'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere dei componenti Tokio Hotel, nè offendere il gruppo o i suoi componenti singoli in alcun modo'
1))CADERE DA SOLI.
A
volte separarsi è l’unica soluzione.
Non
aveva mai pensato sul serio a quella frase, se fosse sbagliata o meno, se
potesse valere o no per lui, semplicemente per Bill non era mai esistita.
Erano
parole vuote, aria che non poteva ferirlo.
Lui
aveva avuto, aveva e avrebbe sempre avuto il suo gemello.
Lui
e Tom potevano litigare, potevano raffreddare i loro rapporti, ma l’avrebbe
avuto comunque, in ogni caso.
Tranne
che in questo.
Si
guardò allo specchio.
Era
diventato più magro e più pallido, senza trucco era ancora più evidente, tanto che per un attimo la sua
faccia divenne un teschio.
Rabbrividì
, uscì dal bagno e tornò in camera, da quella di suo fratello si espandeva il
suono della sua chitarra, riconobbe quella melodia come quella “In die nacht.”.
La
loro canzone.
Si
sentì stringere il cuore, perché proprio quella?
Perché
proprio pensava che doveva lasciarlo da solo, se voleva evitare di rovinargli
la vita?
Perché?
Destino
crudele.
La
camera era immersa nel solito caos, la donna delle pulizie tentava vanamente di
tenerla in ordine senza riuscirci, quel disordine sembrava la proiezione di
quello che sentiva dentro di se.
Si
sedette sul letto con in mano un vecchio album di fotografie, da cui estrasse
quella di lui e Francesca abbracciati, lui sorrideva già allora cotto di lei,
lei anche, ma per lei era solo amicizia.
Non
poteva fargliene una colpa, l’affetto che lei provava verso di lui era grande
ed autentico, ma non era amore e non poteva farci nulla.
All’inizio
gli era bruciata da morire, aveva quasi odiato Tom perché aveva capito che lei
pensava a lui, senza capirne mai la ragione precisa.
Suo
fratello l’aveva spesso trattata a pesci in faccia, l’aveva lasciata sola nel momento più duro
della sua vita eppure…
Eppure
quello che era successo su quella terrazza di sei anni prima, sebbene fosse
stato breve e limitato solo ad un giorno doveva averla segnata in profondità.
Avrebbe
pagato oro per sapere cosa avesse detto o fatto Tom allora e durante la notte
in cui avevano dormito insieme, ma non avrebbe mai potuto saperlo e forse non
era nemmeno importante.
Francesca
si era innamorata o presa per suo fratello e basta e questo non faceva più
nemmeno male.
Guardò
sorridendo quella foto, la accarezzò come a dare addio al passato.
Il
suo futuro era racchiuso nel suo beauty, un futuro che lo disgustava ma di cui
si era accorto di non riuscire a fare a meno, un futuro fatto di polvere
bianca.
Non
sapeva perché avesse iniziato, aveva solo vaghi ricordi confusi di un tizio che
lo aveva avvicinato durante una festa e gli aveva detto che aveva qualcosa per
lui che lo avrebbe fatto stare meglio.
Era
brillo Bill Kaulitz, non del tutto in sé, così si era
limitato a sorridere ed intascare, senza controbattere ne ascoltare la sua
coscienza.
L’uomo
aveva sorriso a sua volta e l’aveva accompagnato in bagno, dandogli pacche
amichevoli sulle spalle.
-Era contento il
bastardo, contento di aver trovato un pollo da spennare!-
Arrivati
nella stanza aveva disposto una striscia, aveva arrotolato una banconota e
aveva tirato, poi ne aveva disposta un’altra invitandolo a fare lo stesso e lui
aveva acconsentito.
La
prima cosa che aveva notato era stato un forte bruciore al naso, poi tutto era
diventato più nitido e si era sentito invadere da una grande energia, credeva
di poter spaccare il mondo.
L’unica
cosa che aveva distrutto era se stesso, allora non se ne era reso conto,ma si
era infilato volontariamente in un tunnel che lo stava portando verso mete
sconosciute e spiacevoli.
Pensava
ingenuamente di poter smettere quando voleva, che la cocaina non era una droga,
solo qualcosa che lo aiutasse a sopravvivere in quella vita stressante e
frenetica che aveva.
Fesso.
Ci
erano volute le urla di Tom che l’aveva beccato chino su una striscia per farlo
tornare quasi in sé.
“CHE CAZZO STAI FACENDO?”
Quel
grido metà disperato e metà furioso, ferito l’aveva scosso profondamente,
facendolo voltare, lui era sulla porta le braccia allungate sui fianchi, pallido
e spaventato.
Conosceva
suo fratello abbastanza per sapere che tendeva a nascondere le sue emozioni
dietro la facciata della rabbia, soprattutto se era preoccupato
Si
voltò a guardarlo con un espressione vagamente divertita, nel suo delirio di
onnipotenza lo compativa, dandogli dell’idiota, perché reagiva così?
Non
stava facendo nulla di male, quanta gente famosa faceva uso di cocaina e
continuava a tirare avanti?
Lui
si sentiva sollevato da parte dei suoi
problemi potendo contare su quell’aiuto artificiale.
