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Autore: Evil Daughter    17/03/2020    6 recensioni
Oltre ad essere rozza sei priva di delicatezza.
Pensò Vegeta. Dedicandole l’accusa.
Piegò le labbra in giù, fece maggiore pressione e l’ago schizzò fuori portandosi dietro una scia di sangue annacquato.
Ripensò al ricovero in ospedale, rimembrava ogni particolare; almeno da quando aveva riaperto gli occhi. Alcuni dettagli li avrebbe cancellati volentieri. Altri no, sedimentavano. Lo mettevano davanti a diversi interrogativi. Lei lo aveva salvato.
E sai come sprecare il tuo tempo.
Un pensiero ancora rivolto a lei.
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Vegeta? Un folle omicida. Ma Bulma lo sa bene: mai fermarsi a giudicare unicamente la coda del mostro.
La belva deve essere sempre osservata nella sua interezza.
Periodo trattato: triennio antecedente ai cyborg.
INIZIO RELAZIONE TRA BULMA E VEGETA. STORIA ILLUSTRATA.
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Nuovo capitolo, 18: PROGENIE SEGRETA SOTTO LAMPI DI GUERRA.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Dr. Gelo, Vegeta, Yamcha | Coppie: Bulma/Vegeta, Bulma/Yamcha
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'ARANCE MARCE: Bulma e Vegeta, sbagliati e quindi veri.'
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Standby

Capitolo VIII - La foresta brucia. Salvate il lupo.

 

Quella mattina, l’oceano era calmo, di celeste molto pallido; e il cielo si presentava limpido, quasi da confondersi con l’acqua.
Nell’aria c’era sterile pace, il vento non portava con sé la terra di alcuna battaglia, né sangue né odore di carne bruciata, alla speranza era ancora concesso profumare di salsedine.

Un gabbiano stava volando alto nel cielo, probabilmente era in cerca di cibo, iniziò a planare appena avvistò un’isola, l’unica sotto di lui.
Questa emergeva minuscola fra le onde che ne carezzavano appena la battigia con cadenza ipnotica, rilassante.
Era un’isola molto piccola, un insignificante mucchietto di terra, tuttavia, riusciva a dare spazio ad una casa sistemata esattamente nel suo centro.
La casa, tinta di rosa, era chiusa in alto da tegole rosse, belle da farla assomigliare ad una fragola gigante adagiata su di una sottile fettina di marzapane, tanto esigua appariva la spiaggia che la circondava.

Kame-House! Era dipinto in vernice rossa a grandi dimensioni sulle assi di legno poco sopra l’ingresso della dimora.

Il gabbiano atterrò, puntellando le zampe palmate sull’anemoscopio fissato al comignolo della casa; la banderuola a forma di gallo oscillò appena spinta dal peso del pennuto, e lì, appollaiato, il gabbiano rimase curioso ad osservare: c’era un ragazzo, un giovane ragazzo che se ne stava in piedi sulla riva, teneva gli occhi chiusi e le sopracciglia lievemente aggrottate in un’espressione seria e meditabonda.

«Crilin, sei ancora lì? Su, vieni a fare colazione!»

Gridò qualcuno. Una delle finestre della casa fu rumorosamente spalancata. Da questa, si affacciò un vecchio in canottiera ed occhiali da sole.
Il ragazzo digrignò appena i denti, la sua fronte grondava sudore.

«Avanti, Crilin! Il tuo stomaco sta brontolando dalla fame, si sente fin qui.»

Seguitò il vecchio uomo, ma Crilin, il ragazzo, manteneva convinto la sua posizione. Lo stomaco, al contrario, ne tradiva l’ostinazione.

«Dai, continuerai ad allenarti dopo. Il caffè è pronto e ci sono le omelette calde!»

Crilin buttò fuori il fiato, ruppe lo statico cogito, il gabbiano volò via.

«Accidenti, Maestro! Lo sa che devo allenarmi seriamente e il tempo passa così in fretta che potrebbe non essere sufficiente a prepararmi adeguatamente contro gli androidi!»

«Ancora con quest’ansia dei cyborg, piantala!»

Lo rimbeccò il Maestro, ovvero il vecchietto smilzo dall’apparenza cagionevole, che  però si faceva chiamare Eremita o Genio delle Tartarughe, nonché sapiente custode delle arti marziali la cui fama era giunta sino alle folte folle del torneo Tenkaichi; quindi, il Maestro.

Crilin rimase senza parole, estremamente contrariato. Dal suo mentore non se lo aspettava.
Sentiva di essere il solo ad aver preso sul serio il dramma delle ventura minaccia, ad aver annusato in anticipo la puzza di guai grossi.
Anzi no: erano stati in due ad aver capito, lui e Bulma, ma nessuno aveva voluto ascoltarli.

«Sono settimane che ti vedo mangiar poco. Essere inutilmente pignoli non serve, manca più di un anno e mezzo all’arrivo di quei robot, ne hai di tempo per allenarti e fare colazione di certo non te lo toglierà. Anzi, saziato l’appetito ti sarà più facile rimanere concentrato. E questo non è un consiglio, ma un ordine del tuo maestro.»

«Be’, Genio, se la mette così, non ho altra scelta, vero?»

«No, non ce l’hai, ragazzo».


Seduti attorno al chabudai, il fiero Eremita della Tartaruga e il suo giovane allievo rassegnato si godettero il piacere di una colazione modesta ma nutriente. Abitavano insieme da anni, con loro c’era anche una centenaria tartaruga di mare, la quale mangiava lentamente da una ciotola colma di alghe fresche.
«Crilin – riprese il Genio – cerca di non farmi preoccupare, lo sai che una sana alimentazione è necessaria se vuoi sottoporti a duri allenamenti.»
Il ragazzo deglutì un sorso di caffellatte, dopo, rispose: «Mi scusi, ha ragione, è che... non so davvero cosa aspettarmi, non riesco neanche ad immaginare che possano esistere esseri più potenti di Freezer o addirittura più forti di un Super Saiyan, è qualcosa che non riesco a capire, credevo d’aver incontrato il male assoluto su Namecc, – Crilin fece una breve pausa, aveva abbassato lo sguardo e si era passato una mano sul fianco, stava ricordando l’agghiacciante, spasmodica e dolorosa sensazione mentre Freezer lo trapassava più e più volte con una delle sue lunghe corna –  a quanto pare, non c’è mai limite al peggio», concluse e sfogò la sua frustrazione addentando con rabbia un grosso boccone soffice e zuccherato. Alle omelette, il Genio aveva aggiunto anche dei cornetti al miele scaldati velocemente nel microonde.
L’espressione dell’eremita si fece più seria; i suoi allievi erano come dei figli e purtroppo lui non poteva essere d'aiuto, non più, e non avrebbe potuto aiutarli ad alzarsi. Ma certo era che non si sarebbe tirato indietro nel consigliare loro come evitare di cadere.

«Crilin, non dimenticare che non combatterai solo, ci saranno gli altri e ci sarà Goku, sono sicuro che insieme ce la farete... »

«Sì, però quel ragazzo ha detto che Goku si ammalerà e non potrà combattere, io mi alleno ogni giorno e... ha visto anche lei i risultati... »

«Non dovresti essere tanto pessimista – lo rimproverò il Genio – Ti ricordo che Goku ha ricevuto da quel ragazzo la medicina adeguata, potrà curarsi, vedrai che tutto si sistemerà, lui non ci abbandonerà!»

I due si scambiarono uno sguardo consapevole: non era mai capitato, Goku era sempre stato una garanzia, era una sorta di messia giunto sulla Terra per proteggerla, Goku rappresentava quella speranza che odorava di salsedine, di hosomaki, di libertà, di vita, quella di tutti i terrestri ignari ed anche immeritevoli; eppure, stavolta, a spegnersi avrebbe potuto essere la vita dal saiyan naturalizzato terrestre. Una malattia avrebbe potuto cancellargli il sorriso in un attimo e di conseguenza avrebbe spazzato via la loro speranza.

«Maestro, non volevo farla agitare, mi perdoni.»

«Dai, non ci pensare, dobbiamo essere coraggiosi, Crilin, e non disperare.»

