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Autore: PiscesNoAphrodite    13/03/2020    1 recensioni
"La Dodicesima Casa non mi era mai sembrata così tetra – col suo perimetro regolare e incastonata come un diamante tra le pareti verticali del monte – benché non la ricordassi come un luogo ridente, se non per la presenza dei fiori i quali però aulivano, anch'essi, di un sentore di morte."
***
In un ipotetico post-Ade Misty è riuscito a conquistare le Sacre Vestigia di Libra, a dispetto di trascorsi poco brillanti; ma è possibile che nel raggiungimento di uno status ambito ed elevato non risieda la felicità? Dove cercarla, dunque? In bilico tra la vita e la morte? In gesta eroiche o in qualcosa di più ordinario?
(Narrazione a punti di vista alternati)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Apollo, Lizard Misty, Perseus Algol, Pisces Aphrodite
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I prati d'asfodelo, capitolo V

 

 

XII

 

Osservavo il totem di Libra e, nel frattempo, sorseggiavo vino annacquato da una coppa, stretto nel mantello adagiato sugli indumenti fradici. Sileno mi aveva introdotto nel momento lieto di una celebrazione, la quale ricalcava la ricorrenza ateniese Πυανέψια*, solitamente festeggiata nel settimo giorno del mese di Πυανεψιών – così mi aveva spiegato – ma non ero sereno sebbene avessi ricevuto un'accoglienza cordiale.

Vidi altri esseri dotati di corna, orecchie d'asino o di capra che con sguardi lascivi concupivano le ninfe dalla pelle di luna; e tra quegli occhi riuscivo a individuarne altri – presbiti, furtivi e languidi – che brillavano come biglie di vetro sbirciando tra le fronde alla luce dei fuochi: forse erano civette, allocchi o caprimulgi. La melodia del flauto a canne accompagnava le creature danzanti e allietava i convenuti. Immerso nell'atmosfera bucolica, che si respirava in quell'angolo di foresta, percepivo la fragranza delle piante aromatiche, ed era qualcosa di simile al profumo delle foglie di lauro e delle bacche di ginepro. A notte fonda s'intravedevano le sagome di bassi cespugli e contro lo sfondo limpido si profilava la chioma degli alberi, alcuni di forma allungata come quella di tassi e cipressi il cui apice sfiorava il cielo.

Non era lo stesso posto in cui Sileno mi aveva condotto la prima volta: la vegetazione ricordava la macchia mediterranea e il clima era mite. Che fossimo a Delfi? La Delfi del IV secolo a.C. in una dimensione parallela? E... il Tempo? Mi domandavo se scorresse in modo analogo alle nostre latitudini o permanesse immoto; è probabile che scorra, mi dissi, poiché il giorno si alternava alla notte e le stagioni sarebbero dovute susseguirsi di conseguenza, con i cambiamenti annessi e connessi. Sbattei le ciglia, dopo aver dato un'occhiata alla panoplia che scintillava di tanto in tanto nell'oscurità, e distolsi l'attenzione in quanto l'entità divina sembrava reclamarne per sé.

Rivolsi, riluttante, il mio interesse a Febo lo splendente senza esimermi dal domandarmi se l'immortale avesse ereditato anche l'umanità dal bell'involucro di carne che ne ospitava lo spirito, ma ne dubitavo. Mi sovvenne l'immagine di colei la cui debolezza era solo un'illusione, l'illusione di chi si fa traviare dalla mera esteriorità: non potevo negare che Saori Kido avesse dato prova della sua benevolenza, nonostante il passato e a dispetto di quanto è narrato nei racconti del mito che ci sono pervenuti. Un ramoscello spezzato scricchiolò sotto i piedi e sbattei di nuovo le palpebre per aggirare rivoli d'acqua che dai capelli scivolavano lungo il viso. Forse mi angustiavo senza averne motivo, serrai la coppa tra le dita e ne accostai il bordo alle labbra per bere.

Indugiai, osservando quel volto enigmatico: il riverbero aranciato delle fiamme gli conferiva una sfumatura sinistra. Apollo incontrò il mio sguardo fissandomi di rimando, staccò le dita dalle corde della cetra che impugnava con tanta grazia, e il cicaleccio dei cortigiani cessò con la musica.

