Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: ChrisAndreini    22/03/2020    1 recensioni
Cinque coppie, cinque cliché, tropes letterari e delle fanfiction ovunque, e un narratore esterno e allo stesso tempo interno che sembra attirare a sé le più assurde coincidenze e situazioni da soap opera.
Un gruppo di amici si ritrova a passare l'anno più movimentato della loro vita guidati dai propositi, dall'amore, e da una matchmaker che non accetta un no come risposta.
Tra relazioni false, scommesse, amici che sono segretamente innamorati da anni, identità segrete e una dose di stalking che non incoraggio a ripetere, seguite le avventure della Corona Crew nella fittizia e decisamente irrealistica città di Harriswood.
Se cercate una storia piena di fluff, di amicizia, amore, e una sana dose di “personaggi che sembra abbiano due prosciutti negli occhi ma che alla fine riescono comunque a risolvere la situazione e ottenere il proprio lieto fine”, allora questa è la storia che fa per voi.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Corona Crew'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Blind Date

 

 

Martedì 22 Gennaio

Max si rigirava tra le mani un reperto di incomparabile bellezza. Un vaso greco che aveva appena tirato fuori con le sue mani… e pennelli vari perché tutto si poteva dire di lui, tranne che fosse poco attento quando lavorava.

-Che scoperta grandiosa, Max. Mi sai dire di quale periodo storico è?- chiese il responsabile degli scavi, interrogandolo.

-Max- sentì una voce chiamarlo poco distante, ma la ignorò.

Il ragazzo si rigirò il vaso tra le mani, cercando di carpirne i particolari.

-Allora, è un vaso in ceramica a figure rosse, quindi è sicuramente dopo il 500 a.C.- cominciò la sua analisi, cercando di carpire ogni dettaglio nonostante l’immagine sembrasse scomporsi e ricomporsi davanti a lui.

-Ottimo, vai avanti…- lo incoraggiò il responsabile, che… oh, era una donna? Max poteva giurare che fino a due secondi prima fosse un uomo. Vabbè, non era importante. Era il vaso ad essere importante. Dunque…

-Max- la voce che lo chiamava si fece più chiara, ma lui continuò ad ignorarla. Doveva restare concentrato.

-Le figure rappresentate sono divinità, la forma del vaso è…- Max socchiuse gli occhi, cercando di capire quali fossero le divinità e sentendo il vaso cambiare tra le sue mani. Che reperto incredibile. Non aveva mai studiato vasi magici. Che fosse il famoso “Vaso di Pandora”?

-Max!- la voce che lo chiamava divenne fin troppo chiara, e Max sobbalzò vistosamente, alzando la testa e ritrovandosi faccia a faccia con Sonja, che lo stava scuotendo un po’ preoccupata.

-Efesto e Afrodite! …No, anzi, Ares e Afrodite- disse con sicurezza, facendo indietreggiare Sonja.

-Max… tutto bene?- chiese la ragazza, squadrandolo preoccupata.

Fu solo a quel punto che Max si rese conto di non essere in un sito archeologico, ma sul retro del Corona Café, e che probabilmente si era addormentato durante i suoi dieci minuti di pausa pranzo.

Pausa pranzo che sperava di poter utilizzare per studiare Archeologia Greca.

Inoltre aveva appena fatto una figuraccia terribile davanti a Sonja.

Pregò Ares e Afrodite che tutto ciò fosse parte del sogno.

-Sembri esausto. Stai bene? Hai bisogno di riposarti un altro po’?- gli chiese Sonja, mettendogli una mano sulla fronte e confermando di essere del tutto reale.

Max si strofinò gli occhi cercando di mettere meglio a fuoco l’elegante figura della ragazza e aggrapparsi del tutto con la mente alla realtà. 

-Sonja… no, non preoccuparti. Che ore sono?- chiese, alzando lo sguardo verso l’orologio a muro dall’altra parte della stanza.

La pausa pranzo era finita da tre minuti. Si era addormentato approssimativamente cinque minuti dopo aver cominciato a studiare, quindi aveva dormito la bellezza di otto minuti consecutivi.

-Sono pronto a tornare a lavoro- assicurò Max, prima che Sonja potesse rispondere alla domanda precedente, e provò ad alzarsi, solo per essere spinto nuovamente sulla sedia dalla ragazza.

-Nein! Hai una pessima cera. Posso coprire io il tuo turno. Torna a casa a dormire- gli suggerì, in tono autoritario e deciso.

Ma Max non poteva permetterselo.

-Non posso. Ho bisogno di lavorare, e devo studiare. Ho l’esame tra due giorni, e devo ancora inviare la domanda al professore e…- Max iniziò ad elencare tutto quello che doveva fare entro la settimana, e sentì quasi un peso fisico che si posava sulle sue spalle.

Si prese il volto tra le mani, e sospirò.

-Max…- Sonja gli mise una mano sulla spalla, per cercare di rassicurarlo in qualche modo.

Per un attimo, il peso sembrò placarsi.

-Mi dispiace, non volevo ammorbarti con i miei problemi. Torno subito a lavoro- cercando di non mostrare il rossore che gli aveva appena tinto le guance, Max si alzò, prese il grembiule che aveva posato sulla sedia, e si diresse senza dire altro verso il salone principale del café, per riprendere.

Sentiva le palpebre pesanti, e probabilmente avrebbe almeno dovuto prendere un caffè durante la pausa, ma non aveva più tempo da perdere.

Perché tutto si poteva dire di Max, tranne che fosse poco professionale quando lavorava.

Notò con una certa sorpresa che la Corona Crew era quasi tutta al solito tavolo, e si avvicinò per controllare la situazione. 

-Salve ragazzi, avete già ordinato?- chiese, accennando un sorriso.

Del gruppo mancavano solo Felix e Mirren, e accanto a Denny, Max notò con stupore che c’era Mathi.

Amabelle sembrava al settimo cielo.

-Max! Eccoti! Ci serve il tuo giudizio da fratello maggiore- lo accolse la ragazza, alzandosi in piedi e battendo con veemenza i pugni sul tavolo.

-Oh no! Ricomincia- sentì Denny borbottare tra sé, o almeno, Max intuì che dicesse questo. Dato che aveva il volto completamente sepolto tra le mani e cercava di farsi piccolo e invisibile.

Accanto a lui, Mathi sorrideva tra sé e lo guardava dispiaciuto.

Se Max fosse stato leggermente più sveglio sicuramente avrebbe cercato di mietere l’imbarazzo del fratello, ma al momento non trovava le parole, e si limitò a guardare Amabelle con sguardo interrogativo, chiedendosi cosa volesse.

Probabilmente c’entrava Mathi, ma non aveva la forza di intuire oltre.

-Approvi che Mathi entri nel gruppo e sposi tuo fratello?- chiese Amabelle, con sguardo assassino.

Beh, probabilmente doveva essere uno sguardo civettuolo e gioioso, ma Max sapeva che quello sguardo, su Amabelle, era sinonimo di guai.

Un momento… sposare?

Perché mai Denny non gli aveva detto che si era fidanzato con Mathi? Di solito si dicevano ogni cosa.

Poi la sua mente elaborò le informazioni, lenta come un vecchio computer, e si ricordò che l’appuntamento era finto, si rese conto che Denny si era ritirato ulteriormente e che Mathi sembrava in imbarazzo quanto lui, e soprattutto gli tornò alla mente che per il momento Denny si professava ancora etero con parecchia convinzione, quindi era piuttosto improbabile che avesse avuto un’epifania in pochi giorni, soprattutto senza dirglielo.

Loro due si dicevano tutto.

-Credo che Mathi sia un ragazzo simpatico e non sono contrario a farlo entrare nel gruppo, ma forse è il caso di lasciare a loro due i programmi di matrimonio, non pensi?- disse con gentilezza, facendo sbuffare Amabelle, che si risedette.

