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Autore: Anna Wanderer Love    22/03/2020    3 recensioni
La sua vista si schiarì, e riuscì a vedere un volto umano davanti a lui, dai grandi occhi verdi che lo fissavano preoccupati. Le labbra dell’umana si mossero veloci, di nuovo, ma di nuovo Thranduil non riuscì a comprendere cosa stesse dicendo e fece una smorfia mentre un fischio copriva ogni rumore, tranne quello del suo cuore che batteva sempre più lento.
Sentì le palpebre farsi sempre più pesanti, e appoggiò la nuca al tronco ruvido dietro di sé.
No, lesse sulle labbra dell’umana. Non addormentarti.
La vide estrarre qualcosa da sotto al mantello grigio, una fiala dal contenuto azzurrognolo. La avvicinò alle sue labbra, afferrandogli il mento per socchiudere la sua bocca. Versò un sorso del liquido, il sapore dolciastro si mischiò a quello acre del sangue. Thranduil fece in tempo a mandare giù, poi gli abissi calarono su di lui.
O:
Thranduil rimane ferito mentre viaggia per raggiungere le sue truppe, che si stanno radunando per cacciare il male da Bosco Atro. Da chi sarà salvato? E come farà a tornare dal suo popolo?
Kairos: dal greco, "momento giusto o opportuno, momento supremo". Un momento in cui accade qualcosa di speciale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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II

 




Quella notte Thranduil non dormì. Ovviamente non nel senso del sonno umano, ma non sprofondò nemmeno nel dormiveglia che cullava le notti degli elfi. Rimase sveglio, a fissare il soffitto e le forme della camera per lui perfettamente visibili alla fioca luce della luna che rischiarava appena la stanza. Pensava a molte cose.
Pensava a suo figlio, prima di tutti. Suo figlio che aveva sognato in pericolo. Sperava davvero che fosse stato solo un brutto incubo partorito dalla sua mente, e sperava che fosse arrivato sano e salvo là dove la sua ricerca l’aveva portato. Sperava che avesse trovato il figlio di Arathorn, e che avesse potuto quietare l’angoscia e la rabbia che aveva visto oscurare quegli occhi così simili ai suoi nel doloroso momento in cui aveva dovuto lasciarlo andare.
Pensava al suo regno, ai suoi sudditi. Pensava ai soldati che avrebbe dovuto raggiungere, e che l’avevano aspettato invano. Era certo che i suoi generali fossero più che capaci di mantenere il sangue freddo -anche perché non li avrebbe scelti, se non fosse stato così- ma la sua scomparsa poteva essere nascosta solo per breve tempo, prima che il panico dilagasse e che fosse dato per morto. Doveva tornare in piedi e raggiungerli, il prima possibile.
Pensava ai valorosi guerrieri che avevano dato la vita per lui. Pensava a loro e ai loro cari, che non li avrebbero più visti tornare. Pensava a come fossero stati coraggiosi e avessero guardato la morte in faccia, fino all’ultimo secondo, rinunciando alle loro preziose vite per il loro re.
Pensava alla guerra che si stava avvicinando. Quella stessa guerra che si era rifiutato di riconoscere, e che non appena l’aveva fatto non gli aveva nemmeno dato il tempo per schierare le sue truppe prima di metterlo fuori gioco in un crudele scherzo del destino.
Pensava a se stesso, a come avrebbe fatto a condurre un esercito contro gli orchi, in quelle condizioni. Senza l’udito, avrebbe dovuto affidare il comando in campo ad altri. E come avrebbe fatto ad ascoltare i rapporti, i pareri, i consigli? Per iscritto? Non era una soluzione adatta, non era un metodo abbastanza rapido che potesse garantire la vittoria in battaglia. Il tempo lì era prezioso, ogni momento contava. Erano molti i pensieri che lo tennero occupato quella notte, con l’unica compagnia del dolore, nel buio screziato di raggi lunari.
Accolse con sollievo l’arrivo dell’alba. Osservò le ombre muoversi, la luce diventare di una calda sfumatura dorata, e fu lieto che il tempo delle tenebre fosse finalmente finito. Aspettò poco, prima che la porta si aprisse e la figura ormai familiare si appoggiasse allo stipite della porta con le braccia incrociate.
