Serie TV > Castle
Segui la storia  |       
Autore: Ksyl    03/02/2020    3 recensioni
Dopo il week end negli Hamptons, Kate Beckett rimane incinta a sorpresa: la loro coppia recentemente formata riuscirà a superare lo sconvolgimento delle loro vite? Seguito di "Un colpo di testa"
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

15 Castle

Castle fissava il telefono con aria dubbiosa. Era perplesso.
L'aveva chiamata il giorno successivo al disastro, pieno di entusiasmo e piani per riconquistarla, pronto a fare di tutto per ottenere il suo perdono e lei non aveva risposto. Mai.
Dopo il quinto tentativo di contattarla, Kate gli aveva mandato via messaggio una specie di comunicato stampa in cui dichiarava che era disponibile a fornirgli notizie del bambino - in allegato il calendario delle visite mediche programmate -, e lo informava anche che, come cortesia personale, lo avrebbe tenuto aggiornato sulle sue condizioni di salute, se lo riteneva opportuno. Ma che non la chiamasse, grazie.
Lui non aveva nemmeno saputo cosa rispondere. Era rimasto allibito.
"Vorrà scherzare", si era detto. Ingenuamente.

L'aveva richiamata subito – era ancora online - , ma il telefono aveva squillato a lungo, inutilmente. Non stava scherzando.
Come diavolo era possibile? Che cosa pensava di fare? Non poteva tenerlo fuori dalla sua vita. Non poteva pensare di rispondergli per messaggio vita natural durante. Lui aveva anche dei diritti.
Decise di darle un po' di tempo per farla rinsavire. Forse era ancora arrabbiata, ne aveva ogni motivo. Ma se gli avesse concesso di spiegarsi, se fosse stata ad ascoltare... D'accordo, lui per primo non lo aveva fatto e si era comportato in modo ignobile. Le avrebbe dato spazio. Non più di ventiquattro ore, però. Poi avrebbe fatto ricorso a tutta la sua fantasia e lui ne aveva in abbondanza.
Si sarebbe steso sul suo zerbino a tempo indeterminato. Anzi, no, avrebbe preso in affitto l'appartamento di fronte al suo, per seguirne gli spostamenti. Lo zerbino, forse, avrebbe dato troppo nell'occhio. Ed era scomodo, oltre al fatto che qualche volta ci finivano dei cadaveri.
Oppure avrebbe comprato l'intero palazzo, e lei a quel punto avrebbe dovuto parlargli per forza, almeno per l'affitto e le riparazioni.

Ovviamente non avrebbe fatto niente di tutto questo. Non voleva finire in manette, anche se a quel punto avrebbero dovuto comunicare, no?
Ma era rimasto addolorato dal fatto che non gli volesse parlare, e molto. Non prendeva neanche lontanamente in considerazione l'ipotesi che lei avesse creduto che la rottura fosse definitiva. Andiamo, davvero? Era stato un gesto impulsivo, indotto da emozioni che, in quel momento, non era stato in grado di gestire al meglio. Aveva raggiunto il suo punto più basso e non ne andava orgoglioso, ma di certo non aveva mai avuto intenzione di passare il resto della sua vita senza di lei.
Aveva voluto, irrazionalmente, ferirla con le sue stesse armi. Ed era una cosa che gridava disperazione, non mancanza d'amore. Tutto il contrario.
Adesso, invece, si sentiva pieno di ottimismo e di speranza, in tale quantità da bastare per due. Doveva solo riuscire a farglielo sapere.

