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Autore: amirarcieri    01/03/2020    1 recensioni
Wyatt fin dalla nascita ha sempre sentito la mancanza di qualcosa, come ad essere stato privato di una parte importante di se stesso, ma nessuno gli ha mia dato conferme. Soltanto domande delle quali solo lui era a conoscenza e risposte a cui doveva trovare un riscontro mediante gli altri.
Un giorno Wyatt decide di andare dalla madre per farsi raccontare il segreto che nasconde, ma non è del tutto certo della sua decisione, perché privo di prove certe.
Il caso vuole che proprio nello stesso giorno, Wyatt, incontra una ragazza che lo scambia per un altro ragazzo e allora lì, Wyatt, non ha più dubbi.
Dopo averla invitata a pranzare a un ristorante, è certo che il suo pensiero è pieno di fondamento.
Genere: Commedia, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CONSIGLIO: durante le lettura della storia vi suggerisco (se volete ovviamente) di ascoltare queste due canzoni degli Electric Guest perché sono la colonna sonora (la musa ispiratrice) che ha contribuito a scrivere la storia. 
Electric Guest - Over [https://www.youtube.com/watch?v=2Efdzu_eiWQ]
  Electric Guest - Jenny  [https://www.youtube.com/watch?v=YY-teYKUXpQ]



Capitolo uno

 

E fu così che il destino ci fece accidentalmente incontrare"


 

 