Il Genio fece per alzarsi, ci voleva un’altra tazza di caffè per tirarsi su ma, sollevandosi, rimase bloccato. Restando mezzo chino su se stesso. «Aah! La mia schiena! Se solo fossi più giovane lotterei con voi, maledetta vecchiaia! Prima o poi arriverà il momento in cui non sarò più in grado di stare in piedi e di andare in bagno, ah, finirò ad usare schifosi barattoli, a farmela addosso!», bofonchiò, strappando però un paio di sorrisi al suo allievo.
«Genio, non dica così, lei nonostante la sua età ha tuttora una tempra inossidabile e gode di buona salute!»
«Fai lo spiritoso? Gli anni passano anche per me, cosa credi! Se devo dirla tutta sono molto stanco... Guarda, guarda questa casa, è un porcile!»
Cambiare argomento era forse ciò di cui entrambi avevano bisogno; il Genio comunque faceva sul serio. Rifilò un’occhiataccia di rimprovero a Crilin, per sottintendere che le pulizie erano solo una mansione che spettava al ragazzo.
«E sono stanco di mangiare la tua sbobba!»
Aggiunse, dimenticandosi che la colazione quella mattina l’aveva preparata lui e non era cattiva.
Crilin sorvolò, meglio lasciarlo sfogare, perché quando il Genio s'arrabbiava diventava insopportabile e bizzoso.
«Ci sono! – riprese con nuovo impeto il maestro – C’è solo una cosa che può tirarci su! Crilin, svelto, piglia il telefono!»
«Come? Perché il telefono? Che c’entra il telefono?»
Domandò il ragazzo, sgranando gli occhi disorientato, non capendo e iniziando a temere gli sviluppi della situazione.
Forse, il Genio voleva chiamare Goku, così si sarebbero allenati tutti insieme, di nuovo, come una volta. Questo non gli sarebbe dispiaciuto. Però, le intenzioni del vecchio maestro sembravano altre.

«Be’, non ci arrivi da solo?! – Crilin scosse la testa, e non fece in tempo a dare un’ipotesi di risposta che il Genio lo zittì – Ma è ovvio: arrostiremo un po’ di carne sul fuoco, faremo festa. Sì, ho bisogno di carne, di cosce nude e profumate, di seni pieni e tondi e… Perché mi guardi così? Cosa credi che alla mia età non abbia alcun bisogno? Io sono un uomo e tu non immagini come mi senta solo! Ah, quanto ci farebbe bene avere una donna qui con noi, sono stufo di vedere la tua zucca pelata! Avanti, l’agenda è lì, tra il televisore e la lampada. Telefona a Tenshinhan e digli di venire con Jiaozi e di portare anche Lunch, soprattutto lei. Se ci riesci rintraccia Goku. E poi, ovviamente, chiama Bulma... e Yamcha.»
Preso dall’impeto, con un balzo, il Genio era finito sul tavolo; Crilin, invece, era completamente stravolto dal tono deciso del Maestro e dal suo brusco cambio d'umore.
L’incombere dei cyborg era passato in secondo piano, quasi scomparso, pareva che la soluzione risiedesse tutta tra un paio di cosce di donna e qualche salsiccia arrostita. E non lo si poteva biasimare, una donna da amare e desiderare mancava anche a Crilin e l’idea di morire per mano degli androidi, restando così vergine e asciutto di esperienze, non lo entusiasmava.

 

 

       ~ ~ ~

 

 

C’era qualcosa che non andava nello specchio davanti a lei, eppure, il riflesso che vedeva era il suo; era la sua faccia quella imbellettata con le labbra rosse atteggiate in una smorfia simile ad un sorriso, erano i suoi occhi quelli che, circondati da ciglia lunghe e nere, la stavano guardando spaesati… e non c’era dubbio: quel corpo stretto in un corsetto che le fasciava la vita, e che scendeva a coprirle le gambe con strati di veli bianchi fino ai piedi, era il suo.
Tuttavia, ciò che stava vedendo la ingannava: più che uno specchio quella lastra riflettente davanti a lei doveva essere una vetrina con dentro un manichino in abito da sposa. Un manichino bello, perfetto, ma in egual misura finto, vuoto, senza respiro, senz’anima.
Sì, una finzione, una messinscena: quella plastica vestita non era lei, le somigliava soltanto.
«La lunghezza… tesoro, secondo te la lunghezza va bene?»
La domanda di sua madre le giunse alle orecchie fastidiosa e ronzante. A Bulma venne arduo rispondere. Per quanto le importava, l’abito poteva essere di qualunque misura; tanto ne era certa, non lo stava indossando.
«Tesoro, la lunghezza?!»
Ripeté la signora Brief, ma la scienziata continuava a stare zitta.
Solo quando avvertì qualcuno arruffarle le trine del vestito, Bulma si degnò e abbassò lo sguardo: notò la sarta affaccendata con ago e filo, presa nel tentativo di mostrarle come sarebbe stata la gonna dell’abito se fosse stata accorciata di tanto.
Con l’ennesimo punto, la donna finì l’imbastitura e si allontanò dalla scienziata per farle vedere il risultato.
Bulma alzò gli occhi in cerca dello specchio, quest’ultimo le rivelò un’immagine a suo parere maledetta: raso, seta, organza, merletti, tutto cucito insieme a formare un’opera d’arte impeccabile che le metteva in risalto le forme del corpo e la inondava di un’aura luminosa e illibata. Un’aura così pura che però stonava con le tinte inquiete del suo animo.
Distolse subito lo sguardo dalla lastra stregata, aveva paura che a forza di guardarla il riflesso estraneo cominciasse sul serio a confondersi con lei al punto tale da farle dubitare che ci fosse davvero lei imprigionata nello specchio.
«Bellissima! Questo ti sta a meraviglia!»
Affermò convinta la signora Brief, fattasi più zuccherosa del solito.
«Sua madre ha ragione, di tante spose che ho visto lei è assolutamente perfetta! La sua è una rara bellezza, se l’avesse scelta come professione, sarebbe stata una modella di successo!»
Aggiunse la sarta, forse con parole troppo ridondanti; ma era orgogliosa del lavoro svolto, e che avvalorava il corpo di Bulma. La scienziata, comunque, non ebbe reazioni, i complimenti colarono giù nel nulla: non un sorriso, non un segno di assenso albeggiò nei suoi occhi, anzi, le parole della malcapitata sarta la disturbavano suonando come inutile retorica: lei era la migliore e non aveva bisogno di sentirselo dire, specie da una donna con un rossetto arancione spalmato oltre il contorno di labbra sottili e rugose, truccata con due pois fucsia per dare forma a zigomi assenti, e con una ricrescita bianca su una chioma rossa opaca di capelli crespi, tinti e consumati; pareva che in testa indossasse una vecchia parrucca da clown e che in faccia portasse anche il trucco da pagliaccio, mancava solo il naso rosso.

La questione era un’altra: a Bulma mancava il respiro, colpa del corsetto. Strano, molto strano. Non poté fare a meno di chiedersi come potessero le visioni dare sensazioni così reali. E mentre rifletteva su cosa fosse reale o, invero, su cosa includere a piacimento nella realtà e cosa no, sua madre si reiterava nell’attesa di un consenso.
Furono gli occhi impazienti della sarta, e il desiderio di non avere quella donna ancora tra i piedi, che convinsero la scienziata ad aprir bocca.

«La lunghezza è perfetta, solo che…», sussurrò, in una frase interrotta dal mozzarsi del respiro che non lasciava presagire nulla di buono.
Sia la signora Brief che la povera sarta rimasero in attesa, sospese, come in procinto di cadere in avanti.
«Solo che?»
Tentò di sollecitarla sua madre.
«Il vestito non mi piace.»
Si abbatté un inevitabile secco silenzio.

La sarta era caduta in lutto, avvilita: la sua opera era stata uccisa in cinque parole, e quella non era nemmeno la prima vittima della giornata, la scienziata ne aveva stecchite quasi una decina.
«Cara, è il nono abito che provi, possibile che non ce ne sia uno che ti piaccia veramente? Questo ti sta benissimo!»
Le rammentò la mamma, stanca quasi quanto la sarta.
«No, nemmeno uno.»
Confermò nuovamente Bulma, rifilando un’altra coltellata spietata alla donna agonizzante.
«Ma sarebbe un peccato non sceglierlo – insistette sua madre – questo ti sta d’incanto e sono sicura che anche a Yamcha piacerà!»
Sentendo il nome del suo promesso sposo, lei cambiò espressione: diventò drammatica.
Nella
 testa di Bulma regnava ancora quell’antinomia irrisolta: un’esigua percentuale della sua volontà si mostrava insofferente all’idea del matrimonio, destabilizzando in questo modo la scelta palesatasi come unica soluzione utile a non far soffrire nessuno: né Yamcha né Vegeta, e nemmeno lei.
O così credeva.


