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Autore: Shadow writer    10/04/2020    10 recensioni
Tridell è una moderna metropoli in cui nessuno è estraneo a scandali e corruzioni. Una giovane donna, abile nell'uso delle vie più o meno lecite, si è fatta strada fino alla vetta di questo mondo decadente.
Dalla storia:
“La duchessa viveva in periferia.
Il suo era un palazzo dall’esterno modesto, circondato da una striscia di giardino prima del grande cancello metallico. Chiunque avesse avuto l’onore di entrarvi, parlava di stanze suntuose, pareti affrescate, una grande corte interna, in cui si innalzava una fontana zampillante decorata da statue di marmo bianco. […]
Chi lei fosse veramente, non si sapeva. Che non avesse davvero il sangue blu, questo era quasi certo, ma nessuno osava contestarlo.
La verità sul suo conto, qualunque fosse, non era nota al pubblico, e alla gente piaceva guardare a questa donna enigmatica nel costante sforzo di capire chi fosse, senza mai riuscirci.”
[Storia partecipante al contest “Il Lago dei Cigni” indetto da molang sul forum di Efp.]
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La duchessa '
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Amori segreti
 
 



Camille si sentiva come assorbita dal quadro. Era di medie dimensioni, circondato da una cornice dorata che faceva risaltare i colori freddi della composizione.
Le pennellate rapide, quasi frenetiche, che volevano riprodurre il vorticante movimento dell’acqua, le parevano invitare a lasciarsi prendere da quell’onda che stava travolgendo la barca, frantumandone il legno.
Quasi le faceva girare la testa il modo in cui Turner aveva percosso la tela e il modo in cui nessuna linea apparisse ferma davanti ai suoi occhi.
Camille aveva sempre saputo dell’invidia che la gente provava per i soldi della sua famiglia, ma non l’avevano mai turbata gli sguardi invidiosi che le amiche lanciavano ai suoi capi d’alta moda o che la seguivano quando entrava per prima ad un evento importante. Gli unici momenti in cui davvero si era sentita ricca erano davanti a quei quadri. 
Avrebbe potuto adattarsi ad una vita in abiti di seconda mano, cibo del discount e nessuna cameriera a servire il pranzo, ma non avrebbe mai potuto sopportare di vivere senza le tele che suo padre acquistava per disporle nelle loro case.
«Un grande acquisto questo Turner, vero?»
La voce di sua madre distolse Camille dalla contemplazione e la fece voltare verso la donna alla sua destra.
«Je dois remercier papa» rispose lei sorridendo. 
«Oui, tu devrais le remercier» le disse la madre e si concesse un istante per ammirare la tela, prima di aggiungere: «Allons retrouvez les autres».
Camille annuì e lei la prese sottobraccio per ricondurla in salotto, dove Alexander e suo padre stavano conversando di qualcosa di estremamente serio, a giudicare dalle loro espressioni. I loro discorsi vertevano sempre sulla politica o sull’economia, Camille era abituata a quelle espressioni truci.
Quando la vide entrare nella stanza, Alex le andò incontro sorridendo, mentre sua madre si allontanava, e lui le lasciò un bacio leggero sulla guancia.
«Manca poco» le sussurrò, guardandola negli occhi.
«Sei agitato?» gli chiese.
Lui scrollò le spalle, ma non riuscì a nascondere un sorriso nervoso.
Camille pensò che c’era solo un’altra cosa nella sua vita che le provocava quel leggero giramento di testa e batticuore che veniva dai quadri, e si trattava di Alexander.
A volte pensava che era così perfetto da sembrare finto. Certo, anche lui aveva i suoi difetti – a volte si perdeva così tanto nei suoi pensieri da non ascoltarla, lasciava gli abiti in giro per la casa, si arrabbiava eccessivamente se qualcuno lo deludeva – ma ogni suo difetto diventava adorabile attraverso gli occhi di Camille, soprattutto considerando gli innumerevoli pregi che compensavano. Essere sua moglie era un sogno.
Qualcuno suonò il campanello e mentre una domestica si accingeva ad aprire, Camille ed Alex raggiunsero i genitori di lei.
«Ci siamo» disse il signor Lefebvre. Di lì a pochi minuti Jefferson sarebbe entrato nel salotto portando i risultati delle elezioni. 
La porta del salotto si aprì ed entrarono alcuni membri dello staff di Alex, tra cui il responsabile della campagna.
«Allora? Non ci tenga sulle spine!» esclamò il signor Lefebvre, con voce tonante.
Jefferson si avvicinò ad Alexander e gli tese la mano: «Complimenti, signor sindaco.»
I presenti si sciolsero in un coro di esultanza, abbracciandosi e battendo le mani.
Il signor Lefebvre si fece avanti per stringere la mano di Alex e dargli due pacche sulla schiena.
«Complimenti, figliolo, non ci aspettavamo nulla di meno.»
Fu poi il turno della madre di Camille, che lo abbracciò stampandogli due baci sulle guance con entusiasmo.
A turno tutti si congratularono con lui, finché lo squillo del cellulare non lo distrasse.
«Ho appena visto i risultati» esordì la voce di suo padre, «congratulazioni, ce l’hai fatta, Alexander. Tua madre ed io siamo molto orgogliosi.»
«Grazie» rispose lui allontanandosi dalla folla vociferante verso un angolo più tranquillo del salotto.
«Ora sei dentro e la strada sarà sempre in salita, ricordalo».
Alex deglutì: «Certo, come potrei dimenticarlo?»
«Bene. Perché stasera non porti la tua signora a cena da noi? A tua madre farebbe molto piacere.»
«Stasera non posso, domani a pranzo?»
Sentì suo padre borbottare qualcosa lontano dal microfono del telefono, poi tornò da lui.
«Domani a pranzo va bene.»
Si salutarono e Alex chiuse la chiamata.
Aveva appena assaporato la vittoria e già non aveva tempo per godersela. I giorni seguenti sarebbero stati pieni di impegni e novità e non era sicuro di avere abbastanza ore di sonno per affrontarli.
Quella sera, lui e Camille erano invitati dalla duchessa per un “aperitivo di celebrazione” – Emily lo aveva presentato in questo modo ancora prima di sapere gli esiti delle elezioni – poi si sarebbe dovuto recare al municipio per preparare il discorso di insediamento del giorno successivo. Dopo il pranzo a casa dei suoi, ci sarebbe stata una cena in grande per festeggiare con tutti coloro che erano stati coinvolti nella campagna, a cui sarebbe seguita una cena per pochi intimi voluta dai Lefebvre. 
Si sentì quasi svenire, ma Camille venne in suo soccorso, riportandolo alla realtà. Passò le braccia intorno al busto di lui e lo strinse a sé, in un abbraccio saldo, mentre Alex appoggiava il proprio mento sul capo di lei.
 