-Si, si, ma sono lenti. Sono tutti lenti! Come va con Sonja?- cambiò argomento Amabelle, guardandolo con lo stesso sguardo assassino di prima.

-Non mi avete risposto, avete già ordinato?- chiese Max ricambiando argomento in tutta fretta, rivolgendosi a Norman, che sicuramente sarebbe stato il più propenso a rispondergli.

-Non ancora- disse infatti il ragazzo.

-Siete pronti o ripasso più tardi?- chiese poi verso l’intero tavolo.

-Sei fortunato che non ho piani per te a Gennaio. Ma a Febbraio mi rifaccio! Preparati!- lo minacciò Amabelle, con voce bassa e spaventosa -Prendo un tè freddo alla pesca con ghiaccio e una angel cake con panna, grazie- aggiunse poi, addolcendo la voce, che tornò zuccherosa.

-Jekyll e Hyde- Max sentì Mathi commentare tra sé. 

Non poteva che trovarsi d’accordo.

Dopo aver preso le ordinazioni, si avviò celermente in cucina, per segnalarle a Roelke.

Si preparò mentalmente ad una futura probabile sfuriata di Clover nei confronti di Amabelle, dato che quest’ultima si era messa a torchiarla per un qualche appuntamento al buio, prese le ordinazioni di un altro paio di tavoli e si mise in attesa di nuovi sviluppi.

Forse poteva andare a lavare i piatti.

Prima di tornare in cucina, si concesse di chiudere gli occhi per cinque secondi, cercando di restare concentrato.

Quando li riaprì, Roelke lo guardava con un sopracciglio inarcato e le braccia incrociate.

Controllò che non avesse combinato qualcosa di male, ma era tutto normale.

-Va tutto bene, capo?- chiese, confuso.

-Quanto hai dormito?- chiese lei, indagatrice.

Max notò che alle sue spalle Sonja lo stava osservando mentre preparava delle bevande. Dopo essere stata beccata, tornò concentrata sul suo compito, arrossendo appena.

-Abbastanza?- il ragazzo cercò di aggirare la domanda, tornando con lo sguardo verso la sua superiore. Cercò di renderlo un’affermazione, ma uscì più come una domanda.

Purtroppo non era bravo a mentire. Anzi, odiava le bugie e i segreti. 

-Quanto?- insistette Roelke.

Ma a volte una piccola bugia innocente poteva anche servire, dopotutto.

-Il giusto numero di ore… non le ho contate- Bugia. In quel periodo contava ogni singolo minuto cercando di usarlo al meglio.

-Quanto?- continuò Roelke, che fiutava le bugie come un cane da tartufi.

-Otto ore…- Bugia.

-Quanto?-

-Tre ore…- Bugia.

-Quanto?-

-Un’oretta, circa… forse un po’ meno…- Bugia.

-Quanto, Max?!- 

-Ventitrè minuti… non consecutivi. Otto durante la pausa pranzo- ammise alla fine, sospirando come se si stesse liberando di un peso.

Anche Roelke sospirò, anche se fu quasi uno sbuffo esasperato.

-Ti stai stressando troppo, Max. Lo so che hai molti esami, puoi benissimo fare meno turni- cercò di venirgli incontro, in tono comprensivo, mettendogli una mano sulla spalla con fare confortante. Era una cosa di famiglia evidentemente. Anche se Sonja era stata più d’aiuto, per certi versi.

-Non è un problema per me lavorare. Mi aiuta a distrarmi- questa non era una bugia. Era quasi rinfrancante pensare a degli essere umani invece che a soli reperti.

-Ma dovresti dormire. Per oggi il turno è finito. Usa il tempo per riposarti. E non ti voglio a lavoro fino a giovedì- gli ordinò lei, con un dito ammonitore.

Max avrebbe voluto obiettare, ma sapeva che con Roelke era inutile. Se ci fosse stato Kodie sarebbe stato molto più facile.

E doveva ammettere che si sentiva davvero sollevato.

Senza l’impegno del bar avrebbe avuto tutto il giorno successivo per finire il ripasso e la richiesta di assunzione per il professore.

Probabilmente sarebbe anche riuscito a dormire, almeno qualche ora.

-Va bene- cedette, abbassando lo sguardo -La ringrazio, signora King- accennò un sorriso, e si tolse il grembiule, iniziando a dirigersi verso il retro per recuperare le sue cose.

Si rese conto che l’intero tavolo della Corona Crew lo stava fissando on insistenza, e decise di fare tappa lì.

-Roelke mi manda a casa a riposare e mi da il giorno libero domani- spiegò brevemente.

Denny tirò un profondo sospiro di sollievo.

-Per un attimo temevo ti avesse licenziato. Avevo paura che fosse a causa mia- ammise tra sé.

-Tranquillo, Denny. Fare favoritismi ai nostri migliori clienti non sarà mai motivo di licenziamento- lo rassicurò, scompigliandogli i capelli.

-Posso accompagnarti a casa?- chiese Clover alzandosi in piedi e prendendo con veemenza la borsa.

-Ma non hai appena ordinato un ginseng e un cheese toast?- Max piegò la testa confuso.

-Sì, e sono estremamente affamata e allo stesso tempo decisa a restare digiuna pur di non sentire le prediche assillanti di Amabelle!- si lamentò Clover, lanciando alla ragazza un’occhiata indispettita.

Amabelle fece il muso, e le lanciò un tovagliolo arrotolato. 

-Sarebbe molto più semplice per entrambe se solo accettassi subito. Tanto lo sai che prima o poi cederai. Meglio prima che poi- disse con sicurezza, e sguardo malefico.

-Meglio mai!- obiettò Clover, con altrettanta sicurezza, rilanciandole la pallina di carta.

-Rimpiango di non aver accompagnato Mirren e Felix al corso di pittura- borbottò tra sé Petra.

-Non puoi saltare il pranzo, Clover. E poi non vado a casa, ma in biblioteca. Devo prepararmi per l’esame di giovedì- Max cercò di concentrarsi sul problema più urgente, sbadigliando sonoramente.

-Eh no! Tu ora vai a casa! Non hai dormito, e si vede- Clover tornò a concentrarsi su di lui, lanciandogli un’occhiataccia peggiore di quella riservata ad Amabelle.

-Ho dormito abbastanza- cercò di insistere Max.

-Non è vero. Ti ho sentito tutta la notte sfogliare pagine- obiettò Denny.

Tradito dal suo stesso fratello.

-Se ti disturbavo dovevi dirmelo. Sarei andato in salotto- si dispiacque Max. Era convinto di essere stato abbastanza silenzioso.

-No, no. Sono riuscito a dormire, ma comunque so che tu non hai fatto altrettanto- Denny incrociò le braccia, coalizzandosi con Clover.

-È deciso. Mando a monte il mio pranzo e ti trascino a casa- Clover fece per dirigersi con forza verso di lui e trascinarlo fuori, ma Max alzò le mani e le fece cenno di risedersi al tavolo.

-Facciamo così… mentre tu mangi io ti aspetto fuori e studio un po’. Poi mi riaccompagni a casa e vado a dormire, va bene?- propose, cercando di trovare un compromesso. Non voleva che Clover saltasse i pasti. Aveva già avuto problemi con il cibo, in passato, e non voleva che ci ricascasse.

-Va bene. Mi sembra equo. Ma mangerò veloce. E tu non mi dare fastidio!- indicò Amabelle, che alzò le mani in segno di resa, parecchio delusa dalla piega che stavano prendendo gli eventi.

-Bene, vado fuori. Ci vediamo dopo, ragazzi. Buon pranzo- con quest’ultimo saluto, Max si diresse un po’ barcollante verso il retro dell’edificio.