Iniziò a scriverle messaggi, se era l'unico modo di comunicare con lei. Era quello che voleva? Bene, sarebbe diventato il miglior messaggiatore al mondo. Esisteva una cosa del genere? Avrebbe inventato la categoria.
Come stava? Bene. Quanto bene? Mangiava? Che cosa? Aveva dormito? Lei rispondeva sempre con molto garbo e distacco, come se gli stesse dando informazioni di volo.
Non perdeva un colpo, non cedeva mai e bloccava ogni suo tentativo di andare oltre. Potevano vedersi? No.
Nessuna spiegazione.
Perché no? Aveva scritto, sentendosi sempre più frustrato.
E lei, di nuovo, aveva risposto, con la solita imperturbabilità, che era disposta a inviargli tutte le informazioni che voleva eccetera.
Si divertiva? Lui no, per la cronaca.
Dovevano giocare a scriversi, come se fossero due adolescenti costretti a trascorrere l'estate separati?

Al distretto non andò meglio. Al numero diretto non rispondeva. Non funzionava, anzi. Lo aveva cambiato? Dal centralino non gliela passavano. Aveva ottenuto un'ordinanza restrittiva telefonica e non lo sapeva? C'era un limite temporale o poteva recarsi in tribunale per rivedere la sentenza? Poteva fare qualcosa per aumentare il punteggio e uscire dalla lista degli indesiderati?
Apparentemente, non c'era niente che potesse fare. Dopo una settimana di tentativi infruttuosi e frustranti era al punto di partenza. Non era riuscito a sentire la sua voce, figurarsi vederla. L'unica soluzione era davvero appostarsi sotto casa sua, ma si rifiutava di metterla in atto. Non potevano non parlarsi, era assurdo! Avrebbe assistito alla prossima ecografia via streaming?
Lei aveva continuato a rispondere imperterrita ai suoi messaggi scritti. Stava bene. Stavano bene. Non chiedeva niente di lui. Se provava a dire qualcosa di divertente, non coglieva l'umorismo. Condivideva informazioni come se fosse un dannato ufficio turistico.
Grazie per aver scelto i nostri servizi. Speriamo di riavervi presto con noi su una delle nostre rotte.

Dopo giorni di noia ed esasperazione, decise di invitare fuori a pranzo sua figlia, l'unico essere umano che aveva voglia di vederlo e parlargli. Dal vivo. Non riusciva a credere a una fortuna del genere. E sarebbe stata l'occasione di staccare la testa per qualche ora. Non era quasi uscito di casa, non aveva scritto più di qualche riga e si rendeva conto di aver preso abitudini pericolose. Tipo addormentarsi con il telefono in faccia o progettare il suo rapimento con tutti i dettagli del caso. Sapeva già dove l'avrebbe tenuta nascosta. Meglio prendere una boccata d'aria.

Mentre camminava di fianco ad Alexis, cercando di farsi coinvolgere dai suoi racconti – nonostante le buone intenzioni non le aveva dedicato troppo tempo nell'ultimo periodo - , e fermamente deciso a godersi la giornata con lei, gli parve di scorgere Beckett in lontananza.
No, si disse. Le allucinazioni non le merito. Finirà che la vedrò da tutte le parti e fermerò le sconosciute per strada, come nei film. Mi rinchiuderanno.

Avvicinandosi – la presunta Beckett era sulla loro traiettoria e stava parlando al telefono, semigirata – continuò a tenerla discretamente d'occhio finché non si rese conto che era proprio lei. L'indiscussa protagonista delle sue ininterrotte elucubrazioni e dei suoi incubi. Incubi classici, materiale base per della psicologia spicciola.
Come prima reazione fu sopraffatto da un irrazionale impulso alla fuga. No, si rimproverò, prima di darsela a gambe. Era un adulto, e non aveva commesso nessun crimine - per quel che ne sapeva, anche se non poteva escluderlo del tutto. Inoltre, lei correva più veloce di lui, nel caso in cui avesse voluto inseguirlo. Alexis non si era accorta del trambusto emotivo da lui vissuto in assoluta impassibilità esteriore.