«Scusate se mi intrometto – intervenne la piccola donna occhialuta – forse non le piacciono i vestiti bianchi e che abbiano colori chiari. Potremmo provare con qualcosa di più acceso o scuro!»
La sarta
 non ne voleva sapere di crepare una volta per tutte, doveva trovare un abito per quella ragazza ricca e viziata. Ne valeva del suo orgoglio di sarta con anni di esperienza alle spalle, non era mica una cucitrice qualunque.
La dichiarazione assunse le sembianze di un’illuminazione. Nel salotto della Capsule Corporation, temporaneamente adibito a boutique per spose, sembrò diffondersi una luce diversa, calda, divinatoria.
«Oh, credo che lei abbia perfettamente ragione! Bulma, forse è proprio il colore il problema!»

Certo.

Un abito diverso. Per un funerale.

Non mi dispiacerebbe.

Non c’era da girarci intorno: l’abito da sposa, che Bulma sentiva quasi corroderle la pelle, era solo la punta di un iceberg che la scienziata si ostinava a tenere forzatamente immerso in placide e immote acque.
Eppure, non volle cedere, diede una misera speranza alla sarta e una a sé stessa: ne provò uno rosso.
Risultato: le sfumature vermiglie le donavano, ma con tutte quelle balze sembrava pronta per un ballo in maschera.
Cambiò con un altro, questo era blu. Niente da fare, la sensazione del “manichino somigliante” non l’abbandonava, men che meno il prurito sentendosi inguainata tra veli e trame di pizzi spinosi.

Cosa c’è che non va?

Domandò a se stessa.

Questo matrimonio...

Bloccò subito la coscienza trattenendo il respiro e strizzando gli occhi.

«Allora, figliola, che ne dici? Ti piace?!»

Era il momento di dimostrare quanto fosse ferrea la sua convinzione: voltò gli occhi allo specchio, ingoiò saliva, passò una mano a lisciare il vestito sull’addome e rilassò le labbra in modo che le guance divenissero più prominenti e il suo viso assumesse una sembianza ilare.
Stava sorridendo a se stessa veramente… o forse stava veramente mentendo.
La sarta, vedendo la positività sbocciare sul volto di Bulma, resuscitò dalla buca in cui era stata buttata e gettò insieme alla signora Brief un sospiro di sollievo.
Era fatta, per loro.
«Credo che questo sia-»
Squillò il telefono, Bulma non finì di parlare.
«Vado io a rispondere, non preoccupatevi»
Disse la signora Brief, muovendosi in direzione del cordless.
«Qui è la Capsule Corporation, con chi ho il piacere di parlare?»
Dall’altra parte del ricevitore un ragazzo timido chiese della scienziata.
«Certo, è qui, ora te la passo. Cara, è per te, ti vogliono, è il tuo amico quello... Accidenti, me l’ha detto adesso come si chiama… Vuoi che gli dica di richiamare più tardi, così finiamo di provare il vestito?»
«Passamelo subito!»
Bulma prese il telefono quasi strappandolo dalle mani di sua madre. Si aggrappò a quel piccolo apparecchio con la stessa veemenza di una naufraga nell’oceano avvinghiata ad un’asse di legno, l’unica a separarla dalla morte. Ascoltò l'amico non come Crilin, quale era, bensì come un mantra, una specie di esorcismo recitato per telefono che le suggeriva di tornare in sé, di lasciare stare lo specchio maledetto, la sarta – maledetta pure lei – e sua madre che, non contenta delle innumerevoli volte che Bulma aveva rimandato l’uscita shopping matrimoniale, quella mattina l’aveva incastrata apparecchiando una sartoria in casa.
L’esorcismo funzionò: un sì continuo fu la repentina risposta a tutto ciò che Crilin diceva, fino a riagganciare il telefono senza nemmeno salutare il ragazzo dall’altra parte della cornetta.
«Allora, Bulma, stavi dicendo che il vestito ti piaceva, vero?»
Riprese la signora Brief.
«Me ne sto andando.»
Suonò come un addio prima di prendere il largo per non far più ritorno.
«Cosa?! Come te ne stai andando?! Tesoro, dobbiamo scegliere ancora le scarpe, l’acconciatura e, e... il vestito, questo ti piace?!»
«Scegli tu per me, grazie. Adesso devo sbrigarmi, in tre ore dovrò essere alla Kame-House.»
Bulma si liberò in fretta dell'abito che la impagliava. Senza preoccuparsi di poter essere vista dall’ospite alieno mezza nuda, fuggì dal salotto scaricando con nonchalance le due donne disperate.

«Signora Brief, cosa facciamo: sua figlia lo vuole questo vestito sì o no?»
Domandò la sarta inacidita.
«Signora Brief, il vestito?! »
Ripeté.
«Mi scusi, ha ragione. Dunque, questo sembrava le piacesse, vero? Oppure quest'altro? Magari il penultimo che ha provato? Be’ se devo scegliere io, vada per un abito bianco».

 

Bulma era tornata vispa come da tanto non accadeva, sembrava una piccola ape in cerca di miele; andare via dalla Capsule Corporation le stava infondendo buonumore.
Sul letto, uno zaino aperto faceva da canestro per tutti gli oggetti e indumenti che la scienziata vi lanciava dentro. Con una telefonata Crilin aveva spezzato l’apatia annientante che s'era impadronita di lei, ed anche se l’uscita sarebbe stata breve e le avrebbe occupato solo il weekend, la Kame-House era il giusto palliativo; aveva bisogno di un cambio d'aria, la Città dell'Ovest era ancora molto fredda, un po’ di sole l'avrebbe aiutata a bilanciare il rapporto tra serotonina e melatonina: ultimamente dormiva troppo, era diventata pigra ed ipersensibile e si commuoveva spesso, come le era capitato pochi giorni addietro, quando aveva incontrato un cane che le era parso essere randagio e per il quale aveva provato il desiderio irresistibile di portarselo immediatamente a casa. Non l'aveva fatto solo perché, poco dopo, il padrone era sbucato fuori fischiando e richiamando il cane a sé. C'era stato il lieto fine ma, vedere quel cane andarsene, abbandonarla, l’aveva resa molto triste.

«Lo spazzolino da denti c'è, la biancheria di ricambio pure... – si allontanò per analizzare meglio il piccolo zaino: dava l’aria di un bagaglio per un viaggio di sola andata – Sarà meglio alleggerirlo, così non credo riuscirò a chiuderlo... Oh, ecco, dimenticavo il costume! È un’isola dell'emisfero sud, in questo periodo lì fa caldo e potrò fare il bagno. Ma dove l’avrò messo?»
Mise a soqquadro l'intera stanza, frugò ovunque, finché l’armadio le sputò fuori qualcosa di cui aveva dimenticato la presenza: sgualcita e sporca, era la felpa di Vegeta.

Quella gettala via. Subito.

Ordinò prontamente la coscienza, ma lei non si mosse, era come ammaliata, non se lo aspettava.
La adagiò al suo petto, lentamente.

Non farlo.

La strinse, forte, tanto, quasi che la stoffa logora potesse trasmettergli qualcosa, una verità, uno stato d'animo di cui era alla ricerca, perché i lividi erano spariti, la ferita che aveva sfregiato la sua carne perfetta si era rimarginata. Faceva male il ricordo delle parole, quello che si erano urlati in faccia le colpiva lo stomaco fino a farle perdere l’appetito.
Poco più di un mese era trascorso dal violento episodio avuto con lui, poi, non era accaduto più nulla, niente che fosse riuscito a cambiare la situazione, come se il tempo si fosse stancato di andare avanti, lasciando la scienziata nell’agonia di un’inutile attesa per l'arrivo di qualcosa di ineffabile.
Lei ci aveva provato, aveva tentato di cambiare la sua vita: era partita verso la felicità, da Vegeta, e proprio sulla frontiera era stata avvistata. Ferita da quella che credeva potesse forse essere la sua salvezza. Respinta. Quindi riportata a marcire nel luogo da dove era evasa, ma che l’aveva ricongiunta a Yamcha.
Vegeta, da allora, era sparito, nelle ore diurne non si faceva vedere e lo stesso accadeva al calare del sole. Sembrava che il saiyan si impegnasse minuziosamente al fine di non incontrarla.
Coraggio per andare da lui, per sincerarsi che almeno stesse bene, non v'era più.
Proibito ed impossibile, era tutto così irrimediabilmente finito.

La condizione migliore per entrambi.

Continuava a ripetersi. 
E l’unico a darle notizie del saiyan, a creare ancora un flebile ed invisibile contatto durante il corso dell’atroce mancanza, era suo padre: le aveva parlato di una particolare richiesta di Vegeta a proposito di macchinari che potessero amplificare il livello di difficoltà dei suoi allenamenti.

