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Autore: Ellery    06/04/2020    2 recensioni
Il Generale Hux scova un gatto a bordo del suo Star Destroyer, ma non sa assolutamente come prendersene cura. Chiedere aiuto a Kylo Ren potrebbe non essere così geniale, come idea...
{Personaggi principali: Kylo Ren, Armitage Hux, Millicent, Un po' tutti}
Che ci faceva un gatto sulla più potente nave del Primo Ordine? Apparteneva a qualcuno degli addetti oppure era semplicemente un clandestino? Ma in quel caso… come avrebbe potuto salire indisturbato e gironzolare tanto a lungo da finire in un condotto per la spazzatura? Non ne aveva idea, ma avrebbe risolto più tardi quegli interrogativi. La priorità ora era salvare il felino dall’aria tutt’altro che amichevole.
«Non ti faccio niente» promise, cacciandosi il tablet tra i denti e allungando la destra nel tentativo di raggiungere la creatura «Vie-nhi» biascicò.

[La ff prende spunto dal famoso twitter di Pablo Hidalgo , secondo cui Hux ha una gatta di nome Millicent; è ambientata subito dopo la fine di Ep. VII]
Genere: Avventura, Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Ben Solo/Kylo Ren, Capitano Phasma, Generale Hux, Kylo Ren, Poe Dameron
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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7. La vita alta fa tendenza


Mao, mao, mao, mao…

Hux sbatté ripetutamente la fronte contro la consolle dell’Upsilon, nella speranza di fermare quella cantilena. Da quando erano partiti, Millicent non aveva fatto altro che miagolare a massimo volume, continuando a piangere all’interno del suo trasportino. A nulla erano valsi i tentativi di calmarla; Ren aveva persino cercato di cullarla con la Forza, ma la gatta si era dimostrata sorprendentemente resistente. Più resistente del proprietario a conti fatti, cosa che gli provocava un fastidio nell’amor proprio. Guardò scoraggiato oltre il parabrezza della navetta. Erano saltati nell’iperspazio ricomparendo in un punto indefinito della galassia.

«Dove siamo?» chiese al pilota, ricevendo in cambio una scrollata di spalle.

«Non lo so. Ho inserito delle coordinate a caso.»

Ren gli stava sorridendo orgoglioso, come se quel vagabondare random fosse la sua massima aspirazione.
Slacciò rapidamente le cinture di sicurezza, alzandosi e sgranchendosi gambe e braccia.

Mao, mao, mao, mao.

Stava diventando insopportabile. L’idea di lanciare il felino fuori dal finestrino gli sfiorò la mente, ma venne subito scacciata. La povera micina non era responsabile, in fondo, di quella disavventura: era stata costretta a partecipare, proprio come lui.
Si avvicinò al trasportino, armeggiando con lo sportello.

«Posso fare uscire Millicent, ora?» chiese, mentre la gatta gli saltava prontamente in braccio e strusciava il muso contro il suo gomito.

«Mi sembra che tu l’abbia appena fatto. Perché mi chiedi il permesso?» Ren gli rivolse un’occhiata perplessa.

Ignorò la domanda, tornando a sedere sul sedile del copilota. Millicent si divincolò agilmente, balzando in un attimo sul cruscotto. La gatta prese a camminare, producendo delle piccole fusa soddisfatte mentre i grandi occhi verdi osservavano stelle e pianeti che li circondavano. Passeggiò rasente al vetro, prima di scivolare verso le robuste mani di Ren, ancora agganciate alla cloche. Vi strofinò ripetutamente la testolina, finché l’apprendista non si decise a carezzarla tra le orecchie.

Ron-ron-ron.

Quel suono rilassato si diffuse nella cabina, interrotto soltanto dalla domanda del Generale:
«Perché hai voluto portare anche lei?» Io non ti bastavo come ostaggio? Trattenne a stento quelle parole, limitandosi ad un sorrisetto stiracchiato.

