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Autore: espositosuarez    02/04/2020    1 recensioni
(AU)
Lexa sà che non sta vivendo la vita che vorrebbe. Soffre di insonnia e quelle poche volte che riesce a cadere tra le braccia di Morfeo, si sveglia in preda ad attacchi di panico o peggio, con la brutta sensazione di aver dimenticato qualcosa.
Una Dea degli Inferi decide di stravolgere la sua vita.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Asfodelo

 
Lexa si destreggiava a fatica tra la folla, per raggiungere al più presto la fermata dell’autobus che l’avrebbe condotta all’università. Era di nuovo in ritardo. Buffo come di solito il tempo scorresse così velocemente, ma all’interno di un ammasso di persone i suoi movimenti rallentassero e con essi anche la percezione del tempo. Lexa era arrivata alla fermata e in attesa del bus, si mise ad osservare le persone che la circondavano con uno sguardo vuoto.
Tutti lì fuori cercavano stare al passo con lo scorrere dei secondi, sembravano automi. Tutti, tranne una.
Accanto a lei vi era una ragazza bionda, ad occhio e croce della sua età, con un album da disegno sotto il braccio, intenta a guardare il cielo tetro con un sorrisetto sulle labbra.
Dove l’aveva già vista?
Questa sentendosi osservata si girò verso la castana e con uno sguardo interrogativo disse “Serve qualcosa?”. Lexa colta in fragrante, distolse immediatamente lo sguardo posandolo sull’asfalto
No scusa, ingannavo il tempo” disse scrollando le spalle.
La bionda sorrise. C’era qualcosa in lei che le trasmetteva tranquillità, cosa rara per Lexa, dato che questa sensazione riusciva ad averla solo con le sue passeggiate notturne ed era una cosa impensabile che una sconosciuta potesse farle quell’effetto.
“Inganni il tempo eh?”  la bionda fece una pausa come per valutare le prossime parole da dire “Credo sia tutta questione di percezione, non è raro ingannare la propria mente per sentirsi meglio. Per carità, fin quando è così nulla di male, gli idioti sono quelli convinti di avere il tempo nelle proprie mani pensando di bloccarlo rimandando sempre tutto” disse con tono vagamente accusatorio, ma non nei suoi confronti.
“Perché fare oggi quello che puoi fare domani, no?” rispose con ironia la castana.
 Un altro sorriso sfuggì alla sconosciuta “Esattamente. Puoi controllare, o meglio, puoi impedire alla sabbia di scivolare tra le fessure del pugno della mano?”
Lexa inclinò la testa di lato, incuriosita dalla domanda  “certo che no”
“Ecco il tempo è così. Inizialmente te lo fa credere, la sabbia rimane nel tuo pugno, ma è questione di secondi, poi inizia a scorrere, la sabbia inizia a sfuggirti. E’ il tempo che inganna te. E’ il tempo che fotte te.” concluse la bionda forse in maniera troppo dura.
Lexa prese un respiro, come se le costasse dire ad alta voce quel suo pensiero “Mi fermo spesso a guardare l’orologio e a sentire il suo ticchettio. Osservo le lancette che si muovono ed è rassicurante per me, perché almeno qualcosa si muove là fuori.  E se qualcosa si muove, significa che io esisto.”
Al suono di quelle parole, l’espressione calma e rassicurante della ragazza bionda si tramutò in una addolorata, quasi sofferente. Si avvicinò e con una mano tremante, accarezzò la guancia della castana come se fosse di porcellana o meglio, come se potesse scomparire da un momento all’altro sotto lo sguardo sbigottito dell’altra.
“Mi dispiace così tanto Lexa”

Lexa sgranò gli occhi per lo stupore. Da quella distanza poteva vedere meglio gli occhi della bionda. Erano azzurri e soprattutto erano così pieni .
Come faceva a sapere il suo nome? E “mi dispiace” per cosa?
Stava per rispondere, ma fu risucchiata da un vortice e tutto divenne nero.