Quelli erano gli occhi vitrei di una belva in procinto di avventarsi sulla preda. Raggelai, il calice mi sfuggì di mano e rotolò a terra e il vino, in esso contenuto, si rovesciò disperdendosi al suolo. Era simile a sangue...

Non capivo quali fossero le intenzioni di Apollo, ma sentivo il cuore pesante, ero sgomento, come pietrificato da un terrore ignoto che mi spezzava il fiato e mi avrebbe impedito di pronunciare una sola parola. E se il suo intento fosse quello di uccidermi? Avrei dovuto richiamare l'armatura su di me ma, seppur protetto dalle Sacre Vestigia, sarei riuscito a prevaricare un dio? A rigore di logica sarebbe stato impossibile... indietreggiai, reso impotente da quei dubbi. Ma poi perché avrebbe dovuto farlo?

Febo si alzò in piedi e fece un cenno esplicito col quale reclamò per sé una delle prede del bottino di caccia di Artemide, la sua gemella divina: avevo notato colei che recava l'emblema della falce lunare sul diadema, e avrebbe preso parte al convivio nonostante rifuggisse la compagnia degli uomini... trovavo imbarazzante il modo in cui mi guardava.

Deposero un cervo ai piedi del trono ligneo ricavato da rami e ramoscelli intrecciati. Realizzai quale fosse il suo intento solo nell'attimo in cui i servi approntarono la carcassa, lasciandola ciondolare dal ramo più basso di un albero, affinché lui si adoperasse a compiere lo stesso gesto con cui si era vendicato del povero Marsia.

La lama del pugnale catturò un raggio di luna e brillò. “Guarda!” Ingiunse il dio.

Strizzai gli occhi per non vedere lo scempio che stava per perpetrare, ma udii il suono delle ossa spezzate degli stinchi e lo strappo brutale della pelle staccata dai muscoli, e lo sgocciolio del sangue ribollente che colava sul terreno. Le mie viscere si contrassero.

“Non hai la capacità di sgombrare la mente dai pensieri, Santo di Athena.” Mi rinfacciò. “Volevi lumi sull'indole di una divinità ed eccoti accontentato.”

Trasalii, e in un baleno realizzai che Febo aveva – dapprima – sondato la mia mente e, a causa di ciò che avevo osato pensare sul suo conto, si era adirato. Non provai a ribattere per giustificarmi, sebbene lui avesse fatto di peggio scandagliando spudoratamente i miei pensieri.

Fui sopraffatto dall'orrore suscitatomi dall'olezzo nauseabondo della morte e dalla viscosità del sangue ancora caldo. Dovetti reprimere i conati di vomito nel frangente in cui mi resi conto che Apollo mi aveva scagliato addosso la pelle insanguinata dopo averla scollata dai poveri resti dell'animale. Quell'essere crudele doveva conoscere il mio punto debole e forse si compiaceva di quanto il contatto col sangue mi disgustasse e, con tutta certezza, mi reputava un codardo ma, in quel momento, non m'importò più di nulla.

Sentii mancare la terra sotto i piedi, e non fu una conseguenza dovuta al ribrezzo poiché vacillai a causa della breccia che si era aperta nel terreno. D'un tratto mi ritrovai al buio, sul fondo del baratro in cui ero stato sprofondato.

 

***

 

XIII

 

Lo specchio rimandava l'immagine di un volto stanco, con gli occhi infossati e l'incarnato terreo, i troppi pensieri mi disturbavano il sonno. In un tardo pomeriggio come tanti fissavo il mio riflesso nella tonda lastra argentata che impugnavo e in cui, in realtà, speravo di scorgervi frammenti dell'universo dal quale, da qualche tempo a questa parte, mi era stato precluso l'accesso e non sapevo perché. Mi ponevo innumerevoli interrogativi su quali fossero le reali intenzioni di Febo e tuttavia ero certo che volesse soltanto divertirsi un po' e poi, finito il divertimento, stanco del suo trastullo, avrebbe scaricato Misty... O, forse, era quello che mi auguravo e sarebbe stato il male minore.