«Me lo ha suggerito la Forza.»

«Certo, come no…»

«No, sul serio! È stato come… un presagio. Millicent è importante per questa missione.»

«Ma se non sappiamo neppure dove stiamo andando! Né che stiamo facendo» si schiacciò ancor di più contro lo schienale imbottito, scrutando l’universo che li circondava «Ammettilo Ren! Tutto questo è follia! Non riuscivi a dormire, ti sei immaginato una voce che ti chiamava, ti sei messo a cantare nell’hangar e poi… hai pensato che la cosa giusta da fare fosse  vagare nello spazio a casaccio in cerca di un’illuminazione che potesse rendere la tua vita meno schifosa di quanto era.» soffiò in un attimo, pentendosi immediatamente di quelle parole. Colse un familiare solletichio alla gola, che presto si trasformò in una presa più solida.

«Non credo d’aver capito bene, Generale.»

Annaspò in cerca di aria.

«Viag…gio ma…gnif…ico. Mi ser…viva una…» cancellò rapidamente ogni traccia di sarcasmo, sforzandosi d’apparire contento «va… vacanza.» ringhiò, riprendendo a respirare avidamente. Si massaggiò piano il collo, sforzandosi di annullare l’orribile sensazione di pressione.

«Lieto che lo approvi

Ma vai a farti fot…

Di nuovo quella sensazione sgradevole. Corresse il pensiero.
…Florrum! Pensò al primo pianeta con la lettera F. La presenza del cavaliere si ritirò dalla sua mente.

«Ottima idea. Florrum mi sembra un buon posto da cui iniziare le ricerche.»

Sì, splendido! Un pianeta desertico, costantemente assolato e caldo come un forno. Gli insediamenti civili si potevano contare sulle dita di una mano, ma in compenso abbondavano briganti e pirati. Si prese la testa tra le mani. Poteva andare peggio di così? Il suo compagno di viaggio era uno psicopatico con manie di grandezza, il cui unico obiettivo era emulare le gesta del nonno e saltare qui e là nello spazio alla ricerca di… neppure lui sapeva ben cosa. La loro meta si era appena trasformata in un afoso pianeta dove sarebbero arrostiti o sarebbero stati catturati e rivenduti come schiavi nella migliore delle ipotesi; nella peggiore, sarebbero morti disidratati in qualche deserto solo perché Ren non digeriva la cena e sognava voci inesistenti. Poteva andare peggio di così? La sua unica consolazione era l’aver inserito crema solare protezione 50 all’interno dei bagagli.

Scosse il capo, massaggiandosi la fronte e cercando di riordinare i pensieri. Sicuramente, quell’attimo di sconforto stava ottenebrando le sue capacità di giudizio: doveva esserci un modo per spingere l’apprendista ad abbandonare i suoi propositi e tornare al Finalizer. Se fosse riuscito a convincerlo ad invertire la rotta, allora…

Osservò per un istante la cabina. Il ron-ron era completamente svanito.

«Ren… dove è Millicent?»

«Non lo so. Se n’è andata, suppongo…»

«Sì, ma… dove?»

«Dietro, immagino. Oh, finiscila di fare il genitore iper apprensivo, Hux! Siamo su una nave spaziale, mica può essere andata molto lontana. Di sicuro non è scesa.»

Gli rifilò un’occhiata stanca, fingendo di ridere a quella piccola ironia.
«Lo so» rispose, alzandosi nuovamente e iniziando a scivolare via dalla cabina di pilotaggio «Ma un trasporto Upsilon non è un posto per gatti. Potrebbe rimanere incastrata da qualche parte o farsi male con attrezzi, fili scoperti, bulloni avvitati male…» sospirò, inserendo la sequenza d’apertura della porta «Vado a cercarla.» sentenziò, prima di uscire.