Le strade di Londra erano sempre sovraffollate di gente.
Che sia stato d'autunno o d'estate le vie di qualsiasi svincolo erano sempre traboccanti di svariate società che sgambettavano da un negozio all'altro, in continua ricerca di qualcosa su cui investire i propri bigliettoni.
In uno dei tanti negozi che offriva una molteplice varietà di beni, una ragazza era intenta a pescare un nuovo romanzo da divorare nelle ore cariche di apatia.
Di media statura, dotata da una criniera di boccoli definiti color ciliegio, un corpo prosperoso e due occhi bui e grandi, era una ragazza introversa e timida, ma se intuiva che la persona davanti a lei risplendeva totalmente di lealtà, allora, si tramutava nell'esatto opposto.
Si trovava in terra straniera per completare il suo anno sabbatico con l'ultima meta da sogno della sua lista dei desideri. Al suo ritorno in Italia - perché era Italiana e con più precisione Toscana - avrebbe dovuto sapere chi voleva essere e decidersi a prendere in mano la responsabilità del suo futuro, ma per adesso si sarebbe solo goduta ciò che la vita presente le offriva, senza stare troppo a riempirsi la testa di complessi e rovinarsi il viaggio come i due bagagli ricolmi di oggetti che aveva.
La ragazza, percorreva tutta la catena dei libri seguendo le testate appartenenti a ognuno di loro, quando, forse, uno riusci ad ottenere la sua attenzione.
Impaziente, lo prese e cominciò a sfogliarlo mentre nel tempo stesso riusciva a captare qualche frase da lui posseduta.
Passò poco che si ritrovò a leggere la sua prefazione, ma proprio in quel momento, il suo occhio destro si voltò involontariamente per uno scatto di secondo, percependo una forte chiazza rossa.
Lei odiava il rosso. Urtava radicalmente il suo sistema nervoso visivo, eppure si sentiva pizzicare la testa.
Come se qualcosa la stesse istigando a voltarsi verso quella direzione e come se fosse di suo obbligo vedere chi la stesse indossando.
Quindi lo fece. Sbirciò.
Lasciandosi corrompere dalla curiosità, posizionò il libro fin su al naso dando agli occhi la libertà di agire, ma non appena i suoi occhi misero a fuoco la figura che stavano vedendo, l'unica cosa che riuscì a pronunciare fu.
«XAVIER!» la sua esclamazione oltre ad essere rivolta al ragazzo davanti a se, era incentrata sopratutto a se stessa, ancora incredula a ciò che stava guardando.
Il ragazzo dalla chioma castana studiatamente scompigliata e gli occhi ambra, a suo discapito, scioccato, roteo gli occhi a destra e sinistra.
«Che ci fai qui?» continuò a chiedergli, emettendo una risata nevrotica. I suoi occhi luccicarono di dolore.
«Scusa?» domandò il ragazzo scioccato peggio di prima. La ragazza chinò la testa smarrita e fu proprio in quell'istante che capì di aver fatto una ciclopica gaffe.
Lui non era Xavier. Era solo un ragazzo che gli somigliava in maniera eclatante.
Che poi somigliare. Somigliare era solo una piccolezza.
Quello era lui che si era sdoppiato e aveva la facoltà di stare contemporaneamente in due posti diversi.
E poi ragazzo. Ragazzo era solo una generalizzazione.
Lui non era un ragazzo qualunque. Lui era Wyatt.
Un componente del famoso duo musicale che stava avendo un successo planetario: gli “Heart sounds”.
«Oh mio dio scusami! i..io devo averti scambiato per qualcun altro» disse filandosela e lasciandolo lì come un salame.
La ragazza fuggì dal centro commerciale sfrecciando come un fulmine per tutto il tragitto della via.
Il primo vento di settembre si rivoltò contro di lei appannandogli gli occhi e costringendola a coprirsi con la sciarpa di lana bianca. Mentre camminava tra la gente, poteva avvertire l'umiliazione nello specchio degli occhi di ognuno di loro.
Si sentiva terribilmente in imbarazzo. Derisa da se stessa e la sua ostile ossessione.
Ma poi di cosa cavolo si stupiva d'altronde?
Doveva aspettarsi una reazione del genere dal suo organo situato al centro del petto.
In una sua inverosimile fantasia in cui avrebbe incontrato Wyatt, aveva costantemente sottolineato il fatto che lo avrebbe chiamato Xavier.
Era stato così fin da quando l’aveva visto per la prima volta in un’intervista del notiziario mattutino o sulla copertina di una rivista per teenager.
Perché per lei Wyatt non esisteva. Per lei Wyatt era Xavier. Il ragazzo per il quale aveva preso una bella tuonata. E forse anche qualcosa di più.
Soffocata dall’ansia, si voltò una, due volte, per controllare se qualcuno avesse notato il suo atteggiamento ambiguo, e finì così per notate una sagoma farsi spazio tra le altre.
«Aspetta!» udì subito dopo. Diana si voltò nuovamente, arrestando la sua corsa, trovandosi faccia a faccia con Wyatt.
I loro occhi - entrambi eccitati uno dalla corsa fatta, l’altra l’impatto della sorpresa - si saldarono l'uno all'altro come due calamite che si attraggono con la loro spaventosa forza di gravità.
Per ancora una volta, la ragazza, guardandolo, non poté fare a meno di pensare che dinanzi a lei ci fosse Xavier. Era una dipendenza più forte di qualunque altra.
E ora la sua vista partiva a sbiadirsi. E il rimpianto insieme al dolore riemergevano.
E quella sua dolce tortura, ricominciava a dimorare in lei.
«Senti, io sono una r***********a colossale ok? Quindi non badare a ciò che ho detto. Sono priva di senno» gli comunicò questa scuotendo la testa per cercare di scacciare quel suo tormento.
«Io in realtà volevo invitarti a pranzare con me» notificò l’altro con un sorriso brioso stampato sulle labbra. Le sopracciglia di Diana controbatterono confuse ancor prima che lei parlasse.
«Okay? Ora quello ad essere uscito di senno sei tu» 
«Si forse sto cominciando, o forse, già lo sono!» sdrammatizzò Wyatt intrappolandola ai suoi efficaci occhi ambrati. 
«Allora accetti?» le richiese cominciando a farne scemare il brillante sorriso da divo cantante. La ragazza evitò il suo sguardo e voltandosi a destra esibì un. 
«Se proprio insisti»

 

//////////////////

 

 