La cosa più sconcertante era stata la decisione di Athena di abbandonare mio fratello al suo destino. Non credevo però in un completo disinteresse da parte sua e, di sicuro, dietro doveva esserci la reale necessità di prendere del tempo. Non pensavo fosse nelle sue intenzioni lasciare vacante la Settima Casa e, inoltre, c'era la questione spinosa dell'armatura che non poteva permanere al di fuori da questi confini ancora per molto; ma sfidare Apollo era rischioso per l'equilibrio del mondo – già fragile come un calice di cristallo – il quale avrebbe potuto incrinarsi e andare in frantumi. Sospirai, estenuato dal monologo interiore, e fissai le iridi turchesi del mio doppio, le fissai a lungo smarrendomi nel dedalo di striature che percorrevano la membrana oculare fino a quando non mi resi conto di aver divagato troppo e la vista non si sdoppiò. Comparve come un velo: una cortina cremisi insanguinò la superficie riflettente dello specchio.

Sussultai, pur realizzando che si trattasse di un'allucinazione nella quale, però, ravvisai un presagio nefasto. Non stavo sognando, ero sveglio e ben vigile poiché udii alcuni passi pesanti - di piedi calzati in armatura - avanzare sul lastricato che conduceva al roseto. Alzai gli occhi.

“Ti stai arrovellando, Aphrodite di Pisces?”

Perseo... mi dissi scrutando la figura del Santo d'Argento, la quale mi sovrastò stagliandosi contro il cielo al crepuscolo che avrebbe svelato le stelle più brillanti. Avrei dovuto indignarmi per il tono irriverente usato in mia presenza, ma poi d'un tratto ricordai di non essere sempre stato quello che sono: una volta ero Søren, un ragazzino emaciato cresciuto in un villaggio di pescatori nella fredda Svezia; non molto diverso dai Santi di rango inferiore le cui umili origini ci accomunavano. La discendenza divina rimaneva per me un concetto astratto da imputarsi più che altro a uno scherzo del destino.

“Non sono venuto a sorbire una tazza di tè.” Algol di Perseus mi distrasse, continuando a esprimersi con la solita supponenza, sebbene riuscissi a cogliere un'ironia amara in quelle parole anziché il vero e proprio intento di irridere.

Så vad vill du ha?” chiesi, deponendo lo specchio sul tavolo di pietra, e mi alzai in piedi per fronteggiarlo, mani sui fianchi. “Sono passati alcuni giorni da quando Libra ha lasciato il Grande Tempio ed è ovvio che, Athena e il Sommo, stiano ancora deliberando.”

“E secondo te quale sarà il responso?” pungolò con sarcasmo, inarcando le sopracciglia.

“Non ho la sfera di cristallo! Il consesso, mediante il quale i vertici si stanno premurando d'informare le varie Caste sull'accaduto, è ancora in corso e al termine, forse, avremo le risposte che cerchiamo” affermai, contenendo l'irritazione a malapena, ma Algol si accostò con le spalle vicino al muro con metà volto celato nell'ombra.

Lo studiai, perplesso: “Siete due persone che hanno poco in comune, tu e mio fratello. Com'è nata la vostra amicizia, al di là del fatto di essere stati parigrado?” Ebbi il coraggio di domandargli infine, nel tentativo di eludere il discorso e accorciare le distanze tra noi.

“Uhm... poco in comune, dici?” atteggiò le labbra fini in un sorriso forzato, senza allegria. “Non direi. Tuttavia non siamo mai stati amici nella vita precedente, se ci tieni così tanto a saperlo, non c'è stato il tempo per instaurare rapporti che non fossero più che formali. C'era però un legame intrinseco, sotteso, di cui non parlavamo” rispose.

Quegli occhi... mi voltai come incapace di sostenere a lungo il suo sguardo, osservando lo spicchio di sole che si eclissò definitivamente dietro la linea dell'orizzonte. Ricevetti così la conferma che Misty fosse attratto da ciò che vedeva in quegli occhi, e si dice che gli occhi siano specchio dell'anima. Uno sguardo distaccato, di primo acchito, estraneo a qualsiasi sentimento di compassione.