 
***


C’era qualcosa che non gli tornava. Millicent era scomparsa, ma come aveva fatto ad allontanarsi dalla cabina di pilotaggio senza che se ne accorgessero? A passare le porte blindate, poi…

Senza dubbio, la colpa era di quel deficiente di Ren. Doveva aver approfittato della sua distrazione per permettere alla gatta di uscire e gironzolare per la navetta indisturbata, fregandosene dei possibili rischi che avrebbe potuto incontrare.

Scosse il capo, cercando di concentrarsi: trovare una palla di pelo arancione non doveva essere difficile, non quando era circondato da pareti in acciaio grigie o nere. Eppure… di lei non c’era traccia. Aveva controllato già il bagno, facendo attenzione non fosse caduta nello scarico; era passato alla piccola cambusa, frugando tra le razioni, i kit medici e il pentolame. Aveva guardato nell’unica stanza a disposizione, dove era sistemato un letto a castello con delle coperte ruvide e cuscini esageratamente morbidi; Ren si era rifiutato di cedergli il letto di sotto – infinitamente più pratico e comodo se ti scappava la pipì nel bel mezzo della notte - usando come patetica scusa il “soffro di vertigini” a cui non aveva creduto neppure un istante. Aveva persino rovistato nei vani inseriti sotto le lastre del pavimento, utili solo a contrabbandare merce e nascondersi in caso di abbordaggio nemico. Rimaneva soltanto una zona da esplorare.

Hux digitò frettolosamente il codice d’accesso per il vano carico. Le porte scorrevoli si aprirono e si ritrovò in un lampo nella stiva della navetta. I suoi bagagli occupavano tre quarti dello spazio a disposizione.

Appollaiata su una valigia, scorse Millicent intenta a fissare un enorme bottone rosso.

«Milly, mia cara…» la chiamò appena, avanzando cautamente tra trolley e beuaty case «Vieni da papà, su…»

Lei lo ignorò, stiracchiando le quattro zampe prima di appoggiarsi al pulsante.

«Millicent vieni via…» provò ancora, mentre le unghie della gatta iniziavano a graffiare la superficie scarlatta.

«è pericoloso stare lì, Milly…» iniziò a sudare freddo quando riconobbe l’interruttore con cui la felina stava giocando «Milly, vieni.» avanzò di un passo, sollevando le braccia «Non schiacciare quel bottone, tesoro.»

Le zampette morbide si ancorarono al bordo.

«Milly non schiacciare quel bottone!»

I polpastrelli premettero a fondo il pulsante.

«Milly, no!»

Troppo tardi giunse quell’avvertimento. La rampa di carico della navetta si spalancò e un potente risucchio trascinò fuori dalla stiva tutti i bagagli. Hux si aggrappò saldamente alla maniglia dell’ingresso, mentre la gatta gli conficcava le unghie nella gamba per non essere spazzata via. Strinse con forza i battenti, lottando contro il vortice che, alle proprie spalle, minacciava di aspirarlo verso il vuoto cosmico dello spazio.

«Kriff!» imprecò, issandosi a fatica oltre l’accesso dell’Upsilon e chiudendo immediatamente la porta. Fissò da uno spioncino tutte le sue valigie che si allontanavano, fluttuando serene nell’universo. Addio crema solare.

Si accasciò contro una paratia, riprendendo a respirare e cercando di calmare il tumulto del cuore nel petto. C’era mancato davvero poco. Per un attimo, si era visto galleggiare inerte nello spazio, circondato dai quei trolley che i legittimi proprietari non avrebbero mai più rivisto. Ren si sarebbe accorto della sua assenza soltanto due giorni dopo, probabilmente… e, senza dubbio, non sarebbe tornato indietro per salvarlo.

Infine, abbassò lo sguardo. Millicent si era staccata dai suoi pantaloni e si stava nuovamente allontanando, impettita e fiera del disastro appena combinato.