 
 
«Delizioso!» sentenziò Emily dopo aver assaggiato il contenuto del calice che il suo cameriere le aveva appena versato.
L’aperitivo si svolgeva in una piccola sala, per raggiungere la quale avevano percorso così tanti corridoi da far sospettare ad Alex che la padrona di casa volesse far perdere loro il senso dell’orientamento.
«Sarai orgogliosa di tuo marito, Camille» commentò poi lei, rivolgendosi alla donna.
Camille allungò una mano per posarla sopra a quella di Alex, vicino al proprio bicchiere: «Non ho mai dubitato di lui, neanche per un secondo.»
«Ammirevole» aggiunse Emily, ricevendo un’occhiataccia da Alexander. Solo Camille parve ignorare il sarcasmo velato nel suo tono.
«Quindi tanti auguri per questo mandato» disse Roman, al fianco di Emily, sollevando il calice: «che porti fortuna e prosperità a tutti noi.»
Emily svuotò il suo bicchiere, poi lo posò sul tavolo e si rivolse nuovamente all’altra donna presente.
«Quindi a quando la luna di miele? Ho sentito che la rimandate per impegni istituzionali».
Il calcio che le arrivò da sotto il tavolo proveniva decisamente da Alexander.
Camille sorrise, quasi imbarazzata, e lanciò uno sguardo al marito, prima di rispondere: «Quando sei sposato, hai davanti a te una vita insieme. Per la luna di miele ci sarà sempre tempo.»
Roman si voltò verso Emily, ma prima che potesse dire qualcosa, Alex intervenne: «Non dovevamo discutere di affari?»
La giovane alzò gli occhi al cielo: «Così dedito al lavoro da essere quasi noioso, o sbaglio?»
I suoi occhi si erano di nuovo posati su Camille, che fece una risatina: «Io lo amo così com’è.»
Emily si trattenne dal simulare un conato di vomito e si rivolse a Roman: «Potresti mostrare alla signorina la sala dell’arte? Sono certa che l’apprezzerà.»
Lui annuì e si fece seguire da Camille fuori dalla sala per lasciarli soli.
«Che ti prende?» l’aggredì Alex non appena furono fuori dalla portata delle loro orecchie.
Emily roteò vistosamente gli occhi e si versò da sola altro vino dalla bottiglia che il cameriere aveva lasciato sul tavolo.
«Vacci piano, quello non è succo di mirtillo» aggiunse lui, lanciando uno sguardo scettico al calice nuovamente pieno.
«Quella ragazza si scioglie mai? Dio, dev’essere terribile essere tua moglie se bisogna comportarsi come una bambolina tutto il tempo.»
«Non un ruolo adatto a te, quindi.»
Emily quasi si soffocò con il vino che aveva in bocca. Cominciò a tossire e la vista le si appannò. Stava solo provocando Alex, anche quando punzecchiava Camille, ma non si aspettava quell’uscita così brusca e violenta.
Improvvisamente le si era formato un nodo in gola.
Alex dovette accorgersi della sua reazione, perché l’espressione ghignante gli si spense sul viso e mormorò delle parole di scuse.
Lei si riprese rapidamente: «Non siamo qui per litigare. È arrivato il momento di passare alla fase operativa e riprenderci ciò che ci spetta.»
Alex annuì: «Ti ascolto. Dimmi cosa devo fare.»
 