- Ve la sentite di alzarvi?
Thranduil annuì e lei sciolse le braccia. Si girò per afferrare qualcosa e quando si voltò verso di lui l’elfo vide che aveva in mano una camicia. Si avvicinò per porgergliela e senza dire niente se ne andò, socchiudendo la porta dietro di sé per lasciargli la dovuta intimità.
Il re degli elfi si mise seduto e lentamente riuscì a vestirsi, nonostante i muscoli tirassero. Indossava ancora i pantaloni macchiati di sangue, ma immaginava che non fosse facile procurarsi vestiti della sua taglia per una donna che viveva probabilmente sola e isolata.
Si alzò, e un giramento di testa lo colse di sorpresa. Barcollò, ma riuscì a riacquistare l’equilibrio prima di cadere e rimase immobile qualche istante, con i capelli che gli erano scivolati davanti al volto. Sentiva l’urgente bisogno di lavarsi.
Raccolse i capelli in una treccia rapida, prima di avvicinarsi alla porta e spingerla lentamente in avanti. Davanti a lui si prospettò una piccola stanza tonda, in cui il disordine era impressionante. Il soffitto era basso, numerosi libri e pergamene erano stati grossolanamente raccolti e accatastati sulle mensole alle pareti, per altro ingombre già di barattoli colorati e piantine in vasi di terracotta. Al centro della stanza un tavolo tondo, attorniato da sedie e sgabelli tutti diversi; una poltrona era sistemata davanti al caminetto, oltre che dei cuscini, e accanto il piano e le credenze per cucinare.
La donna si stava affaccendando lì, e senza rivolgergli nemmeno un’occhiata posò un cestino pieno di biscotti, frutta e focaccine sul tavolo, assieme a una brocca di latte e una di tè.
- Avete intenzione di rimanere lì in eterno?
Doveva ancora abituarsi al modo in cui la sua percezione era sfasata. Il silenzio era stranissimo, e le parole che aveva letto erano formulate con la sua, di voce, che gli rimbombava nella mente con un cupo eco.
Si avvicinò, mentre Asinna si accomodava su una delle sedie. Thranduil scelse uno sgabello sbeccato, salvo poi rendersi conto che una delle tre gambe non era molto stabile e traballava. Nonostante quello, rimase seduto lì, la schiena dritta come un fuso e il suo solito contegno altero.
La donna versò due bicchieri di latte, ne spinse uno verso di lui con la mano e bevve un sorso dal proprio, fissandolo negli occhi. Solo quando ebbe mandato giù Thranduil fece lo stesso, stringendo con le dita affusolate la terracotta nera.
- Mangiate.
Lui continuò a fissarla, le iridi nuvolose puntate sul suo viso come un gatto intento a studiare una preda. Lei alzò gli occhi al cielo e afferrò una focaccina, mordendone un angolo.
- Contento?
In risposta, lui afferrò un acino d’uva dalla bacinella e se lo rigirò tra le dita, osservando controluce la pelle violacea del frutto. Se lo portò alle labbra e lo mordicchiò piano, assaporando il gusto dolce della polpa quando si ruppe sotto ai suoi denti.
La donna schioccò le dita, col braccio proteso verso di lui. Thranduil tornò a fissarla, irritato. Non gli piaceva il modo in cui lo richiamava, non era un animale domestico.
- Come vi chiamate?
Un sorriso obliquo illuminò le labbra del sovrano.
- Questo non ve lo dirò – disse. La mancanza di suoni lo fece rabbrividire. A quel punto, non era più nemmeno sicuro di articolare i suoi correttamente, o di dar loro voce. Ma dal volto di lei, la frase doveva essere stata piuttosto chiara.
- D’accordo, tenetevi pure i vostri segreti.
