Oggi avrei preferito essere morto.
Eravamo in classe, informatica.
Io ed Eric stavamo dando il meglio di noi, da bravi Beta Tester di Windows quali siamo.
Le porte si sono spalancate e sono entrati una decina di agenti della SWAT, mitra in mano.
E puntavano a noi.
Urlavano i nostri nomi.
Mi sono inginocchiato, mani sopra la testa.
Mi hanno perquisito, da cima a fondo, urlandomi come fossi un criminale.
Il ricordo di gennaio si faceva vivo, la sensazione delle manette ai polsi, la delusione negli occhi dei miei genitori.
Mi comporto bene, ho chiuso con le stronzate.
Perché mi stanno facendo questo?
Ci hanno scortati ai nostri armadietti, i mitra puntati alle nostre teste.
Abbiamo dovuto svuotarli totalmente, nella furia uno degli agenti ha distrutto un paio di CD salendoci sopra.
Non contenti ci hanno condotti alle nostre auto e ci hanno obbligati a farle perquisire.
Non sapevamo cosa stessero cercando, non ce lo dicevano.
Droga? Armi? Oggetti rubati?
Non avevamo nulla di tutto questo.
Dopo aver decretato che forse stavano sbagliando soggetti e che effettivamente le loro segnalazioni si erano dimostrate infondate, se ne sono andati.
Ma l'umiliazione, quella no.
Quella non poteva andarsene.
Siamo tornati in classe, gli occhi puntati come i mitra.
Il professore ci ha chiesto cosa stessero cercando, nessuno di noi due sapeva rispondere.
Ma ho notato una cosa:
Risatine, sguardi compiaciuti.
Ho capito istantaneamente tutto.
E ho sentito la rabbia salire dal centro del petto e diffondersi ovunque, come una macchia d'olio.
Qualcuno è riuscito a fregarmi, per l'ennesima volta.
Qualcuno ha pisciato fuori dal vaso.
Ho giurato a me stesso che mi vendicherò.
Presto o tardi.