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Autore: PiscesNoAphrodite    07/02/2020    1 recensioni
"La Dodicesima Casa non mi era mai sembrata così tetra – col suo perimetro regolare e incastonata come un diamante tra le pareti verticali del monte – benché non la ricordassi come un luogo ridente, se non per la presenza dei fiori i quali però aulivano, anch'essi, di un sentore di morte."
***
In un ipotetico post-Ade Misty è riuscito a conquistare le Sacre Vestigia di Libra, a dispetto di trascorsi poco brillanti; ma è possibile che nel raggiungimento di uno status ambito ed elevato non risieda la felicità? Dove cercarla, dunque? In bilico tra la vita e la morte? In gesta eroiche o in qualcosa di più ordinario?
(Narrazione a punti di vista alternati)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Apollo, Lizard Misty, Perseus Algol, Pisces Aphrodite
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I prati d'asfodelo, capitolo IV

 

 

X

 

Avrei dovuto avere più cura delle Sacre Vestigia, inutile recriminare ostinandomi a credere che il destino si sia voluto accanire contro di me, dovevo essere più attento non c'è altra spiegazione, mi dissi scoccando un'occhiata furtiva ad Algol. Anch'egli ammutolito, come incapace di esprimere il suo reale pensiero. E chissà cosa stava pensando, molto probabilmente che fossi un idiota, al solito.

Mi voltai indietro apprestandomi ad attraversare la teoria di stanze che si susseguiva nella Settima Casa: lo sferragliare dell'armatura e il volteggiare delle falde del manto fendevano l'aria immobile impregnata del fumo oleoso delle lampade, infrangendo quel pesante silenzio. Mi sentivo soffocare e desideravo uscire all'aria aperta. In fondo, quell'ambiente non mi era mai appartenuto. Mi soffermai al riparo, sotto il portico colonnato del Tempio, emettendo un sospiro dopo aver udito i passi del mio ex-compagno d'arme. Mi aveva raggiunto, fermandosi a breve distanza, ma non mi preoccupai della sua presenza.

Algol aveva molti difetti ma avevo appurato non ignorasse del tutto la virtù della discrezione di cui avvalersi al momento opportuno. Stette in silenzio, forse aspettando che fossi io a intraprendere una conversazione, ma la sua sarebbe stata un'attesa inutile perché non ero propenso al dialogo in una situazione del genere.

Avevano leso la mia dignità, offendendomi in presenza dei Santi di Bronzo. Chissà come stavano ridendo alle mie spalle... e chissà dove mi avrebbe spedito il Sommo, ero davvero impaziente di conoscere la mia nuova destinazione. Con tutta certezza mi avrebbe assegnato un incarico proporzionale al disprezzo che nutriva, ma questa volta mi detti pace, non potevo sempre incolparmi di tutto. Non potevo pretendere comprensione da chi non aveva mai nutrito la minima stima nei miei confronti e non potevo ostinarmi a rincorrere l'approvazione di quell'uomo, dopotutto egli non era stato il mio maestro.

Chiusi gli occhi lasciandomi trasportare dal suono costante della pioggia: sembrava evocare la melodia prodotta dal tocco di una corda, di più corde tese e pizzicate all'unisono ed era simile a una nenia malinconica che suonava di eternità...

Al mondo esistono persone che di considerazione non ne nutrono a prescindere perché stigmatizzano a pelle chi non gli va a genio, e nulla può convincerle del contrario. Per loro vali poco e sarà sempre così.

Dohko era tra quelli e qualunque fosse il mio atteggiamento ero certo che mi avrebbe frainteso e condannato a priori. Nell'immaginario del Gran Sacerdote continuavo a essere un inetto insignificante e avevo avuto finalmente la conferma di come la sua opinione non fosse affatto cambiata. Questa era la verità e dovevo adeguarmi con rassegnazione.

“Non ti sei fatto nessuna idea?” domandò Algol insinuandosi con prepotenza nelle mie riflessioni. Schiusi le palpebre indugiando a fissare la fiamma tremula di una torcia, come inebetito, ridestato dall'aria fredda sul volto e dalla furia del vento che, di lì a poco, mi avrebbe strappato la clamide adagiata sulle spalle.

“Riguardo a cosa?” ribattei con un'altra domanda.

“Quello che è successo è inspiegabile. Quando siamo arrivati in spiaggia calzavi l'elmo regolarmente, per poi deporlo accanto agli altri elementi della corazza, e non li abbiamo mai persi di vista. Non abbiamo incontrato nessuno lungo il cammino, non c'era anima viva!” esordì lui, con un tono aspro, palesemente irritato. Non replicai, ponendo una mano sulla fronte sudata, il suo sbraitare mi aveva distolto dal tumulto incessante dei pensieri e per un momento ebbi la mente sgombra, invasa soltanto dallo scroscio ipnotico della pioggia. Fu solo un attimo però perché saggiai il sapore salato delle lacrime sulle labbra, non riuscivo più a trattenerle sebbene non volessi dare a vedere la mia tristezza, le asciugai – non visto – passando una mano sul volto con noncuranza. A dissimulare quello stato d'animo mi fu complice l'oscurità notturna.