Wyatt la portò in un ristorante non troppo di lusso, ma neanche misero. Era quel che bastava.
Reso caloroso mediante le luci soffuse dei lampadari sgargianti ed elegantemente appartato con un'arredamento in legno di mogano associato al rosa confetto della stoffa delle sedie e tende, tutt'intorno conteneva un'atmosfera pacificamente altolocata.
Proprio quel che serviva a loro per poter conversare in tutta tranquillità senza rischiare di essere colti dai volgari obbiettivi dei paparazzi.
«Quindi? Perché siamo qui?» chiese Diana diretta, subito dopo aver fatto le ordinazioni reciproche. Era improbabile quanto il loro incontro che l'avesse invitata a mangiare caviale per rimorchiarla.
«E il tuo nome sarebbe?» domandò Wyatt passandosi l’indice sotto il mento coperto da un accenno di peluria. Gli piacevano gli enigmi e aveva già capito che quella ragazza sarebbe stato uno interessante da scomporre. 
«Diana» adattò questa infastidita. Odiava quando alla formulazione di una sua domanda riceveva la risposta di un'altrettanta domanda.
«Diana» ripeté con la sua stessa intonazione.
«Quindi?» Diana stava spendendo gli ultimi secondi di pazienza. E poi sapeva che alla radice c'era qualcosa di succoso per il quale voleva conversare. Lo riusciva a leggere tra i suoi occhi stupefacentemente ambrati.
Erano proprio identici a quelli di lui: limpidi e ammalianti come un bicchiere di vetro pieno di Wisky.
«Tu hai detto "XAVIER"» Wyatt si apprestò ad arrivare finalmente al punto, ma quel nome rese Diana ancora una volta ansiosa.
Tant'è che la sua mano, fece precipitare inavveduta il cucchiaino sul pavimento.
«S..scusami!» si scusò turbata dall'accaduto mentre si apprestava a raccoglierlo. 
«C..comunque si! L'ho detto!» riconoscette poi con forse troppa decisione.
Era puntualmente così.
Al richiamo del suo nome, tutto il suo corpo aveva un effetto che per quanto strano poteva risultare alla vista, il cervello riusciva a decodificare facilmente da che causa derivasse.
«Questo ragazzo» proseguì e lo guardò.
Wyatt rimase ad osservarla in attesa che continuasse a parlare.
Diana sbuffò. La sua calma impassibile la spazientiva.
«Questo ragazzo è sputato a te. Cioè tu sei sputato a questo ragazzo che conosco. Siete praticamente due gocce d'acqua» ormai la lingua le si era sciolta e faceva sembrare quelle sue confessioni degli sciocchi vagheggiamenti.
«La stessa fisionomia, gli stessi movimenti e atteggiamenti. Le sigarette, e poi quei vostri usuali silenzi e gli sguardi persi in pensieri reclusi al resto del mondo» Diana stilettò gli indizi che li accomunava, scatenando l’interesse di Wyatt a tal punto da fargli spostare l’indice sulla guancia incavata per concentrarsi meglio.
«Devi scusarmi! Lo so, non è una cosa normale e forse è anche un'oltraggiosa ingiustizia verso i tuoi confronti» Diana lo fissò ancora una volta, trovando conferma a ciò che stava per dire.
«Io ogni volta che ti guardo vedo Xavier. Xavier, e nessun altro» la sua rivelazione gli trasmise un singhiozzo istantaneo e passò poco che le sue lacrime cominciassero a fuoriuscire, ma aveva imparato a convivere con questo suo dolente aspetto. Aveva attribuito a se stessa la facoltà di ricacciarle lì, nell'esatto posto da dove erano partite.
«Oh scusami io...» ultimò nascondendosi all'interno delle sue gracili braccia.
«Lo so! pensi che sia matta» le sue parole sembravano più un muggito che lettere di una lingua umana.
«No!» Wyatt scosse la testa facendo ricadere pigramente il ciuffo laterale sulla palpebra sinistra.
