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Autore: Pikky    05/08/2009    2 recensioni
Claudio, diciottenne, ha un dono che gli permette di vedere i morti. Un giorno Beatrice, diciottenne morta in circostanze misteriose che lei stessa non ricorda, si rivolge a lui in cerca di aiuto per poter ricostruire il suo ultimo giorno di vita e poter quindi passare oltre. Claudio, decide di aiutarla, incurante dell’avvertimento dello spirito di sua nonna Agnese, la quale gli dice che quella ragazza gli farà del male. [Fanficion partecipante al concorso 'La Primavera e il Morto' indetto da Eylis sul forum di Efp]
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo

 

Primavera

 

Beatrice salì i gradini di Primavera molto lentamente. Una volta giunta davanti alla porta sospirò, prima di appoggiare la mano sul pomello e spingerla in avanti per aprirla, dopodiché mosse un passo e si ritrovò all’interno della casa. Capì subito che entrare era stata la scelta giusta, la chiave per risolvere l’enigma della propria morte, poiché in un attimo tutto le tornò alla mente.

 

Voleva starsene un po’ da sola, ne sentiva un bisogno quasi fisico. Appena uscita da casa di Simone per cui, si mise a camminare senza meta, la vista offuscata dalle lacrime.

Che sciocca, sembrava lei quella che era appena stata lasciata, talmente piangeva. Lui tutto sommato l’aveva presa bene, non aveva fatto scenate e aveva accettato la sua scelta. Certo, non aveva fatto i salti di gioia, ma d’altronde le aveva detto che se voleva starsene un po’ da sola le avrebbe lasciato del tempo, e poi avrebbero deciso insieme sul da farsi.

Non c’era un motivo preciso per il quale Beatrice sentisse quel bisogno, in quell’ultimo periodo, da quando aveva compiuto i diciotto anni, aveva iniziato a sentirsi pervasa da una strana malinconia a cui non riusciva a trovare alcuna spiegazione. Aveva provato a parlarne con Simone, con i propri genitori e con gli amici, ma le era parso che nessuno la potesse capire fino in fondo, né tantomeno aiutare.

Alla fine era giunta alla conclusione che quelle era una tappa della propria vita che doveva affrontare da sola, così aveva deciso di lasciare Simone e di prendersi del tempo per se stessa. Sperava che stare un po’ da sola con i propri pensieri l’avrebbe aiutata.

Senza rendersene conto si trovò nella periferia del paese. Decise di proseguire, addentrandosi nei boschi. Dopo qualche minuto giunse davanti al cancello di Primavera. Rimase estasiata, alla vista di quella stupenda villa abbandonata di cui tanto aveva sentito parlare. Ne era sempre stata affascinata, per cui in un impeto di coraggio volle varcare il cancello, per dare un’occhiata. Ricordava bene i racconti della nonna che l’avevano spaventata fin da piccola, ma ormai era cresciuta, per cui si disse che era inutile credere a quelle fandonie. Probabilmente era solo una vecchia villa abbandonata, dall’aspetto un po’ sinistro, per cui era normale che la gente, specialmente le persone anziane, ci avesse ricamato sopra qualche storia macabra, giusto per avere qualcosa di cui parlare la domenica dopo la messa.

Il giardino era immenso, e assomigliava di più ad una giungla, visto che nessuno lo curava più da anni. Beatrice si fece strada tra l’erba alta, fino a che giunse davanti alla porta della villa. Salì i gradini dell’ingresso con un misto di paura ed eccitazione, quindi afferrò la maniglia della porta e spinse verso il basso, senza incontrare nessuna resistenza.

Un volta entrata, si trovò di fronte ad un grande atrio, dal cui centro partiva una scalinata che conduceva al piano superiore. Esitante, Beatrice giunse fin lì ed iniziò a salire i gradini, che cigolarono uno ad uno. L’atmosfera era abbastanza sinistra, tanto che quasi si pentì di essere andata fin lì da sola e per un attimo fu tentata di tornare sui propri passi. Tuttavia non lo fece poiché pensava che quell’esperienza l’avrebbe aiutata a distrarsi e a non pensare al malessere interiore che la pervadeva.