“Non gli basta più! Ha detto che la camera gravitazionale è diventata insufficiente! Ti rendi conto?! È fuori di senno! Non so dove voglia arrivare… Io non ho problemi ad esaudire le sue richieste, ma lui sta mettendo a rischio la sua vita!”

Le aveva detto così grave da spaventarla. 
Tuttavia, nonostante Bulma avesse capito quanto fossero estremamente pericolosi quei marchingegni, pur non avendoli mai visti nemmeno su progetto, non aveva battuto ciglio. Si era odiata per questo. Purtroppo però, nulla la riguardava più, non erano affari suoi. Doveva rimanere al suo posto.


Divisi dalla natura che li aveva fatti opposti… lui ci era finito accidentalmente a casa sua, anche se in realtà lo aveva ospitato lei.
Il loro incontro era stato un incidente, se ne era fatta una ragione.
In compenso, Yamcha si prendeva cura di lei, a distanza, mistificando la sua vera essenza nel ruolo dell’uomo innamorato e devoto: la chiamava regolarmente, una volta al giorno, alla pari di un dottore a cui erano stati affidati degenti da tenere sotto osservazione; un ritmo così non l’avevano mai avuto nel loro rapporto e Bulma non poteva negare che le piaceva essere oggetto d’apprensione altrui. Soprattutto quando dentro era satura di vittimismo.
Le domande che Yamcha le porgeva per telefono erano repentine, a volte fuori luogo e nel momento esatto in cui lei iniziava a chiedergli come si trovasse nella Città del Nord.
Fosse stata lucida, si sarebbe accorta che il continuo voler sapere delle sue condizioni di salute, da parte di Yamcha, non era semplice sincera e disinteressata preoccupazione.

Devo buttarla.

Tornò alla felpa. L’avrebbe gettata nel primo bidone della spazzatura trovato appena oltrepassato il cortile della Capsule Corporation. Se l’avesse fatto in casa, avrebbe avuto il tempo di ripensarci e riprenderla. Il taglio l’aveva dato netto e andava rispettato, soprattutto per mantenere una necessaria integrità mentale.

Pronta, uscì impettita senza salutare i suoi, c'era il rischio che la madre assieme alla sarta le togliessero altro tempo.

La giornata era bella, le temperature molto basse. Bulma si sentiva forte e si fidava di se stessa. Poteva affermare di essere guarita dalla follia di raggiungere quell’aliena  felicità: la felpa insanguinata non occupava più il suo armadio, era solo pattume. Vegeta non aveva più potere su di lei. Azionò i motori del suo elicottero, la Capsule Corporation diventò presto piccina e la navicella in cui il saiyan ogni giorno rischiava di morire divenne insignificante.

 

 

~ ~ ~

 

Il grasso della carne sfrigolava sulla griglia infuocata, una ragazza dai lunghi capelli biondi si preoccupava di cuocere bene bistecche, spiedini, salsicce. Era un compito impegnativo ma facile da svolgere, se nel mezzo non ci fosse stato il Maestro Muten.
«Lunch, è da tanto che non ci vediamo – esordì il Genio, avvicinandosi ai fianchi della ragazza – da quando hai deciso di andare via con Tenshinhan mi hai lasciato in un vero pasticcio, sai: Crilin non sa cucinare, è un disastro!»
Il Maestro Muten era la metà di Lunch, lei poteva guardarlo dall’alto con i grandi occhi verdi. 
Addosso,
​ la ragazza aveva solo un paio di mini-shorts e due pezzi di stoffa che tenuti insieme con degli esili laccetti le coprivano a malapena i seni. Dai quali il Genio non staccava lo sguardo nascosto sotto gli occhiali da sole.
«Davvero, mi siete mancate... Ehm, cioè, mi sei mancata, Lunch!»
La ragazza ascoltò, ignorando la chiarezza del riferimento. E, silenziosa, girò nuovamente la carne per evitare di farla bruciare.
C'era un bislacco accordo tra le salsicce ardenti, che durante la cottura rilasciavano del liquido bianco e schiumoso, e i seni evidentemente sudati e bagnati di piccole gocce brillanti che finivano a raccogliersi preziose nello spazio scuro che li separava. Secondo il Genio quell'accordo, propriamente quella visione così umida, appariva sublime.
«Soprattutto la tua cucina, Lunch, non vedo l’ora di mangiare quel che stai preparando.»
«Un po’ di carne cotta al barbecue non è nulla di speciale.»
«Sì, ma tu hai il tocco della cuoca, di femmina... »
Il Maestro non riusciva a scollarle gli occhi di dosso. Fece cadere una delle posate che Lunch non stava usando e lei, non accorgendosi che era stato fatto apposta, si chinò per raccoglierla. Il vecchio poté così godersi lo spettacolo dei seni prosperosi ora ciondolanti. Lo spazio tra loro era diventato un ponticello stretto sotto il quale il Genio avrebbe voluto intrufolarsi ed occuparlo.
«Lunch, cara, hai un insetto qui, proprio qui, lascia che te lo tolga... ecco... »
Una mano morta sfiorò un seno, il quale ballonzolò invitante, quasi contento. Un secondo dopo, una forchetta rovente andò a conficcarsi su quella stessa mano, ora viva e dolorante.
«Ahi! Ma sei impazzita?! Che fai?!»
«Tieni quelle mani a posto, intesi!»
«Tenshinhan – gridò il Genio in direzione del ragazzo presente anche lui sull’isola ma in quel momento lontano dalla sua Lunch – che hai fatto a questa ragazza?! Perché è diventata così violenta?! Sul serio, cara, ti preferisco con i capelli blu, più calma e dolce!»
Nessuno però diede attenzione al Maestro, sapevano che se le andava a cercare.


«Crilin, sai se verrà anche Goku?»
Domandò Tenshinhan.
«Purtroppo, sia lui che Piccolo e Gohan non ce la faranno. Ho parlato al telefono con Chichi, mi ha detto che attualmente si sono allontanati da casa per allenarsi, nemmeno lei sa dove sono, e figurati, mi ha detto che nel caso riuscissi a sentirli, devo rimproverare Gohan, dice che deve tornare immediatamente a casa, sai, i compiti.»
Tenshinhan sorrise, «Ah, che peccato, mi era sembrata un’ottima occasione per incontrarli e capire come stia andando il loro allenamento, mi chiedo infatti che tipo di esercizi stiano facendo quei tre insieme.»
«Sì, bravo, anche io me lo chiedo. Goku ormai è un Super Saiyan, ma mi auguro che allenandosi possa diventare ancora più forte.»
Disse Crilin, ripensando alla discussione avuta col Genio.
«Già. Siamo fortunati che lui sia diventato un Super Saiyan – alla conversazione si aggiunse anche il piccolo Jiaozi – Ragazzi, quindi mancano solo Bulma e Yamcha?»
«Esatto – confermò Crilin – Comunque, se non fosse stato per Lunch non vi avrei rintracciati, meno male che non eravate molto lontani da- ahiii!»
«Fate finta di non sentirmi, eh?!»
«Genio! Ma... Perché mi ha colpito col suo bastone?! Che ho fatto?!»
«Vergognati, non si prende in giro il proprio maestro!»
«Come? Perché avrei dovuto prenderla in giro?»
«Finiscila di contraddirmi, sai cosa è accaduto poco fa, la mano mi fa male pure per colpa tua.»
«Mia? Cosa c’entro io?...»
«Fai silenzio, piuttosto, vedo che non siamo tutti, dov'è Bulma?»
«Maestro, le ricordo che Bulma si trova quasi dall’altra parte del pianeta, le ci vorranno sicuramente delle ore per arrivare!»
«Pensi che io sia stupido?! So dove abita Bulma!»
«Ma perché se la prende con me?!»
«Non rispondermi così.»
Crilin guadagnò un altro colpo alla testa. Tutti ridacchiarono.
Poi: «Oh, guardate sta arrivando qualcuno!»
Notò Jiaozi, indicando un punto preciso nel cielo sopra di loro.
«Quello è l’elicottero di Bulma, è arrivata!» confermò con entusiasmo Crilin.
«Sì, finalmente un altro paio di tet-»
Il genio non finì, lo sguardo assassino di Lunch gli imbavagliò automaticamente la bocca.


