Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Diana LaFenice    13/02/2020    0 recensioni
"A volte basta allontanarsi un po' per vedersi meglio".
La notte del naufragio della Fortuny, si persero le tracce di sei delle diciotto lance di salvataggio. Ufficialmente dispersi e poi dati per morti, in realtà i superstiti approdarono sulle spiagge di un vero e proprio paradiso terrestre.
Dieci anni dopo i figli dei naufraghi vivono in pace sotto la guida di Conrad, l'ultimo adulto rimasto. Tuttavia la pace è solo apparente. Tra gioie, problemi e dolori non mancano le lotte intestine e le domande. Per esempio, perché non si può andare nella Landa? Cosa c'è laggiù? Perché non ci si può andare? E se la salvezza fosse oltre quella zona nebbiosa e fitta? E cosa è davvero successo in dieci anni prima? Perché non si può lasciare l'isola?
Ripercorrendo i sentieri della memoria ed esplorando quei meandri tanto temuti, i figli dei naufraghi cercheranno di trovare il modo di abbandonare il Giardino dell'Eden in cui sono cresciuti.
Tra ricordi, fantasia, misticismo e spiritualità questo è Il Giardino di Dio.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Non avrò paura

 

 

I giorni passarono relativamente in fretta. Quel dicembre si preannunciava caldo e soleggiato ma Claire sapeva che era bene non fidarsi. Una delle prime cose che tutti loro facevano la mattina era interpretare il tempo. Avevano imparato dei trucchetti niente male, tipo guardare i fiori: se i petali restavano chiusi tutta la mattina allora significava che c’era un temporale in arrivo. Stesso lavoro con le rondini e i pipistrelli, anche se erano diventati molto meno affidabili. Non sapevano ancora spiegarsi il perché. Gli altri preferivano guardare le nuvole. Per loro fortuna non c’erano cumulonembi e il cielo non era rosso.
Quello che le aveva detto Moto però non se l’era dimenticato. Anzi, la preoccupava il fatto che i bambù crescessero a questo ritmo anomalo. C’aveva provato in tutti i modi a non pensarci ma era stato più forte di lei.
Aveva messo il fiore in un cocco pieno d’acqua, vicino alle piante odorose che tenevano lontane le zanzare. Non era comunque durato tanto. Prese i vestiti ma fu investita da un odore tremendo. Doveva lavarli. Ne raccolse un cesto e andò al torrente.  
Lì trovò Kelani che stava lavandosi. La ragazza la salutò e le chiese di farle compagnia. «Tanto non hai già mangiato, no?»
«No, stamani non ho fame e ho bisogno di lavarmi, mi sembra di essere fatta di polvere». Ribatté Claire cominciando a spogliarsi. Avevano bisogno di una bella lavata anche quelli. Già che c’era. Prese i vestiti, un sasso che faceva al caso suo e qualche pianta di saponaria, poi si mise al lavoro, alternando sé stessa agli abiti. Per un po’si sentì il rumore del sasso sulle pietre e lo scorrere dell’acqua del torrente. Già molti vestiti si erano rovinati così facendo. Cercò di ricordarsi gli abiti dei defunti. Tra loro c’era più gente in camicia da notte che vestiti normalmente. Se non ricordava male erano naufragati di notte. Il sale aveva già rovinato i vestiti ma il sistema rudimentale che usavano non aveva fatto che peggiorare la situazione. E di quei vestiti non era rimasta che roba buona per fare gli stracci o i parei o quelle camice assurde che portavano.  Se Ida e Zaira non si fossero date una mossa a cucire nuovi vestiti presto tutti avrebbero avuto seri problemi.
L’enciclopedia dei nonnini poteva aiutarli solo fino a un certo punto. Non erano né falegnami né carpentieri e non era neanche detto che le piante di canapa e bambù o di agave potessero soddisfare la produzione tessile.  
«Stai meglio?» Le domandò a un certo punto l’amica che stava lavandosi la lunga chioma.
«Sto bene». Disse.
«Meglio, ma sei sicura? Ti vedo pensierosa».
«Sì è che non riesco a togliermi dalla testa quello che ha detto Moto qualche giorno fa».
«Ah, sì? Cosa?»
«A proposito delle piante». E le raccontò tutto. Kelani continuò a sciacquarsi la testa con la saponaria. Una pianta da cui ricavavano una versione rudimentale dello shampoo e del bagno schiuma tramite la saponina dello stelo.
Kelani si spostò la cappa nera e bagna su una spalla e prese a strizzarla mentre diceva: «Stai pensando a una carestia?»
«Non vorrei che fosse così». Ribatté Claire, cercando di non chiamare a sé questa sventura. Non che fosse superstiziosa, ma riconosceva il peso di certe parole su quell’isola. E l’idea di affrontare un’altra carestia le metteva orrore. Cinque anni prima l’isola marcì quasi completamente a causa di una malattia delle piante. Fu anche la stessa pestilenza che si portò via gli ultimi. Non avevano neanche idea di come si fossero salvati se non che era stato un miracolo.  Da allora non si era ammalato più nessuno. Non così gravemente e le piante erano tornate in salute.