Tom
era entrato nel locale l’aveva scosso per le spalle fragili, forse per
svegliarlo, forse per farsi ascoltare.
Si
era fermato alla sua risata, lunga, divertita e derisoria, assolutamente non da
lui, era la prima volta che lo sfidava così apertamente.
Le
braccia del gemello erano ricadute contro il corpo, sembrava svuotato di
qualsiasi energia, sembrava non riconoscerlo nemmeno più, come se
all’improvviso in quel bagno si fosse accorto che c’era un estraneo.
C’era
una parte di lui che soffriva nel vederlo, un’altra che godeva nel ripagare il
male che involontariamente gli aveva fatto con Francesca.
“Perché
ti sei fermato, fratellino ?
Ti
faccio paura?
TI
faccio s c h i f o?”
L’aveva
attaccato per provocare una reazione, per bearsi di altra rabbia che per la
prima volta vedeva diretta davvero contro di lui, tuttavia era rimasto deluso.
C’era
solo dolore in quello sguardo, nulla di più.
Indispettito
aveva ripreso ad attaccare, perché non gli aveva dato soddisfazione?
“Non mi rispondi?
Te
ne accorgi solo adesso che sto male?
Dov’eri
prima?
Eri
troppo preso dalla tua vita per pensare a me, al fatto che non reggessi più e
visto che non c’eri ho pensato di aiutarmi da solo.
Questo
e quanto, ti ho liberato da una seccatura.
Non
sei felice?”
Questa
era stata la prima delle volte in cui aveva vomitato parole che non pensava per
poi pentirsene amaramente dopo e scusarsi piangendo con lui.
Era
stato allora che aveva realizzato quanto la droga avesse preso il controllo su di
lui e che si era sentito disgustato da se stesso.
Cos’era
diventato?
Era
orribile guardarsi allo specchio e non riuscire a riconoscere la propria
immagine, una volta , al colmo della frustrazione aveva persino tirato un pugno
alla superficie liscia e riflettente.
Si
era formato un piccolo cratere, lui quasi non aveva sentito le schegge
conficcarsi nelle nocche, perso a guardare come quell’evento violento non
avesse fatto altro che creare altre immagini di lui, più piccole e che lo
confondevano ancora di più.
Si
era medicato, scosso.
Aveva
capito che non poteva cambiare se stesso in quel modo, che non poteva farlo da
solo.
Poi
era iniziato il ping pong.
Lui,
quando era lucido chiamava così quel continuo supplicare il fratello di
aiutarlo, per poi ricadere puntualmente in tentazione, ferendo il gemello e
autodistruggendosi.
Non
poteva continuare così, se non sapeva fermarsi in quella caduta non avrebbe
trascinato con se la persona a cui teneva di più.
Doveva
allontanarlo da sé.
[Do you know what's worth fighting for,
When it's not worth dying for? ]
Doveva
fare in modo di ferirlo ancora più in profondità e sperare che questo lo
facesse scappare via da lui, dal mostro che era diventato e farlo rifugiare
dalla persona a cui aveva sempre tenuto senza ammetterlo e a cui scriveva da un
anno.
Francesca
Girardi.
Aveva
trovato l’abbozzo di una lettera per caso il giorno prima e quel piano
delirante aveva iniziato a prendere
forma nella sua testa.
-Fallo Bill, lui avrà
qualcuno a cui appoggiarsi e tu sarai libero.
Libero da lui e dal
peso che rappresenta.
Libero di cadere.-
Deglutì,
era pronto ad assecondare quella voce maligna, purtroppo.
-Tomi, perdonami…-
La
melodia si spense come ad indicare
che era arrivato il momento di
fare quello che si era promesso, anche se faceva male, anche se sentiva il
cuore sanguinare.
Tom
uscì dalla camera, telefonò a una pizzeria e ordinò la cena, lui avanzò verso
di lui.
“Che
pizza hai ordinato?”berciò sgarbato non appena lui ebbe deposto la cornetta
sulla forcella.
“Ai
wurstel.”
“Fa
schifo, cazzo!”
“Ti
è sempre piaciuta…io credevo…”
“Credi
a troppe cose su di me! Prestami un po’ di attenzione!”
Il
gemello abbassò gli occhi.
“Mi
sembra di prestartene abbastanza, vuoi litigare Bill?”
Era
così palese?
“NO,
voglio solo che tu mi ascolti!
Sono
solo un peso per te?”
“Ma
che cazzo dici?
Non
lo sei ne lo sarai mai!”
“Si
che lo sono! Tu per colpa del gemello tossico non puoi fare la bella vita che
facevi prima!”
“Smettila!”
“Sai
una cosa? Sei sfigato.”
Tom
marciò verso la camera di Bill, per poi tornare mestamente trionfante con la
bustina di coca tra le mani.
“Chi
è lo sfigato? Io o te che ti fai per rimanere in piedi?
Come
ti sei ridotto?”
Iniziarono una lite violenta con tanto di insulti ed
oggetti che volavano per la casa.
Bello
spettacolo, vero?
Era
un bravo attore nel simulare qualcosa che non provava?