«Milly! Ti avevo detto di non toccare il bottone.» scattò,  raggiungendo la gatta e cercando di sollevarla di peso. Ricavò un paio di morsi furiosi sulle dita, sufficienti a farlo desistere.
Lasciò che il felino si ritirasse nella zona notte e si diresse verso la cambusa.
 

***
 

Riapparve nella cabina di pilotaggio con una tazza grigia a forma di Morte Nera. Soffiò un poco, cercando di dipanare il vapore della camomilla, la terza di fila che si concedeva. Si accasciò nuovamente sul proprio sedile, spiando Ren sottecchi.

«Abbiamo perso i bagagli.» esordì, ma quella notizia non sembrò scalfire l’animo altrui.

«Ecco cos’era quel rumore che ho sentito.»

«Sì…» prese un rapido sorso, ustionandosi la lingua e le labbra. Avrebbe dovuto lasciarla raffreddare ancora un po’ «La cosa non ti preoccupa, vedo.»

«No, tanto era tutta roba tua.»

Emise un gemito sordo. Parlare con quell’imbecille era completamente inutile, così come supplicarlo di cambiare rotta verso un pianeta civilizzato  (o che avesse almeno un outlet dove potersi rifornire). Sollevò le ginocchia, poggiando i talloni sul cruscotto e incrociando le caviglie. Soffiò di nuovo sulla tazza, nella speranza di abbassare ulteriormente la temperatura. Colse un gesto nervoso con la coda dell’occhio e un attimo dopo si ritrovò a sbattere la fronte contro la consolle di comando.
La camomilla schizzò ovunque, inzuppando la divisa sulle maniche e sulle cosce. Osservò il risultato con orrore.

«Ma sei cretino?!» scattò, recuperando un fazzolettino per cercare di asciugarsi. Peggiorò solo la situazione, allargando le macchie «Sembra che me la sia fatta addosso!»

«Così impari…»

«A fare cosa?!» non gli sembrava d’aver fatto alcunché, ma evidentemente Ren non era della stessa opinione.

«A mettere i piedi sul cruscotto.»

Allargò le braccia con fare sconsolato:
«Potevi semplicemente dirmelo, dannazione. “Mi danno fastidio i piedi sul cruscotto”… è così difficile?» non ottenne risposta; continuò a passare il fazzoletto sui pantaloni bagnati «Addio alla mia ultima uniforme» ringhiò, sporgendosi per fissare il radar: attorno all’Upsilon soltanto il vuoto cosmico «Quanto manca a Florrum? Non possiamo fare una tappa altrove? Ho bisogno di vestiti nuovi.»

«Troverai degli abiti su Florrum.»

«Sì, certo. Un pianeta desertico dove la gente va in giro indossando delle tende colorate, al posto di magliette e pantaloni.»

«E quindi? Non essere prevenuto nei confronti della cultura locale, Hux. Sono certo che troveremo qualcosa di adatto.»

Scosse il capo. Non ne era affatto convinto e si sforzò di non immaginarsi avvolto in qualche pezzo di maleodorante tappezzeria che sicuramente doveva andare di moda su quel pianeta dimenticato. Si alzò di scatto recuperando la tazza e marciando verso il retro della navicella.

Ignorò il “dove vai?” di Ren.
Aveva bisogno di un’altra camomilla. Doppia, possibilmente.   
 

***

 
Florrum era al quinto posto della classifica dei luoghi più inospitali della galassia. Hux preferiva non sapere quali fossero gli altri quattro, ma temeva che l’avrebbe comunque scoperto nel corso di quello strampalato viaggio.

Il pianeta era completamente immerso in un enorme deserto di sabbia giallognola e costantemente inondato dalla luce di due soli, che si alternavano durante il ciclo giornaliero; stando alle informazioni in suo possesso, su Florrum non calava mai la notte. La temperatura si aggirava costantemente attorno ai quarantacinque gradi.

