Epilogo
Primavera
Beatrice salì i
gradini di Primavera molto lentamente. Una volta giunta davanti alla porta
sospirò, prima di appoggiare la mano sul pomello e spingerla in avanti per aprirla,
dopodiché mosse un passo e si ritrovò all’interno della casa. Capì subito che
entrare era stata la scelta giusta, la chiave per risolvere l’enigma della
propria morte, poiché in un attimo tutto le tornò alla mente.
Voleva
starsene un po’ da sola, ne sentiva un bisogno quasi fisico. Appena uscita da
casa di Simone per cui, si mise a camminare senza meta, la vista offuscata
dalle lacrime.
Che
sciocca, sembrava lei quella che era appena stata lasciata, talmente piangeva.
Lui tutto sommato l’aveva presa bene, non aveva fatto scenate e aveva accettato
la sua scelta. Certo, non aveva fatto i salti di gioia, ma d’altronde le aveva
detto che se voleva starsene un po’ da sola le avrebbe lasciato del tempo, e
poi avrebbero deciso insieme sul da farsi.
Non
c’era un motivo preciso per il quale Beatrice sentisse quel bisogno, in
quell’ultimo periodo, da quando aveva compiuto i diciotto anni, aveva iniziato
a sentirsi pervasa da una strana malinconia a cui non riusciva a trovare alcuna
spiegazione. Aveva provato a parlarne con Simone, con i propri genitori e con
gli amici, ma le era parso che nessuno la potesse capire fino in fondo, né
tantomeno aiutare.
Alla
fine era giunta alla conclusione che quelle era una tappa della propria vita
che doveva affrontare da sola, così aveva deciso di lasciare Simone e di
prendersi del tempo per se stessa. Sperava che stare un po’ da sola con i
propri pensieri l’avrebbe aiutata.
Senza
rendersene conto si trovò nella periferia del paese. Decise di proseguire,
addentrandosi nei boschi. Dopo qualche minuto giunse davanti al cancello di
Primavera. Rimase estasiata, alla vista di quella stupenda villa abbandonata di
cui tanto aveva sentito parlare. Ne era sempre stata affascinata, per cui in un
impeto di coraggio volle varcare il cancello, per dare un’occhiata. Ricordava
bene i racconti della nonna che l’avevano spaventata fin da piccola, ma ormai
era cresciuta, per cui si disse che era inutile credere a quelle fandonie.
Probabilmente era solo una vecchia villa abbandonata, dall’aspetto un po’
sinistro, per cui era normale che la gente, specialmente le persone anziane, ci
avesse ricamato sopra qualche storia macabra, giusto per avere qualcosa di cui
parlare la domenica dopo la messa.
Il
giardino era immenso, e assomigliava di più ad una giungla, visto che nessuno
lo curava più da anni. Beatrice si fece strada tra l’erba alta, fino a che
giunse davanti alla porta della villa. Salì i gradini dell’ingresso con un
misto di paura ed eccitazione, quindi afferrò la maniglia della porta e spinse
verso il basso, senza incontrare nessuna resistenza.
Un
volta entrata, si trovò di fronte ad un grande atrio, dal cui centro partiva
una scalinata che conduceva al piano superiore. Esitante, Beatrice giunse fin
lì ed iniziò a salire i gradini, che cigolarono uno ad uno. L’atmosfera era
abbastanza sinistra, tanto che quasi si pentì di essere andata fin lì da sola e
per un attimo fu tentata di tornare sui propri passi. Tuttavia non lo fece
poiché pensava che quell’esperienza l’avrebbe aiutata a distrarsi e a non
pensare al malessere interiore che la pervadeva.
Giunse
quindi in cima alle scale e si appoggiò alla ringhiera per poter vedere l’atrio
dall’alto. Sentì un movimento dietro di sé e sussultò, voltandosi
immediatamente. Due occhi gialli la stavano osservando, e con sollievo Beatrice
si accorse che appartenevano ad un gatto. Si accovacciò per poterlo
accarezzare, dato che adorava i gatti, ma questo scappò. Con un’alzata di
spalle si voltò nuovamente verso la ringhiera e vi si appoggiò, questa volta
con più decisione.