“Lo molestavano per il suo aspetto, ma è intoccabile. Vanta un'irresistibile combinazione di fascino e forza” affermò, infrangendo il momentaneo silenzio, e dovetti annuire perché concordavo con la sua osservazione.

 

Udimmo i passi di alcuni Santi e il fragore metallico delle armature proveniva dal livello superiore. Mi voltai, accorrendo in prossimità della soglia della Casa da me custodita; il raduno doveva essere terminato e non vedevo l'ora d'interrogare i miei pari per sapere se le alte sfere fossero pervenute finalmente a conclusione. Algol mi aveva seguito, desideroso quanto me di apprendere qualcosa di definitivo in proposito.

Alcuni di loro procedettero oltrepassando l'atrio colonnato e il Dodicesimo Tempio, imboccando il sentiero scosceso di scale che conduceva ai Templi sottostanti inglobati dall'oscurità. I commilitoni che annoveravo tra gli amici più stretti si fermarono per scambiare qualche parola; notai anche Asterion, il Santo d'Argento del Segugio, il quale afferrò Algol di Perseus per un braccio, forse intenzionato a condurlo via.

“Credo che la loro decisione riguardi soprattutto me” esordii rivolgendomi a colui che figurava tra gli ex-commilitoni più affezionati di mio fratello.

“È di interesse comune” replicò Asterion.

“Il Sommo vorrebbe comunicarla di persona a te e ad Algol, dal momento che siete più o meno coinvolti nella vicenda e avete deciso di non prendere parte al dibattito, rimanendo all'esterno della Sala delle Udienze” soggiunse Saga, mentre Death Mask e Shura continuavano a tacere. Distinguevo appena i loro volti, la sera era calata in fretta ammantando il Santuario di cupe ombre, e le armature dei Santi baluginavano alla debole luce dei fuochi.

“D'accordo” risposi incrociando lo sguardo acuto di Perseus, che rilevai alla luce di una torcia, ed egli annuì a sua volta.

Saga di Gemini si aggiustò il mantello sulle spalle e poi prese la parola: “Il Sommo avrebbe dovuto inviare ad Apollo una delegazione formata dai Santi più rappresentativi, per parlamentare. Ma Saori Kido, alias Athena, ha deciso che ci andrà di persona” commentò.

Athena? Mi domandai esterrefatto.

“Che cosa!?” proruppe Algol, ma gli feci segno di temporeggiare ponendomi il dito indice sulla bocca. Esitai cingendomi le tempie con le dita e, dopo, incrociai gli sguardi, più o meno rassegnati, dei presenti. Anche Asterion di Canes Venatici mi riservò un'occhiata acquiescente. Sospirai, impotente a mia volta, ma d'un tratto riuscii a spiegarmi una decisione che non ero il solo a reputare priva di senso, a giudicare dall'atteggiamento passivo degli altri e dal disappunto impresso nei loro volti, resi quasi torvi dalla funerea illuminazione che li lambiva.

“È chiaro. Athena e il Sommo vogliono evitare uno scontro diretto con Apollo, e tenteranno la via della mediazione, del dialogo, pur di riportare indietro Misty e l'armatura di Libra” affermai con sicurezza.

“Sì e no, Aphrodite. Dohko si è detto disposto a voler riportare indietro l'armatura, con o senza il possessore.” Spiegò Saga, costernato. Aveva pronunciato con difficoltà quelle parole non sue e prive di riguardo verso un Santo di Athena. Vidi Algol sgranare gli occhi, sorpreso. Riuscivo a immaginare cosa stesse passando per la mente del Santo d'Argento, ma egli evitò di esprimersi a favore o contro rendendosi meritevole della mia stima per questo.

Disilluso e perplesso, replicai al suo posto: “Se è ciò che vogliono non ci rimane che attendere gli sviluppi di questa situazione assurda.” Sorvolai, evitando di esprimere appieno le mie considerazioni in proposito, ma non condividevo affatto la decisione dei più alti esponenti del Santuario; mi sarei aspettato un coinvolgimento in prima linea nella vicenda, non di esserne estromesso, e per me era come ricevere una pugnalata a tradimento.