Mangiarono in silenzio. Per quanto l’elfo desiderasse mangiare qualcosa di solido, non era sicuro che il suo stomaco avrebbe retto, perciò si limitò a spiluccare la frutta. Osservò la donna, nel frattempo, conscio che quel suo guardarla costante la metteva a disagio. Era visibile, da come lei evitava il suo sguardo a come il rossore si propagava lungo tutto il collo. Quando fu sazio, lui spinse impercettibilmente verso di lei la ciotola e la donna sospirò, come se un peso le si fosse levato dalle spalle.
- Bene. Vi laverete nel ruscello dietro casa. State attento a non scivolare e a non farvi male, siete troppo pesante perché io riesca a recuperarvi se cadete.
Un lampo di indignazione fulminò l’elfo, inchiodandolo allo sgabello.
Ha appena detto che sono grasso?
Fu un pensiero infantile, se ne rese subito conto, ma questa consapevolezza non gli tolse l’irritazione di dosso. Il re degli elfi si alzò, mentre lei gli passava accanto, facendola sobbalzare suo malgrado mentre la sua figura imponente si elevava sopra di lei, bassissima a confronto. La donna sostenne il suo sguardo, un’espressione decisa nonostante tutto.
- Ce la fate a camminare o dovete appoggiarvi a me?
Con le labbra increspate in un sorrisino, Thranduil accettò la provocazione. Si volse e con lunghe falcate raggiunse la porta della casa, facendole cenno di uscire per prima. Lei spinse la porta verso l’esterno, e non appena uscì all’aria aperta il re degli elfi fu costretto a socchiudere gli occhi per la luce intensa. Non appena riuscì a guardare senza problemi diede un’occhiata al panorama dipinto davanti ai suoi occhi, e rimase senza fiato. Suo malgrado, dovette ammettere che era meraviglioso.
Si trovavano sul pendio di una montagna, circondati dalle folte chiome di alberi che macchiavano di verde il fianco roccioso. Sotto di loro poteva vedere un lontano villaggio degli uomini, poco distante dal corso di un fiume scintillante che scendeva dalla montagna, tra curve e sbalzi di altitudine, fino ad allungarsi nella pianura sottostante, nascosto da piccole colline e grappoli di case appena percepibili persino per i suoi occhi di elfo. Oltre, il manto uniforme della foresta. Il re cercò di orientarsi, ma non avrebbe saputo dire dove si trovava con esattezza. Probabilmente era lontano dalla strada che stava percorrendo solo pochi giorni prima per dirigersi verso sud, e non riusciva a individuarla nemmeno tra gli alberi in lontananza.
Si voltò verso l’umana e la trovò appoggiata alla parete, con le braccia incrociate. Chinò la testa, nascondendo il turbamento che lo aveva colto. Dove era finito?
Lei scomparve dietro l’angolo e fu costretto a seguirla. Il sovrano faticò a mantenere il volto impassibile, quando si ritrovò davanti a un tappeto di fiori sgargianti. Nontiscordardime, primule e bucaneve coloravano di allegre macchie l’erba brillante, e poco più lontano scorse il nastro di un ruscello, le cui acque scorrevano placide e cristalline.
La donna gli indicò le acque, porgendogli un telo candido.
- Io rimarrò qui dietro l’angolo. Se avete bisogno, chiamatemi.
Il re degli elfi annuì e aspettò che lei sparisse prima di inginocchiarsi ad osservare i morbidi petali di un bucaneve. Sorrise, con amarezza. Quel posto sarebbe tanto piaciuto a Legolas.
Si spogliò con gesti lenti, una volta avvicinatosi al ruscello. La riva era irta di sassi e ciottoli, rendendo facile scivolare. Lasciò cadere la camicia e i pantaloni sull’erba appena prima della sponda, godendosi la sensazione dell’aria frizzante sulla pelle nuda, e si immerse lentamente, lasciando che il freddo lambisse il suo corpo. Il letto del ruscello non era profondo, l’acqua gli arrivava al petto quando si avvicinò al centro. Per prima cosa lavò i pantaloni, cercando di togliere il sangue secco che li incrostava, e solo dopo lunghi minuti riuscì a farne sparire il grosso. Si chiese come potevano le donne umane lavare per ore montagne di vestiti, come aveva spesso visto fare quelle poche volte che era passato per i villaggi umani. Dopo li stese ad asciugare al sole.