Mi sovvenne un pensiero a indurmi a smetterla di commiserarmi. “No, nessuna idea” mentii, in quanto ebbi un'illuminazione proprio in quel preciso istante benché non riuscissi a spiegarmi le congetture strane che mi erano balenate in mente.

“È solo sfortuna” rispose Algol. Stava cercando forse di rimediare, dopo essere stato sgarbato con me? “Non sanno riconoscere il tuo valore e non perdono occasione per sminuirti.”

“Ti stai preoccupando troppo, il problema è soltanto mio! La cosa ti inquieta oltre misura. Sentiamo: tu, cosa avresti da perdere?” Gli chiesi. “Sappi che non ho bisogno della tua commiserazione.”

“Certo che no! Sei autosufficiente” replicò lui, imperioso. Dovevo averlo infastidito. Mi ritrovai a ridosso della parete e per poco non ci sbattei il capo, mi aveva prevaricato e non ero riuscito ad anticiparlo. Davvero avrebbe osato colpirmi? Si sarebbe preso una tale libertà nei confronti di un superiore? Staremo a vedere. E tuttavia la sua reazione mi aveva inibito al punto che non sarei riuscito a reagire. Stetti immobile con le braccia lungo i fianchi, con la sensazione di avere la mente confusa, si stavano addensando molte ombre e interrogativi a turbare la mia serenità.

“Non devi permetterti di parlarmi così. Non lo tollero” soggiunse lui. Aveva le caratteristiche di uno scorpione fatto e finito, peccato... perché non avrebbe mai avuto il privilegio di aspirare a conquistare le Sacre Vestigia del proprio segno. Quel pensiero mi fece sorridere. Era un povero illuso con arie di superiorità, non sarebbe mai riuscito a eguagliarmi eppure, in qualche modo, incuteva rispetto. Deferenza... d'un tratto pensai ad Aphrodite e a quel connubio d'invidia e adorazione nei suoi riguardi. Ne fui sgomento e tuttavia mi riscossi immediatamente da quel divagare.

Quella figura, di poco più alta, troneggiava, ne percepivo il respiro sulla pelle accaldata. Algol non aveva smesso di fissarmi: potevo avvertire il suo sguardo di biasimo trafiggermi nonostante il buio.

Sbattei un paio di volte le ciglia, per lenire il bruciore agli occhi, ed ebbi l'impressione di scorgere un vago riflesso in direzione della rampa di scale antistante il pronao sebbene quella serata fosse particolarmente buia, e l'impeto del vento, e l'infuriare del temporale avessero affievolito i fuochi. Algol, essendo voltato verso di me, non si era accorto di ciò che probabilmente era stata un'illusione. Mi svincolai da quel contatto, opprimente e inopportuno, afferrandogli i polsi con forza obbligandolo a togliere le mani che erano già scivolate dietro la nuca, tra i capelli; non sopportavo mi toccasse senza la mia approvazione... era un mio limite e lui non doveva oltrepassarlo.

Ed ecco, in quel preciso istante, vidi di nuovo un fievole lucore espandersi a distanza, alle sue spalle. E subito dopo udii una voce suadente: “Buonasera, Misty... mio caro, vedo che sei in compagnia del tuo amichetto.”

Quella voce mi suonava così familiare e fece trasalire anche Algol, il quale si voltò all'improvviso frapponendo lo scudo con l'effigie di Medusa tra noi e lo sconosciuto.

“Fermati!” intimai al mio ex-commilitone. “Credo di conoscerlo e viene in pace.”

Algol abbassò la guardia, avanti che il simulacro ritraente la Gorgone schiudesse le palpebre svelando il suo sguardo letale, e lo esortai a farsi da parte e a porsi tranquillo al mio fianco.

E infine scorgemmo le fattezze dell'intruso. Sileno si era palesato in forma antropomorfa ma la sua aura luminosa metteva in risalto le caratteristiche di una creatura ibrida dal sembiante caprino: con barba, capelli incolti e due protuberanze sul capo simili a corna.

Sileno...

“Chiedo venia per avervi interrotto ma il tema della vostra discussione non può essere più importante della mia presenza, qui, in questo frangente” disse sorprendendoci entrambi. Algol non proferì verbo e indietreggiò di un passo, una saetta balenò nel cielo e intravidi il suo volto terreo; mi sfuggì un sorriso blando sulle labbra, non avevo potuto esimermi dallo scoccargli uno sguardo di sottecchi, gli era forse venuto meno il coraggio?