“Comunque il Sommo vuole vederti” Death Mask mi strizzò un occhio con aria complice. “Il più presto possibile.”

Quelle parole ebbero l'effetto di rincuorarmi, assentii con un cenno e poi ammiccai Algol di Perseus: “Accompagnami” ordinai. Ero così impaziente che mi sarei fiondato al Tredicesimo Tempio percorrendo i gradini della rampa quattro a quattro.

 

***

 

XIV

 

Provai a voltarmi dal lato opposto, con la sola preoccupazione di scrollarmi di dosso la pelle viscida e marcescente di quella povera bestia, ma non riuscivo a muovere il fianco destro sul quale ero rovinato con l'intero peso del corpo. Gemetti di dolore, imprecai. Forse avevo qualche frattura ma l'unico pensiero fu quello di liberarmi da quell'orrore e, a stento, ci riuscii. Aguzzai la vista nella speranza di vedere qualcosa, ma l'oscurità spadroneggiava così fitta da annebbiare la mente e sembrava inibire ogni pensiero razionale. In quel silenzio di tomba percepivo soltanto il battito accelerato del mio cuore, sudavo, rabbrividendo al pensiero delle vesti intrise di sangue impuro e che volevo strappare via dal corpo. Il cosmo era svanito e non riuscivo a evocarlo dentro di me: avevo pensato stupidamente di congiungermi in un tutt'uno con le Sacre Vestigia e d'un tratto, nello stesso istante, mi sovvenne – armatura compresa – ciò che mi ero lasciato indietro: il Santuario; la brutta opinione che dovevano essersi fatti di me, ma anche la consapevolezza che non avessero tutte le ragioni del mondo. Forse...

La mente si riempì di altre immagini, doveva essere a cagione del delirio e della febbre, e comparvero frammenti di un passato recente in cui vidi mocciosi vestiti con stracci logori e, come me, iniziati a un gioco della cui pericolosità eravamo ignari. Ricordai un bambino che indossava il kefiah e di cui diffidavo per via dello sguardo inquietante e del nome: si chiamava Al-ghul, come la stella del diavolo. Ora sentivo la sua mancanza...

Ma, in fondo, siamo sempre stati due bastardi, e forse deve esserci anche in me qualcosa di demoniaco... Riderebbe vedendomi in questa situazione paradossale e grottesca, mi dissi, e poi finii per languire spiaccicato al suolo – come un pesce senza lisca – nel punto in cui ero precipitato. Abbassai le palpebre, rassegnato, in procinto di sopportare il freddo e il dolore. Tuttavia nel delirio irrazionale dei pensieri mi aggrappai a un residuo di speranza, ovvero la probabilità che tutte le mie vicissitudini avessero uno scopo finale.

 

...

 

 

Dovevo essermi addormentato, mi svegliai privo della cognizione dello spazio e del tempo, e le palpebre appiccicaticce stentavano a schiudersi. Percepii il contatto con una mano calda: il dorso ruvido delle dita sfiorò la guancia, poi si spostò affondando nei capelli umidi e indugiò in una carezza, ma restai calmo e non ne fui spaventato perché non avvertivo alcuna aura negativa. L'oscurità di quell'antro parve diradarsi poco a poco – oppure la vista si stava adattando al buio – e spuntarono due occhi di ossidiana che spiccavano su un muso barbuto, brillanti e permeati da vivida intelligenza, in contrasto con l'incarnato lattiginoso e ricoperto di fine lanugine come il vello di una capra. Ero riuscito a mettere a fuoco l'immagine, dopo aver sbattuto le ciglia un paio di volte, e fecero capolino anche due corna bianche e ritorte su quella testa arruffata. Non seppi se ricoprirlo di insulti o ringraziarlo per essere accorso in un momento difficile. L'idea di un contatto ravvicinato con lui mi suscitava orrore e repulsione. Almeno, la prima volta, al Grande Tempio, aveva avuto la delicatezza di manifestarsi con una forma che non mi atterrisse, invece che come ibrido tra uomo e animale – ed era più bestiale che umano. Sospirai dallo sconforto, privo della forza sufficiente a indietreggiare.