«Non darci peso, sicuramente non è niente». Cercò di rassicurarla l’altra mentre Claire si rovesciava una grossa ciotola-conchiglia in testa per sciacquarsela. «Come stanno i bambini?» Chiese per cambiare discorso, dopo aver preso a sua volta la saponaria e cominciando a lavarsi la testa. In breve si ritrovò i capelli pieni di schiuma e ascoltò le parole dell’amica solo con un orecchio.
Non sarebbe dovuta tornare al villaggio, avrebbe dovuto invece trovare il coraggio di scalare quei tre picchi. O fare il giro dell’isola e vedere cosa diavolo c’era oltre la Landa. Era l’unica cosa sensata da fare e anche l’unica per capire molte cose.
Perché Conrad vietava a tutti di salire su quelle cime o di inoltrarsi nella Landa? Cosa c’era di così prezioso per lui? Perché lei lo conosceva abbastanza per capire che se lui impediva a qualcuno di fare qualcosa, allora aveva un tornaconto personale. In quel momento ebbe pietà per quel poveraccio: un uomo che si teneva tutti i suoi segreti stretti al petto e che non li avrebbe condivisi mai. Lo ricordava ancora quando da piccola gli diceva che l’unico modo per mantenere un segreto era far sì che gli altri che sapessero fossero morti. E Sally tutte le volte che gli dava ragione.
Smise di insaponarsi la testa e fissò l’acqua. 
Quante persone aveva ammazzato allora lui per i suoi sporchi segreti? Si domandava la giovane con orrore e una qual certa morbosità. Se era capace di circuire una ragazzina allora non aveva problemi a macchiarsi di crimini peggiori.
Cercò di sviare i suoi stessi pensieri ma non ci riuscì. Non avrebbe… Oh, c’erano troppe cose che non avrebbe dovuto fare. Bè, era stanca.
Abbatté un pugno in acqua sollevando uno schizzo.
«Claire!» Esclamò Kelani spaventata. L’amica la guardò e Kelani si portò una mano alla bocca, gli occhi tondi sgranati per la paura. La giovane immaginò di avere il volto indurito in quell’espressione esasperata. Non le importava di farle orrore: «Sono stufa».
«Di cosa?»
«Di tutta questa storia, di Conrad e adesso forse sta per arrivare un’altra ondata e…» e condivise con lei i suoi pensieri. Alla fine la mora si limitò a dire che doveva smettere di pensarci, che ci stava già occupandosene Lena. «Noi dobbiamo solo aspettare». La incoraggiò. Claire sorrise, concedendole il beneficio del dubbio. Kelani aveva perso i genitori e le sorelle nel naufragio e in lei e Jennifer aveva ritrovato un po’di calore umano. Molte volte Claire era andata a dormire nella capanna delle due.
La rispettava e le voleva molto bene ma a volte pensava che la paura le avesse inibito le iniziative. Si sciacquò la testa tuffandola sotto la corrente. Poi si rialzò e si scostò i capelli dal volto. Li strizzò e li legò in una treccia raffazzonata, poi li fermò con uno stelo d’erba. «Vorrei darti ragione, Kelly, ma non posso».
«Hai già fatto?»
«No, ne ho ancora per un po’». Avrebbe voluto andarsene ma aveva ancora lì tutta la sua roba.
Finì di lavorare e si rivestì, poi prese il cesto del bucato e andò a stenderlo. Kelani certe volte non capiva. Non solo nelle cose più importanti come la caccia o queste questioni. Lei diceva sempre di aspettare, che il tempo avrebbe provveduto. Sì ma se al tempo non gli si dava una mano… e poi era stanca di Conrad.
Perché non una bella freccia e via? Quest’idea per quanto terribile fosse non l’aveva abbandonata. Era dalla morte di Sally che ci pensava. Ne teneva apposta una per lui. Ma Kelani non poteva capire. Come poteva comprendere una il cui sogno era diventare veterinaria? Ovvio che non le avrebbe mai chiesto di diventare sua complice, neanche ci pensava. Il primo istinto di Kelani nei confronti di quella bestia sarebbe stato quella di aiutarla nonostante le frecce.
Quindi il massimo che riusciva a fare, era occuparsi dei pochi animali che avevano. Per essere precisi stava cercando di convincere lei e gli altri ad adottare dei galli e delle galline selvatiche. “Io te le ammazzo quelle galline e poi ci facciamo il pollo arrosto”. Pensò mentre stendeva l’ultimo panno. La discussione per quel che ne sapeva era ancor aperta, perché su un’isola anche questo poteva essere pericoloso. Avrebbero potuto attirare ancora più predatori di prima.
Ancora una volta le tornò in mente Moto e l’invidia si fece risentire.  

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Diana LaFenice