Una luce fioca, proveniente da torce dal fuoco tremante, illuminava il volto di Lexa  destandola. Si trovava distesa su un pavimento ghiacciato, come era ghiacciata l’aria lì. Si alzò in piedi un po’ instabile e si guardò intorno: tutto nero, se non per quella luce emanata dalle torce. Davanti a lei vi erano tre porte, ognuna di un colore diverso: rosso, bianco e celeste in ordine.
Dove diavolo era finita?  Doveva star sognando, per forza.
Convinta della sua ipotesi si diede dei piccoli schiaffetti in faccia “Dai Lexa sveglia, non è divertente”
All’improvviso una folata di vento dalla provenienza sconosciuta la investì in pieno e andò a formare un piccolo vortice nero poco distante da lei. Lentamente, dal basso verso l’alto, si andò a formare una figura umana. Lexa assottigliò gli occhi verdi per mettere meglio a fuoco l’assurda scena che le si stava palesando davanti.
“Non stai sognando Alexandria.  O forse sì, chi può dirlo”
Quella voce se la sarebbe dimenticata difficilmente. Si irrigidì di colpo e alzò il braccio puntando il dito contro quella figura “Tu. Tu mi hai trafitto con quegli artigli maledetti, che cosa vuoi ancora? Chi sei? Dove sono?” disse piena di rabbia.
La ragazza si avvicinò a Lexa sorridendo. Non c’era niente di rassicurante in quel sorriso, niente. Il suo portamento emanava regalità, timore e soprattutto potere. Aveva in mano una chiave che sventolò davanti alla ragazza dagli occhi verdi e con aria perentoria disse  “Quante domande. Io sono Ecate e tu dovrai compiere una scelta ora. Dovrai intraprendere una strada, cosa che hai sempre evitato di fare nella tua vita. Non hai via di fuga. Ora scegli una porta” ( 1)
“E se mi rifiutassi?”
rispose con aria di sfida
“Vagherai per sempre in questa dimensione dove niente esiste. Sarai un fantasma nel tuo stesso oblio”
Lexa era sicura che non stesse affatto scherzando. Le sensazioni erano fin troppo reali. La paura era fin troppo reale. Osservò per un tempo che le sembrò infinito le tre porte, ma solo una l’attraeva come se fossero entrambe due calamite. Iniziò ad avvicinarsi senza che se ne accorgesse, guidata dal richiamo che sentiva. Il suo cuore pompava sangue come un forsennato, era come se continue scosse di adrenalina percorressero il suo corpo elettrizzandola. Venne svegliata dalla trance dalla voce di Ecate per niente stupita
“Porta rossa. Ma non mi dire”
Ecate aprì la porta, Lexa era ancora sulla soglia. Non si vedeva nulla, solo energia che fluttuava e si mescolava, sembrava fumo. Si voltò a guardare la ragazza dalla chioma nera, forse per l’ultima volta, per trovare un po’ di coraggio, ma questa aveva un’espressione stoica. Prese un bel respiro e oltrepassò la soglia fiondandosi, forse per la prima volta in vita sua, nell’ignoto più totale.