Non
lo sapeva, ma sperava di riuscire a far andare via il gemello, lui doveva
andarsene!
Doveva!
“Vattene! Mi hai rovinato la vita! Ti odio!”
Con
quella frase seppe di aver raggiunto il suo scopo, lo vide pietrificarsi ed
allargare gli occhi, sembrava avesse ricevuto un pugno in pieno stomaco.
La parola ferisce più della spada…non lo sapevi Bill?
Le
lacrime trattenute lo ferirono anche se le vide solo per un attimo, il gemello
infatti se ne andò immediatamente dalla stanza.
Lo
sentì preparare le valigie di corsa, poi uscì di casa come in trance, spedito
reggendo una sacca e la sua vecchia chitarra.
Faceva
male, terribilmente male, ma doveva lasciarlo andare.
La
porta sbatté, il rumore della macchina che partiva giunse dopo un tempo che a
lui sembrò infinito.
La
recita era finita, l’attore poteva sparire e lasciare emergere il vero Bill
attraverso lacrime copiose.
Aveva
ottenuto quello che voleva, parchè non era contento?
Tom
si sarebbe salvato, era questo che voleva no?
E
allora perché faceva così male?
Perché?
[Does it take your breath away
And you feel yourself suffocating? ]
Perché
la vita non manteneva mai le sue promesse?
SE
lo chiedeva sempre più spesso Leila Schimt durante le lunghe ore che trascorreva dietro
al bancone dell’angolo tabacchi del bar di suo padre, dopo scuola il martedì e
il giovedì.
Vedeva
ragazzi che conosceva che si bruciavano la vita, ragazzi di cui era stata amica farle il vuoto
attorno e si chiedeva il perché di tutto quell’odio.
Lo
sapeva il perché ma si chiedeva perché tutto fosse degenerato così e sempre più
spesso concludeva che era stato tutto sbagliato sin dall’inizio.
[“Sei in una banda
Leila, in una banda.
Non siete un gruppo di
amici che fanno casino, siete praticamente al di fuori della legge e tu questo
l’hai sempre saputo.”
Luca Giradi prese fiato durante la sua sfuriata e le fissò
dritto nei grandi occhi verdi da gatta, che molte ragazze le invidiavano.
“Non dovresti nemmeno
parlarmi, cosa ci fai ancora qui?”
“Perché mi piace
parlare con te, Girardi anche se Fari odia tua
sorella.”
“Ascolta Le quello che
dice Farid non è vangelo, per favore dammi retta ed
esci da questo gruppo.
Verrà un momento in
cui farid farà qualcosa che ti farà capire che è
totalmente fuori controllo e tu non saprai come aiutarlo e lui ti farà il vuoto
attorno.
Tiratene fuori,
piantala di spacciare quella roba e cerca di convincere lui a smettere intanto
che siete ancora un piccolo gruppo!”
Lo guardava in
silenzio, a tredici anni quel ragazzino dimostrava un’intelligenza fuori dal
comune che lei non avrebbe mai avuto, poteva essere furba e smaliziata quanto
voleva, ma Luca era un gradino sopra di lei.
Leila Schimt non era una
persona che desse a chiunque la sua approvazione, il rispetto poi andava solo a
pochi , Fari, sua cugina Ania, Shirin,
Dave il fratello di Shirin
e a Luca e, anche se non l’avrebbe mai ammesso a sua sorella Francesca.
Francesca Girardi era l’unica
ragazza che avesse dato chiaramente e senza paura un due di picche a Fari tre
anni prima e che poi lo trattasse freddamente fregandosene delle conseguenze
che avrebbero potuto esserci.
Era una donna tosta
Francesca Girardi e lei che sentiva di essere fatta
della stessa pasta la invidiava.
“So che lui vuole fare
il grande salto, bhe, dopo sarà troppo tardi sia per
te che per lui.
Quando tu vorrai
uscire e so che arriverà quel giorno, Leila, lui non la prenderà bene e se
anche lui decidesse di non farti nulla, ci sarebbero i suoi amici.
Stai giocando con il
fuoco.”]
Sospirò
amaramente, ancora non sapeva quanto fosse vero, ma forse non le importava
nemmeno saperlo allora.
Si
prese una ciocca tra le dita, erano le dieci di sera e in quel freddo novembre
berlinese con il cielo che minacciava neve, le persone in giro erano davvero
poche.
Nel
locale del bar c’erano solo due vecchi turchi che giocavano a carte fumando un
narghilè, erano certi che nessun poliziotto si sarebbe fatto vedere da quelle
parti.
I
suoi capelli erano tornati del colore naturale, un luminoso arancione che
stonava su di lei e sulla carnagione che pur essendo pallida manteneva un certo colore olivastro di fondo.
Era
mezzo sangue lei, come mormoravano con disprezzo da sempre, credendo che non li
sentisse
Mezzo
sangue.
Significava
che lei aveva un padre tedesco e una madre turca emigrata in Germania, che
forse non era del tutto turca nemmeno lei visto che aveva una massa di mossi
capelli rossi che di orientale avevano ben poco.
Non
era del tutto tedesca, non era del tutto turca.