-I pranzi con la Corona Crew sono sempre così?- sentì Mathi ridacchiare tra sé, ma quando gli risposero, Max era già fuori dalla portata d’orecchio.

Raccolse le sue cose, e uscì per sedersi sul muretto davanti al café. Era sotto un albero che Max adorava, e nonostante fosse spoglio al momento, rappresentava comunque una buona connessione con la natura. Max respirò a pieni polmoni l’aria esterna, e aprì il libro dove si era interrotto. Vasi in figure rosse, ovviamente. Sorrise tra sé pensando al sogno che aveva fatto poco prima. Quell’esame ormai si stava infilando troppo nella sua testa. Era un buon segno, no?

-Herr… Max?- sentì la ormai familiare voce dall’accento tedesco chiamarla, e non trattenne un sorrisino.

Alzò lo sguardo per incontrare gli occhi azzurri di Sonja, e alzò le mani sulla difensiva.

-Ho intenzione di tornare a casa, ma sto aspettando Clover- spiegò, sperando che la zia della ragazza non uscisse con un matterello pronto a minacciarlo per farlo tornare immediatamente a casa e sotto le coperte.

-Ja, ho inavvertitamente sentito la conversazione mentre portavo le bibite al tavolo accanto- ammise la ragazza, sorridendo timidamente e avvicinandosi al muretto, senza però sedersi.

-Volevo solo… sai…- continuò poi a dire, un po’ incerta.

Max piegò la testa, confuso, ma non disse nulla, per incoraggiarla a continuare.

-Spero che tu non ce l’abbia con me per aver avvertito tante della tua situazione. Ero solo preoccupato per te- ammise, con voce sottile, alzando poi lo sguardo per guardarlo, imbarazzata.

Max era sorpreso.

-Oh, no- disse con semplicità -Non preoccuparti, non potrei mai avercela con te. Eri in buona fede- la rassicurò, sorridendo più ampiamente.

Era il turno di Sonja di essere sorpresa.

-Sicuro, non è stato indelicato o sconveniente da parte mia?- chiese, inarcando le sopracciglia.

-No. Anzi, ti ringrazio per preoccuparti per me. So di dover dormire di più, ma non mi piace non tenere fede ai miei impegni- ammise, chiudendo il libro e posandolo accanto a lui, per non dare l’impressione di avere fretta di chiudere la conversazione.

Adorava parlare con Sonja, non voleva smettere di farlo.

-Sei davvero responsabile- la ragazza si sedette accanto a lui, sembrava quasi ammirata.

-È una cosa normale. Devo aiutare mio padre, come posso- minimizzò lui, con un sorrisino triste -È sempre fuori per lavoro e guadagna una miseria- 

-Che lavoro fa?- Sonja si avvicinò leggermente, curiosa.

-È un giardiniere. Cioè, in realtà è un architetto paesaggista, ma lavora principalmente come giardiniere. Va nei giardini dei ricchi e tiene tutto in ordine- spiegò Max, orgoglioso.

Sonja si illuminò.

-Un architetto paesaggista? Io adoro i giardini! Li trovo davvero rilassanti- rivelò, entusiasta.

-Ne conosco alcuni bellissimi in città. Potrei portartici un giorno di questi. Quando sarò un po’ più libero- propose Max.

Sonja annuì con vigore.

-Sarebbe fantastico!- poi sembrò rendersi conto di qualcosa, e si spense come una lampadina fulminata.

-Tutto bene?- indagò Max, un po’ preoccupato.

-Uh? Sì! Nulla! Studi archeologia?- chiese lei cambiando argomento, e indicando il libro.

-Oh? Sì. Già. È la mia specialistica. Conto di laurearmi in anticipo. Ho già preso una laurea breve in storia dell’arte- spiegò, preso in contropiede dal cambio repentino di argomento ma non insistendo sulla questione precedente.

-Wow. Scommetto che stavi sognando un vaso greco- suppose Sonja, con sguardo furbetto.

-…sì, come lo hai capito?- Max la guardò ammirato, e lei iniziò a ridacchiare.

-Appena sveglio hai farfugliato qualcosa su Ares e Afrodite- gli ricordò , facendolo arrossire.

-Mi scuso ancora per averti spaventata, poco fa- Max si prese la testa tra le mani, imbarazzato.

-Figurati. Non è la cosa più strana che mi succede con te- lo rassicurò, quasi tra sé.

Max aprì la bocca per indagare, ma venne anticipato dall’uscita veemente di Clover, che iniziò a parlare senza neanche assicurarsi che lui fosse effettivamente seduto lì.

-Maledico il giorno in cui mi hai presentato quella ragazza! Sono a tanto così da uscire dalla Corona Cr…- si interruppe appena notò che Max non era solo, e fece qualche passo indietro.

-Scusate, interrompo qualcosa? Posso mettermi in un angolo ad aspettare- propose, indicando un cespuglio poco lontano.

-Nein! Devo tornare a lavoro. Ci vediamo presto, Max. Spero riuscirai a riposare- Sonja si alzò di scatto, come svegliata da un sogno, e salutò Max, indietreggiando in tutta fretta -Lo lascio nelle tue mani. Controllalo per me- disse poi a Clover, con un sorriso complice.

-Lo seguirò come un segugio, stanne certa. Buon lavoro- la salutò Clover, con un sorriso divertito.

-Buona giornata- e con un ultimo saluto verso entrambi, Sonja tornò dentro.

-Allora…- Clover iniziò ad indagare, con sguardo malizioso.

-Sono troppo stanco per sostenere questa conversazione- cercò di evitare l’argomento Max, mettendo il libro dentro la borsa e alzandosi con qualche difficoltà in piedi.

-Ma devi pur pensare a uscire. Sono sei mesi che non vai ad un appuntamento- obiettò Clover, affiancandolo e iniziando a camminare verso la fermata dell’autobus.

Max si limitò a lanciarle un’occhiata eloquente, e Clover arrossì leggermente.

-Per me è diverso! Io non voglio andare ad un appuntamento!- si mise sulla difensiva, incrociando le braccia.

-Lo so, lo so. Io invece vorrei, ma non ho tempo- osservò Max, rassegnato -Qual è il piano di Amabelle?- indagò poi, pronto a sentire sclerare l’amica al riguardo.

Come previsto, Clover si infiammò.

-Cerca di convincermi a tutti i costi a fare un appuntamento al buio alle “Cascate”. Dice che è tutto prenotato e paga lei e che sarebbe scortese rifiutarmi- cominciò a spiegare Clover, stringendo i pugni e cominciando a marciare, più che a camminare.

Se Amabelle l’avesse chiesto a Max, lui non avrebbe avuto alcun motivo per rifiutare. Ma Clover e Max erano completamente diversi.

-Come osa pagarti una cena nel tuo ristorante preferito!- commentò il ragazzo, sarcastico.

Clover lo fulminò con lo sguardo.

-Non fingere di non capire che la parte problematica è l’appuntamento!- 

-Okay, okay. Quando sarebbe l’appuntamento?- chiese, curioso.

-Sabato-

-Quindi tu saresti disposta a sorbirti l’insistenza di Amabelle fino a sabato pur di non mangiare al tuo ristorante preferito senza neanche dover pagare?- 

Clover si fermò, e Max si voltò verso di lei.

-Da che parte stai?!- chiese la ragazza, indicandolo con fare accusatorio.

Max alzò le mani in segno di resa.

-Dalla tua, ovviamente. Per questo penso che dovresti accettare- cercò di farla ragionare.

Clover sbuffò sonoramente, e si rimise a camminare, superandolo.

Max si affrettò a stare al passo.

-Non sto dicendo che devi iniziare a uscire con qualcuno, ma che accettando l’appuntamento adesso potresti evitare che Amabelle si accanisca in futuro- cercò di mostrarle il quadro completo, e Clover rallentò il passo, interessata.