 

«Bulma ci hai messo pochissimo a raggiungerci!»
Crilin fu il primo ad accoglierla.
«Ah ah, cosa credete, ho i miei mezzi! Posso arrivare ovunque, allora, come state?»
«Benissimo, grazie.»
Rispose Jiaozi, Tenshinhan si limitò a sorriderle.
«Bulma, da quanto tempo! Me lo dai un bel bacino qui, dai!»
Questo invece era il benvenuto del Genio. Che le sorrideva mettendo in vista la dentatura mancante e indicava alla ragazza la guancia da baciare.
«Scordatelo!»
«Uffa, sei antipatica pure tu oggi, ma che v’è preso a voi donne?»

Ora andava bene, in compagnia dei suoi amici nulla avrebbe potuto rattristarla. 

«Bulma, come mai Yamcha non è con te? Pensavamo venisse anche lui.»
Nulla poteva, a parte questo.
Era stato Tenshinhan a farle il dispetto.
Sfortunatamente per lei, la domanda era indiscutibilmente lecita: Yamcha era loro amico e il suo ragazzo. 
Sulla sua faccia iniziò a ramificarsi il disappunto, che germogliò in fastidio e – «Già, mi avevi detto sì per telefono, che sarebbe venuto con te.» affermò Crilin – e sbocciò presto in rabbia, così furiosa da imporporarle vistosamente le guance.
Acchiappò nervosa uno dei suoi ricci e lo inviò dietro l’orecchio sinistro, dove avrebbe voluto nascondere volentieri anche il pensiero di Yamcha e Yamcha stesso. Lì, tra il lobo morbido e la farfallina che fermava il suo orecchino.

«Yamcha è partito, si è trasferito nella Città del Nord. Ha ricominciato a giocare a baseball un mese fa, non lo sapevate?»
Fu breve, precisa. Inaspettatamente calma. Velenosa.
«Be’, scusaci, l’avessimo saputo non te lo avremmo chiesto.», a Tenshinhan non era piaciuta la risposta scocciata.
Crilin, al contrario, sgranò gli occhi  in modo troppo evidente, facendo un passo indietro. La reazione non rimase inosservata all’attenzione di Bulma.

«Che hai Crilin
«A-ah, no, nulla, mi sorprende il fatto che abbia ricominciato a giocare, tutto qui.»
«Dai, basta con le chiacchiere – si intromise il Genio – peggio per lui se non c’è.  Lunch, ho voglia di assaggiare la tua carne, è pronto?»

 

 

 

~ ~ ~

 

Il signor Brief stringeva fra le labbra una sigaretta, raramente dava qualche tirata, la lasciava consumarsi da sola mentre avvitava l’ennesimo bullone per chiudere i circuiti d’accensione dell’alternatore di gravità.
Vegeta era dietro di lui, attendeva a braccia conserte e leggermente infastidito dalla puzza di fumo che si stava diffondendo nell’ambiente.

«Spero che questo basti, ma ti ripeto, deve occuparsene mia figlia, sono sicuro che lei troverebbe una soluzione appropriata, ed eviteresti di interrompere i tuoi allenamenti ogni volta, oltre a rischiare di far saltare tutto in aria... e morire carbonizzato.»
Disse lo scienziato, poco ironico ma estremamente calmo.

«Non fa niente, mi basta il suo di lavoro», puntualizzò Vegeta.

«Dico sul serio, aspettiamo che torni Bulma, so che è andata a far visita ai suoi amici ma starà fuori solo per il weekend, nel frattempo tu potresti riposarti, sembri averne molto bisogno, mi pare che le nuove apparecchiature che ti ho fornito ti stiano mettendo a dura prova... Se vuoi posso limitarne le funzionalità.»

«Non devo aspettare nessuno, le apparecchiature vanno benissimo così come sono, anzi le voglio più potenti.»

Il saiyan si mostrava testardo, nulla di nuovo.

«D’accordo, io ho finito, spero tu non abbia altri problemi, ma mi spiace non poterlo garantire, la tua forza è aumentata tanto da essere incontenibile e c’è il rischio che salti via la riparazione che ho appena concluso... »

Lo scienziato raccolse la cassetta degli attrezzi appena usati, poi, incerto, cercò il micio nero che portava sempre con sé. Si stupì nel vederlo fare le fusa al saiyan. Gli si allargò un sorriso sotto i baffi.
Vegeta invece non se ne era accorto: le sue pupille fissavano il nulla, apparentemente. Eppure vibravano, inseguendo il modularsi contorto dei suoi stessi pensieri.

Non va, non sta funzionando.

Perché?

Kakaroth, maledetto, tu, come...

Meriti di essere fatto a pezzi.


«Su, ora vieni con me – il signor Brief prese in braccio il gattino – bene, Vegeta, puoi azionare la gravità appena saremo fuori, ad ogni modo, per essere più sicuri proverò a telefonare e spiegare il problema a Bulma».

Lo scienziato uscì. Vegeta era nuovamente solo.


Bulma...


Pensò.
Per un’accoppiata di volte, il vecchio aveva pronunciato il nome di quella donna e udirlo accostato alla parola problema, poi, aveva sortito un reminiscente effetto.

“Vegeta, tu credi che le mie attenzioni per te siano merito della compassione. Ma in realtà… io mi sono-”

“Illusa!”

Le aveva risposto così, lei si era illusa. Lui no.

“... Non riuscirai mai a superare Goku se non dai al tuo cuore la possibilità di migliorare!”

Si guardò le mani, tremavano. E osservò le sue braccia, vistosamente provate dagli allenamenti. Nessuna illusione. Era tutto vero.


Io... sono il Principe...


Strinse i pugni, di più, con maggior forza. Facevano male.


... dei Saiyan. Sono un saiyan, Bulma.


Ecco l’illusione.

 

 

~ ~ ~

 

 

A migliaia di chilometri di distanza dalla Capsule Corporation, il pomeriggio era trascorso tranquillo; con emollienti risultati per la giovane scienziata, che: aveva indossato il costume, aveva fatto il bagno in acqua insieme agli altri, aveva dato due sberle meritate al Genio delle Tartarughe, aveva dimenticato di stare per sposarsi, soprattutto di annunciarlo ai suoi amici; inebriata dall’effluvio della salsedine, tutto era stato bellissimo, scivolato via. Facile. Come i cinque spritz  bevuti uno dietro l’altro.

Il gruppo di amici era in casa, adesso. Con l’arrivo della sera le temperature si abbassavano d’una decina di gradi ed il vento non era  più così piacevole. Avevano pertanto deciso di continuare a banchettare al caldo, nel salotto accogliente del Maestro Muten.
Ma seduti tutti attorno al tavolo, fu inevitabile, iniziarono a discutere di strategie, di come avrebbero potuto affrontare i cyborg valutando le possibilità di vittoria, se ce n’erano.
Bulma si teneva lontano dall’argomento e vicina al prossimo spritz, scambiava giusto qualche parola con Lunch, che era pronta a versarle da bere. La serata per lei doveva concludersi in modo perfetto: essere alticcia tanto da addormentarsi e ricordare nulla al mattino dopo.
Ci stava quasi riuscendo: giocherellava inebetita con la cannuccia rosa del suo bicchiere, e mescolava inutilmente due cubetti di ghiaccio pressoché sciolti.
La sua testa era un container vuoto di pensieri con in fondo una carta bianca dipinta ad acquerello chiaro. E uno fra i suoi amici pensò bene di vuotarci dentro e sopra tanta sporcizia:

«Bulma, proprio perché ne stiamo discutendo, da molto tempo io e Yamcha non ci vediamo, oggi speravo di parlarci, di confrontarmi con lui... è soprattutto per questo se sono venuto, desideravo parlare anche con Goku. Ma entrambi non ci sono e... »
«Sì, non ci sono, purtroppo... che dispiacere.»
Ripetè lei a pappagallo, lasciando
Tenshinahn interdetto. 
«Be', quello che vorrei chiederti riguardo Yamcha è... Insomma, spero non si stia allenando solo per giocare a baseball. Tu non sei in grado di capire il suo livello di forza, però sei la sua ragazza, lo avrai visto impegnarsi, mi auguro. Possiamo sempre contare su di lui? Si sta allenando anche per affrontare i cyborg, vero? »

Ok, l’acquerello chiaro e delicato era stato sfregiato con schizzi di caldo catrame, pesante. Appiccicoso da staccarsi le dita. E la testa era di nuovo invasa dai rifiuti. La domanda bitume l’aveva mesticata Tenshinhan. Con questa erano già due le volte che il ragazzo la pungolava sullo stesso argomento.
Alla prima, le venne difficile inghiottire quel poco che era riuscita a succhiare dalla cannuccia, e che ormai non sapeva più di spritz.
Alla seconda, scossa da un brivido causa insolazione, Bulma s’accostò meglio la felpa blu che Lunch le aveva prestato.
Poi, l’alcol, ch’era salito a fare il suo dovere, l’aiutò definitivamente a non comprendere il soggetto della domanda, o a ignorarlo.
La guardavano tutti.