«Lo penserei se non credessi a ciò che dici» annunciò veritiero. La sua espressione non era rimasta per tutto il tempo immutata perché era paralizzato dallo shock, ma perché grazie ai suoi ragguagli ogni pezzo irrisolto della sua vita cominciava a combaciare con gli altri. «S..stai dicendo che pensi anche tu» Diana assunse una posizione eretta sulla sedia.
«C..che voi potreste essere davvero» gli si mozzò il fiato a dover pronunciare quella definizione.
«Gemelli» definì poi lui con quella sua calma innaturale.
«Io stavo per dire fratelli» ribadì lei delusa. Wyatt si voltò verso la facciata che si esponeva davanti a loro e da lì cominciò a perdersi tra i suoi pensieri.
Messo com’era, ovverocon la parte superiore del viso nascosta dal ciuffo,mostrava solo il profilo del naso greco e le labbra carnosedelimitate dalla barba rada che ne celava la mascella squadrata.
Praticamente spiccicato al “gemello”. Pensò Diana.
«Non lo so! Ci sono cose che non sono al posto giusto e altre che non combaciano. Buchi che perdono acqua da tutte le parti e domande che mi faccio da troppo tempo che non ho mai condiviso con nessuno» Wyatt aveva sempre avuto quest'interrogativo. Perché percepiva di una qualche verità che era stata occultata, sopratutto quando varcava la soglia di casa. Per quanto poteva essere accogliente e il luogo dove aveva mosso i suoi primi passi, rivelava un'aria dotata da una forte carica di nebulosità. Come se anche se avesse voluto affacciarsi oltre quella nebbia, fosse impossibilitato da qualcuno che lo spingeva nuovamente alla cecità.
«E io sarei quella giusta?» gli domandò l’investigatrice numero uno, malgrado fosse scettica al riguardo.
«Diciamo» rispose l’aiutante, mentre spostava le labbra da una parte.
«Il fatto è che io non credo di essere il figlio di mio padre. Mia madre mi nasconde qualcosa» gli confidò a seguito e fu come se avesse gettato un accendino su una squadrata pozza di benzina. 
«A volte mi guarda così addolorata. Come se mi volesse dire qualcosa, ma non lo fa per paura di distruggere l'armonia che lega la nostra famiglia» aggiunse tornando a voltarsi verso lo scenario che si presentava al di fuori del ristorante.
Proprio allora, quasi a voler appurare l’attendibilità delle sue parole, davanti a loro passò una famiglia: il padre che teneva il proprio figlio in braccio e la mamma che portava a spasso il suo gemello nel passeggino.
Gli occhi di Wyatt si riempirono di una venefica tristezza. 
«Altre volte, invece, sento che mi manca qualcosa. Non un padre, ma una parte di me. E’ Come se questa parte di me mi chiamasse ininterrottamente, volesse essere cercata, raggiunta ed infine ricongiunta a quella sua parte perduta dalla quale è stata privata fin dalla nascita» al di là dell'universo, del cielo e il mare, sotto la stessa copertura, in un punto esatto del pianeta Wyatt sapeva che come lui qualcuno, in quel preciso istante, stava avvertendo le sue medesime emozioni.
Lo sapeva perché c'erano volte nelle quali percepiva determinate sensazioni che non si adeguavano per niente alla sua circostanza in cui si trovava. 
E Quella era la caratteristica che distingueva i gemelli dai comuni fratelli.
«Credi davvero che tua madre possa privarti di una cosa tanto importante?» domandò Diana.
Detestava i genitori che nascondevano ai propri figli segreti di questa importanza, e se sua madre era stata in grado di mantenere questo segreto per dei lunghi e estenuanti anni, allora, di certo, aveva imparato a convivere con quel sentimento chiamato rimpianto.