“Cercavi questo?” domandò il fauno e, al contempo, la forma di un oggetto conosciuto si materializzò nelle sue mani ossute. Sileno recava con sé l'elmo di Libra, dunque le mie ipotesi avevano fondamento. Forse era stato lui a farlo sparire, forse no, e se sì... perché? Mi domandai.

“Perché?”

“Che diavolo significa?” Algol riuscì finalmente ad aprire bocca, doveva aver realizzato, senza attendere alcuna spiegazione, che si trattasse di un avvenimento sovrannaturale.

“Lascia che sia lui a spiegare.” Lo zittii con una gomitata nel fianco.

“Prendilo, Misty. Ti appartiene di diritto” soggiunse Sileno avanzando verso di noi, per poi fermarsi a breve distanza, deponendo il manufatto aureo sull'abaco di una colonnina decorativa.

Sospirai con un cenno affermativo del capo e mi decisi, dopo una breve esitazione, a oltrepassare l'atrio a colonne di pietra procedendo sotto la pioggia battente. Recuperai l'elmo e, dopo averne tastato la consistenza, soppesandolo, lo collocai sul capo.

“Non ti è ancora chiaro il motivo di tutto ciò? Ti facevo più arguto.”

“Non ho tempo per i giri di parole. No, non mi è chiaro ed esigo una spiegazione” risposi trattenendo un'imprecazione a stento poiché stavo per perdere la pazienza.

“Ebbene, l'avrai” soggiunse il fauno, mellifuo. “E... avrai appurato di quanta considerazione godi in questo ambiente, presumo” insinuò con malcelato sarcasmo.

Sbattei di nuovo le palpebre e riuscii a percepire sul volto il calore delle lacrime che si confondevano con la pioggia. Riflettei brevemente: le parole di Sileno sollecitavano il mio orgoglio ferito confermando alcune supposizioni. Perché di certezze si trattava, non stavo farneticando: la mia figura era sottovalutata al Santuario malgrado fossi il legittimo possessore delle Sacre Vestigia di Libra, riuscivo a cogliere la totale indifferenza di alcuni Santi ogni qualvolta mi ci dovessi imbattere. Mi sovvenne il loro contegno sfuggente e la riluttanza a esprimere anche una sola parola di apprezzamento.

“Hanno riversato su di te accuse infondate, non supportate da alcuna prova... e mosse solo da sterili pregiudizi. Ti hanno sminuito riguardo una tua presunta inadempienza, esponendoti al pubblico ludibrio alludendo a un improbabile bagno al mare” spiegò. “Ti basta?”

“Come fai a saperlo?” domandai.

“A Febo non sfugge nulla.”

A tal sentire dovetti sgranare gli occhi dallo stupore: “Allora sei stato tu a trafugare l'elmo di Libra. Mi hai messo in un bel guaio, lo sai?” insinuai, ansioso di ottenere una risposta che confermasse i miei sospetti.

“Più che guaio il mio gesto è servito a dare una conferma di ciò che rappresenti qui. Quantomeno ad aprirti gli occhi.” Si giustificò Sileno i cui tratti inconsistenti viravano in forma sempre meno umana, ma forse ciò era l'effetto di un'illusione volta a irretirmi.

“Continuo a non capirci niente.” S'intromise Algol.

“Non intrometterti nel discorso, Algol di Perseus! Fammi finire e capirai.” Lo rimbrottò Sileno spazientito, il quale continuò rivolgendosi direttamente a me: “Febo non ha gradito affatto questo trattamento di sfiducia nei confronti del proprio figlio.”

“Direi che nemmeno il dio mi abbia riservato un'accoglienza con i guanti” replicai istintivamente, sforzandomi di dissimulare ogni incertezza e soprattutto quanto mi atterrisse la consapevolezza che quell'entità fosse comparsa di nuovo nella mia vita. Provai paura, lo stesso terrore cieco della preda ghermita da artigli rapaci e senza via di scampo. Ne ero certo: Apollo, prima o poi, si sarebbe palesato tramite il suo messaggero, tuttavia avevo rifuggito quella possibilità assimilandola a un brutto sogno da scacciare. Purtroppo non era un sogno, né un avvenimento spiacevole da relegare nel dimenticatoio, ma una realtà cui dovevo far fronte.

“Non essere stupido. L'episodio è valso a farti riflettere, ancorché tu non abbia scelta. E, sulla base di questi presupposti, lasciare il Santuario sarà per te un atto indolore” continuò Sileno e le sue parole ebbero facoltà di sottrarmi a quel doloroso rimuginare.

“Gli dèi che si manifestano ai mortali lo fanno perché hanno velleità di conquista e non per convenevoli” affermai, col cuore in gola, esponendo quali fossero le mie preoccupazioni.