Sbattei ancora le ciglia, cercando di raccogliere le idee: “Fauno Sileno...” richiamai la sua attenzione. “È possibile tu debba sempre presentarti con questo aspetto disumano e sgradevole?”

“È l'aspetto che più mi aggrada ed è quello che più si addice alla mia natura” rispose lui, stizzito, accostando una pezzuola al volto per ripulirmi. “Mi trovo entro i confini del mio regno e avrò pure il diritto di apparire come voglio. E poi sono un satiro e non un fauno, come te lo devo spiegare!?” sbottò. “Inoltre, sì, ti avevo detto che puoi chiamarmi Sileno ma, in realtà, non sono che uno dei tanti sileni.”

“Quindi, avresti un nome proprio?” insinuai.

“Sta' zitto, per favore.”

Niente da fare, doveva essersi offeso. Ignorai le sue lamentele cambiando argomento: “Dov'è la mia armatura?” domandai, consapevole che dovesse saperne qualcosa.

“Al sicuro” commentò conciso, e quel suo rassicurarmi fu consolatorio almeno in parte.

“Lui... mi odia” soggiunsi poi, col filo di voce che mi restava, sovvenendomi il gesto poco gentile di Apollo nei miei confronti.

“Io non lo credo.” Sileno alzò le spalle, rimarcando così il proprio diniego. “Ha solo un modo diverso di ragionare rispetto a voi mortali” affermò, ponendo poi le mani scarne sulla parte indolenzita del mio corpo e, al contempo, beneficiai del suo calore. “Adesso starai meglio o, perlomeno, il dolore si attenuerà.”

“Temo di avere le ossa rotte.”

“No, è solo l'effetto della caduta.” Mi rassicurò.

 

Esitai ad accondiscendere all'invito a rialzarmi, temevo di non farcela, ma poi risolsi di tendergli la mano ed egli la serrò nella sua, imprimendo lo slancio necessario a rimettermi in piedi, come volesse scrollarmi dall'apatia in cui ero sprofondato. E non s'ingannava, perché mi sorpresi constatando di non avere niente di rotto. Ero certo che non fosse l'apatia il problema, non si trattava d'indolenza o quant'altro perché mi sentivo davvero senza forze come se qualcosa avesse assorbito tutta la mia energia.

Lo seguii, stringendomi negli indumenti fradici e sporchi, quasi barcollando. Dovetti socchiudere le palpebre perché percepivo una luminosità d'intensità maggiore man mano che procedevamo lungo il cammino: le pareti dell'ampio cunicolo, scavato nella roccia, brillavano incrostate di cristalli, forse di quarzo e altri minerali, amplificando il riverbero luminoso generato dalla probabile presenza di una polla d'acqua, che trovammo infatti, a fine percorso. In realtà si trattava di un lago sotterraneo che colmava una vasta cavità attorniata da stalattiti e stalagmiti affusolate come canne d'organo.

Quando ci fermammo in prossimità dello specchio d'acqua, in cui sembrava riflettersi la volta celeste, realizzai di avere la mente sgombra, finalmente libera da ogni pensiero, ma forse ciò era dovuto alla stanchezza e alla fame. Esalai un respiro, mi sentivo davvero esausto, svuotato...

Fu quell'essere a farmi trasalire, attentando al mio equilibrio già precario con una spinta: “Va'”, disse esortandomi a saggiare la temperatura dell'acqua.

“Ma sarà fredda! E poi non ho indumenti di ricambio” protestai, sebbene fossi davvero tentato di liberarmi dalle vesti sudice.

“Non è fredda” insinuò. “Davvero non mi spiego tutta questa inibizione, di solito non ne mostri alcuna. E se il problema sono i vestiti, posso procurarteli.”

D'un tratto ebbi caldo e lo stesso calore improvviso mi inondò il volto. Provai un repentino imbarazzo dopo aver constatato che quella creatura conosceva davvero a menadito le mie abitudini. Non replicai limitandomi a rimuovere gli indumenti, che sembravano essersi incollati addosso, non resistevo più e fui vinto da un impulso irrefrenabile. La parte dolorante del mio corpo era cosparsa di graffi ed ecchimosi che mi fecero inorridire e tuttavia evitai di lamentarmi.