Parlava
due lingue da sempre, a cui si aggiungeva l’inglese che aveva imparato a scuola
e l’italiano che masticava da quando aveva iniziato a frequentare Luca.
Si
accese una sigaretta scura, simile a un mezzo sigaro e ispirò voluttuosamente
il fumo, sapeva vagamente di vaniglia.
Si
guardò attorno, quell’angolo di locale non era cambiato da quando era piccola e
veniva lì a fare i compiti con Farid, c’era il
vecchio bancone scheggiato, le sigarette dietro di lei, una pistola nel
cassetto, il registratore di cassa e un vecchia foto di loro due da piccoli.
Farid e Leila.
I
due inseparabili.
In
quella foto giocavano a calcio, lui con i capelli neri al vento , lei con i
capelli raccolti in una crocchia in cima alla testa e con uno sguardo di
adorazione pura verso di lui.
Amava
suo fratello, amava quel suo essere forte, pronto a proteggerla e a infrangere
le regole, perché Farid odiava Berlino.
Odiava
quel sentirsi perennemente giudicati sia dai tedeschi che notavano le
carnagioni scure e i nomi e dai turchi
che vedevano i suoi capelli e sapevano il loro cognome.
Loro
erano soli contro il mondo, non sentivano di appartenere a nessuna di queste
due comunità.
[Does the pain weigh out the pride?
And you look for a place to hide? ]
E
quello che a lei faceva male, in lui veniva metabolizzato come rabbia feroce
contro tutto e tutti, che lo faceva esplodere in collere e zuffe.
Lei
lo guardava ammirata come se fosse un eroe, il suo fratellone che come superman
accorreva in suo aiuto.
Per
anni era stato così, fino all’arrivo di Shirin lei
non aveva avuto altro che lui e i due fratelli più piccoli, con cui scorazzava
nel quartiere.
Shirin e la sua famiglia erano arrivati in
una calda mattina di giugno, lei aveva immediatamente fatto amicizia con quella
bambina bella e sorridente, sempre allegra, mentre Farid
aveva trovato un compagno in David.
Il
ragazzo era diventato la sua controparte saggia,l’unico in grado di calmarlo,
almeno per un po’.
Insieme
loro quattro erano diventati una banda raccogliendo intorno a sé un numero
sempre maggiore di ragazzini, tutti quelli che per un motivo o per un altro
erano in guerra contro il mondo.
Ora
era tutto diverso, l’eroe era caduto dal piedistallo, portando con sé la sua
unica vera amica.
[“Lei devo dirti una cosa….Io sono incinta!
Il bambino è di tuo
fratello!”
Lasciò cadere la bottiglietta di birra per correre ad
abbracciare Shirin, non sapeva ancora come sarebbe
finita ma era felice.
Troppo felice.]
L’occhio
le cadde su una seconda foto, ritraeva due ragazzine, una dagli improbabili
capelli fucsia, l’altra dalle treccine nere che sorridevano felici, spavalde.
Quel
passato non poteva tornare, quelle due ragazzine erano morte anche se erano ancora
vive.
Shirin, la sua migliore amica non era più se
stessa da troppo tempo, la previsione di Luca si era avverata in pieno.
[“Cazzo, Shirin cosa è successo?”
Entrò nella stanza
buia della sua migliore amica, stando attenta a dove metteva i piedi, il disordine
era imperante.
La trovò rannicchiata
sotto la finestra.
“Perché mi ha fatto
questo eh Leila?
Perché?
Perché non ha voluto
nostro figlio?”
Che risposta poteva
darle?]
Finì
la sigaretta, la vita da qualunque lato la guardasse rimaneva sempre uno schifo.
Uno
schifo che l’aveva portata a vivere in un quartiere di merda, che dopo averle
dato una migliore amica si era affrettata a riprendersela e le aveva contemporaneamente tolto suo
fratello.
Sentì
delle sedie muoversi nel locale accanto, il vociare degli anziani si spostò
alla cassa, sentì Katarina la barista salutarli con
il suo lieve accento russo.
Ora
era sola davvero.
L’unica
compagnia che aveva era una luce al neon, un pacchetto di sigarette alla
vaniglia e i suoi ricordi.
Meraviglioso.
Sola.
[Did someone break your heart inside?
You're in ruins.]
Com’era
essere soli?
Bill
non l’aveva mai saputo, non aveva mai vagato per le stanze del suo
appartamento, instupidito senza sapere dove fosse Tom, sentendolo lontano.
Aveva
finalmente creato una barriera alta abbastanza
da costringerlo ad andarsene , ma non ne era felice.
Quando
la pizze arrivarono, pagò il fattorino, poi le lanciò via disgustato, non
voleva mangiarle, il cibo era l’ultimo dei suoi problemi.
Rimase
da solo al buio, mentre sentiva il rumore leggero del traffico attorno a sé,
poi si alzò il vento autunnale e il rumore delle foglie scosse da esso degli
alberi del giardino davanti al palazzo
dove vivevano si mischiò al rumore delle macchine.
Non
seppe dire quanto rimase così, era come se si fosse estraniato, senza pensare a
nulla.
Non
era più nel suo corpo, non era più li e non era da altre parti.
Non
c’era e basta.