“Sei il solito presuntuoso, Misty. Queste sono mere ipotesi: le tue ipotesi suffragate dal nulla. Tu, non sei nella sua mente, non puoi conoscere le ragioni che determinano le sue decisioni.” Si oppose il fauno, contraddicendomi. Non sapevo se credergli sebbene mi fosse parso sempre così sincero, fin dal principio. In ogni caso – indipendentemente dall'accordargli la mia fiducia o meno – dovevo fare quanto comandava e reprimere la paura.

“Tu sei consapevole che non abbandonerei il Grande Tempio a cuor leggero” deglutii a vuoto. ”Ma se ciò implicasse una pace duratura, allora, lo farei, nonostante il Gran Sacerdote e Athena non meritino il mio sacrificio.”

“Non è un sacrificio ma obbedienza a una volontà superiore, la quale trascende quella dei mortali vincolati alle trame che il destino tesse per loro.” Mi ricordò quella creatura, con un tono grave.

“Non l'ho dimenticato” biascicai con le labbra tremanti, nel vano tentativo di nascondere la mia condizione, e ponendo successivamente una mano sulla spalla di Algol per sorreggermi poiché stavo vacillando. Il Santo di Perseus taceva, ma io lo sapevo abbastanza intelligente per capire.

“È surreale. Vantare una discendenza divina ed essere trattato con sufficienza!” esclamò lui, trafelato quanto me, alludendo alla mia condizione.

“Qui non lo sanno, come non lo sapevi tu, e sono sicuro che, quando ne verranno a conoscenza, la loro opinione nei miei confronti non cambierà” sottolineai con risentimento.

“È una considerazione abbastanza sensata, mio caro Misty. La prova dell'elmo è bastata a farti comprendere con chi hai a che fare: se prima avevi remore nel prendere la giusta decisione, adesso non dovresti più averne” concluse Sileno. Lo guardai: rifulgeva ancora avvinto da una pallida luce e, nonostante stesse sotto la pioggia, la sua chioma crespa era completamente asciutta come le vesti che indossava.

“Non è sufficiente. Questa spiegazione difetta di molti dettagli” insisté Algol infrangendo di nuovo il silenzio.

“Aphrodite di Pisces, mio fratello, saprà darti una spiegazione esaustiva” replicai laconico, non avevo voglia di ripetere la solita solfa.

“Quel cicisbeo imbellettato? Tu saresti il fratello del bellimbusto che ti ha fatto da mentore? Ora si spiegano tante cose.” Ignorai quella replica infelice ma, in altre circostanze, avrei scaraventato il Santo d'Argento giù dalle scale.

“Adesso, che vi siete chiariti, possiamo andare.” Mi sollecitò con impazienza la creatura dal muso caprino.

“Ma... le Sacre Vestigia di Libra?”

“Quelle ti appartengono di diritto, ripeto” rispose Sileno con una scrollata di spalle. “Lo vedi? Aderiscono al tuo corpo come una seconda pelle, rifulgono maestose, ed è un baluginare d'approvazione. Sta' tranquillo.”

Quella risposta mi rincuorò. Abbassai gli occhi inspirando l'odore di pioggia che promanava dal lastricato di pietra e poi rialzai la testa guardando i Templi: si ergevano solenni sull'Acropoli di Atene, avvolti dalla foschia e illuminati in parte da blande luci riflesse. Forse avrei avuto nostalgia di quel luogo e di pochi tra quelli che vi dimoravano, non ultimi Asterion e Algol, ma dubitavo mi sarebbe mancato Aphrodite, sentivo un nodo allo stomaco ogni qualvolta pensassi a lui.

 

***

 

XI

 

Sapevo che quello non era il momento adatto per chiedere udienza ma non riuscivo più ad aspettare, era giunta l'ora di vuotare il sacco perché avevo un presentimento e dovevo liberarmi da quel fardello sempre più pesante. E, con stupore, constatai che nemmeno questa volta l'udienza mi fu negata: quando pervenni in aula l'atmosfera era alquanto tetra e greve, ma ciò era assolutamente comprensibile dopo gli avvenimenti odierni. Era un ambiente cupo, i drappi amaranto rivestivano le ruvide mura di pietra; ed era illuminato – al solito – dalla parca luce di lampade a olio e bracieri che proiettavano ombre tremolanti come una ridda di spettri. L'ampia stanza semivuota, simile alla Sala delle Udienze, era però caratterizzata da un tocco femminile quale la presenza dei fiori disposti in alcuni vasi; suppellettili e reperti, a prima vista, di scarso valore ma che, a uno sguardo più attento, avrebbero smentito la mia superficiale impressione. Ed era fredda come quei volti severi e inespressivi, immobili, simili a statue di marmo.