Giunse quindi in cima alle scale e si appoggiò alla ringhiera per poter vedere l’atrio dall’alto. Sentì un movimento dietro di sé e sussultò, voltandosi immediatamente. Due occhi gialli la stavano osservando, e con sollievo Beatrice si accorse che appartenevano ad un gatto. Si accovacciò per poterlo accarezzare, dato che adorava i gatti, ma questo scappò. Con un’alzata di spalle si voltò nuovamente verso la ringhiera e vi si appoggiò, questa volta con più decisione.

Fu un attimo.

Sotto la forza di quella spinta, la ringhiera cedette, e Beatrice cadde al piano di sotto. La sorpresa fu tale che non ebbe nemmeno il tempo né di urlare, né di rendersi conto di ciò che stava cadendo, perché nel giro di un attimo l’impatto con il suolo si fece sentire.

Morì sul colpo.

 

- Dio, che morte stupida! – esclamò Beatrice tra le lacrime, sollevata. Non si stupiva certo di averla rimossa dalla propria mente, visto le circostanze in cui era avvenuta.

Uno stupido, maledettissimo incidente, pensò, sorridendo amaramente. Senza il quale però non sarei morta e non avrei conosciuto Claudio. Era così che doveva andare, dopotutto. Ora lo so con certezza.

Si sentì pervasa da una grandiosa sensazione di pace, dalla consapevolezza di aver compreso un destino che non avrebbe mai immaginato. Nel giro di pochi secondi venne circondata da una luminosa luce bianca, da cui si fece volentieri avvolgere.

È tutto a posto. Finalmente.

 

 

 

Camera di Claudio

 

Da quando Beatrice era scomparsa per sempre dalla sua stanza, quella mattina presto, Claudio non si era alzato dal letto. Era rimasto sdraiato a contemplare il soffitto, incurante delle lacrime che gli scorrevano lungo le guance. Fin da piccolo gli avevano detto che piangere era da femminuccia, ma al diavolo! Per una volta tanto avrebbe dato libero sfogo alle proprie emozioni, fregandosene di quella stupida castrazione culturale.

Qualsiasi cosa pur di stare meglio.

Non si accorse dell’apparizione di sua nonna fin quando non la vide sedersi sul letto  e guardarlo con tenerezza mista a compassione. Vedere il nipote in quello stato le straziava il cuore.

- Se sei venuta per farmi la predica puoi anche tornare nella terra in cui voi spiriti siete allegri e felici. E magari salutami anche Beatrice, già che ci sei. – borbottò il ragazzo, sulla difensiva, con amara ironia. Sentirsi rimproverato era l’ultima cosa di cui aveva bisogno.

- Mi dispiace, Claudio. – gli sorrise amaramente Agnese, prendendogli la mano. – Non immaginavo che saresti stato male in questo senso. Pensavo che la tua vita fosse in pericolo, quando sono venuta ad avvertirti. Se avessi saputo tutto con più precisione… - lasciò cadere la frase, non sapendo bene come poterla completare. – Perdonami.

- No, nonna. – si rifiutò Claudio, alzandosi a sedere e circondandole la mano che aveva posato sulla propria con l’altra. – Non ti devo perdonare nulla. È mia la colpa, tu hai fatto quello che potevi, sono io che non ti ho dato ascolto. E non mi pento di averlo fatto, non mi dispiace per niente di averti disobbedito. Non ho nulla da rimpiangere, anche se ora sto da schifo. Ma passerà, come passa tutto, del resto. Ne ho passate di peggio, supererò anche questa. Ora però ho bisogno di stare solo, per digerire bene la cosa. Scusa.

- No, non devi scusarti. – sorrise Agnese con dolcezza, dandogli un buffetto sulla guancia. – A presto, gioia mia. – lo salutò, prima di svanire nel nulla.

Claudio si prese la testa fra le mani, ripensando a quello che aveva appena detto alla nonna. Era la verità, dopotutto. Lo pensava sul serio, per quanto in quel momento si sentisse uno straccio. Tuttavia sapeva che nel giro di qualche tempo sarebbe tornato tutto alla normalità, doveva solo avere pazienza. Pian piano sarebbe stato di nuovo bene, senza però dimenticare Beatrice.

Avrebbe serbato per sempre il ricordo di lei, seppure con malinconia.

 

   
 
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