-In che senso?- chiese, dandogli il beneficio del dubbio, ma ancora poco convinta da ciò che stava dicendo.

-Senti, conosco Amabelle da quando eravamo piccoli, e so che se si mette in testa una cosa non c’è modo di farla desistere. Siamo tutti spacciati. Ma conosco alcuni suoi punti deboli- illustrò, sperando di fare il bene di entrambe le ragazze con la sua piccola informazione.

-Okay, ti ascolto- Clover tirò fuori il telefono per prendere appunti.

-Amabelle non si rimangia mai le promesse. Quindi se vuoi che eviti di assillarti ulteriormente, fate un patto- le suggerì, con semplicità.

-Mi stai dicendo che Amabelle è tipo Tremotino?!- Clover lo guardò a bocca aperta. Max quasi si strozzò con la sua saliva.

-Non userei questi termini, ma a conti fatti è un buon paragone- ammise, tra sé.

-Un patto, eh? Del tipo “smetti si assillarmi e io non ti minaccerò con un coltello?”- rifletté Clover, con sguardo assassino.

-Pensavo più a una cosa del tipo “Se accetto di andare all’appuntamento e va male, poi non mi assillerai più per altri appuntamenti”- propose lui, con pacatezza.

-Ma non ci voglio proprio andare!!- Clover si prese la testa tra le mani, abbattuta.

-Quindi è praticamente assodato che andrà male e dovrai solo fare un piccolo sacrificio per vivere almeno un anno in serenità- le fece notare lui.

-Ammettilo, ti ha comprato! Sei dalla parte di Amabelle!- lo accusò, sospettosa.

-Clover, seriamente… io voglio solo che tu sia felice. E se mi dici che non sarai felice uscendo con qualcuno, allora mi preme evitare che tu lo faccia. Questo è l’unico modo che mi è venuto in mente per evitare che Amabelle insista- provò a convincerla, sorridendole incoraggiante.

Clover aprì la bocca per obiettare, ma Max fu più veloce.

-…senza ferirla- aggiunse in fretta. Clover richiuse la bocca sconfitta.

Arrivati alla fermata, Clover si lasciò cadere drammaticamente sulla panchina, e sospirò, rassegnata.

-Va bene. Domani in palestra informerò Petra che sono pronta a negoziare. Spero solo che il ragazzo dell’appuntamento non sia…- si interruppe, e strinse i denti, seccata.

Max avrebbe voluto indagare, ma decise di lasciar perdere. Sapeva che c’erano cose che era meglio non chiederle. Erano migliori amici solo dall’ultimo anno di liceo, e Max sapeva che prima che si conoscessero la vita di Clover era stata complicata. Complicata ai livelli di una fanfiction sugli One Direction o Justin Bieber. Quel tipo di “complicata”.

-Chiunque sarà, peggio di Richard non potrà mai essere- Max provò a vedere il lato positivo.

-Oh, non esiste nessuno peggio di Dick. Beh, nessuno che Amabelle conosca- gli diede man forte Clover.

-E in ogni caso poi potrai anche non vederlo mai più- aggiunse Max, incoraggiante.

-Sì, hai ragione. Arriva il tuo autobus. Ti accompagno fino a casa e poi torno indietro- Clover notò la vettura e si alzò per fermarlo e salire.

Max la guardò con affetto, e la seguì.

L’accusa della ragazza, che lui fosse invischiato con Amabelle, non era del tutto infondata.

In effetti la matchmaker lo aveva preso da parte e gli aveva supplicato di convincere Clover ad accettare l’appuntamento, ma Max non aveva accettato. Almeno, non alle sue condizioni.

Voleva bene ad entrambe le ragazze. Clover era la sua migliore amica, e Amabelle era come una sorella minore. 

Pertanto aveva trovato la soluzione che sperava sarebbe stata perfetta per entrambe: un’occasione a Clover di trovare l’amore; e una ad Amabelle di farglielo trovare.

Sperava davvero che andasse tutto bene.

 

Sabato 26 Gennaio

Sì, beh, Clover doveva aspettarselo.

Era arrivata elegantemente in ritardo alle “Cascate”, e fissava da una distanza di sicurezza quello che, sì, aveva controllato almeno tre volte, era il suo tavolo, con il suo blind date.

Diego Flores.

L’ultima persona che avrebbe voluto vedere in tempi brevi, specialmente a un appuntamento al buio. 

Era intento a guardare il menu e dare discrete occhiate all’orologio. Per il resto non sembrava aspettarla. Insomma, lei era lì a fissarlo da almeno dieci minuti, e lui non aveva ancora sollevato lo sguardo né si era guardato intorno.

Clover avrebbe volentieri fatto dietro front e sarebbe tornata a casa dandogli buca, ma al suo arrivo aveva notato che Amabelle era nascosta dietro un cespuglio davanti a una finestra che dava proprio sul tavolo, quindi doveva per forza partecipare all’appuntamento, o il patto che avevano stipulato sarebbe saltato.

Maledizione!

L’idea di Max aveva funzionato alla perfezione. Clover aveva introdotto l’idea a Petra in palestra, poi si erano accordate per tenere una riunione d’affari con Amabelle al Corona Café, e dopo un’ora di chiacchiere su quella stupida serie TV che Amabelle aveva iniziato a vedere assiduamente, avevano trovato un accordo: Clover doveva andare all’appuntamento, e Amabelle non avrebbe insistito a proporgliene altri al buio, a prescindere da come fosse andato.

Clover avrebbe voluto aggiungere una totale esclusione di Amabelle dalla sua vita privata, ma Amabelle aveva ribattuto che i loro propositi erano collegati e lei non poteva evitare di interferire.

Clover rabbrividiva al solo pensiero dello stupido proposito che aveva scelto. Era ubriaca, perdiana! Non intendeva veramente sposare qualcuno solo per dare fastidio a suo padre! Anche se deluderlo non era neanche male come idea. 

Alla fine si decise a raggiungere il tavolo, anche perché la sua esitazione iniziava a catturare gli sguardi di molti avventori. Non che le dispiacesse un po’ di attenzione, ma non voleva disturbare qualcuno con la sua sola presenza. 

Si avviò con una sicurezza che non le apparteneva al tavolo, cercando di convincersi che il suo appuntamento fosse con qualcuno che non conosceva.

Dopotutto non lo vedeva da quindici anni, era a tutti gli effetti un completo estraneo.

Quando raggiunse il tavolo, notò Diego lanciarle un’occhiata molto rapida.

Lo vide abbassare lo sguardo, stringere i denti per un attimo, e poi tornò a guardarla, con un ampio sorriso.

Ohhh, lui si ricordava eccome di lei! Era palese!

Che grandissimo figlio di… una bravissima madre che aveva avuto la sfortuna di avere un tale disastro come figlio!

-Dovevo aspettarmelo. Ti manda Amabelle per l’appuntamento al buio?- chiese Diego alzandosi.

-No, guarda. Sono qui in gita scolastica e mi sono messa in ghingheri solo per sport- replicò sarcastica lei, sedendosi davanti a lui.

Lo vide fare un gesto inconsulto, come se stesse valutando l’idea di farla accomodare, ma poi optò per sedersi e basta.

Quindi non era neanche un gentiluomo!

…purtroppo essere gentiluomini per Clover era un punto a sfavore (come se non si sapesse sedere da sola, insomma!) ma per lui decise di fare il contrario.

-Una costosa gita di classe- commentò Diego, posando il menu da un lato.

-Pagata dalla scuola- Clover lanciò un’occhiata verso la finestra, in tempo per vedere una testa rossa nascondersi in tutta fretta, mentre Norman rimase in bella vista.

La salutò. Clover non ricambiò.