Fu Athena a ricevermi, in piedi, ed esibiva l'alto scettro stretto in pugno sormontato dal circolo con inscritto l'emblema di Nike, la Vittoria alata, come a voler sottolineare il proprio ruolo formale. Il Sommo, invece, occupava il soglio d'ebano dietro il tavolo da riunione, accanto al posto spettante a Saori Kido. Lo scranno riservato alla dèa sembrava di fattura meno elaborata rispetto al solito trono, ma non meno prezioso a giudicare dalle decorazioni in oro zecchino.
Dohko era privo della maschera ma indossava il copricapo con la chimera e le vesti sacre usuali; mi scrutò con un cipiglio tutt'altro che conciliante, doveva essere di pessimo umore ma scorsi un mutamento repentino in quell'espressione: quasi una disponibilità a voler ascoltare suo malgrado. Espirai chinandomi al cospetto di entrambi. L'acqua scorreva a rivoli lungo le piastre dell'armatura d'oro riversandosi e stagnando sul pavimento di pietra grezza, e un insopportabile brivido di freddo mi pervase le membra, penetrando fin nelle ossa, ma permasi stoico.

“In cosa possiamo aiutarti, Aphrodite di Pisces?” domandò Athena con voce gentile ma ferma. “Devi avere argomenti davvero importanti per spingerti fin qui in un momento così cruciale.”

Quella considerazione, espressa con una sorta di condiscendenza forzata, avrebbe dovuto inibire il mio coraggio tuttavia ebbi l'ardire di affrontare lo sguardo della dèa indugiando in quelle iridi di colore cangiante.

“Puoi alzarti in piedi.” Mi esortò con autorevolezza e, a dire la verità, era uno stile che non le apparteneva o quantomeno in parziale antitesi con la sua personalità. Forzato avrei detto. “Sarai scomodo in quella posizione” soggiunse poi, addolcendosi.

“Sì, ho qualcosa d'importante da dirvi, nonostante questa non sia l'occasione più adatta per farlo” affermai, e le mie parole dovettero suscitare disappunto nei presenti poiché l'espressione, quasi neutrale, sul volto del Sommo, mutò impercettibilmente e riuscii a coglierla in quanto prestavo molta attenzione a entrambi.

“Se sei qui per giustificare il tuo discepolo, sappi che non sarai ascoltato.” Fu ancora Athena a parlare mentre Dohko rimase in silenzio.

“Non è per questo che sono qui. Egli è consapevole della gravità delle proprie azioni, non si opporrà ai vostri provvedimenti in merito, e io non intendo giustificarlo” replicai, forse mettendo in imbarazzo le due autorità poiché ero certo si aspettassero un'arringa in difesa del mio discepolo. Ma Misty non necessitava di alcuna intercessione a suo favore perché era perfettamente in grado di farsi carico delle proprie responsabilità. Era evidente che non avessero capito nulla di lui e nemmeno che io non fossi così di parte.

“Ebbene, dunque, sbrigati a parlare perché non abbiamo tempo da perdere.” Il Sommo proferì finalmente parola, sorprendendomi per la mancanza di tatto scaturita dalla sua affermazione. Ma almeno era stato sincero e quella schiettezza mi rese inquieto, impaziente di esporre la mia confessione. Scrutai entrambi, prima uno e poi l'altra, quest'ultima aveva deposto lo scettro, per raggiungere poi il proprio scranno con un movimento inudibile, simile al frullo delle ali sfrangiate di un gufo, che sortì l'effetto di spargere la fragranza di cui erano intrise le vesti candide. Un'essenza floreale, delicata come quella emanata dalle mie rose. Mi strofinai alla base del naso per inibire il solletico.

“Misty è mio fratello ma questa, per voi, è solo una quisquilia. Il fattore determinante è che ho avuto delucidazioni sulle origini di entrambi” presi un respiro e poi continuai. “Possiedo un ciondolo, un pendaglio prezioso, fin dalla nascita, e una copia identica dello stesso oggetto la vidi al collo di Misty alcuni anni fa.”

 

Mi occupavo del giardino, come quasi ogni giorno, e il mio discepolo mi aveva raggiunto attardandosi a guardarmi mentre ero dedito alla cura delle piante. Era assorto, più riflessivo che incline all'azione, ma non mi disturbava quella sua indole così pacata, quasi meditabonda. Gli avrei dato qualcosa da leggere, nel frattempo, perché desideravo emulasse le mie abitudini e volevo trasmettergli il mio sapere, plasmarlo a mia immagine e somiglianza. Da autodidatta potevo già vantare una buona erudizione, velleità forse pretenziosa, per alcuni, in un luogo come il Grande Tempio.