Kate riattaccò quando erano ormai prossimi a raggiungerla e, mentre rimetteva il telefono in tasca con aria concentrata, si voltò inconsapevole nella loro direzione, bloccandosi all'istante.
Lui si sentì crescere all'istante robuste radici che penetrarono l'asfalto, rendendogli impossibile qualsiasi movimento. Lei si guardò intorno freneticamente. Non voleva incontrarlo, era evidente. Stava cercando un modo per smaterializzarsi e non cedere all'ineluttabilità del caso. Alla fine si rassegnò. Non poteva semplicemente voltarsi e scappare, immaginava che lo considerasse scortese nei confronti di Alexis, che era fuori dal circuito restrittivo. Incollò gli occhi ai suoi, con sguardo di sfida. Non diminuì la distanza. Lasciò che lo facessero loro.
"Ehi", fu l'unica cosa che disse, evitando di incontrare il suo sguardo, ma sorridendo a sua figlia, che aveva finalmente capito di trovarsi in mezzo a una situazione imbarazzante, ma senza sapere come tirarsene fuori. E lui non riusciva a far altro che stare in silenzio, fissarla e attendere, in apnea.
"Ciao, Kate", la salutò Alexis, con garbo. "Congratulazioni per...", continuò facendo un gesto con la mano nella sua direzione, senza riuscire a completare la frase.
Kate si mise una mano sopra la lunga giacca che indossava, sorridendo timidamente. Per un fugace momento, gli sembrò che qualcosa la stesse illuminando da dentro, era scomparsa la solita espressione severa, chiusa. Non riusciva a credere a quello a cui stava assistendo.
"Grazie. Sei molto gentile", rispose con gratitudine. Forse si era chiesta come l'avesse presa Alexis, che cosa ne pensasse di tutto quel pasticcio in cui l'avevano coinvolta. Mere supposizioni da parte sua.
"Io... entro a prendere posto", dichiarò Alexis con decisione, indicando il locale alle loro spalle. Non era il luogo che avevano scelto per pranzare. Evidentemente, anche lei aveva pensato che la fuga fosse l'unica soluzione.
Rimasero soli. Beckett tornò a irrigidirsi immediatamente, si voltò nell'altra direzione e cominciò a dare segni di impazienza.
"Sto lavorando", lo mise al corrente, allontanandosi di qualche passo. "Devo andare". Brusca e di poche parole.
Ciao, ti trovo bene, sono contento di vederti.
Fece finta di non aver sentito. Di certo non poteva perdersi questa provvidenziale occasione di intrattenersi personalmente con lei.
"Come stai?", chiese, concedendosi, per iniziare, una domanda banale, come se lei fosse stata un raro uccello esotico che, al primo approccio sbagliato, se ne sarebbe volato via, spaventato.
Lei lo guardò di sfuggita. Lesse del di timore, nei suoi occhi. Era possibile? Le faceva questo effetto?
"Bene. Sto bene", rispose con nervosismo.
"E... il resto?", proseguì senza specificare di cosa stesse parlando, solo fissando una parte del suo corpo.
E vide di nuovo quel sorriso pieno di calore. Di tenerezza. Sembrava felice. Allora non aveva sognato. Era effettivamente diversa. Questo voleva dire che la situazione iniziava a piacerle? E per quale dannato motivo lui non poteva viversi tutto questo?
"Va bene anche il resto", lo informò con dolcezza.
Rimasero zitti. Castle si accorse che lei si stava preparando ad accomiatarsi, senza aver voluto saper niente su lui. Era chiaro che ambiva solo ad andarsene. E l'avrebbe fatto a breve, se lui non si fosse inventato velocemente qualcosa per trattenerla.
"Vuoi unirti a noi? È ora di pranzo e...". Sì, giusto. Poteva metterla sul piano del nutrimento, mangiare per due, eccetera.
"No", tagliò corto. "No, grazie, ho già mangiato", si affrettò a rassicurarlo.
