forse le più belle.
Le lasciai vedere il bambino che osservava in silenzio le acque del Lago Nero, mentre tutti dormivano quella prima notte, nel dormitorio dei Serpeverde, mentre tutto sembrava diventare finalmente bello e magico. Le lasciai vedere quel bambino felice, il giorno di Natale, quando poteva rimanere solo, accolto nella scuola di magia, pronto a scoprirne ogni segreto, a viverla in ogni angolo nascosto. Le lasciai vedere il ragazzo più dotato della scuola, quello che ogni primo di settembre si incantava davanti all’impotenza di Hogwarts, che veniva a conoscenza delle sue vere origini di mago…
Fu lei a fermarsi questa volta, a guardarmi negli occhi e a parlare per prima.
“I vostri ricordi più belli appartengono tutti a Hogwarts, maestro.”
Rimasi zitto e mi alzai, il tempo dei ricordi e dei racconti era finito.
Sembrava stupita, probabilmente per lei, ragazzina Purosangue, la scuola di magia era stata cosa scontata.
Per me fu diverso, e nessuno può capire quanto ha contato.
“Ho passato degli anni molto belli nella scuola, tentai anche di diventare professore, ma non era destino…”
Rimasi vago e volevo chiudere l’argomento.
Mi sentivo più nervoso, mi sfregai le mani con forza, quasi mi feci male. Già da tempo avevo sensibilmente diminuito le dosi di laudano, ma in quel momento ne sentivo il bisogno. 
Ero stato avventato, tutti quei ricordi mi erano pesati più del previsto e Bella era brava a leggere la mente, non era semplice guidarla solo dove desideravo io. Presi la boccetta dal cassetto, in mezzo a pozioni e medicamenti e la portai alle labbra. 
Dopo un paio di sorsi respirai piano e subito mi sentii meglio, presi un attimo di tempo per me, poi mi voltai per parlare a Bella e invece la trovai a pochi centimetri da me.
“Scusate se ho voluto farvi ricordare cose spiacevoli, mio Signore.”
Dopo tutto quel periodo in cui non avevo più preso il laudano l’effetto fu forte, molto più del previsto. Le sue parole mi giunsero ovattate, dense e dolci come il miele.
Rimasi in silenzio, non avevo voglia di parlare, la guardai.
“La colpa è mia, lasciate stare questo.”
Si avvicinò ancora e mi prese la boccetta a dalle mani per appoggiarla sul tavolo, aveva le mani calde, la lasciai fare, capivo le sue intenzioni e non mi dispiacevano.
“Usate me se volete un po’ di piacere.”
Le sorrisi e la avvicinai a me con forza, le sfiorai le labbra.
Pensai che aveva ragione lei… pensai che era perfetta per me. 
Aveva solo qualche difetto.
“Tu però non devi più fare la ragazzina con me, ti è chiaro?”
Rimase stupita, aprì la bocca per rispondere, ma non la feci parlare, non volevo sentire ancora sciocchezze.
La afferrai i capelli sulla nuca e la baciai.
La baciai a lungo, cosa inusuale per me, ma in quel modo i ricordi scivolavano via senza lasciare traccia, senza doverci nemmeno pensare, il tepore del laudano mi inondava il corpo e ogni fremito di calore sembrava nascesse dalle sue labbra.
Poco dopo lei riprese fiato e volle rispondere.
“No, mio Signore, non farò più la ragazzina con voi, non mi allontanerò più, state tranquillo.”
Altre parole che mi arrivarono ovattate, calde e dense. Mescolate al suo sorriso.
Altre parole che mi fecero piacere, erano quello che volevo, aveva capito il mio volere, senza che lo dovessi spiegare. Ora era tutto davvero perfetto.
Aveva capito che non mi era piaciuta la sua lontananza, che non ero stato tranquillo, scioccamente, le avevo lasciato intuire fin troppo. 
Non mi importava, pensai che piuttosto, per ovviare all’errore, era venuto il momento di farle sentire la mia forza, non la mia debolezza: la presi e me la portai a terra, sul tappeto, accanto al fuoco.
   
 
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