A volte, Misty era fin troppo taciturno. Anche io, a dire il vero, non spiccicavo una parola quando ero intento a svolgere il mio lavoro, o ero immerso nei pensieri, e a causa di una banale distrazione avevo notato il pendaglio. Lui si era chinato per raccogliere uno dei fiori recisi: avrebbe inserito la rosa tra i capelli come un vezzo e io mal tolleravo quell'atteggiamento lezioso, ma avevo lasciato correre poiché attratto dalla cosa che gli luccicava al collo. Un bambino di otto anni non può possedere nulla in proprio se non... “Dove lo hai rubato?” Lo interrogai dopo aver guardato meglio l'oggetto.

Non l'ho rubato", rispose sgranando gli occhioni blu e guardandomi con un'aria di rimprovero. “Non mi credi?!”

No, no... non è che non ti credo ma... vieni con me.” Lo strattonai ma, subito dopo, mi pentii per essere stato brusco. Lo condussi nelle stanze private della Dodicesima Casa, precisamente nella stanza dove conservo il pendaglio che non sono solito indossare. Aprii il piccolo scrigno di legno custodito in un cassetto... e il ciondolo era ancora lì: lo soppesai confrontandolo con quello del mio discepolo ed erano identici.

“Scusami per aver dubitato di te" dissi a Misty posandogli un bacio sulla fronte. Forse era stata solo una convinzione – sbagliata – che del ciondolo non esistessero altre copie oltre alla mia. Mi ero convinto di come tutto ciò fosse solo frutto di una coincidenza e avevo smesso di preoccuparmene decidendo di non indagare.

 

“Solo qualche tempo prima della sua investitura a Santo d'Oro ho avuto una conferma del nostro legame e della discendenza divina.”

“Discendenza divina?!” Il Sommo Sacerdote inarcò un sopracciglio, un connubio di stupore e incredulità trasfigurò i tratti impassibili del suo volto.

 

Quando lo incontrai, per la prima volta, mi era comparso in sogno ma non avevo idea di chi fosse e dopo essermi soffermato a contemplarne le fattezze ricondussi quel nobile sembiante alla perfezione delle icone artistiche che tramandano il mito. Senza attendere che proferissi parola, lui confermò di essere il dio del Sole: Apollo, Febo, o come piace ai mortali chiamarlo. Mi aveva letto nel pensiero. Sbattei le palpebre poiché un sogno lucido sembrava concreto, tangibile. Percepii l'aria asciutta e tagliente a quell'altitudine ed era assai diversa dal clima temperato a cui siamo abituati al Santuario.

Da questo pianoro puoi ammirare il sito dove dimorano gli Olimpi, sebbene io preferisca la residenza di Delfi ubicata in prossimità delle pendici del Parnaso” disse Febo, e guardai laddove aveva indicato, estasiato per lo splendore delle architetture di marmo le quali si stagliavano contro il cielo riflettendo la luce del sole.

Che significa? Perché mi trovo al vostro cospetto e mi state mostrando tutto ciò?”

Se ti ho cercato è perché abbiamo qualcosa in comune.”

Sembrerebbe un ragionamento coerente, ma non...” Gli dissi indugiando, incantato dall'armonia dei Templi inscritti in un virtuale rettangolo aureo.

Ti sarai guardato allo specchio qualche volta, immagino" soggiunse, e mi attardai a riflettere sul significato di quelle parole senza riuscire a comprenderle. Non avevo mai dato eccessiva importanza all'aspetto esteriore, non quanta ne dessi alla beltà della vittoria in battaglia. “La nobiltà dei tratti ci accomuna, ma non solo quella." Mi fece notare lui.

Non ho ricordi felici legati alla mia infanzia, non ricordo di aver avuto dei genitori” replicai, avendo finalmente intuito dove volesse arrivare.

Non è detto tu debba ricordare; anzi, in verità, le esperienze legate ai primi anni dell'infanzia non si annoverano nei ricordi e ciò non esclude la sovrapposizione di eventi sovrannaturali connessi a esse” rispose volgendosi a contemplare lo scenario onirico che si stagliava innanzi a noi. “Ti dirò di più: è un bene che alcuni disegni risultino per lo più incomprensibili ai mortali.”

Lo guardai, incuteva timore, e in quel mentre mi balenò un altro interrogativo. Febo si voltò di nuovo verso di me ponendomi dolcemente le mani sulle spalle, dopodiché mi accarezzò il viso con un gesto amorevole: “Sono qui altresì per sciogliere ulteriori dubbi.”

Voi riuscite a leggermi dentro...”

Il ciondolo del tuo apprendista. Sì, è come hai sospettato, non sono banali supposizioni. Egli è tuo fratello unilaterale" confermò, allungandomi un oggetto: uno specchio d'argento di forma circolare che afferrai per l'impugnatura. “Custodiscilo con cura quale mezzo per volgere uno sguardo anche a questo mondo” disse e, d'un tratto, la visione svanì dissolvendosi.