La più grande attrazione turistica, se così la si poteva chiamare, erano le enormi ed infinite distese di dune che si potevano trovare… praticamente ovunque. Gli insediamenti erano rari, scarsamente collegati tra loro, e spesso erano poco più che dei dormitori. La flora locale era composta in prevalenza da piante grasse o carnivore. L’unica fonte di sostentamento, oltre a animali poco mansueti, erano degli strani frutti rossi tondeggianti, chiamati Fsafhnec’fhs. Poiché questo nome era impronunciabile per la maggior parte delle specie residenti, venivano soprannominati familiarmente “Cosi buoni da mangiare”. In effetti, erano così diffusi che le sagre in loro onore si sprecavano.

Ren aveva parcheggiato allo spazioporto, lasciando le chiavi della navetta ad un garzone con la preghiera di dare una lavata al parabrezza: «Si sono attaccati un sacco di moschini sul vetro durante l’atterraggio!» aveva sbottato, prima di allontanarsi nelle vie strette e afose della capitale.


Hux guardò la divisa: fortunatamente la calura aveva fatto evaporare le rimanenti tracce di camomilla dai pantaloni, che erano state rimpiazzate da disgustosi aloni di sudore. Si era dovuto togliere la casacca e rimboccare le maniche della maglietta sottostante. Ren, invece, si era liberato di tutto, limitandosi a girare a petto nudo come se fosse la cosa più normale del mondo.

«Non riesci proprio ad eliminarli quegli osceni pantaloni, vero?» ringhiò il Generale, ottenendo solo un ciondolare della testa bruna.

«Scherzi? La vita alta fa tendenza.»

«Certo, se non fosse che quelli non sono pantaloni a vita alta, Ren. Ti arrivano allo sterno… io direi che sono più una salopette mancata.»

«Sei anche esperto di stile, ora? Non credo proprio.»

Discutere era inutile. Rallentò il passo quando la via si aprì su una larga piazza circolare, dove le bancarelle di un mercato si alternavano a piccole boutique in muratura. Beh, non erano certo finiti nella capitale della moda, ma avrebbe dovuto accontentarsi.

«Vado a cercare dei vestiti» mormorò, allungando il passo per distanziarsi dal cavaliere «Tu… aspetta qui e non ti allontanare troppo. E non fare niente di stupido!»

Piegò immediatamente a sinistra, avvicinandosi ad un negozietto modesto. La vetrina mostrava abiti piuttosto pratici, informali, ma dal taglio discreto. Non erano il suo genere – riassumibile esclusivamente con divise militari – ma potevano adattarsi. Spinse la porta, sussultando all’orribile scampanellio che ricordava tanto un rutto di un Porg.

L’interno della bottega era immerso in una inquietante penombra: la luce filtrava esclusivamente dalle finestre socchiuse e dalle vetrine, sottolineando la polvere che copriva il pavimento di legno. L’odore di stantio regnava sovrano, mescolato ad un profumo dolciastro di frittelle e miele. Si costrinse ad avanzare, ignorando quell’olezzo pungente che gli solleticava il naso. Qualunque cosa avesse comprato, avrebbe avuto bisogno di una bella lavata prima d’essere indossato. Ammesso e non concesso che avessero qualcosa della sua taglia.

«Emh… permesso?» borbottò incerto «C’è nessuno?»

Sussultò e indietreggiò di scatto quando una ragazzina sgusciò da sotto il bancone.

«Oh? Un cliente? Non posso crederci!» canticchiò la fanciulla, mettendo poi le mani a coppa verso il retro «Papà! Abbiamo un cliente!»
L’unica risposta che ottenne fu un sordo muggito.

«Come dici, papà? Ma certo. Non ti preoccupare, continua pure.»

Un altro Moooooo ruppe la quiete.

«Non ci faccia caso, mio padre è un uomo molto impegnato. Posso aiutarla io, sono Gyala.»