Fu
il ticchettio fastidioso dell’orologio a riportarlo in quella stanza, scandiva
il tempo vuoto di quella serata, sembrava parlargli.
-Ti piace Bill?
Com’ è cadere da
soli?-
Rimase
un attimo sbalordito, erano delle allucinazioni prodotte dalla droga e basta.
Non
erano vere.
Gli
orologi stavano zitti, giusto?
-No Bill, noi
parliamo.
Guardiamo voi umani e
ridiamo mentre sprecate il vostro tempo senza sapere quanto sia prezioso…
È così divertente….
E tu sai quanto tempo
hai sprecato?
E quanto ne stai
sprecando adesso?-
Si
portò le mani sulle orecchie, non voleva sentire altro.
-Non ci provare
Scorciato, credi basti solo questo a fuggire?
Come credi si senta
Tom?
Male, vero?
Sai di averlo ferito,
ma sei sicuro di aver fatto la scelta giusta?
Non è che volevi una
prova d’affetto?
Volevi vedere tornare
il tuo fratellino distrutto da te, ma è come nella roulette, non si è mai certi
di nulla, potresti aver puntato sul numero sbagliato.
E se non tornasse?
E se ti lasciasse….solo?-
Si
alzò in piedi , camminò come un sonnambulo verso la parete dove un orologio di
vetro con complicati motivi astratti ticchettava placido e taceva .
Forse
quelle voci erano solo nella sua testa, ma doveva essere certo che tacessero e
se per far questo doveva sacrificare un
costoso manufatto, poco importava.
Lo
scaraventò per terra con rabbia, l’oggetto esplose in mille schegge colorate,
che si sparpagliarono per il pavimento scintillando alla debole luce della luna.
Ansante,
si soffermò a guardarle terrorizzato, per un attimo si aspettò una reazione dai
cocci, ma non successe nulla.
Il
silenzio solo regnava nell’appartamento.
Sopirò
di sollievo.
-Troppo facile …
Credevi davvero che
sparissi Bill Kaulitz?
Non l’hai ancora
capito?Io sono dentro di te. Io sono te…
Ti ricordi il video di
“Don’t jump? Immaginami così….che
ruolo vuoi avere?
Il te stesso sul
cornicione o quello che ti salva?-
“STAI
ZITTOOOOO!”
L’unica
risposta che ottenne fu una risata beffarda che lo raggelò.
Quella
cosa non se ne sarebbe andata tanto presto, ne era certo.
Quella
cosa non era in un orologio o in altri oggetti o nelle pizze che giacevano
ancora sul pavimento.
Quella
cosa era in lui, scorreva nelle sua vene, contaminava il suo cervello.
Forse
quella cosa non era altri che lui.
Lui
e i suoi sensi di colpa.
Non
poteva stare più di li, iniziava a mancargli l’aria.
Freneticamente
raccolse i resti della cena , li gettò in pattumiera, poi corse sotto la
doccia.
Si
cambiò , si truccò e si guardò allo specchio ansante, stava sudando
copiosamente.
Era
come in fuga dal demonio, ma sapeva che era inutile fuggire da quella casa.
Totalmente
inutile.
[When you're at the end of the road
And you lost all sense of control
And your thoughts have taken their toll
When your mind breaks the spirit of your soul ]
Prese
le chiavi della macchina, dove poteva andare per non pensare?
Scese
in garage, accese l’auto ed ingranò la retro, stando attento alle altre
macchine e ai pilastri della stanza sotterraneo.
-Dove scappi,
ragazzino?
Puoi
uscire da qui, ma non da te stesso!-
Sibilò
un “Fanculo” alla voce e una volta per strada, si diresse
verso un club piuttosto esclusivo, senza avvisare nessuno.
Era
in pausa dal tour, i produttori non facevano pressioni per un nuovo album, non
erano stati soddisfatti dell’affluenza agli ultimi concerti.
Tutto
quello che aveva tra le mani stava svanendo?
Una
volta caduta la maschera del cantante bello, popolare e androgino, cosa ne
sarebbe stato di lui?
Le
fan sembrava lo stessero abbandonando, lui sentiva di stare lasciando andare se
stesso in malora.
Erano
solo paranoie, solo paranoie.
I
produttori avevano solo capito che lui aveva bisogno di una pausa! Non era
nient’altro, non era l’inizio della fine!
-Ne sei certo?-
“Vattene!
Dannata voce!”
Era
davanti al locale, parcheggiò la macchina e scese, i bodyguard sorrisero.
“Buonasera
signor Kaulitz!”
“Buonasera!”
Dentro
la musica era assordante, fatta apposta per azzerare I pensieri, ragazze
seminude si muovevano sensuali su cubi, sotto fasci di luce colorata.
Sospirò
soddisfatto, poteva iniziare a divertirsi.
Ordinò
da bere, il barista gli lanciò un’occhiata a metà tra l’eloquente e
l’indifferente, come se avesse capito che era fatto di coca e non gli
importasse.
Provò
a leggere la sua espressione e suonava come”Lo so che tiri, bello.
Lo
so che pensi di essere superiore, ma ne ho visti tanti come te….si
sono tutti ridotti male, anche se credevano di sfangarla.”