L’elfo si lasciò cullare dalla carezza placida della corrente, immergendosi e scuotendo la testa sott’acqua per sciogliere i capelli dalla treccia in cui li aveva legati. Fili dorati formarono una corona attorno alla sua testa.
Riemerse e alzò lo sguardo verso il cielo, di un azzurro incredibile, solcato da pochi squarci di bianco. Sarebbe stata una giornata perfetta per passeggiare nei giardini del suo palazzo, se solo fosse stato a casa. Chiuse gli occhi e lasciò che l’acqua lo sollevasse, galleggiando per lunghi minuti, finché non gli venne la pelle d’oca.
Solo allora riprese possesso del suo corpo e si avvicinò alla riva, rendendosi conto che era stato trasportato molti passi più in là rispetto a dove aveva lasciato i vestiti. Fece una smorfia quando, avvolgendosi nel telo che Asinna gli aveva dato per asciugarsi, la stoffa gli graffiò la pelle. Altro che le morbide sete con cui si vestiva ogni giorno.
Indossò i pantaloni ancora umidi, strizzò i capelli e indossò anche la camicia. Si sentiva una persona nuova. Avrebbe tanto voluto sedersi in mezzo al prato e respirare l’aria fresca, beando i suoi occhi dei colori primaverili, ma doveva carpire delle informazioni essenziali alla donna.
Quando svoltò l’angolo, la trovò intenta a leggere un libro dalla copertina nera, seduta su una sedia a dondolo. Alzò gli occhi verdi verso di lui, con un sussulto, quando le si parò davanti. Non si era accorta dei suoi passi leggeri, e il re sogghignò. Anche se era sordo, non aveva perso la sua discrezione.
Si sedette su una delle sedie, su un cuscino viola, e allungò le gambe, incrociando le dita sul grembo. Lei chiuse di scatto il libro e si portò una mano al collo, massaggiandolo. Un ricciolo le sfuggì davanti agli occhi, rilucendo di sfumature ramate sotto alla luce del sole.
- Dove mi trovo?
Asinna alzò un sopracciglio.
- Ancora non l’avete indovinato?
Thranduil rimase in silenzio, fissandola con le iridi piene di astio. Non gradiva che qualcuno si prendesse gioco di lui, tantomeno che lo facesse sentire stupido.
- Sulle montagne di Bosco Atro.
Asinna vide l’elfo sgranare involontariamente gli occhi, perdendo il controllo del suo volto. Per un attimo la sorpresa trapelò dai suoi lineamenti, poi riprese il contegno impassibile.
- Come posso essere arrivato fino alle montagne se ero a metà strada, nel folto della foresta?
Lei si strinse nelle spalle.
- Casa mia era qui. Ve l’ho detto che siete rimasto incosciente per tre giorni.
- Come siete riuscita a portarmi fin qui, donna? – esclamò lui, irato.
Un lampo di rabbia attraversò il volto paffuto dell’umana, che si alzò di scatto, lasciando cadere a terra il libro.
- Non permettetevi di mancarmi di rispetto! Vi ho salvato la vita, vi ho curato, vi ho dato da mangiare. Il minimo che possiate fare è essere educato. Pensavo che gli elfi fossero cortesi, non bifolchi anche più della mia razza. Non ho nemmeno preteso di sapere il vostro nome. Io ripenserei al mio comportamento, fossi in voi, e parlerei in un altro modo – disse indignata.
Thranduil rimase in silenzio, bollendo di rabbia. Nonostante non avesse potuto sentire le sue parole e il loro tono, era sicuro di aver tirato troppo la corda. Si lasciò ricadere contro lo schienale della sedia, cercando di trattenersi dal risponderle a tono. Era ovvio, lei non sapeva che fosse un re, anzi il re del regno in cui viveva. Altrimenti non gli avrebbe parlato a quel modo, non si sarebbe nemmeno azzardata a guardarlo in faccia.
Ma Thranduil non poteva rivelare questa informazione. Doveva fare buon viso a cattivo gioco e conquistarsi le sue simpatie, per riuscire a raccogliere quante più informazioni possibili.