-Perdona il ritardo. La bellezza ha i suoi tempi- la ragazza scosse la chioma accuratamente sistemata per l’occasione. Dopotutto, anche se non voleva partecipare all’appuntamento, non significava che non voleva apparire al meglio. La sua regola d’oro era farlo soprattutto per sé stessa.

-Non preoccuparti, ho avuto il tempo di studiare il menu. Vuoi ordinare da bere?- propose Diego, riaprendo il menu e dando un’occhiata alle bevande, più per avere qualcosa da fare che per necessità. Sembrava evitare a tutti i costi di guardare Clover negli occhi.

-Possiamo anche ordinare direttamente. Conosco a memoria il menu. So già cosa prendere- rispose la ragazza, facendo un cenno a un cameriere poco distante.

-Signorina Paik, è un piacere vederla. Cosa posso portarvi?- lui arrivò immediatamente, servile e preparato. Lo erano tutti in quel ristorante di lusso, ma Clover sapeva che a lei e al resto della sua famiglia era riservato un trattamento di favore. Essere la figlia dell’uomo più ricco della città dava vantaggi simili.

E lo dava anche essere clienti abituali.

-Io prendo i ravioli in bianco e l’orata. Da bere il vino bianco più pregiato che avete- ordinò Clover con sicurezza. Erano tra i piatti più costosi del menu, ma era il minimo per vendicarsi indirettamente di Amabelle.

Certo, sapeva in cuor suo che Petra avrebbe pagato, ma in ogni caso Petra non aveva fatto nulla per toglierla dalla situazione, quindi meritava una vendetta anche lei.

-Ottima scelta, signorina… per lei, signore?- il cameriere si rivolse a Diego, che stava controllando qualche nome nel menu.

-Io prendo le linguine allo scoglio e il misto mare. E una bottiglia d’acqua frizzante- ordinò lui con minore sicurezza, ma cercando di mostrarne almeno un po’.

Si mantenne contenuto sui prezzi. Clover conosceva a memoria il menu, ogni singolo piatto con costi e tutto. Le linguine allo scoglio erano forse il primo meno costoso.

Non commentò al riguardo.

E poi che avrebbe potuto dire? 

“Mi dispiace che sei ancora povero, Diego”

Non era proprio un commento che una sconosciuta avrebbe dovuto fare, soprattutto a un primo (e ultimo) appuntamento.

-Arrivano subito, signori. Volete anche un aperitivo?- propose il cameriere, riprendendo i menu.

-No- risposero insieme i due, per poi guardarsi, e sorridere leggermente.

Distolsero immediatamente lo sguardo.

-Perfetto, buon proseguimento- con un cenno del capo, il cameriere si diresse in cucina, lasciandoli soli a cercare un argomento di conversazione. 

-Allora… ehm… da quanto conosci Amabelle?- provò a dire Diego, a disagio. Batté gli indici tra loro, nervosamente.

Quel piccolo gesto sembrò scuotere interamente Clover, che sentì il fiato mancarle per un attimo. L’uomo davanti a lui divenne un bambino di sette anni che le poneva una domanda completamente diversa nello stesso identico modo.

“Allora… ehm… come facciamo con il gioco?”

“Tienilo tu. Te lo sei meritato”

“No… non è vero. L’hai vinto soprattutto tu”

“Sì, è vero. Ma voglio regalarlo a te. Al massimo io me lo faccio ricomprare”

“Wow, grazie! Sei davvero la migliore!”

-Clover… tutto bene?- una domanda preoccupata del bambino, no, uomo, davanti a lei la fece tornare bruscamente alla realtà.

Non poteva continuare così!

-Senti, non credi che siamo troppo grandi e maturi per fingere?- chiese, bruscamente, cercando di mantenere la voce ferma. Aveva anni di allenamento alle spalle sul nascondere le proprie vere emozioni, perciò non fu tanto difficile.

Diego cadde dalle nuvole, iniziò a battere gli indici tra loro con più foga.

-C_cosa? In che senso, scusa?- chiese, senza guardarla.

-Diego, non ci vediamo da quindici anni, ma eravamo migliori amici alle elementari. Non puoi fingere di non ricordarti di me- mise le carte in tavola. Era una mossa prematura e azzardata, ma Clover era bravissima a poker, e leggeva alla perfezione i segni. Diego ne aveva fatti fin troppi, da quando erano lì.

Sospirò.

-Sì, beh… ad essere onesto credevo che fossi tu a non ricordarti di me, e in ogni caso dopo quindici anni pensavo fosse meglio ripartire da zero- ammise, portandosi indietro i capelli.

Clover apprezzò la sincerità, ma non tanto quanto detestò con tutto il cuore il celato maschilismo dietro tutto quello che Diego aveva appena detto.

Detestava quando qualcuno assumeva qualcosa su di lei. Aveva passato la vita con suo padre, sua madre e le sue sorelle convinti di conoscerla e decisi a fare scelte per lei, ormai ne aveva fin sopra i capelli.

-La prossima volta che fai una decisione del genere che riguarda un’altra persona, ti consiglio vivamente di tenere conto del punto di vista dell’altra persona- gli suggerì, in tono freddo e di finta cortesia.

La mascella di Diego si irrigidì. Sollevò lo sguardo e la guardò dritta negli occhi.

-Sì, infatti. Alcune persone però sono più difficili di altre da raggiungere- la provocò. Il tono faceva intendere che ce l’aveva con Clover per qualcosa, ma la ragazza non aveva idea di cosa stesse parlando, a cosa si riferisse. Fino a prova contraria, era lei che aveva ogni ragione per essere arrabbiata con lui, non il contrario. Era lui che era andato via e non l’aveva degnata neanche di una lettera ogni tanto.

Anzi, l’aveva pure presa in giro con un addio strappalacrime e un sentito “Non ti scordar di me!” urlato mentre la salutava dal sedile posteriore della sua auto che spariva all’orizzonte.

…beh, forse la sé di nove anni aveva reso più poetico l’addio nei suoi ricordi, ma il non ti scordar di me era autentico.

E lui non lo aveva affatto rispettato.

-Cosa vorresti dire con questo?- gli si avvicinò, ricambiando lo sguardo provocatorio.

Lui aprì la bocca con veemenza, ma la richiuse di scatto subito dopo. Nei suoi occhi passò un’ombra così rapida che Clover non riuscì proprio a intuire cosa potesse significare, poi distolse lo sguardo.

-Nulla, assolutamente nulla- disse a voce bassa, abbandonandosi contro lo schienale, sconfitto.

-In ogni caso, sono passati quindici anni, e temo che frequenteremo lo stesso gruppo di amici, potremmo almeno avere un rapporto civile, dato che siamo due adulti maturi?- disse poi, cercando di recuperare la situazione.

La risposta da adulta matura di Clover sarebbe stata un sonoro “No, va a quel paese!” ma l’avrebbe messa dalla parte del torto, lo sapeva.

Solo perché Diego era stato decisamente importante per lei non significava che poteva permettersi di prendersela con lui se l’affetto non era stato ricambiato.

Insomma, Clover sapeva di non essere la persona con la quale era più facile andare d’accordo. Ma che le scrivesse almeno una lettera, e che cavolo!

Anche solo per dire “Senti, Clover, la nuova città è stupenda e ho trovato amici molto migliori di te. Dimenticami perché io l’ho già fatto”.

Almeno si sarebbe messa l’anima in pace!

Decise di fare la vera adulta matura.

-Sì, hai ragione. Piacere conoscerti, Diego. Mi chiamo Clover, ho 23 anni e sono rancorosa- sollevò una mano nella sua direzione, sbattendo le ciglia con fare civettuolo.

Okay… non tanto matura.

Beh… stava ancora lavorando sull’uscire dalla fase adolescenziale, ma non significava che non ci provasse, in fondo.

Diego alzò gli occhi al cielo.