«Non sto dicendo che mia madre è una vigliacca o peggio ancora una s*****a. Dico solo che lei sa» ammise l’altro sicuro. L’amore che provava per sua madre era intoccabile.
Fin da piccolo l’aveva sempre trattato come un piccolo principe, ma era stata sopratutto quella sua troppa apprensione a fargli originare quelle sue immutabili domande. Era quasi come se ogni volta, con quei piccoli gesti, implorasse il suo perdono.
«Scusami ma se hai avuto da sempre questi dubbi, perché non hai cercato di parlare prima con lei?» la domanda di Diana era più che lecita e lui se la aspettava.
«Non ero sicuro! Cioè! È una cosa che non sta ne in cielo ne in terra» il suo collo si tese quando vide Diana emettere una risata nevrotica.
«Perfetto. Allora sono davvero matta» gli lesse negli occhi. Ma non era questo quello che voleva intendere.
«Sopratutto se non si hanno prove» cercò quindi di riparare Wyatt.
«Poi ho notato che su Twitter molti ragazzi e ragazze non facevano altro che alludere alla sconvolgente somiglianza tra me e un certo ragazzo» andò avanti liberando una risata sarcastica per beffarsi della vita. 
«È incredibile! Proprio oggi avevo deciso di andare a parlare con lei, ma continuavo a credere che fosse una grandissima c*****a»
«Poi però, proprio oggi, guarda caso hai incontrato me, e li, non hai avuto più dubbi» concluse lei accertata dal fatto accaduto qualche minuto fa.
Wyatt acconsentì con un cenno deciso della testa.
«Allora che farai? Andrai?» domandò Diana mentre si voltava per rivelare a che punto fossero le loro ordinazioni. Dopo si rivoltò verso di lui e lo vide con le sopracciglia aggrottate.
«Andrai?» le disse contrariato. Diana inarcò le sopracciglia disorientata.
Ma le bastò un solo frammento di secondo per poter apprendere la causa della sua espressione e quando Wyatt concepì che ci fosse arrivata, sollevò le sue nella maniera inconfutabile che tutti conoscevano.
Quella che usava al posto della famosa frase “i'm sexy and know it”.
«Oh! No! Te lo puoi scordare» esclamò questa terrorizzata.
«Io non mi ci immischio dentro questa storia, perché mio caro, ho un valido motivo» si scagionò a braccia incrociate e testa sprezzantemente sollevata.
«S...sono qui in vacanza, d..di conseguenza sono venuta qui per cazzeggiare alla grande. Capisci cosa intendo vero?» dopo quelle eloquenti parole, Diana era sicura che l'avesse avuta vinta, ma il sorriso fanfarone di Wyatt le mise un dubbio in testa.
«Si! So cosa intendi, ma guarda che la colpa è solo tua! Sei stata tu a metterti dentro tutta questa storia» la mise risolutivamente alle strette Wyatt.
Diana spalancò la bocca scioccata. Aveva ragione ancora una volta lui. Il suo ragionamento non faceva una piega e le sue infantili giustificazioni erano state appena schiacciate da quest'ultimo.
Era stata lei. Lei a mettersi in questo maledettissimo casino. Dal momento in cui aveva esclamato il nome “XAVIER!”, era automaticamente entrata a far parte delle loro vite anche se non direttamente.
«Si! E tutta colpa mia!» confermò poi lei abbattuta.
«Anche se non del tutto» aggiunse poi lui per fare sbollire la sua corrente malinconia. E non seppe neanche come mai.
«Io non sono un grande lettore e sinceramente ero li per ricominciare a sperimentare questo mio lato intellettuale» gli spiegò filato. Diana allora intuii cosa stesse cercando di dirgli Wyatt. La colpa non sarebbe mai stata di nessuno dei due perché ad esserlo era solo quell'eccentrica essenza che nessuno avrebbe mai compreso, ma che tutti sapevano che ci fosse.
Quel bambino capriccioso che giocava con le anime delle persone muovendoli come se partecipasse ad una partita di scacchi: il destino.
«Doveva andare semplicemente così» delineò lievemente esterrefatta dalla verità appena scoperta.
Wyatt si alzò di scatto dalla sedia riportando Diana nel mondo reale.
«A..aspetta, e il pranzo?» era sinceramente dispiaciuta. Anche perché aveva accettato il suo invito proprio per questo. Per scroccargli uno di quei pranzi sofisticati che non era mai riuscita a vedere neanche a due millimetri di distanza.
«Tranquilla! Mia madre ce ne darà una più deliziosa e sana» le garantì Wyatt con un sorriso accennato mentre con la mano poggiava sul tavolo delle banconote.
«Certo che sei proprio strano tu!» Diana lo inchiodò ad una guardata lieve. Di certo essere famosi voleva dire anche questo. Buttare soldi a destra e manca senza alcun motivo ed essere riconoscenti di qualcosa senza averlo avuto.
«Anche tu lo sei e molto più di me» ribatté lui ridendo argentino.
Insieme si avviarono alla prima meta che avrebbe verificato le teorie appena ipotizzate e dato loro il percorso per una nuova destinazione.



NOTE AUTORE: ciaoooo come butta? Eccomi tornata con il secondo/primo capitolo della storia come promesso. 
Beh, allora, che ve ne pare di questi due protagonisti? Promettono bene? E delle situazione di Wyatt? Ha ragione lui? O stanno solo vaneggiando entrambi? E del piccolo difettuccio di Diana? Approfondirò su moltissime cose già presente in questo capitolo e capirete molte cose. In pratica, com'è ovvio scoprirete tutto solo leggendola. Altro che ho da dire è che forse cambierò il titolo della storia in "Over" come appunto la canzone. Devo pensarci però. E poi vorrei cambiare un'altra cosina, ma devo pensarci sempre a fondo. Vedrò e vi aggiornerò.  Ah, e per quanto riguarda la canzone Jenny invece vedrete che sono riuscita a metterla in mezzo alla storia e in una maniera molto importante.Vedrete, vedrete...
Quindi niente...alla prossima. Vi aspetto e ringrazio chi mi aggiungerà alle preferite, seguite o ricordate, chi ha recensito, e chi lo farà e chi legge in silenzio. 

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