«Sì, emh… certo.» Hux cercò di allungare il collo per spiare il retrobottega, ma la giovanissima commessa tirò rapidamente una tenda malconcia, impedendo ulteriori indagini «Tuo padre è…»

«Un Bantha, esatto! Naturalmente, non è il mio vero padre… mi ha adottata quando avevo… mh, non ricordo.»

Perfetto! L’unico negozio che sembrava avere vestiti decenti era diretto da una bambina e da un bovino. Indietreggiò di un passo, cercando di ritornare discretamente verso la porta. Non aveva nessuna intenzione di partecipare a quella follia, l’ennesima di quell’assurda giornata.

La ragazzina, tuttavia, gli tagliò prontamente la strada:
«Allo, come posso aiutarla? Cercava dei vestiti immagino…»

«No, veramente. Volevo acquistare dei lampadari, ma non credo ve ne siano qui.» modellò un sorriso di scuse, provando ad aggirare la piccola, ma quella tornò a sbarrargli il passo.

«Li abbiamo al piano di sopra, naturalmente, mentre nel seminterrato abbiamo anche articoli da giardino. Tutto il necessario per prendersi cura di aiuole, orti, piante carnivore…»

«Ma… è un pianeta desertico! C’è sabbia ovunque, insomma.. chi diamine può volere degli attrezzi da giardino?»

«Non lo so. In effetti, è il reparto dove registriamo le minori vendite.» la ragazzina lo afferrò lesta per un braccio, spingendolo verso una serie di manichini «Allora, vediamo cosa ho per lei. Aveva già in mente qualcosa?»

Hux provò a divincolarsi, stupendosi della presa ferrea della commessa evidentemente decisa a non lasciarlo fuggire. Scosse piano il capo, osservando gli abiti in esposizione.
«Mh… mi servirebbe qualcosa di pratico per un viaggio… lungo e snervante.»

«Ho esattamente ciò che cerca!» Gyala aprì un vecchio baule polveroso, cavando alcune vesti dai colori sgargianti: vi erano lunghe camicie porpora, intessute di fili dorati; pantaloni verdi con intarsi d’argento e giacche di morbido velluto «Che ne dice? Sono perfetti per una cena di gala.»

«Emh… certo, ma non devo andare ad una cena di gala.»

«Ah, capisco.» il baule tornò a chiudersi «Dove deve andare?»

«Non lo so.» Hux si prese la testa tra le mani. Tutta quella situazione era assurda! Stava affrontando un viaggio senza meta e senza scopo solo perché un bamboccio aveva deciso di seguire voci immaginarie. Un gatto dispettoso aveva gettato i suoi bagagli fuori dalla navetta, costringendolo a dover elemosinare in un negozio polveroso gestito da una proprietaria sicuramente minorenne e completamente pazza «Per favore, credimi. La mia vita è già abbastanza difficile così… non hai qualcosa di pratico, non troppo vistoso né costoso?»

«Sì, certo! Ho il vestito da sposa di mia madre. So che sembra assurdo, ma la gonna è molto sobria e fresca.»

«Sono un maschio, veramente…»

«E quindi? Mica abbiamo pregiudizi qui.»

Forse avrebbe potuto uccidersi con un rastrello… era certo che ne avrebbe trovati in quantità industriale al piano sottostante; oppure impiccarsi ad un lampadario. Si passò entrambe le mani sul viso, ripetendosi di mantenere la calma. Avrebbe preso i vestiti, sarebbe corso all’Upsilon e sarebbe decollato senza Ren. Sarebbe tornato al Finalizer, dove avrebbe sparato a quella cariatide di Pryde e ripreso il controllo della sua nave e della sua vita. Sì, come piano era perfetto. Doveva solo cercare di metterlo in pratica senza restare ucciso in qualcuno dei passaggi, cosa piuttosto probabile.