- Non volevo essere maleducato, ma non comprendo come voi abbiate potuto portarmi così lontano da sola e a piedi.
Lei gli scoccò un’altra occhiata indispettita, indecisa se rispondergli o meno. Ora anche il suo petto era diventato rosso. La facilità con cui la sua pelle potesse cambiare colore lo impressionava. Lentamente, Asinna si sedette e si chinò a raccogliere il libro.
- Non ho mai detto che ero sola ed ero a piedi.
Aprì il libro e tornò a leggere. Thranduil aspettò. All’inizio con impazienza, poi, man mano che i minuti scorrevano, si perse a guardare il sole che saliva nell’orizzonte. Osservò il volo di un paio di cinciallegre, che andarono a posarsi su un ramo poco lontano dal margine della radura. Osservò come la luce filtrava tra le foglie, e come le anse del fiume scomparissero sotto di loro, e le case dai tetti di paglia e legno che vedeva in lontananza, chiedendosi da quando ci fosse un villaggio lì, e perché non ne fosse a conoscenza.
Quando il sole fu alto all’orizzonte la donna chiuse di scatto il libro. Il re degli elfi riportò lo sguardo su di lei, vedendo che era più rilassata.
- Ero in viaggio con altre persone. Vi abbiamo trovato su quella strada, e vi abbiamo portato via, fino a qui, su un carro. Ci abbiamo messo due giorni e mezzo, siete rimasto addormentato tutto il tempo.
- Come è possibile che non siate stati attaccati? Se non da orchi, da ragni almeno.
Asinna si strinse nelle spalle. – Fortuna.
Era ben poco credibile, ma scelse di non indagare. Non voleva che cambiasse umore e si rifiutasse di parlargli.
- Tra quanto potrò andarmene?
Lei inarcò un sopracciglio, con una smorfia sorpresa.
- Non meno di una settimana.
- No. È troppo.
- Non faccio miracoli. Siete ferito, solo e disarmato. Se proverete ad andarvene prima farete una brutta fine. A voi la scelta.
Thranduil strinse i denti, afferrando il bracciolo della sedia con le dita e stringendolo con forza. Non aveva alternative, ma non gli piaceva. Abbassando lo sguardo, guardò le gambe fasciate dalla stoffa argentea. La maggior parte del sangue era andata via, ma restava ancora una macchia.
La donna schioccò le dita nella sua direzione, attirando il suo sguardo cristallino.
- Oggi pomeriggio mi dovrò recare giù al villaggio per prendere viveri e medicine. Farò in modo di procurarmi dei vestiti per voi, ma mi serviranno quei pantaloni o rischierò di sbagliare la misura.
- Non ho intenzione di rimanere nudo – disse lentamente Thranduil.
Con suo dispetto, lei sorrise, mostrando i denti bianchi e uno scintillio delle iridi verdi.
- Vi coprirete con una coperta.
Non era un’idea che gli garbava, ma di sicuro non avrebbe voluto nemmeno rimanere giorni interi con indosso quei pantaloni macchiati di sangue. Gli dispiaceva profondamente buttarli, erano stati tra i suoi preferiti, soprattutto per la qualità della stoffa e il colore perfetto che si intonava ai suoi occhi. Ma non disse niente, sospirando soltanto. Come gli mancavano le comodità del suo palazzo.
La donna si alzò, posando il libro sul tavolo.
- Dato che siete sveglio e attivo, lavatevi le mani. Faremo delle torte salate e del pane, e mi aiuterete.
Il re degli elfi le lanciò un’occhiata obliqua, inarcando un sopracciglio, trattenendo una smorfia al fastidio provocato dal graffio.
- O preferite non pranzare?
Mordendosi il labbro, Thranduil si alzò e la seguì dentro casa dopo qualche secondo. Il suo stomaco era stretto in una morsa. Non mangiare non era una possibilità che contemplava volentieri, suo malgrado.
Donna maledetta. Mi fa anche lavorare.