Fu
un attimo.
Sotto
la forza di quella spinta, la ringhiera cedette, e Beatrice cadde al piano di
sotto. La sorpresa fu tale che non ebbe nemmeno il tempo né di urlare, né di
rendersi conto di ciò che stava cadendo, perché nel giro di un attimo l’impatto
con il suolo si fece sentire.
Morì
sul colpo.
- Dio, che morte
stupida! – esclamò Beatrice tra le lacrime, sollevata. Non si stupiva certo di
averla rimossa dalla propria mente, visto le circostanze in cui era avvenuta.
Uno
stupido, maledettissimo incidente, pensò, sorridendo amaramente. Senza il quale però non sarei morta e non
avrei conosciuto Claudio. Era così che doveva andare, dopotutto. Ora lo so con
certezza.
Si sentì pervasa
da una grandiosa sensazione di pace, dalla consapevolezza di aver compreso un
destino che non avrebbe mai immaginato. Nel giro di pochi secondi venne
circondata da una luminosa luce bianca, da cui si fece volentieri avvolgere.
È
tutto a posto. Finalmente.
Camera
di Claudio
Da quando
Beatrice era scomparsa per sempre dalla sua stanza, quella mattina presto,
Claudio non si era alzato dal letto. Era rimasto sdraiato a contemplare il
soffitto, incurante delle lacrime che gli scorrevano lungo le guance. Fin da
piccolo gli avevano detto che piangere era da femminuccia, ma al diavolo! Per
una volta tanto avrebbe dato libero sfogo alle proprie emozioni, fregandosene
di quella stupida castrazione culturale.
Qualsiasi cosa
pur di stare meglio.
Non si accorse dell’apparizione
di sua nonna fin quando non la vide sedersi sul letto e guardarlo con tenerezza mista a
compassione. Vedere il nipote in quello stato le straziava il cuore.
- Se sei venuta
per farmi la predica puoi anche tornare nella terra in cui voi spiriti siete
allegri e felici. E magari salutami anche Beatrice, già che ci sei. – borbottò
il ragazzo, sulla difensiva, con amara ironia. Sentirsi rimproverato era
l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
- Mi dispiace,
Claudio. – gli sorrise amaramente Agnese, prendendogli la mano. – Non
immaginavo che saresti stato male in questo senso. Pensavo che la tua vita
fosse in pericolo, quando sono venuta ad avvertirti. Se avessi saputo tutto con
più precisione… - lasciò cadere la frase, non sapendo bene come poterla completare.
– Perdonami.
- No, nonna. –
si rifiutò Claudio, alzandosi a sedere e circondandole la mano che aveva posato
sulla propria con l’altra. – Non ti devo perdonare nulla. È mia la colpa, tu
hai fatto quello che potevi, sono io che non ti ho dato ascolto. E non mi pento
di averlo fatto, non mi dispiace per niente di averti disobbedito. Non ho nulla
da rimpiangere, anche se ora sto da schifo. Ma passerà, come passa tutto, del
resto. Ne ho passate di peggio, supererò anche questa. Ora però ho bisogno di
stare solo, per digerire bene la cosa. Scusa.
- No, non devi
scusarti. – sorrise Agnese con dolcezza, dandogli un buffetto sulla guancia. –
A presto, gioia mia. – lo salutò, prima di svanire nel nulla.
Claudio si prese
la testa fra le mani, ripensando a quello che aveva appena detto alla nonna.
Era la verità, dopotutto. Lo pensava sul serio, per quanto in quel momento si
sentisse uno straccio. Tuttavia sapeva che nel giro di qualche tempo sarebbe
tornato tutto alla normalità, doveva solo avere pazienza. Pian piano sarebbe
stato di nuovo bene, senza però dimenticare Beatrice.
Avrebbe serbato
per sempre il ricordo di lei, seppure con malinconia.