Scosse
la testa, finì il drink in un colpo solo e si buttò in pista.
Con
la coda dell’occhio gli sembrò di vedere il barista scuotere la testa, lui
sbuffò.
Ben
presto si trovò coinvolto in una marea di gente che si muoveva a tempo con la
musica, qualcuno gli si strusciava addosso, lui non ci dava peso.
Di
nuovo era come se non fosse lì.
“Ehi!”
Vide
una ragazza che ballava sensuale accanto a lui ammiccando divertita , era un
invito?
Decise
di si, così si avvicinò ed assecondò i suoi movimenti, lei sorrise e si voltò,
invitandolo a contemplare una schiena
dalla linea dritta e un di dietro sodo, lui sorrise.
La
voce taceva, o forse rideva divertita in un angolo talmente remoto del suo
cervello che non poteva più sentirla.
La
ragazza prese a strusciare il sedere sul cavallo dei suoi pantaloni, era
eccitante e decisamente piacevole, mettendole le mani sui fianchi la costrinse
a voltarsi.
“Sei
veramente carina sai?”
Ripresero
di nuovo a ballare, lui le accarezzava la scena scendendo fino al sedere, lei
continuava a muoversi sensualmente su di lui e a sorridere provocante.
Aveva
gli scuri e un trucco troppo marcato per i suoi gusti, ma andava bene lo
stesso.
“Anche
tu sei carino…”
Lei
passò un mano tra i capelli, lui la prese per la nuca e la attirò a sé,
baciandola avidamente.
Le
loro lingue lottavano, lei iniziò a gemere, soprattutto quando lui scese a
leccarle il collo continuando a toccarla.
“Sei
bravo sai…”
Gli
mise un mano sui pantaloni, constatando che era eccitato.
“Vuoi
vederlo?”
Lei
sorrise, la trascinò in bagno e la sbatte con poca grazia contro il muro,
continuando a baciarla, mentre lei lo
stava masturbando.
Le
alzò la gonna, lei aprì la cerniera dei pantaloni, abbassò quelli e i boxer,
lui fece lo stesso con i suoi slip.
La
penetrò senza aspettare oltre, ma mentre ascoltava i gemiti di quella
sconosciuta e i suoi, si sentiva vuoto.
-Ti
piace davvero questa vita?-
Non
rispose, colpito dall’orgasmo.
Quando
tutto fu finito, lui la guardò truccarsi calma, apparentemente per lei era
routine.
“Mi
sono divertita, questo è il mio numero.”
Gli
tese un biglietto su cui aveva scribacchiato un numero di cellulare, lui lo
intascò e sorrise.
“Magari
ti chiamo!”
Non
l’avrebbe chiamata mai più, non sapeva nemmeno il suo nome ne era interessato a
conoscerlo, lei uscì ancheggiando dal bagno.
La
voce riprese a ridere.
-Sei solo un fallito…-
[Your faith walks on broken glass
And the hangover doesn't pass
Nothing's ever built to last
You're in ruins. ]
Sei
solo una fallita.
Quella
fase gliel’aveva sussurrata Farid il giorno in cui
gli aveva annunciato che non voleva più avere nulla a che fare con lui e il suo
gruppo.
Erano
parola dure che la ferivano ancora, che considerava veritiere, perché guardando
la sua vita non poteva che essere d’accordo con lui.
Dov’era
Leila Schimt a diciannove anni?
In
quel cesso di quartiere dov’era nata, senza nemmeno il diploma di maturità,
perché per aiutare Shirin aveva perso un anno di
scuola, senza sconti da parte del corpo docenti.
[“Schimt,
lei ha fatto troppe assenze!
Non sappiamo se abbia
o meno aiutato Sayeb e la condotta degli anni passati
non la mette in buona luce.
Siamo costretti a
bocciarla, arrivederci all’anno prossimo.”
Si era sentita
tremendamente umiliata, aveva capito cosa
voleva dire Luca quando le consigliava di darsi una calmata, solo troppo
tardi.
Aveva dovuto
trascinare via sua madre furiosa da quel colloquio per non aggravare
ulteriormente la sua già precaria posizione.]
“Leila?
“
Alzò
gli occhi, Katarina era davanti a lei, le mani sui
fianchi, un ciuffo di capelli chiari che le ricadeva sugli occhi.
“Si?”
“Vai
a casa, ha detto tuo padre che puoi.””
“Va
bene.”
Raccolse
il giubbino nero , uscì dal negozio con l’aria un po’ assente che la
caratterizzava sempre in quel periodo, il cielo era sempre più scuro.
Iniziò
presto a nevicare.
Meglio,
si disse mentre arrancava salendo le scale, almeno sarebbe riuscita a dormire.
Così
fu, quella notte, dopo aver salutato i genitori, i fratelli e Meg, dormì un
sonno profondo e riposante.
Al
mattino era convinta di aver sognato qualcosa di bello, erano anni che non la
capitava, perciò sorrideva ancora mentre si dirigeva a scuola su un vecchio
motorino scassato che apparteneva a Farid.
Teneva
maniacalmente a quel mezzo, nonostante fosse vecchio,
si occupava personalmente del motore ed aveva persino ridipinto la carrozzeria
di viola.