-Sì, l’ho notato. Ma dimmi… cosa ho fatto esattamente per meritarmi il tuo rancore?- chiese, incrociando le braccia.

Clover aprì di scatto la bocca decisa a dirgli tutto quanto, ma la chiuse di scatto.

Che avrebbe potuto dire, in fondo?

“Potevi almeno scrivermi una lettera in questi quindici anni!”

“Volevo tenere i contatti ma tu sei sparito e mi sono sentita abbandonata”

“Non riesco a sopportare l’idea che la mia prima cotta sia scomparsa dalla mia vita dal giorno alla notte”

Aveva una dignità da preservare. E aprire il suo cuore riguardo a quindici anni di domande, dubbi e rimpianti non era la cosa migliore da fare, soprattutto con la causa di tali dubbi, domande e rimpianti.

-Nulla, assolutamente nulla- disse a denti stretti, senza neanche notare di aver usato la stesse parole di Diego.

-E ora che l’abbiamo appurato. Piacere, Clover. Io mi chiamo Diego. Ho 24 anni e studio medicina- si presentò lui, imitando il tono utilizzato da lei poco prima.

-Medicina? Non sei cambiato, allora- osservò la ragazza, troppo sorpresa per assumere un tono scostante. Anzi, era piacevolmente colpita.

Diego sembrò preso in contropiede.

-Ricordi che volevo fare il medico?- chiese, sorpreso.

-Ovvio. Solo perché tu credi che io abbia dimenticato tutto, non significa che l’abbia fatto. Volevi fare il medico per aiutare gli altri. Batti gli indici quando sei nervoso. Ti piacciono i videogiochi soprattutto Donkey Kong. Hai una famiglia numerosa e uno splendido rapporto con tuo nonno…- iniziò ad elencare, pensierosa.

Si interruppe quando notò Diego ritirarsi leggermente.

-Uh?- indagò, piegando la testa.

-Wow, ricordi parecchio- lui non spiegò nulla, e Clover non insistette, anche se le venne un dubbio -…tu, invece, vuoi ancora fare la detective?- chiese poi, cambiando argomento.

-Nah, non proprio. Insomma, sarebbe forte, ma preferisco la carriera di reporter. Studio giornalismo- rispose lei, orgogliosa.

-Già, hai sempre amato scrivere. Ricordo ancora le meravigliose avventure di Smilla l’elfa stellata e il suo drago magico- ghignò lui, facendola arrossire suo malgrado.

-Hai disseppellito un mostro. Ora dovrò ucciderti- gli disse con serietà.

-Ops. Allora sarebbe meglio non parlare del termosifone malvagio- la provocò ulteriormente lui.

Clover seppellì il volto tra le mani.

-Ero a corto di idee! E di tempo per consegnare la storia. Non puoi rinfacciarmelo per sempre!- lo spinse giocosamente, facendolo ridere di gusto.

Sembrò quasi che il tempo non fosse passato affatto.

Durò solo un istante.

L’arrivo dei loro primi piatti e delle bevande ricordò loro la situazione in cui si trovavano.

-Come ti ha convinto Amabelle a fare questa farsa?- chiese Clover, versandosi un bicchiere di vino e mettendo il tovagliolo sulle gambe.

-Mi imbarazza dirlo, ma venire qui è stato il premio che mi ha offerto per aiutarla con un’altra coppia che vuole far mettere insieme- ammise lui, sospirando.

-Quindi hai perso due volte, dato che sei dovuto uscire con me- osservò Clover, iniziando a mangiare i ravioli. Erano davvero deliziosi.

-Beh, almeno mangio gratis. E poi non potevo rifiutarmi. C’era Juni con me e mi ha minacciato di dire a nostra madre che mi rifiuto di andare ad appuntamenti- Diego sbuffò, iniziando a mangiare a sua volta.

-Come sta Juanita? Aveva solo tre anni quando vi siete trasferiti. E Miguel?- Clover aveva sempre trovato insopportabile la sorellina minore di Diego perché non faceva altro che piangere, ma era molto protettiva nei confronti della famiglia Flores, e le erano mancati tutti.

Almeno quelli che conosceva.

-Miguel convive con una brava ragazza, Juni è all’ultimo anno di liceo, e ci sono due aggiunte in famiglia: Oliver e Coco- 

-Tua madre è una sfornapargoli- commentò Clover, senza riuscire a trattenersi.

Diego non se la prese.

-Si è fermata, grazie al cielo. Ma Coco è un tesoro. Lo sono tutti. Juni vuole diventare una scrittrice- ridacchiò, iniziando a parlare della sua famiglia, con occhi brillanti.

Clover si ritrovò inconsciamente a sorridere, nostalgica. Anche un po’ gelosa, a dire il vero. Lei non aveva mai avuto la possibilità di avere un rapporto così stretto con la propria famiglia. Quella di Diego era stata per molti anni come un secondo nucleo familiare, per lei.

La signora Flores l’accoglieva sempre a casa con calore. Le dava i biscotti. Le permetteva di restare a dormire, se voleva.

Persa nei suoi pensieri, mangiando distrattamente, e ascoltando con attenzione, colpita da quanto Diego, in fondo, non fosse cambiato affatto, il cuore della ragazza ebbe un fremito.

Oh, no…

OH, NO!

No! No! No no no no no!!!

Fermo, cuore. A cuccia! Ripartire da zero con Diego non significa ricadere negli stessi errori.

Pensa ai ravioli! Sì! Sono i ravioli il tuo unico e vero amore.

-Ma sto parlando a vanvera, scusa. Amabelle come ha convinto te a partecipare a questa sciocchezza?- Diego tornò all’argomento principale, pulendosi la bocca un po’ imbarazzato.

-Le ho detto che venivo a questo appuntamento se mi prometteva che non ne avrebbe più organizzati altri- raccontò Clover, con un certo orgoglio, fissando il proprio piatto.

-Ottimo affare. Meglio del mio. Io mi sono giocato un biglietto gratis per New Malfair- ricordò Diego, scuotendo la testa rimpiangendo l’accordo.

-Ugh, sei pessimo a contrattare- commentò Clover.

-Che dire… sono troppo buono- Diego si portò una mano sulla fronte con fare melodrammatico.

Clover alzò gli occhi al cielo. 

-Certo, come no- commentò, quasi tra sé.

Diego sembrava in procinto di dire qualcosa, ma si interruppe, scosse leggermente la testa e tornò a mangiare.

Rimasero in silenzio per un po’, gustando i loro pasti.

L’atmosfera non era certo la più serena del mondo, ma era molto più rilassata di quanto Clover avrebbe creduto.

Alla fine Max aveva fatto bene ad incoraggiarla

 

Il Misto Mare aveva un ottimo aspetto. Peccato che Amabelle fosse affamata, fuori dal ristorante da un’ora e mezza, e impossibilitata a muoversi dal proprio posto.

-Non era così che mi immaginavo l’appostamento- borbottò Norman, che non guardava l’interno del locale ma approfittava del tempo libero per leggere un libro di economia.

-Ho fame- si lamentò Amabelle, adocchiando un dolce arrivato al tavolo più vicino alla finestra. La ragazza iniziò a sbavare.

-C’è un fast food qui vicino. Possiamo sempre andare lì e lasciar perdere l’appostamento per venti minuti- provò a proporre Norman, che avvertiva un certo appetito a sua volta. Amabelle si era dimenticata di informarlo che non avrebbero cenato al ristorante insieme, quindi non aveva pensato di mangiare prima di andarci.

-No! Se ci assentassimo potrebbe succedere qualcosa di importante e noi ce lo perderemmo!- obiettò Amabelle, quasi appiccicandosi al vetro per vedere meglio il tavolo. Anche se non c’erano state svolte degne di nota da quando avevano iniziato a mangiare.

Norman sospirò.