Bisognava correggere il brutto guazzo nero che le aveva sporcato l’acquerello felice.
Sorrise inclinando la testa da un lato come la più perduta e ispirata delle amanti.

«Oh, sì! Vi posso giurare che Vegeta si allena tutti i giorni, senza sosta, dovreste vederlo! E sta diventando molto potente, più di come lo ricordate, ne sono sicura.»

Ora andava meglio, era perfetto. Lei sorrise. Non lo fecero gli altri.
Ma lo sbigottimento crebbe e questo la insospettì.

«Ho detto qualcosa di sbagliato?», accompagnò il suo stupore con una risatina vanitosa. Forse, era davvero ubriaca.

«Hai appena parlato di Vegeta, io ti avevo chiesto di Yamcha.»
Chiarì il ragazzo dai tre occhi, sbalordito e schifato di qualche tacca.
«Ah… – fece, sorpresa – Davvero? Ma sei sicuro di non aver nominato Vegeta?»
Cercò di riprendersi. Era confusa, refrattaria.
«Sì, Bulma, hai appena detto Vegeta», le tolse il dubbio Crilin.

«Se dici che quello si sta allenando, significa che è ancora qui sulla Terra e per di più è tuo ospite.»

Tenshinhan aveva appena raggiunto il podio dei tre passi falsi.

«Certo, è mio ospite, perché, ci sono problemi?»

La scienziata cercò di tenersi composta, le risatine erano sparite. Sapeva di non avere la forza per affrontare quella discussione.

«Assurdo, come fai a tenertelo a casa? E vale lo stesso per Yamcha, con quale fegato accetta una simile situazione? Quel saiyan dovrebbe andarsene dal nostro pianeta, immediatamente!»

Avvertì la carta del suo acquerello delicato strapparsi.

«Oh, mamma mia, credete che possa farci ancora del male?!», domandò Jiaozi, con voce fattasi squittente dalla paura.

Voi... non lo conoscete.

Il bitume era troppo, le finì in gola, le impedì di parlare.

Sta soffrendo. Lui soffre ogni maledetto giorno.

«Non preoccuparti, Jiaozi. Noi non siamo più gli stessi di quando arrivò sulla Terra insieme  all’altro saiyan. Che ci provi, il bastardo, stavolta saremo noi a mandarlo all’altro mondo! Gliela faremo pagare!»

«Basta! Vi prego!... V-Vegeta può rimanere alla Capsule Corporation quanto vuole. Non è un problema, non c’è alcun problema!»

Catrame o meno, Bulma quasi affogò nelle sue parole.

«Stai scherzando?! Stiamo parlando dell’infame che voleva distruggere la Terra! Io sono morto, Jiaozi è morto, Piccolo è morto, Yamcha, il tuo ragazzo, ha perso la vita e tu l’hai visto con i tuoi occhi! O te ne sei dimenticata?!»

«No, lui combatterà con voi e vi aiuterà, ne sono certa.»

«Cosa?! Credi, che si stia allenando per difenderci?! A lui interessa solo diventare più forte per poterci annientare!»
Tenshinahn batté un pugno sul tavolo, astioso, guardava Bulma con occhi iniettati di collera.
Nessuno disse nulla però. Nemmeno Lunch rimasta spiacevolmente sorpresa dall'ira del proprio ragazzo, soprattutto dal modo con il quale si stava rivolgendo a Bulma. Ma in fondo, non poteva nascondere di essere d’accordo con lui: Vegeta era un pericolo per tutti.

Gli occhi della scienziata si velarono. Il saiyan era indifendibile.

So bene cosa è accaduto in passato.

Ma adesso, lui non è più...

«Tenshinhan, calmati, è passata, non c’è bisogno di agitarsi così. Bulma è gentile verso chiunque, lo sai… E adesso Vegeta non rappresenta più una minaccia, ricordati che dalla nostra abbiamo un Super Saiyan, lui non può competere con Goku, non è alla sua altezza.»
Intervenne Crilin, tentando di rabbonire l’amico senza però curarsi dell’effetto opposto che provocò in Bulma.

«No!»
Gridò lei, stufa e nauseata da tutte quelle accuse.
«Vegeta ce la farà!»
Rimasero tutti a bocca aperta.
«Non immaginate nemmeno quanto si stia allenando... Lui diventerà un Super Saiyan e vi farà vedere quanto-»

Cosa?

Gli farà vedere quanto è potente, mostrerà loro di poterli uccidere?

Questo volevi dire?

La coscienza terminò per lei. Si era alzata in piedi, stringeva i pugni, i suoi amici la fissavano con occhi strabuzzanti. Anche Crilin che, per quanto avesse mantenuto un’aria d'imparzialità nei confronti delle affermazioni di Bulma, non poteva negare che la sua amica si stava mostrando strana.
Una mano a coprirle la bocca non bastava a nascondere quanto aveva affermato, ce ne vollero due, con le quali nascose metà del suo viso impaurito dalla reazione che avevano suscitato le proprie parole.
Lo leggeva sui volti dei suoi amici, lo vedeva limpidamente, prendevano le distanze, la traditrice era lei, aveva difeso l'assassino, era passata dalla sua parte.
Aveva tradito Yamcha.
Eppure, quest’ultimo pensiero era meno eminente dell’urgenza incontrollata che l’aveva spinta a proteggere Vegeta.

«Scusatemi... »

Mormorò impercettibile e si inginocchiò di nuovo sullo zabuton, senza aggiungere altro.
Nessuno provò a rassicurarla, come se il castigo le fosse necessario.

«Ad ogni modo, non capisco come mai Goku abbia deciso di risparmiarlo, pensa che io avrei potuto dargli il colpo di grazia.», riprese Crilin, totalmente incurante di continuare a mettere il dito nella piaga.
«Già me lo chiedo anch’io, perché non l’hai fatto?» rincarò la dose Tenshinhan.
«Perché mi ha implorato di non attaccarlo, diceva che c’era qualcosa di buono in Vegeta, non mi dire dove e in cosa. E poi che desiderava affrontarlo di nuovo, da solo stavolta. Gliel’ho concesso, dovevo, era un suo diritto, anche perché senza di lui il nostro pianeta sarebbe stato spacciato.»
Concluse Crilin, ricordando il dramma della feroce battaglia contro i saiyan.
«A me continua a fare tanta paura.»
Piagnucolò ancora Jiaozi.
«È vero, non possiamo fidarci di lui, dobbiamo rimanere in guardia, potrebbe attaccarci da un momento all’altro, ci mancava anche questa, proprio quando bisogna pensare a difenderci dagli androidi.»
Terminò la predica 
Tenshinhan.


Maldicenze.


Bulma li guardava, erano maiali ingordi pronti a riempirsi la bocca di cattiverie. E Crilin poi, era stato grazie all’idea di Vegeta ch'era tornato in vita, come osava parlare del saiyan in quella maniera calunniatoria? 
Una parte di lei li stava detestando, compresi Genio e Lunch che non si erano pronunciati a riguardo.

Troppo facile giudicare solo il passato, erano degli ipocriti.

Falsi. 


Vedendo che nessuno sembrava più intenzionato a continuare la conversazione, il maestro Muten, che mal sopportava le liti, prese il telecomando e accese la tv. 

Un’interessante sorpresa comparve inaspettatamente:

«Ragazzi, c’è Yamcha in televisione, guardate!»