Non era capace di mentire e lo sapevano entrambi.
"Devo andare. Mi ha fatto piacere vedervi. Saluta Alexis da parte mia".
No, non l'avrebbe lasciata andare via così, perdendosi la sua unica possibilità. La vide allontanarsi senza nemmeno aspettare la sua risposta, e non riuscì più a sopportare questa situazione di falsa cortesia in cui lei li aveva condotti.
"Kate", la chiamò alzando la voce, per farsi sentire, e la vide trasalire, prima di voltarsi riluttante di nuovo verso di lui.
"Possiamo prendere un caffè? Cinque minuti? Parlare?", si sentì proporre con voce ansiosa.
"Io non bevo caffè", gli ricordò, fredda. Se prima era un'estranea, adesso era un'estranea in collera con lui. E solo per un invito. Figurarsi tutto il resto.
"Kate. Per favore".
"Devo andare".
"Non devi andare!"
"Castle, io sto lavorando".
"Non mi parli", affermò, semplicemente, lasciando perdere le tattiche e andando al cuore del problema.
"Ti parlo, Castle". Lo chiamava per nome. Era una cosa incoraggiante, no? Patetico da parte sua consolarsi con quello, ma non poteva fare diversamente.
"Non è vero che mi parli. Mi fai la rassegna stampa".
"Anche quello è parlare", gli spiegò puntigliosamente. Come faceva a comunicare con questa donna? Era impossibile.
"Vorrei parlarti a voce". Si sentiva ridicolo e infantile, ma non sapeva che cos'altro fare.
"Castle, io non ho davvero tempo per tutto questo. Hai diritto a essere messo a conoscenza di tutto quello che riguarda il bambino, e infatti ti tengo al corrente. Non ti devo altro. E adesso, se vuoi scusarmi, ho da fare".
"Kate, non possiamo ridurci a questo".
Lei fece un passo nella sua direzione, furente. Almeno aveva provocato una reazione.
"Tu ci hai ridotto a questo. Io sto solo accettando le tue decisioni. Credi che mi diverta?"
"Ho solo bisogno di comunicare con te senza litigare". Sventolò una bandiera bianca immaginaria.
"E io ho solo davvero bisogno che mi lasci in pace".
"Non posso farlo! Non riesco a stare senza di te!" Tutta la verità urlata dal bordo di un marciapiedi affollato in orario di punta.
Lei gli lanciò un'occhiata così gelida che lui si sentì trapassare da parte a parte. L'ira funesta di Beckett stava per abbattersi su di lui.
"Non me ne importa niente di cosa puoi o non puoi fare tu. Mi hai lasciato. Sei andato via. L'hai deciso tu. Ora devi accettare le conseguenze".
Non poteva crederlo davvero. Non l'aveva lasciata.
"Ok. Ho sbagliato. Tutto. Non volevo lasciarti, non è andata così. Possiamo riparlarne? Rivederci?"

Almeno era riuscito a dirglielo.
Lei lo fissò incredula e quasi schifata, come se lui fosse un grosso insetto orribile.
"Castle, non lasci una persona e poi ritratti. Certe parole hanno un effetto sulla realtà. Tu hai voluto chiuderla e io ho dovuto imparare ad andare avanti. Ed è stata dura. Ma adesso sto bene. Non puoi piagnucolare perché vuoi indietro il tuo giocattolo. Ho già un bambino a cui pensare, grazie".
"È anche il mio bambino. Non puoi impedirmi di... parlargli. Deve sentire la mia voce". Andava a ruota libera, ormai.
"Mandami una registrazione. O, ancora meglio, perché non chiedi l'affidamento anche del mio corpo, già che ci sei? Tanto vuoi già portarmi via nostro figlio appena nasce".
"Lo farei, se si potesse", gridò lui ormai alla sua schiena.
Ok, non era stata la sua migliore performance, rifletté entrando a testa china nel locale per recuperare Alexis. Sperò si fosse persa quel patetico spettacolo.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Castle / Vai alla pagina dell'autore: Ksyl