-Potrei andare a prendere due panini e tornare. Ci metterei solo dieci minuti- provò a proporre.

Amabelle ci pensò su. Da una parte era davvero affamata, ma dall’altra Norman le serviva per evitare che succedesse qualcosa di male.

Lanciò un’occhiata al tavolo, e notò che Diego si stava alzando.

Sobbalzò un attimo, preoccupata, ma si rese presto conto che stava solo andando in bagno.

Sospirò, e tornò a rivolgersi a Norman.

-Va bene, ma mettici poco. Ho bisogno dell’effetto Norman- gli impose, prendendo il portafogli e porgendoglielo.

Norman lo prese sorpreso, e lo intascò senza fare domande.

-Credo che tu mi attribuisca poteri che non possiedo, ma farò il prima possibile… e offrirò io- disse l’ultima cosa sottovoce, e Amabelle era troppo di fretta per obiettare, quindi lasciò correre.

-Io prendo un panino al prosciutto- chiese solo, incoraggiandolo ad andare via.

Un paio di minuti dopo… si pentì amaramente di aver acconsentito.

Perché al tavolo dove Clover era rimasta sola, si era approcciata l’ultima persona che Amabelle avrebbe voluto vedere.

-No, tutti tranne lui…- sussurrò, mettendosi le mani tra i capelli, disperata.

I poteri, Norman, li possedeva eccome. Come si spiegava altrimenti il fatto che nel momento stesso in cui se ne andava, Richard “Dick” Choi era arrivato nel locale accompagnato da una donna giovane e dalla puzza sotto al naso che gli stava avvinghiata al braccio.

Amabelle non aveva idea di come risolvere la situazione. Si limitò a fissare la scena impotente da dietro la finestra. 

Oh, se solo fosse stata dentro il ristorante! Avrebbe potuto fingere di andare in bagno, rubare una brocca d’acqua e rovesciarla su Dick in modo da allontanarlo e ottenere la gratitudine eterna di Clover, Diego, e i loro futuri figli.

Un momento, poteva farlo comunque! 

Si alzò di scatto decisa a entrare nel ristorante nonostante tutto. Al diavolo le denunce! Avrebbe chiamato Petra e si sarebbe fatta pagare la cauzione.

-Amabelle, dove stai andando?- la voce di Norman la fermò sui suoi passi.

-Devo salvare l’appuntamento!- disse lei con enfasi, lanciando un’occhiata attraverso la finestra e stupendosi quando notò che Diego era tornato al tavolo, e non sembrava per niente infastidito dalla presenza di Dick, anzi gli stava parlando in tono rilassato.

-Secondo me se la cavano egregiamente. Ti ho preso il panino al prosciutto e una bottiglietta di tè alla pesca- Norman tornò alla postazione e le offrì un sacchetto del pranzo e il portafogli rosa ancora del tutto pieno.

Amabelle fissò la situazione con attenzione per qualche secondo, ma poi acconsentì, e si sedette a sua volta, prendendo il cibo.

-Grazie al cielo sei tornato, o sarebbe finita male- disse tra sé, lanciando un’occhiataccia a Dick.

Norman la guardò confuso, ma decise di non fare domande. Molto furbo da parte sua.

Dick se ne andò poco dopo trascinando con sé la sua accompagnatrice, molto meno bendisposta di prima, e Amabelle si permise il lusso di concentrarsi più sul panino e meno sulla situazione.

Non l’avesse mai fatto.

Quando sollevò di nuovo la testa, i due ragazzi non c’erano più.

-E che cavolo!- esclamò la rossa, facendo sobbalzare Norman, e iniziando a guardarsi intorno per ritrovarli all’interno del ristorante.

 

Clover aveva infatti notato che Amabelle era distratta, e ne aveva approfittato per chiedere il conto, che al momento avrebbe pagato lei per poi farsi risarcire, e trascinare Diego fuori dal ristorante dall’uscita sul retro per parlare a quattrocchi senza che Amabelle intuisse cosa fosse appena successo lì dentro.

E dato che aveva intenzione di urlargli contro, Amabelle avrebbe potuto benissimo sentire a distanza, quindi era meglio togliersela di torno.

Tutto per colpa di Dick!

Clover era tranquilla e serena… più o meno… a farsi i fatti propri, controllando il proprio riflesso su un cucchiaio e aspettando che il suo accompagnatore tornasse prima di proporgli di prendere un dolce, dato che la serata era stata piacevole abbastanza da poter essere prolungata per un dessert, quando lui si era avvicinato con fare gioviale e accompagnato ad una povera ragazza che aveva appena rimorchiato con soldi e false promesse.

L’aveva avvertito prima ancora che lui raggiungesse il tavolo. Avrebbe riconosciuto l’odore nauseante della sua colonia da quattro soldi a distanza di chilometri, e ogni volta che lo vedeva si chiedeva come fosse riuscita a stare con lui per ben due anni. 

Cioè, lo sapeva perché, ma era comunque difficile da accettare, e non le piaceva ricordare il suo periodo più debole e stupido.

E l’ultima cosa che voleva, a dirla tutta, era che Dick comparisse proprio mentre era nel bel mezzo di un appuntamento con il secondo errore più grande della sua vita… okay, forse il terzo. Justin, dopotutto, sarebbe sempre stato al primo posto. In ogni caso, non voleva proprio partecipare a una conversazione destinata ad andare male con Diego e Dick.

-Clo, che sorpresa trovarti qui- la salutò lui, una volta raggiunto il tavolo, obbligando Clover ad alzare la testa e posare il cucchiaio.

-Già, che strano trovarmi a cena nel mio ristorante preferito- commentò sarcastica, facendolo ridere tra sé.

La ragazza accanto a lui fece un timido sorriso verso Clover, ma non diede segni di voler partecipare alla conversazione.

-Sei sempre una sagoma. Sei qui con qualcuno?- indagò il ragazzo, guardandosi intorno e notando il piatto vuoto e il bicchiere d’acqua di Diego.

-Già. Esattamente come te. Perché non vai al tuo tavolo e ognuno si gode la propria serata?- propose Clover, congedandolo.

-Dalla sedia vuota intuisco che la tua serata sia ormai conclusa. Spero che non avesse promesso di pagare. Perché non ti unisci a noi?- propose lui, facendole un occhiolino.

-Richard…- provò ad obiettare la ragazza, un po’ offesa, ma lui non la degnò di un’occhiata.

-Preferirei passare la serata sola piuttosto che con te. E come ben dovresti sapere, sono per la monogamia, mi dispiace- lo salutò, invitandolo cordialmente a sparire dalla sua vista.

Soprattutto perché Clover era convinta al 100% che non sarebbe rimasta sola a lungo.

E non voleva neanche immaginare cosa Diego e Dick avrebbero potuto dire di lei, se messi insieme.

-Sai, se continui ad essere così schizzinosa, non troverai mai qualcuno disposto a sopportarti. Lo dico per te. Hai quasi ventiquattro anni. Ormai ti rimane poco tempo per trovare qualcuno prima di diventare zitella- Dick però non sembrava intenzionato a lasciar perdere.

La ragazza che era con lui lo guardò schifata, lasciandolo del tutto.

E Clover fu fermata dall’ucciderlo a mani nude solo da una voce rilassata appena arrivata al tavolo, ancora con le mani leggermente umide.

-Fortuna che ha trovato me, allora- esordì Diego, mettendole una mano sulla spalla e sorridendo amichevolmente a Dick.

Clover non poteva vederlo, ma intuiva dalla presa sulla sua spalla che era molto più arrabbiato di quanto non desse a vedere.

Ma non capì minimamente dove quel commento volesse andare a parare.

-E tu chi saresti?- chiese Dick, aggrottando le sopracciglia, confuso.