L'acqua incontaminata e cristallina avvolgeva le mie membra stanche e, come ogni volta in cui mi beavo del suo abbraccio carezzevole, sembrava alleviare il tormento dell'anima e lenire la tristezza. E... aveva ragione lui: non era fredda, mi lambiva i fianchi, riuscivo a scorgere il mio riflesso sulla superficie ora increspata, ora immobile, e mi smarrii a contemplare la proiezione meravigliosa di me stesso. Ma d'un tratto l'immagine s'infranse dissolvendosi in un moto ondulatorio. Sileno aveva gettato un sasso e mi riscosse così da quella malia: “Vanesio...” schernì con piglio serioso. “L'acqua simboleggia altresì morte e rinascita” affermò dopo, tetro, e mi voltai di scatto verso di lui ma non disse altro, e nemmeno io ebbi il cuore di chiedergli una spiegazione lasciando, così, insoluto l'enigma che permase latente.

 

 

Passai le mani sul volto, dopo aver guadagnato la terra ferma, torcendo poi i capelli intrisi d'acqua. La creatura mi attendeva con dei vestiti in mano, come aveva promesso in precedenza, e non gli domandai dove li avesse trovati avendo intuito fosse opera di un prodigio. Li indossai, dopo essermi dapprima soffermato a osservare i ricami a foglie dorate che ornavano la passamaneria della tunica.

“Mi sarei aspettato un'accoglienza più calorosa. Un bagno con al seguito un trattamento a base di oli ed essenze profumate.” Gli confidai, sedendomi in un angolo, a terra, per guardare lo schermo d'acqua nel quale sembravano riflettersi le galassie del firmamento in uno sfolgorio di luci e colori.

“Non ne hai bisogno. La tua è una bellezza pura e sublime, non necessita di orpelli o artifici” affermò materializzando una ghirlanda di narcisi con cui mi adornò il capo. Fui lusingato da quella semplice osservazione.

Chiusi gli occhi e, beandomi del profumo stordente dei fiori, ascoltai il silenzio ma, poco dopo, mi giunse alle orecchie il tintinnare della pioggia che rimbalza a terra: suono non dissimile a una litania, a quella stessa cantilena pervasa da dolce malinconia che avevo avuto l'impressione di udire sulla soglia della Settima Casa. Ma non stava piovendo, non poteva essere la pioggia, e realizzai che la melodia fosse solo il frutto dell'ennesima illusione; un miraggio fugace come le immagini distorte che si rincorrono in un labirinto di specchi. Sbattei le palpebre ritornando alla realtà: “Si dice che le grotte sotterranee risuonino di echi in cui s'intrecciano storia e mito...”

“Sì, un compendio di racconti il cui confine tra fiaba e realtà è labile: dalla nascita dell'Inferno, alla leggenda della ninfa che si suicidò a causa dell'amore non corrisposto per il dio Pan” confermò Sileno, e le sue parole mi suscitarono un brivido lungo la schiena.

“A dire la verità mi sono più familiari le leggende del mio paese d'origine, e l'atmosfera di questo posto mi rimanda alla storia della fata Melusine, che finì i suoi giorni mutata per metà in serpente” risposi, avvicinando le ginocchia al corpo e chinandovi la testa stancamente, “tu sai molte cose.”

“Sono storie ordinarie e sulla bocca di tutti...” replicò lui con leggerezza, poi sedette accanto a me, mi guardò avvolgendo una ciocca dei miei capelli tra le dita raggrinzite, e fui sorpreso di non provare più alcun disgusto per quella creatura dall'aspetto singolare.

 

 

 

 

 

*Πυανέψια, le Pianepsie erano una ricorrenza ateniese celebrata - in onore di Apollo -, il settimo giorno del mese di Pianepsione; e nel corso dei festeggiamenti era contemplata l'usanza di offrire al dio fave cotte, in memoria dell'episodio in cui i ragazzi salvati a Creta da Teseo le avevano mangiate.
   
 
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