Si erano appostati fuori, su quello stesso tavolino dove prima Asinna aveva appoggiato il suo libro, ora abbandonato su uno sgabello, anche quello sgangherato. Thranduil si era chiesto se la donna non avesse fatto apposta a prendere solo mobili rotti o graffiati, per la sua casa. Che poi, molte domande aveva ancora da farle: aveva detto che viveva da sola, ma come era arrivata fino a lì? Tra le tradizioni elfiche il trovare un compagno non avveniva in un tempo preciso, perché quando capitava, capitava per la vita. Ma sapeva che tra gli uomini non vigeva la stessa usanza e che le donne umane prendevano marito da giovani, e Asinna sembrava nell’età giusta, forse anche più avanzata. Non aveva un marito? Una famiglia? Gli sembrava strano, sapendo come gli umani fossero tradizionali su queste materie.
Erano seduti, lei di fronte a lui, con le mani immerse nella farina che pian piano, mescolata all’acqua e alle uova, stava diventando un impasto omogeneo.
Thranduil aveva vaghi ricordi di quando un giorno, da piccolo, con sua madre si era divertito a impastare del pane, nelle cucine. Ma quei frammenti di memoria erano, appunto, solo frammenti, sbiaditi dopo centinaia di anni: aveva osservato i movimenti veloci ed esperti dell’umana, prima di mettersi all’opera, con occhio critico, controllando ogni suo gesto con attenzione per evitare di sbagliare. Era un’esperienza nuova: mai aveva dovuto cucinare per sé, avendo un personale di centinaia di elfi sempre a sua disposizione. Ma mentre lavorava si ritrovò a pensare che non fosse poi così male: tralasciando la sensazione viscida della pasta che si appiccicava alle dita mentre ancora non era compatta, trovò piacevole mettere all’opera i muscoli che erano rimasti immobili per tre giorni consecutivi.
Mentre impastava il tutto in una palla notò che lei lo fissava. Ricambiò il suo sguardo, rimanendo impassibile quando lei tirò un pugno all’impasto. Forse serviva a farlo appiattire più velocemente? Ne dubitava.
- Come siete finito a farvi massacrare dagli orchi?
Si irrigidì a quelle parole, ma lei ancora non aveva finito.
- Da quanto ne so, si stanno tutti ammassando a sud per una battaglia contro gli elfi di Bosco Atro. O almeno, queste sono le voci. Non avrebbero dovuto trovarsi lì, in mezzo alla foresta.
Thranduil si chiese se dovesse tirare anche lui un pugno alla pasta. Poi decise di no e la rivoltò, tornando ad arrotolarla su se stessa.
- Non lo so. Dovrebbe essere come avete detto voi, ma li abbiamo incrociati comunque.
Asinna rimase in silenzio per un attimo. Una ciocca di capelli le scivolò davanti alla fronte e cercò di scostarla con il polso per evitare di toccarsi i capelli con le mani sporche, ma ebbe poco successo.
- Ho visto… - esitò. – Era un massacro. I vostri compagni… - il volto dell’elfo si adombrò a quelle parole, e lei strinse le labbra prima di proseguire – erano molto più indietro sul sentiero, rispetto a voi. Siete stato voi a uccidere tutti quegli orchi?
Un semplice cenno del capo le fece da risposta. Le ciglia nere della giovane tremarono, mentre abbassava il capo.
- Li abbiamo seppelliti – un’onda di gratitudine inondò il sovrano di Bosco Atro. Fissò il volto della guaritrice senza nessuna ombra di inquietudine; anzi, le sue iridi, che alla luce del sole vertevano verso un grigio perlaceo, si illuminarono da una scintilla di riconoscenza.
- Grazie – mormorò.
- Li conoscevate bene?
Thranduil tornò a fissare la pasta davanti a lui. Guardò le mani di Asinna e si rese conto che lei la stava modellando in una pagnotta. Prima che potesse fare lo stesso, lei richiamò la sua attenzione.
- Stendete la pasta. Dobbiamo fare una torta.
Lui esitò, avendo notato il plurale nella sua frase, al che un sorriso appena accennato apparve sulle labbra rosse dell’umana.
- Non l’avete mai fatto?