-Il suo ragazzo. Scusa se ci ho messo tanto. C’era una lunga fila. Vogliamo prendere un dolce?- Diego le diede un bacio sulla cima della testa e si sedette nuovamente al suo posto, ignorando del tutto Dick subito dopo aver risposto alla sua domanda.

Clover era appena andata in corto circuito.

Il ché fu una buona cosa, perché se fosse stata in pieno possesso delle proprie facoltà mentali, era molto probabile che avrebbe davvero commesso un duplice omicidio a mani nude. E avrebbe anche completato il proposito, perché finire in galera probabilmente avrebbe deluso suo padre.

Era troppo sconvolta per pensarci, però.

-Il suo… ragazzo?! E… da quando?- Dick sembrava completamente preso in contropiede.

-Da un paio di settimane. Questo è il nostro… terzo appuntamento, giusto, cara?- Diego le lanciò un’occhiata complice a Clover.

C’erano due cose che la ragazza poteva fare: prendersela con Diego e far cadere quella stupida farsa che sicuramente sarebbe arrivata alle orecchie di suo padre dandogli fastidio. Oppure stare al gioco e bearsi dell’espressione sconfitta e arrabbiata dell’ex che detestava con tutto il cuore.

…Okay, stare al gioco non aveva nessun punto a sfavore, in realtà, perché dare fastidio a suo padre era solo un fattore positivo. Diamine!

-Sì, infatti, fiorellino. Per quanto riguardo il dolce, credo che rinuncerò per oggi. Ho già mangiato abbastanza. Chiediamo il conto?- gli fece un occhiolino, e Diego annuì.

-Buona idea- iniziò a guardarsi intorno per chiamare un cameriere. Entrambi non degnarono più Dick di uno sguardo.

-Non credo che tuo padre apprezzerà- disse semplicemente lui, cercando di risultare minaccioso, prima di dirigersi al suo tavolo, trascinando una molto meno attratta accompagnatrice.

-E ce ne faremo una ragione- borbottò tra sé Diego, scuotendo appena la testa.

Clover lanciò un’occhiata in direzione della finestra, e notò che Amabelle e Norman sembravano distratti.

-Andiamo a pagare- incoraggiò in fretta Diego, che eseguì senza obiettare.

Ma dieci minuti dopo, usciti dal ristorante e in una via deserta e non troppo raccomandabile, decise che forse era meglio farlo.

-Okay… perché siamo qui? E perché siamo usciti dal retro?- chiese il ragazzo, confuso.

Per tutta risposta Clover lo prese per la giacca e lo spinse contro il muro, facendolo impallidire.

-Cosa ti è saltato in mente?!- gli urlò contro la ragazza, tenendolo fermo. Era più forte di quanto l’aspetto elegante suggerisse, merito delle ore passate in palestra e degli allenamenti di judo che faceva fin da piccola.

Si aspettò che il ragazzo obiettasse, che cercasse di liberarsi o che le urlasse contro che era impazzita, ma lui la sorprese parecchio, perché sospirò.

-Scusa, non avrei dovuto fingere di essere il tuo ragazzo senza consultarti- ammise, abbassando lo sguardo imbarazzato.

E tanti cari saluti alla furia selvaggia di Clover.

Lo guardò per qualche secondo senza sapere minimamente come reagire ad una così rapida ammissione di colpevolezza, e lo lasciò andare, indietreggiando sorpresa.

-Perché l’hai fatto?- chiese Clover, cercando di mantenere una parvenza di irritazione e mettendo le mani sui fianchi. Non apparì sgradevole neanche la metà di quanto volesse sembrare.

-L’ho sentito dire tutte quelle stupidaggini sul trovare qualcuno. Come se una donna non potesse rimanere single. Probabilmente avrei dovuto fare un lungo discorso sul fatto che era meglio per te restare single piuttosto che con un tipo come lui. Ma l’idea di fingere di essere il tuo ragazzo mi è venuta in mente prima. A pensarci bene è un’idiozia- ammise lui, prendendosi il volto tra le mani.

-Già, lo è stata. Per tua fortuna ora andrà dritto da mio padre a dirgli tutto e l’idea che si arrabbi perché frequento un tipo tatuato e con i piercing mi dissuade dal prenderti a pugni per la tua iniziativa- Clover incrociò le braccia, sbuffando.

-Tu stavi con quel tizio?- chiese Diego, sorpreso, indicando il ristorante.

-Senti, era una faccenda complicata. Tutti facciamo degli errori, tipo rifiutare un biglietto per New Malfair per venire a questo appuntamento disastroso- Clover tagliò corto, cercando di non arrossire.

-Uff, non me lo ricordare. Ma non è stato così disastroso. Il cibo era ottimo- Diego provò a vedere il lato positivo. Si appoggiò al muro con le braccia incrociate, molto più rilassato di prima.

-Senti, fingiamo che l’ultima parte non sia mai avvenuta, e torniamo sconosciuti come prima, che ne dici? Se mio padre parla del mio presunto “ragazzo” gli dico che volevo solo togliermi Dick di torno- Clover alzò la mano nella sua direzione. Diego la guardò qualche secondo, poi la prese, accennando un sorriso.

-Affare fatto. Piacere. Mi chiamo Diego, ho 24 anni e sono single- le fece un occhiolino.

Clover non riuscì a trattenersi dallo scoppiare a ridere. Si riprese presto, però, e gli tirò un pugnetto amichevole sulla spalla.

-Piacere, Diego. Sono Clover, ho 23 anni e sono molto felicemente single- rispose, per poi girarsi di spalle e uscire dal vicolo. Diego la seguì.

-Sono in macchina. Vorresti un passaggio?- le propose in tono neutro.

-No, ho già i miei programmi- rispose lei neutra. Lui non insistette -Allora ci vediamo al Corona?- chiese poi, in tono indifferente.

-Immagino di sì. Ciao Clover- lui la salutò con un cenno, e si avviò nella direzione opposta a quella della ragazza.

Clover si strinse la propria giacca, e iniziò a dirigersi verso la metro con sicurezza, ignara che Diego, dopo pochi metri, si era girato a guardarla, indeciso se farle o no una domanda che gli premeva nel cuore da quando l’aveva vista.

Dopo qualche metro, anche Clover si girò verso di lui, con lo stesso sentimento sopito, ma incontrò solo la schiena sempre più lontana di quello che da piccola aveva considerato un grande amico, una piccola cotta, poi un enorme traditore, e ora era un enigma, ai suoi occhi.

Si rigirò e proseguì per la sua strada.

Oh, se solo si fossero girati nello stesso momento. Probabilmente la loro storia avrebbe avuto uno svolgimento diverso, più breve.

Ma Norman era troppo lontano perché una tale fortuna avvenisse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(A.A.)

Mi mancano Felix e Mirren.

Ebbene si, lo ammetto… sono i miei preferiti.

Ma anche Diego e Clover sono stati divertenti da scrivere.

E adoro l’amicizia tra Clover e Max. Friendship goals. La prova che l’amicizia tra ragazzo e ragazza può esistere senza che si trasformi in qualcosa di più.

Finalmente si conclude Gennaio. Non pensavo che questo capitolo sarebbe uscito così lungo.

Il prossimo capitolo sarà di passaggio, poi ci sarà una trilogia con molto fluff e svolte di trama. 

Piccola curiosità: Smilla l’elfa delle stesse e il termosifone malvagio sono effettivamente due delle primissime storie che ho scritto da piccola. E niente, non dovrei esserne orgogliosa ma dettagli ahahah.

Grazie a tutti quelli che leggono la storia, spero continui a piacervi.

Non esitate a farmi sapere un’opinione se vi va.

Un bacione e alla prossima :-*

 

Nel prossimo episodio: Febbraio arriva, insieme al compleanno di Clover. Diego torna a casa per il weekend.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: ChrisAndreini