Lexa si ritrovò dentro una caverna. Si girò convinta di trovare alle sue spalle la porta che aveva attraversato, ma di questa neanche l’ombra. Sulle pareti rocciose vi erano raffigurati vari affreschi  dalle molteplici scene. L’unica fonte di luce proveniva dall’unico ingresso o uscita presente a un paio di metri più avanti e nel punto in cui si trovava lei, l’illuminazione le permise di distinguere pochissimi elementi come un serpente, dei cani, delle porte e delle lune. Si avviò verso il bagliore con passi tremanti e quando uscì dalla caverna quello che si ritrovò davanti la lasciò senza fiato. Tutto il cielo era un miscuglio di colori tra il rosso e l’arancione, era come se il tempo si fosse bloccato nel momento del tramonto. Davanti a lei si estendeva un immenso giardino dai fiori dai colori più svariati. Il rumore dello scorrere dell’acqua le riempì le orecchie e notò il fiume che costeggiava il giardino. Per la prima volta da quando era iniziata quell’assurda situazione, si sentiva quasi spensierata e soprattutto a suo agio. Le piante e i fiori le erano sempre piaciuti, si incantava a guardarli, erano sempre così vivi e puri. Iniziò ad addentrarsi in questo giardino, toccando con la punta delle dita l’erba che le pungeva i polpastrelli, ancora meravigliata da ciò che la circondava. Si fermò accucciandosi davanti un fiore bianco con all’interno degli aghi dalle punte rosse per osservarlo meglio.
“Si chiama Asfodelo, si può dire che questo è il suo regno”
Lexa sussultò per la sorpresa, non si aspettava di trovare qualcuno lì. Si girò e davanti a lei si trovò una ragazza dai lunghi capelli castani e occhi di medesimo colore che indossava un lungo vestito  rosso molto semplice e dei sandali neri che le calzavano i piedi.
“Perché è il suo regno?” chiese curiosa
“Sopravvive al fuoco in quanto il tubero della pianta si trova sotto terra. Viene chiamata  pianta degli Inferi e inoltre può significare anche - chi non vacilla-”  rispose la sconosciuta.
Lexa alzò le sopracciglia incredula “Siamo negli Inferi? E’ uno scherzo?”
La sconosciuta la guardò in modo strano “Beh non proprio. Qui siamo in una sorta di limbo, i prati di asfodelo rappresentano la zona destinata a coloro che in vita non sono stati né buoni né cattivi”
“Ma io non sono morta”
rispose di getto Lexa.
“Impossibile, non sei arrivata da lì?” disse la sconosciuta indicando un ponte in legno affollato da ombre che stavano popolando il giardino.
Ombre parvenza dei morti.
“No io sono arrivata dalla caverna” rispose la castana dagli occhi verdi come per sottolineare l’ovvio.
La sconosciuta fece tre passi indietro “Non prendermi in giro. Nessuno entra o esce da lì, quella è la caverna della Regina Ecate” disse in tono serio e polemico.
“Eppure è così, ho dovuto scegliere una porta e- “ Lexa fu interrotta dalla ragazza
“Come ti chiami?” come se quella domanda potesse risolvere ogni mistero
“Lexa Woods” rispose “Ma che centra quest-“ fu interrotta ancora una volta, cosa che la stava facendo imbestialire. Era pronta a dare di matto, ma quando vide la ragazza con un’espressione sul viso decisamente scioccata, la preoccupazione l’assalì. Tentò di avvicinarsi, ma una folata di vento  investì entrambe, facendo diffondere nell’aria il profumo dei fiori e fece la sua comparsa Ecate con due cani dall’aspetto decisamente infernali. Alla sua presenza, la ragazza in rosso si inchinò subito, mentre Lexa la fissava in attesa di spiegazioni.
“Vedo che hai conosciuto Anya. Lei ti guiderà nel tempo a cui sei destinata”
La Regina schioccò le dita e Lexa fu di nuovo avvolta dal nero.
 


 
La Signora Luna stava alta nel cielo, pieno di luminose stelle, a vegliare su tutta Polis.
In una camera da letto nella dimora più altolocata della città, una ragazza si dimenava nel sonno, pronunciando frasi sconnesse ormai madida di sudore. Una forte scossa le attraversò il corpo. Aprì gli occhi di scatto e si mise a sedere. Il respiro affannato, come se avesse corso una maratona. Osservò il suo braccio e visibilmente un’energia dal colore verde iniziò a pulsare, scorrendo lentamente nelle sue vene. Lacrime iniziarono a sgorgare dai suoi occhi, bagnando la guancia candita.
“E’ qui.                 Lei è qui”.
Si strinse nelle sue stesse braccia e dondolando guardò in cielo, ringraziando silenziosamente la Signora.


  [i]

[i] 1. Ecate è contemporaneamente una e trina, in quanto riunisce in sé i tre aspetti, che sono stati visti da alcuni contemporanei come quello di fanciulla, di madre e di anziana. A ella è connessa con il concetto di morte e rigenerazione. E’ suo compito infatti accompagnare le anime nel regno dei morti, ma lei fa anche il percorso inverso, cioè conduce dalla morte alla vita e sin dalla nascita illumina la strada nell’oscurità, dunque rappresenta anche il coraggio di avventurarci dove non conosciamo la strada, il coraggio di andare oltre i nostri limiti.
Ecate, quindi, è il collegamento tra il mondo dei vivi e quello dei morti, che unisce tenebre e luce. Il buio è anche ciò che per noi è ignoto, l’inconscio, quanto nella nostra vita è nascosto ma presente. Ecate è la torcia che fa luce in questo reame sconfinato che spesso neghiamo, o forse non riconosciamo, di avere. La sua funzione è di guida, illuminazione e libertà. Ecate vista come rappresentante la fase calante della luna, ci reca l'immagine della donna nell'età che coincide con la menopausa e la post-menopausa. A Lei  riconosciuto un potere posseduto da Zeus : quello di concedere o vietare all’umanità la realizzazione dei desideri. I simboli di Ecate sono innumerevoli, i più importanti sono la torcia, la chiave, il coltello, i crocevia.
Per altre info https://www.ilcerchiodellaluna.it/central_Dee_Ecate.htm
  
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