Sei paia di occhi increduli si indirizzarono immediatamente verso il quadro animato.    
In televisione c’era davvero Yamcha e c’erano tanti microfoni pronti ad amplificarne la voce registrando quel che diceva.
«È vero che la tv ingrassa», disse Genio, tirando una boccata dalla sigaretta appena accesa.
«No, io lo trovo benissimo», proruppe Jiaozi.
«Ma perché è in televisione e lo stanno intervistando?» chiese Lunch.
«Oh, insomma, fate silenzio, vorrei ascoltare!», urlò Bulma, rimasta più di tutti disorienta. Le stava sfuggendo qualcosa. Perché Yamcha non le aveva detto che sarebbe apparso in tv?
«Ha giocato una partita meravigliosa, allora è vero che il destino dei Titan si regge tutto sulla sua prestanza, crede che riuscirete a vincere il campionato quest’anno?», domandò uno tra la folla di giornalisti.
«Oh, non mi azzarderei a prendere ogni merito, il baseball è un gioco di squadra, io e i miei compagni siamo una squadra e senza di loro non potrei fare molto. Per quanto riguarda vincere il campionato, siamo solo alla prima partita ed anche se l’abbiamo vinta è presto per giudicare o fare previsioni.»
«Ma può darci la sicurezza che resterà a giocare fino alla fine della stagione?»
«Su questo ci potete contare, sono tornato e sono tornato per vincere!»
«Ecco il solito spaccone.», commentò Crilin.
«Ehi, che succede? Chi è che spinge?», nell'inquadratura si fece spazio un’avvenente ragazza: aveva i capelli rossi, un décolleté coraggioso, le labbra erano voluttuose, rosa, volgari.
Si piazzò davanti all’inquadratura e a favor di telecamera, impudicamente, baciò un Yamcha completamente imbambolato.
Scattarono una moltitudine di flash e dopo parecchie domande.
«Chi è lei, signorina? Lo conosce?»
La ragazza stava per mostrare la mano sinistra, ma Yamcha, accortosi del gesto, tentò fulmineo di nasconderla afferrandola con forza.
Lo sciame di giornalisti impazzì e continuò a scattare centinaia di foto della ridicola lotta.
«Yamcha, ma che ti prende? Lasciami subito andare!»
Si lamentò la sconosciuta che continuava a dimenarsi, finché riuscì quasi a mostrare la sua piccola verità.
«Oh, ma quello è un anello!»
Qualcuno se ne accorse.
«Mr. Yamcha, questo significa che presto si sposerà con questa ragazza? È una sua fan? Ma lei non è fidanzato ufficialmente con l'ereditiera della Capsule Corporation, Bulma Brief? Vi siete lascia-»
La tv venne spenta da Crilin con un colpo di mano, lo stesso che avrebbe volentieri dato sulla bocca dell’oca starnazzante apparsa sullo schermo, più uno fatto bene in faccia al suo amico.

«Accendi quel televisore.»

Ordinò Bulma, stracciando il silenzio sceso su tutti come un sudario.
Avere visto una donna baciare il suo promesso sposo in diretta televisiva era grave, ma avere riconosciuto qualcosa che somigliava molto all’anello che credeva di avere perduto lo era ancora di più. Non ne era completamente certa, però la somiglianza era troppa per essere solo una coincidenza.
Crilin non ubbidì.
«Accendilo subito, fammi vedere!»
Il ragazzo nascose il telecomando.
«Ma perché vuoi continuare a farti del male?!»
«Ho capito, ci penso io.»
Bulma s’alzò in piedi e riaccese lo schermo direttamente premendo il tasto di accensione della tv.
Il canale era lo stesso ma Yamcha non c’era, l’identità dell’anello era scomparsa. Le notizie sportive erano passate ad altro.
Nessuno sapeva cosa fare, come muoversi, erano tutti sconvolti e senza aiuto da poter dare alla povera Bulma che uscì in fretta, prendendo con sé due bottiglie di birra dal tavolo.
Le avrebbe aggiunte agli spritz bevuti, voleva sbronzarsi di brutto. 


«Ragazzi questo sì che è un guaio... », mugugnò Jiaozi.
«Già, chi la sente ora.» mormorò il Genio.
«Aah, vado a farle compagnia.» disse con più risolutezza Crilin, e la seguì fuori.

 

 

«Stai esagerando, questa non ti serve.»
L’ammonì il ragazzo, bloccando il gomito di Bulma a mezz’aria, impedendole di mandare giù la birra che lei voleva scolarsi in fretta.
«Oh, che impiccione! Non sono una bambina, anzi ho due anni in più di te, non puoi dirmi cosa devo fare!»
«Questa non risolverà il problema e non ti aiuterà a sentirti meglio, lasciala a me.»
Crilin le tolse di mano la birra e si sedette sulla sabbia accanto a lei.
«Che ne sai tu di cosa ho bisogno…»
La scienziata parlava amareggiata rivolgendosi all’oceano, non guardava il suo amico negli occhi.
«Bulma, mi dispiace.»
«E di cosa? Lo sanno tutti… È stato sempre così, non è cambiato. È rimasto esattamente uguale a prima che morisse - ci fu una pausa, puntualizzare la condotta invariata di Yamcha la portò a pensare a Vegeta: lui era cambiato, a lui la morte aveva davvero giovato - Non è la prima volta che accade, non finirà mai di umiliarmi.»
Yamcha aveva rovinato tutto, vero, ma l’afflizione nasceva da un’aggravante che prima non si era mai presentata.
«No, vedi, io intendevo che...  – riprese il ragazzo –  intendevo che mi dispiace non averti detto una cosa... e cioè che, non è mai venuto qui ad allenarsi... Quando tu sapevi il contrario. Sono stato ingiusto e vigliacco a non avvisarti, ti chiedo scusa, Bulma. Non credevo che le cose sarebbero precipitate in questo modo.»

Lo sapevo. L’ho sempre saputo.

Sei stata stupida ad ignorarlo.


«Crilin, tu non volevi tradire la sua fiducia e non volevi ferire me. Credimi, ti capisco.»

«Lo lascerai?»
Le domandò lui.
Bulma non rispose.

Se sono incinta...

Abortirai per punire Yamcha?


Maledisse il giorno in cui aveva scelto di smettere d’assumere il contraccettivo orale.
Istintivamente, si toccò il ventre, dopo l’amplesso avuto con Yamcha, non aveva più avuto mestruazioni, era perfettamente in ritardo di un mese e poco più, però, terrorizzata dallo scoprire la verità, aveva evitato il test di gravidanza.
Sì, Yamcha le aveva messo un cappio attorno al collo. Ora, quel cappio era diventato stretto e implacabile.
Aver assistito alla squallida scena in tv era stato come sentire i suoi piedi cadere e ciondolare nel vuoto. Destinata a morire.
Lo amava? No, non provava più alcun sentimento, nemmeno l’odio.

Crilin non l’aveva mai vista così rassegnata, in analoghe situazioni sarebbe stata isterica. C’era qualcosa di storto in lei. Non la riconosceva. Non sapeva se chiederle o rimanere in silenzio. Scelse la seconda: non aveva parlato quando avrebbe dovuto, interessarsi a guaio compiuto sarebbe stato disgustoso. 
Però, osservare Bulma era irresistibilmente piacevole: la scienziata stava seduta sul bagnasciuga con le gambe e i piedi nudi, illuminata dalla luce violacea del tramonto che ormai s'era spento. La brezza marina le spingeva indietro i capelli da sirena; dal viso sembrava più adulta, e non perché avesse rughe, al contrario, la sua pelle era giovane e perfetta. Era l’espressione ad esserle mutata, non era la stessa Bulma irascibile e capricciosa d’un tempo.
Nel tentativo di difendere Vegeta, i suoi occhi avevano brillato di consapevolezza e pietà. Crilin se ne era accorto.
Era una donna ormai.
Yamcha, un vero stupido.

Il ragazzo arrossì un pochino e abbassò subito lo sguardo imbarazzato, si poteva perdere facilmente la testa per lei.

«Crilin, ti dispiace se vado un secondo in bagno, sperando che il Maestro Muten non mi spii mentre tiro giù le mie mutandine?»

«Ah, ah, non credo che lo farà, le ha già prese da Lunch.»

«Benissimo».

 

Rientrando in casa, tutti si voltarono a guardarla. Ancora.
Li odiò.
Cosa aspettavano di vedere, ovvie lacrime perché tradita per l’ennesima volta dal ragazzo e per giunta in tv?!
Li ignorò nauseata e si chiuse nell’angusto bagno.
C’era uno specchio sopra il lavandino, Bulma guardò di sghembo il proprio riflesso. Non c’era niente che le piaceva. Si concentrò quindi a fare quello per cui era venuta. E...

 

Oh...


Solitamente, i miracoli erano una falsa speranza con cui nutrire cervelli idioti e di certo non avvenivano in un minuscolo gabinetto con risme di riviste pornografiche poste dietro il wc e con le scope e gli stracci appoggiati alla doccia.  Nonostante, stava accadendo.
Un ritardo di un mese aveva gettato la scienziata in una dimensione di panico. Yamcha l’aveva aiutata a considerare tutto una maledizione. Era stata poco fortunata.
Ma quando mai il suo ciclo era stato regolare? Solo, non ci aveva sperato.
Vedere la stoffa delle sue mutandine bianche intrisa di quell’umore che mensilmente e dannatamente colpiva il sesso femminile, la fece sentire alla pari di una graziata dalle mani di un’entità invisibile.
Rosso su bianco. Funzionava. Quello era lo stendardo della sua libertà, la prova.
C’erano delle grida nella sua testa, le udiva molto forti e le venne il dubbio che potessero sentirle anche gli altri. Bisognava fare piano e tornare a casa, subito. Doveva andare da Vegeta. Era libera, adesso, doveva farglielo sapere.