Sbattei le palpebre, immerso nelle tenebre notturne, in un bagno di sudore, realizzando di non essermi mai mosso dal mio letto. Dopo aver recuperato a tentoni la lucerna sul tavolino da notte, per distinguere qualcosa nel buio, vidi le pareti nude della stanza; e sul materasso, tra le lenzuola disfatte, trovai il piccolo specchio d'argento ricevuto in dono da Febo. Sapevo che gli dèi non fossero solo rassicuranti archetipi attraverso i quali giustificare la nostra esistenza, ma ero ugualmente sconvolto.

 

 

Guardai indietro, verso il fondo della sala, tanto per distogliere l'attenzione dai miei interlocutori ora avidi di apprendere altri dettagli della storia e poi ripresi: “Apollo mi ha richiamato di recente alla sua corte, rassicurandomi riguardo al suo impegno a voler mantenere una pace duratura, perché non è la guerra che vuole. È molto più probabile che reclami la nostra presenza – mia e del Santo di Libra – al suo fianco.” Finalmente avevo trovato il coraggio di arrivare al dunque, dopo essermi voltato, scrutando negli occhi di entrambi.

“E hai taciuto per tutto questo tempo...” soggiunse Dohko corrugando le sopracciglia, sembrò riscuotersi dall'iniziale perplessità. Si era lasciato lo scranno alle spalle, dopo essersi alzato scostandolo dietro di sé bruscamente.

“Non è trascorso molto tempo” commentai lapidario, senza rendermi conto di come quel commento suonasse fuori luogo e irrispettoso.

“Non sei autorizzato a contraddirmi e l'omertà è un'azione deprecabile. Sei uno stolto. Davvero confidi nella trasparenza delle sue affermazioni?! Un conflitto tra dèi è sinonimo di catastrofe, devastazione e morte” affermò, dopo aver percorso il breve spazio che intercorreva tra il tavolo ovale e il centro della sala, posizionandosi di proposito alle mie spalle. Era probabile volesse mettermi in difficoltà. “Ma non è il caso che io te lo ricordi.”

“Sono stato ingenuo, lo riconosco, ma converrete con me: qualunque sia la decisione del dio noi non potremo contrastarla. È per questo motivo che mi sono deciso a sciogliere il riserbo.” Cercai di rimediare, ma Dohko non rispose aggirando la mia persona per arrivare a fronteggiarmi ed esibire un sorriso velato da sarcasmo, o compatimento?

“Sì, ti sei dimostrato molto ingenuo, Pisces. Nonostante sfrontatezza e malizia traspaiano da tutti i pori. Voi siete Santi consacrati ad Athena e, di fatto, non potete passare ad altre milizie” replicò infine. Si approssimò nuovamente al tavolo oblungo e sfilò il copricapo deponendolo sulla superficie di legno massiccio, affondando le dita nel groviglio di capelli rossi. La sua insinuazione fu una frecciata indirizzatami con nonchalance e alla quale dovetti soprassedere a malincuore.

“In teoria non sarebbe possibile, no. Ma, in pratica, Apollo potrebbe arrogarsi in qualsiasi momento il diritto di esigerlo” disse Athena. Dalla sua voce sembrò trapelare una sorta di rassegnazione ed ebbi quasi l'impressione di percepire un'ombra di malinconia offuscarle gli occhi chiari. “Ed è curioso che i figli di Apollo si trovino a militare nelle schiere dei Santi di Athena. Non trovate?”

“No, milady. Non è un caso fortuito: se è così è perché così dev'essere, abbiamo discusso poco fa a proposito di quanto è scritto nelle stelle” asserì Dohko con l'usuale franchezza e ciò ebbe l'effetto di infondermi una certa tranquillità. Quell'esternazione sembrò dissipare anche l'ombra di amarezza che aveva incupito il bel volto della fanciulla, la quale annuì con un garbato cenno di assenso.

 

Ma fu una tregua effimera alle mie teorie disfattiste, spezzata dall'ingresso di un inserviente in sala, il quale annunciò la richiesta di un colloquio da parte di un altro Santo. Trasalii udendo quel nome.

“Non è il momento adatto, la richiesta di udienza è respinta. Riferiscilo al diretto interessato” replicò Dohko rivolgendosi al servitore, e io mi portai il dito indice sulle labbra soffermandomi per un attimo a pensare...

“Gran Sacerdote, aspettate. Ho come la sensazione che Algol di Perseus abbia qualcosa d'importante da dire" affermai. Alcuni elementi del recente passato, analizzati in fretta e furia, tra me e me, mi avevano portato a formulare quella conclusione che avrebbe dovuto sollecitare Dohko a ritornare sui propri passi.