Si sarebbe arrabbiato, ma la conversazione aveva preso una piega strana e l’amarezza che si era risvegliata nel rivangare i ricordi gli impedì di irritarsi per un nonnulla. Scosse la testa, e lei allungò le braccia, alzandosi, tendendosi sopra al tavolo per afferrare il suo impasto e appiattirlo in rapide mosse.
- Così. E poi alzate i bordi, così possiamo riempirla.
Il re degli elfi obbedì, osservando con curiosità le proprie mani che si accingevano a fare quel lavoro. Gli sembrava irreale, ma non era spiacevole. Dita che avevano impugnato spade, scudi, archi, che erano abituate al contatto freddo con il metallo e al tocco morbido di sete e lini pregiati, erano ora impegnate nel lavoro che ingoiava gran parte degli elfi che lavoravano a palazzo, ora dopo ora, giorno dopo giorno, impegnati costantemente a cucinare per bocche fameliche.
- Non li conoscevo. Non bene quanto avrei dovuto.
Asinna annuì, e calò il silenzio. Ma a differenza di prima, era un silenzio sereno.
Thranduil seguì attentamente i movimenti dell’umana, quando si alzò e versò un misto di uova, verdure ed erbe all’interno della torta; e la seguì, fingendo di dare un’occhiata alla libreria colma di tomi e carte, anche quando lei rientrò per mettere il tutto a cucinare, in realtà osservando i suoi movimenti. Quando iniziò a riordinare il piano che era rimasto ingombro di ciotole, si voltò e osservò davvero la fila di libri davanti a lui, leggendone i titoli e prendendone uno in mano.
Storia di Arda.
Osservò la copertina rilegata in cuoio, graffiata sul retro, e le pagine a tratti ingiallite e piegate. Era evidente che fosse un libro che era stato più volte aperto, studiato e consultato. Sfogliò le prime pagine, cercando l’indice, per scorrere con uno sguardo veloce i titoli dei capitoli.
Asinna si voltò e quasi le venne da ridere nel vedere quello spettacolo. Un elfo, nella sua cucina, intento a guardare uno dei suoi libri con un’avidità strana. Nonostante avesse il capo reclinato in avanti per facilitare la lettura, la sua schiena continuava a rimanere dritta come un fuso. I suoi capelli biondi cadevano lisci e maestosi ai lati del suo viso e lungo la sua schiena. Sotto al tessuto bianco della camicia poteva vedere l’ombra più scura delle fasciature. C’era da dire che gli stava bene, avvolgendo il suo fisico imponente alla perfezione.
L’elfo si girò, probabilmente avvertendo il suo sguardo su di sé. Le rivolse uno sguardo curioso, inclinando appena la testa. Asinna non sopportava come i suoi occhi potessero scandagliarla così in profondità, come se volesse metterla a disagio.
- Ci sono tre regole.
Lui ripose il volume nella libreria e si girò, incrociando le braccia.
- Finché rimarrete qui dovrete aiutarmi a fare da mangiare e in altre faccende, se chiederò il vostro aiuto. Sono da sola e non sono abituata ad avere ospiti. Ovviamente non vi chiederò di fare cose impegnative, tenendo conto che dovete recuperare le forze, ma in due è diverso che essere da sola.
Le rispose solo il silenzio e un fantasma di indignazione sul volto dell’elfo, che però non proferì parola.
- Secondo. Non dovrete farmi troppe domande personali, come io non ve ne farò, dato che mi sembra di aver capito che non siete propenso a dire granché su di voi, personalmente.
- Terzo. Se avete qualcosa da dire, ditela subito. Dovremo convivere per qualche giorno, quindi mi aspetto un comportamento adeguato da parte vostra. Non so chi siate, da dove veniate o a quali stili di vita siate abituato, ma dovrete adattarvi.
Thranduil ponderò per un attimo le parole dell’umana. Ne aveva persa qualcuna, nel leggere le sue labbra, ma aveva capito il concetto generale. Per quanto fosse abituato diversamente, avrebbe dovuto rassegnarsi a condurre un altro tipo di esistenza, per quei pochi giorni, così da riuscire a guarire il più velocemente possibile e poter tornare dal suo popolo.