Il saiyan non ti vuole.

C’era una motivazione e una soluzione a tutto, se lui l’aveva trattata come un’appestata era stato per orgoglio. Che Vegeta poneva dinnanzi alla sua stessa vita.
Pure lei aveva le proprie colpe: non aveva calibrato l’uso delle parole.
Sì, poteva aggiustare il tiro e rimediare agli errori. Ne era convinta.
Diede un altro sguardo allo specchio, il suo mascara si era sciolto ai lati degli occhi, lo aggiustò con un polpastrello che al contrario ne aumentò la sbavatura. A lei sembrò impeccabile.
Era perfetta, doveva giusto rimediare un assorbente, nulla di più, ricordava di tenerne sempre uno di riserva in una minuscola pochette nella tasca esterna della sua borsa.
Uscì dal bagno come sarebbe uscita da un sepolcro. Rinata. Nuova di zecca.

«Ragazzi, me ne sto andando.»

Era la seconda volta in quel giorno che lo diceva, pareva una preghiera di iniziazione, un nuovo ciclo stava per cominciare, e a lei il ciclo era venuto.
«Come, te ne vai? Avevi detto che saresti rimasta con noi per l’intero weekend!» affermò il Genio dispiaciuto.
«Sì, lo so, infatti mi dispiace, ma ho ricordato di avere un impegno urgente. Oggi sono stata benissimo, dovremmo vederci più spesso.»
«Ma... Sei sicura di sentirti bene? Sono molte ore di viaggio, arriverai domani mattina… Vuoi che ti accompagni?»
«Scherzi Crilin?! Col mio elicottero superveloce sarò a casa in meno di tre ore. E poi sto benissimo, non preoccuparti, qualche bicchiere di spritz non può farmi male… Non fate quelle facce.»
«E che ti vediamo allegra improvvisamente, prima avevi un muso così giù che temevamo ci inciampassi sopra. Tu sei davvero sicura di sentirti bene?», Crilin era dolce, premuroso, un uomo da sposare.
«Mai stata meglio – Bulma sorrise, niente più finzione – Ho capito: temete che dopo aver visto Yamcha io sia spinta a fare gesti estremi, è così?»
«Più o meno… ma speriamo non lo sia», confermò Genio.
«Suvvia! Come potrei sprecare la mia vita per un idiota del genere! – dichiarò, rifilando un’occhiata intrigante a Tenshinhan, il quale abbassò presto lo sguardo – Basta con queste preoccupazioni infondate, vi chiamerò appena sarò a casa, promesso!»
Gli amici non ebbero nemmeno il tempo di salutarla, con una cabrata immediata il suo veicolo era già volato via.

 

 

~ ~ ~

 

 

Impiegò tre ore, non un minuto di più.
Ubriaca della sua felicità, le era scappato da ridere lungo tutto il viaggio. Finalmente il laccio emostatico non c’era più, il suo collo era scivolato via dalla corda stretta e tesa. Il sangue le fluiva libero portando ovunque ossigeno.
Oltre le montagne scure che vedeva all’orizzonte c’era West City, la sua città, lo scrigno caotico che nascondeva il suo segreto felice.

Ma quando passò quel confine, sfilando le poche nubi e sorpassando le vette innevate, ad accogliere il suo ritorno, un incubo fattosi terrore e vampe la aspettava sulla soglia della disperazione.

«Un incendio?! Oh, no! Non saranno i cyborg?! Non è possibile, ma-manca più di un anno e mezzo!»

Dalla città si innalzava alta e mostruosa una colonna di fumo nero. Vista l’entità del danno, e sapendo che certi eventi potevano essere opera di mani aliene o di esseri con super poteri, le venne automatico credere ad un attacco da parte dell’Esercito del Fiocco Rosso.
Peccato per l’anticipo: possibile che il ragazzo venuto dal futuro avesse sbagliato non solo la data ma addirittura la città che gli androidi avrebbero attaccato?
Pure se spaventata, Bulma decise di avvicinarsi, doveva capire. Avanzò a bordo del suo elicottero, ancora, sino ad avvistare la Capsule Corporation.

Ora la vedeva e non avrebbe saputo dire se interamente o in parte, perché la nuvola nera le impediva la visibilità, però, era la sua casa quella che stava bruciando.

«Oh, no! Calmati Bulma, cerca di stare calma!»

Le mani cominciarono a tremare talmente tanto da non permetterle di tenere bene la cloche.
All’angolo della sua coscienza, una visione s’era palesata, la realtà era lì, data e completa: girare attorno alla Capsule Corporation, per sorpassare la nube e vedere da cosa essa fosse generata, significava solo aggiungere dettagli al tragico già immaginato.
Non erano stati i cyborg: il grande incendio si sviluppava lì dove una volta la navicella spaziale era posizionata. La navicella non esisteva più, al suo posto c’era una voragine da cui le fiamme si dipanavano intense e pericolose.
Pezzi di lamiera fumante erano sparsi ovunque nel cortile; uno enorme, in combustione, si trovava conficcato contro la parete ovest della Capsule Corporation.

Bulma continuò a guardare, ma non bastava, ragionava - sempre che potesse definirsi ragionare il convincersi che la pelle dura i saiyan ce l’avevano - sì, stava cercando i resti del corpo di Vegeta. Trovarli equivaleva ad un ok, è morto; non trovarli suonava peggio: Vegeta poteva essersi disintegrato o carbonizzato fino alla cenere, non avrebbe avuto nulla su cui piangere.

Quando il fumo diventò leggermente rarefatto, in quel punto la scienziata riuscì ad accorgersi della presenza dei vigili del fuoco. C’erano tre ambulanze più altre due in arrivo a sirene spiegate. 
Poi, vide un serpentello di medici e soccorritori venir fuori dal fumo: con loro trascinavano via una barella. Non era vuota.
Bulma si sentì strappare il cuore dal petto.
Iniziò a pregare.

 

 

Continua…

Note:

1. Ho deciso, dopo più di sette anni dalla pubblicazione dell’ultimo capitolo, di concludere Standby, iniziata il 25 marzo 2011. 
La scelta non è giunta grazie alla serie Super che ha rimpolpato l’attenzione sulla saga ma ha svuotato il manga, la sua storia originale, di quella serietà che ci piaceva e di senso (a parte alcune scene fra Bulma e Vegeta, e qualcosina qua e là, non riesco ad accettare il fan-service, il produrre per il mercato. E il mercato non vuole mai sentire la parola fine). 
Dunque, tutto è mutato, DB, voi, io, non so se ci sono ancora i vecchi lettori, ma sarò contenta di ritrovare loro e voi nuovi che avete scelto di leggere la mia storia.
Ringrazio chi per tutto questo tempo l'ha conservata fra le preferite, scelte e ricordate.

2. Qualcuno non sarà contento degli sviluppi della storia, ma tranquilli che non ho intenzione  di scadere nel romanzetto rosa, aspettate a giudicare. Non prendo decisioni a caso.

3. Non invento nulla: il dissapore fra Tenshinhan e Vegeta c’è, manga n. 28, all’arrivo di Freezer e di suo padre, Tenshinhan sfida Vegeta dicendogli di voler sfogare su di lui la sua rabbia e aggiunge di non capire Yamcha che vive sotto lo stesso tetto del saiyan. Quello che invento è che questa cosa viene detta a Bulma nella situazione in cui io l’ho cacciata.

3. In realtà, Goku non dice a Crilin che percepisce in Vegeta qualcosa di buono, ma solo che è un peccato perderlo così e che entusiasmato dalla sua forza vorrebbe combattere nuovamente con lui. Manga n. 21, se vi va di sfogliarlo.
Io faccio poco diverso: non mi viene strano pensare che Goku veda in Vegeta molto di più e una possibilità di redenzione. Ma questo lo credo io e mi sta bene così.

4. La navicella in cui Vegeta si allena esplode solo nell’Anime, episodio 124, tra gli episodi filler.

5. Ho realizzato una serie di illustrazioni che stavolta ho deciso di raccogliere in un filmato che trovate qui sotto. Spero vi piaccia. E se non riuscite a caricare il video, ho comunque inserito tutte le illustrazioni

 

Video, clicca qui.

   
 
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