“Avevi insinuato ci fosse più di una stretta amicizia tra quel Santo e il tuo allievo... se ti riferisci a questo, ricordo di averti già risposto in merito.” Mi redarguì con un tono aspro, evidentemente non era solito dar credito alle malelingue e, almeno in questo, sembrò confermare la sua imparzialità.

“No, non mi riferivo a quella storia" chiarii. “Ho solo il presentimento che Perseus potrebbe avere qualcosa d'importante da comunicarvi.”

“Lo penso anch'io” interloquì Athena, per nulla turbata dalla precedente allusione a Misty e ad Algol che avrebbe incuriosito chiunque. “È inusuale chiedere udienza per futili motivi, in simili circostanze, quando si dovrebbe farlo in orari e occasioni più consoni. Pertanto vorrei ascoltare il suo rapporto.” Concluse.

Dohko assentì in silenzio e risolse di consentire l'ingresso del Santo d'Argento in aula.

 

Algol sembrava sorpreso di vedermi e rilevai il suo sguardo obliquo. Ebbi finalmente una risposta alla domanda perpetuata in merito a cosa potesse trovarci Misty in un gradasso del genere. Non mi stupii di ravvisare in quella persona i tratti salienti che rendevano interessante il Santo della Quarta Casa.

Si chinò per poi assurgere e io mi defilai a lato, a distanza dalla sua presenza ingombrante, infastidito da quegli occhi grigi, i quali sembravano scandagliare in modo osceno. Ero consapevole fosse solo una percezione errata dovuta al disgusto. Tuttavia avevo come la sensazione che sapesse qualcosa di troppo sul mio conto.

Athena e Dohko occupavano ora i rispettivi scranni e il Sommo esortò il Santo d'Argento a parlare. Algol ci scrutò uno a uno quasi abbozzando un sorriso sardonico: uno sprazzo di luce baluginò sulla tiara argentea che gli cingeva la fronte lasciando liberi i capelli dietro le spalle, e parimenti la stessa favilla brillò in quello sguardo sinistro. Sbattei le palpebre, al fine di umettare le sclere asciutte, e incrociai le braccia.

“Abbiamo perso armatura e possessore in un solo colpo...” esordì. “Il Santo di Libra è passato nei ranghi del dio del Sole avanti che voi pronunciaste il verdetto” disse sintetizzando in una frase più che concisa la notizia sconcertante. E, per me, non lo era del tutto perché sapevo ciò sarebbe accaduto presto o tardi. Più sconcertante fu venire a conoscenza delle concause in merito alla sparizione dell'elmo – che Algol ci illustrò subito dopo – ma ora, almeno, era tutto più chiaro: Misty non aveva smarrito l'oggetto per incuria e distrazione ma gli era stato sottratto di proposito. Era limpido il piano di Febo: la tattica di cui si era avvalso per trarci in inganno e far leva sul narcisismo di mio fratello.

“Non ha posto tempo in mezzo...” soggiunse Dohko con una nota d'indignazione, ed era palese si riferisse a Misty.

“Diserzione e appropriazione indebita; coercizione o libera scelta?” Questionò rivolgendosi alla dèa. Aveva davvero una gran faccia tosta, con quale coraggio avanzava accuse del genere? Mi indignai sperando di non darlo a vedere.

Athena tergiversò appoggiando i gomiti sul tavolo e il mento sulle mani. Dopodiché si riscosse replicando alla provocazione di Dohko: “Coercizione, direi, viste le circostanze” affermò, e mi parve una conclusione assennata. “E tu cosa ne pensi, Aphrodite?” Mi chiese, raddrizzando le spalle per accostarsi allo schienale del proprio seggio.

Quella domanda mi lasciò attonito, percepii una vampata di calore salirmi al volto ma fui sollecito a riprendermi dallo sbigottimento: “Concordo, milady. Sarebbe ingiusto, insensato, muovergli delle accuse infamanti come diserzione e appropriazione indebita dell'armatura; dato che è evidente – ne abbiamo le prove, con la testimonianza di Perseus – che non si sia trattato di una libera scelta” sospirai ormai prossimo all'esasperazione. “E vi assicuro di essere assolutamente imparziale malgrado si tratti di mio fratello.”

“Sembra sappiate già tutto” aggiunse Algol, alludendo con certezza all'ultima affermazione con cui avevo sottolineato il mio legame di sangue con Misty.

“Ci ha pensato Pisces, poco prima, a darci delucidazioni in proposito... ma non avremmo mai immaginato che gli eventi sarebbero precipitati così in fretta.” Gli rispose il Gran Sacerdote.

“Cosa faremo?” m'interposi tra loro rivolgendomi ad Athena.

“Nulla. Non faremo nulla, per il momento” replicò la dèa. “Opporremo cautela e uso dell'intelletto all'eccentricità di un dio. Non possiamo fare nulla se non pazientare.”

 
   
 
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