- D’accordo.
Si ritrovarono a fissarsi, finché lei si lasciò andare a un sospiro e si girò verso il camino, allungando le mani dietro la testa e sciogliendo i capelli. Le ricaddero sulle spalle, e Thranduil si rese conto che erano più lunghi di quanto avesse pensato. Le arrivavano quasi fino alla base della schiena. Con mosse veloci, lei li raccolse di nuovo, sistemando i ricci che le erano prima sfuggiti, e si lavò le mani.
Gli indicò di sedersi su una delle sedie che circondavano il tavolo, e Thranduil non esitò a sceglierne un’altra rispetto allo sgabello del giorno prima. Peccato che quella cigolasse ad ogni suo movimento.
Anche Asinna si sedette, incrociando le mani sul tavolo. I loro polsi e i dorsi erano ricoperti da un leggero velo di lentiggini.
- Il vostro udito – lesse sulle sue labbra l’elfo. – Non avevate mai avuto problemi prima?
Lui scosse la testa. Lo rendeva nervoso parlare di quell’argomento. Per quanto lui stesso avesse partecipato a battaglie e guerriglie, e avrebbe dovuto essere abituato a farlo, parlare di ferite lo metteva in agitazione; soprattutto se non erano visibili. Grazie alla sua esperienza di guerra al tempo in cui suo padre era ancora vivo, riusciva a capire quanto fosse grave una ferita nella carne, e all’incirca anche come guarirla. Ma le ferite interne erano le più pericolose, e quelle che aveva sempre temuto di più. Quelle che aveva sperato di non riportare, anche se, in fondo in fondo, sapeva bene che da quando era tornato dalla guerra non era più stato lo stesso di prima.
La donna si morse il labbro. Sembrava perplessa.
- Vi hanno colpito in testa?
L’elfo annuì.
- Un orco mi ha tramortito prima che riuscissi a parare il colpo. Avrei dovuto essere morto – disse seccamente. Scrutò le guance rotonde della donna, che si arrossarono leggermente mentre tratteneva il respiro.
- Vi darò delle soluzioni con la foglia di re e altre erbe. Magari è temporanea, e rinforzando il vostro corpo potrebbe tornare, piano piano. Il vostro corpo potrebbe avere solo bisogno di riprendersi dal trauma. Ma come esiste questa possibilità, esiste anche quella contraria, sappiatelo. È il massimo che posso fare.
Thranduil annuì. Dal modo in cui aveva curato le sue ferite, aveva l’impressione che, per quanto non appartenesse alla stirpe elfica, l’umana fosse una guaritrice sapiente, nonostante la giovane età.
- Più tardi controlleremo le altre ferite, ma sembrano procedere bene. Vi fanno male?
- È sopportabile. Ho passato di peggio.
Asinna si chiese cosa avesse potuto sopportare, di peggiore. A parte amputazioni, le sembrava che nulla potesse essere peggio delle ferite che aveva riportato, che dovevano essere estremamente dolorose, nonostante lui non lo dimostrasse.
Eppure quell’elfo dall’aria così criptica e fredda aveva parlato con un tono così serio che non poté fare a meno di credergli.









Angolino dell'autrice:
Buonasera!
Spero di portare un po' di gioia in questa noiosa domenica, con questo capitolo! Fatemi sapere se vi è piaciuto, e cosa ne pensate del rapporto che comincia a instaurarsi tra i nostri due protagonisti... 
Una piccola precisazione: ho deciso di modificare un pochino la geografia di Arda. In teoria il regno degli elfi di Bosco Atro si estende a nord, prima della guerra dell'anello. Qui come avete visto siamo prima, dopo le vicende dello Hobbit, quando Thranduil inizia a muoversi per combattere gli Orchi. Ho deciso di estendere il dominio del nostro signore di Bosco Atro un po' più a sud, allargandolo progressivamente mentre si fa strada contro i ragni e gli orchi fino a poco prima delle montagne che tagliano in due la foresta, così da poter ambientare meglio la storia. Ecco tutto! 
Grazie per essere arrivati fin qui ^^
Anna

 
   
 
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