Era
l’unico legame che le rimanesse con suo fratello.
La
mattina passò tranquillamente, sfangò un’interrogazione di matematica, consegnò
un tema di tedesco, le venne consegnata la verifica d’inglese fatta la
settimana prima che risultò come il voto più alto della classe.
Era
di buon umore.
Solo
ogni tanto allungando qualche timida occhiata a Shirin
che sedeva accanto a lei, sentiva il vecchio nodo allo stomaco riformarsi.
Shirin Sayeb non
portava più da tempo i capelli neri in fitte treccine,ma in trascurati boccoli
platinati, risultato di decolorazioni casalinghe che lasciava fare a lei, e non donava più il suo sorriso contagioso a
nessuno, la maggior parte del tempo aveva un’aria persa, timida e sognante.
Era
l’ombra di se stessa.
L’argento
vivo che di lei amava, era morto insieme a suo figlio due anni prima.
Spesso
guardava fuori dalla finestra e quando succedeva Leila sapeva che non era più
lì in quella classe fisica, bensì altrove, in quei ricordi con cui non riusciva
a fare pace.
Era
riuscita a salvarla, tuttavia sempre più spesso si chiedeva per quanto.
[One,
21 guns
Lay down your arms
Give up the fight
One, 21 guns
Throw up your arms into the sky,
You and I ]
Quel pomeriggio
incontrò Luca mentre andava al suo secondo lavoro, sembrava preoccupato,
reggeva svogliatamente una sigaretta in mano e come sempre rischiava di
inciampare in quei jeans a cavallo basso più grandi di lui.
“Ehi
Girardi! Cosa ti turba?”
“Ehi
Schmith! Cosa ti rallegra?”
“La
neve!!”
“A
diciannove anni? Non sei troppo grande per fare la bambina?”
“Uhm
e tu sei troppo giovane per fare il saggio.
Luca,
davvero, cosa è successo?”
Sospirò.
“Stamattina
è passato un vecchio amico di Frankie a casa nostra, uno che conosceva prima
che venissimo qui.”
“E?”
“Non
sapeva che sta a Venezia adesso e io gli ho dato l’indirizzo.
Non
so se ho fatto la cosa giusta, lui l’ha fatta soffrire in passato, ma….”
“Ma
per caso tua sorella era cotta di lui, che magari non l’ha mai cagata per anni e anni?”
“Si,
bhe in tutta sincerità ha iniziato a farsi vivo un
anno fa con delle lettere che mi a madre ha imboscato .
Lo
odia.”
“Come
odia tutti.”
“Tu
come fai a sapere di questa storia di mia sorella?”
“Me
l’ha detto Dave, una volta gliel’ha raccontato Jo
mentre era fatto.
Bhe all’epoca quelle di Jo erano solo
supposizioni, ma tu me le hai confermate.”
“Sei
furba Rossa.”
“Forse,
ma tu sei intelligente e questo è meglio.”
“Non
so se ho fatto la cosa giusta per Frankie.”
“Lou se tua sorella è stata o è innamorata di questo tipo,
tu hai fatto bene a dargli l’indirizzo, perché così almeno avrà un verdetto.
Incontrandolo
potranno succedere due cose, o seppellirà il suo fantasma oppure in base a
quello che lui ha da dirle potrà perdonarlo e renderlo partecipe di nuovo della
sua vita.
In
ogni caso tu le hai dato la possibilità di decidere e credimi questo non è
poco.”
Luca
sorrise come sollevato.
“Grazie
Leila.”
“Prego,
ora vado.
Sono
in ritardo per il lavoro.”
Agitò
la mano, Luca Girardi ricambiò il saluto alzando la mano con la sigaretta.
Fumava
anche lui e questo lo rendeva umano ed adorabile ai suoi occhi, era un miracolo
che non si fosse innamorata di lui e di quell’aria da intellettuale ribelle.
Forse
non era mai stata innamorata.
Non
aveva tempo per quelle riflessioni, doveva correre al lavoro.
Maledetto
lavoro.
Bill
aveva scoperto di detestare il suo lavoro in quei due giorni.
Detestava
essere tormentato da idee per canzoni senza che ci fosse qualcuno ad aiutarlo a
buttare giù i testi accompagnati da una melodia come faceva Tom.
Aveva
provato a coinvolgere Georg e Gustav ma non aveva ottenuto alcun risultato se
non quello di far arrabbiare il bassista quando l’aveva buttato giù dal letto a
orari antelucani.
Solo
Gustav l’aveva calmato.
Che
colpa ne aveva se era iperattivo?
-Non sei iperattivo ….sei solo un tossico.
Quanto ancora credi di
ingannarli?
Gustav l’ha già
capito, lui non parla, ma osserva. Lo sai….-
Non
tentò più nemmeno di zittire la voce, la lasciò parlare ormai nulla aveva più
importanza.
-Ahahahahha! Bella battuta, sembra quella di un aspirante suicida,
peccato ti manchi il coraggio…
Tu vuoi solo liberarti
del batterista-balia, non essere così drastico…limitati
ad andartene!-
[Did you try to live on your own
When you burned down the house and home?