«D’accordo, ricominciamo!» riprese, pizzicandosi l’attaccatura del naso «Ho bisogno di abiti pratici e comodi per un viaggio; da uomo. Possibilmente della mia taglia, non roba che devo rimboccare quattro volte per poterla indossare. L’ideale sarebbe una divisa militare, ma immagino di non poter pretendere troppo…»

«Beh, se vuole… ho un’uniforme che potrebbe fare al caso suo.» Gyala aprì una vecchia scatola di cartone, mostrando una tuta da volo arancione, completata da inserti bianchi sulle spalle e sul petto dove capeggiava il simbolo della ribellione «Che ne dice?»

Hux scosse velocemente la testa. Non si sarebbe provato quella cosa nemmeno se fosse stato l’ultimo capo disponibile su quel pianeta. Avrebbe preferito girare nudo piuttosto che sembrare feccia ribelle.
«Non credo faccia al caso m…» si interruppe.

La commessa, evidentemente ignorando ogni suo desiderio, gli aveva già cacciato la tuta tra le braccia e lo stava già spingendo nell’unico camerino.

«Ehi! Ho detto che non intendo provarla!» protestò, ritrovandosi nella cabina un attimo dopo.

«La provi! Altrimenti dovremo ricorrere al vestito da sposa di mia madre.»

«Non voglio mettermi questa schifezza!»

«Oh, non faccia il difficile. Sono sicura che le starà benissimo.»

«Ho detto di no!»

«Ho un Rancor nel retro del negozio...»

«Oh, Kriff!» imprecò. Prese a slacciarsi l’uniforme del Primo Ordine, avendo cura di accatastare giacca e pantaloni sull’appendino. Si contemplò qualche attimo allo specchio: le gambe magre erano già coperte di polvere del deserto, così come le spalle e i capelli rossi in disordine. Aveva immediatamente bisogno di darsi una ripulita e di recuperare la sua proverbiale compostezza. Inoltre, aveva bisogno di ricambi intimi. Sospirò, obbligandosi ad infilare la tuta da volo. La chiuse con la propria cintura, cogliendo il familiare peso del blaster battergli contro il fianco. Decise di non indossare anche la parte superiore, e si limitò a legare le maniche attorno alla vita. Assomigliava più ad un meccanico, così… ma almeno l’odioso stemma della ribellione non era visibile. Rimise gli stivali osservando il risultato finale.

«Meno peggio di quel che pensassi…» sospirò, lisciando rapidamente le pieghe della sua maglietta nera. Si costrinse ad uscire dal camerino e a ricevere i cenni d’approvazione della commessa «Dove diamine l’avete presa questa roba?»

«Un pilota morto nel deserto. Oh, e aveva questa con sé.» Gyala gli porse una piccola valigia di pelle, piena zeppa di vestiti di ricambio «Può averla, se vuole. Gliela cedo insieme alla tuta.»

Spiò rapidamente il contenuto della borsa, frugando tra biancheria intima, calzini, magliette e qualche camicia. C’era persino un rasoio da barba, ma neppure l’ombra di uno spazzolino da denti. Non che facesse differenza: era già abbastanza ridicolo dover indossare boxer ricamati con lo stemmino della ribellione; lo spazzolino da denti sarebbe andato oltre le proprie capacità di sopportazione.
Prese rapido il bagaglio, cacciandovi dentro anche la propria vecchia divisa.

«Bene!» sentenziò, non senza una punta di soddisfazione «Prendo tutto! Amh… accettate crediti del Primo Ordine, vero?» domandò incerto. Senza Ren nei paraggi non aveva alcuna possibilità di fuggire senza pagare.

«Oh, certo! Non siamo schizzinosi in fatto di soldi.»

Per forza, sono il vostro primo e ultimo cliente. Si disse, pagando rapidamente la somma pattuita. Raccolse i propri acquisti, dirigendosi velocemente verso l’uscita:
«Beh, arrivederci allora.» salutò, mentre un Mooooooo lo accompagnava.



 
  
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