Did you stand too close to the fire?
Like a liar looking for forgiveness
from a stone ]
Andarsene…
Il
suono dolce di quella parola lo accompagno fino a farlo cadere in un sonno
profondo.
Era
su una spiaggia poco dopo l’alba, un uomo
dai capelli raccolti in una lunga coda lo stava indicando a Francesca,
come se lui, Bill, fosse il suo fidanzato.
La
ragazza vestita di bianco, scalza, con i capelli neri al vento lo guardava
perplessa.
Lui
scese verso di lei sorridendo, era così
bella…e non era sua…
La abbracciò e le diede un bacio in fronte quando avrebbe solo
voluto baciare quelle labbra, ma lei non era mai stata sua, ne lo sarebbe mai
stata.
“Ciao Piccola!”
“Vi lascio soli. Ciao Fay!”
L’uomo si allontanò e li lascio soli, Francesca lo
guardò dritto negli occhi e per un attimo si vergognò delle ragazze che si
scopava nei bagni, come quella di due giorni prima.
“Voglio tornare indietro.”
“Non ti piace questa realtà?”
“Non è la mia e poi…”
“Poi tu ami Tom non è vero?”
Faceva male, ma sapeva già la riposta.
“Io…si….”
“L’hai sempre amato.”
“Forse.”
“No Fay….L’hai sempre amato.
Sei certa di voler tornare indietro?”
“Si. Ti prego aiutami!!”
Le sorrise, quell’ammissione l’aveva sollevato dal dolore
dell’incertezza, ora era libero…
“Sei sicura?
Non ti piace qui?”
“Mi sarebbe piaciuto, ma in altra vita.
Non adesso.
Mi dispiace!”
“Ti capisco.”
Le diede un ultimo bacio in fronte, come a
dirle”addio” e la guardò sparire nel mare insieme a quel dolore per non averla
avuta come sua ragazza,sorrise felice
Si incantò a guardare il mare che si infrangeva sulla
spiaggia con un ritmo sempre uguale, era certo che quel sogno non fosse stato
solo suo.
La parte autenticamente sua cominciava adesso.
“Bill!”
Si voltò, Fra era di nuovo davanti a lui, più
matura,aveva in braccio un bambino molto piccolo, Tom la abbracciava da dietro.
“Quand’è che mi renderai zio?”
Mormorò divertito suo fratello, Bill prese il neonato
che gli porgeva la ragazza, aveva gli occhi scuri e un ciuffo di capelli scuri.
“Non ti basta essere padre?”
“No, se tu non sei felice.”
“Ora che l’hai trovata non lasciartela scappare.”
Chi?
Una ragazza vestita di nero con un velo in testa a
coprirle il volto si avvicinò a lui, suo fratello, la sua ragazza e il loro
bambino erano spariti.
C’erano solo loro due.
“ciao amore!”mormorò lei accarezzandogli una guancia.
“Ciao…”
“Chiudi gli occhi.”
Fece come gli era stato ordinato, sentì i fruscii del
velo sollevato e poi sentì le sue labbra calde contro le sue.
Fu il bacio più bello della sua vita perché sentiva
che c’era amore verso di lui nella ragazza che glielo stava donando, lo sentiva
dal fatto che lo attirava a se e lo accarezzava.
Chi era?
Quando la sentì staccarsi, gioì, finalmente l’avrebbe vista…
Tuttavia…
Proprio in quel momento tutto svanì’, era di nuovo
nella sua stanza.
Solo.
Un senso di ansia crescente iniziò a divorarlo, doveva
andarsene da quella casa.
Doveva!
Raccolse le sue cose in una valigia, frenetico come lo
era stato Tom due giorni prima.
-Non puoi scappare da ciò che non ha corpo!-
“Si che posso, è quello che sto facendo!”
Urlò chiudendo istericamente il trolley con un gesto
secco che risuonò come una fucilata nella stanza vuoto.
Mentre percorreva il suo appartamento, ed afferrava le
chiavi della macchina, diretto verso un posto ignoto, sentiva di stare dando
addio a molte cose.
Ma il futuro?
Il tanto decantato, il fottuto futuro, come sarebbe
stato?
Ingranò la retro, uscì di nuovo dal lussuoso
parcheggiò sotterraneo, con un cd dei Green Day di
sottofondo.
La strada ora era davanti a lui che si accese una
sigaretta, ora era certo di una cosa.
Era certo di non avere risposte, di essere solo una
foglia in balia del vento della vita.
Solo.
[When it's time to live and let die
And you can't get another try
Something inside this heart has died
You're in ruins. ]
ANGOLO DI LAYLA
Eccomi
con il promesso seguito… non so nemmeno da dove mi
sia uscita una descrizione del genere.
A me
non piace molto, non stilisticamente, ma nel contenuto.
A
essere sinceri non mi ci riconosco per niente….
Spero
vi possa piacere^^.
AH! La canzone
che accompagna il capitolo è “21 guns” di Green Day
Ringrazio:
Big Angel Dark
_Pulse_
Schwarz Nana
Black Down Th
Schrei_Kris
Lady Cassandra
Per le
recensioni all’ultimo capitolo di“Francesca“