 
 
***
 
 
 
Camille raddrizzò il coltello, poi fece un passo indietro per osservare la sua opera complessiva. Il tavolo era ben apparecchiato con il servizio più elegante e i tovaglioli di stoffa.
Alexander le aveva proposto di chiamare la loro solita cameriera per la serata, ma lei aveva voluto fare le cose da sé. Aveva apparecchiato il tavolo, ordinato il cibo nella gastronomia di fiducia e Alex si era ancora proposto di cucinare il dolce. Era stato stranamente accondiscendente quando avevano deciso di invitare i Fairbanks per festeggiare insieme a loro la buona riuscita del matrimonio e delle elezioni. Inoltre, i suoi genitori avevano insistito, erano sempre stati grandi amici.
«È perfetto» le disse Alex, affacciandosi dalla porta della cucina. Dalle sue spalle si diffondeva un caldo profumo di dolci appena sfornati.
Quando arrivarono i Fairbanks, fu Camille ad andare ad aprire per poi condurli nella sala da pranzo.
«Non c’è Noah questa sera?» chiese Alexander, dopo averli salutati. La sua domanda precedette qualsiasi altra forma di conversazione e Camille dovette percepirla come scortese, perché ridendo, commentò ironica: «È proprio impaziente di avere un figlio».
I Fairbanks risero e anche Alex simulò una risata mentre avrebbe solo voluto prendere a pugni il muro.
«Noah è con la tata. Non può rimanere sveglio fino a tardi troppo spesso» gli rispose la signora, con un sorriso gentile dipinto sul volto.
«È chiaro» acconsentì Alexander e fece loro cenno di accomodarsi a tavola.
Mentre mangiavano, chiacchierarono delle ultime novità, del lavoro che aspettava Alex e delle loro prime settimane come marito e moglie.
«E pensate alla vostra luna di miele» si raccomandò il signor Fairbanks.
«Non possiamo dimenticarcene» rise Camille, «anche Cassandra ce lo ha ricordato».
Si voltò verso Alexander, per vedere se anche lui fosse divertito, e l’uomo l’accontentò tirando le labbra in un sorriso.
La signora Fairbanks si mosse sulla sedia, come a disagio.
«Cassandra?» ripeté, lanciando un’occhiata al marito. «Siete in rapporti stretti?»
«Solo affari» la tranquillizzò Alex.
«Sì, Cassandra è stata molto disponibile e lo ha gentilmente aiutato nella sua campagna elettorale» rispose Camille. Aveva sempre trovato affascinante la duchessa e le piaceva poter parlare bene di lei in una conversazione.
«Sì, be’, alla fine non si sa mai fino in fondo cosa nasconde una persona, o sbaglio?» aggiunse Alex, guardando l’altra coppia.
Quasi simultaneamente, i due mostrarono un sorriso che perfino a Camille parve forzato, mentre annuivano.
La conversazione si interruppe perché era arrivato il momento del dolce e Alex si alzò per andare a prenderlo.
Portò la torta divisa in quattro piattini diversi e ricevette molti complimenti dagli ospiti, prima per l’impiattamento e poi per il sapore del dolce.
«Un uomo da sposare» commentò la signora Fairbanks e tutti risero.
Dopo aver finito di mangiare, si trattennero a chiacchierare ancora un poco, fino a che non fu troppo tardi e gli ospiti decisero di congedarsi. Rimasero a conversare ancora qualche minuto mentre si rimettevano i cappotti e infine si salutarono sulla porta.
Alexander si impuntò perché Camille andasse a dormire mentre lui sistemava la sala da pranzo e avviava la lavastoviglie.
«Ho insistito io per non chiamare la cameriera» insistette lei, ma lui la prese tra le braccia e le sussurrò a fior di labbra: «Infatti, hai già fatto fin troppo. Vai a riposare.»
Lei lo salutò con un bacio fugace e si allontanò verso la camera da letto.
Alex finì di sparecchiare, poi si spostò nel suo studio. Tese l’orecchio, ma nessun rumore dava segno che Camille fosse ancora sveglia.
Aprì la piccola cassaforte sotto alla scrivania ed estrasse il cellulare usa e getta che Emily gli aveva procurato.
La maledisse mentalmente per la sua scelta antiquata mentre pigiava i tasti duri per scrivere: “Fatto”.
Osservò per un istante lo schermo giallastro, poi schiacciò invio.
 
 
***
 
 
Alexander seguì impazientemente l’uomo che gli aveva aperto la porta, mentre lo conduceva nei corridoi labirintici del palazzo della duchessa. In un altro momento, si sarebbe chiesto come Emily potesse permettersi tutti quei domestici, dato che ne vedeva uno diverso ogni volta, ma l’ansia che gli stava divorando lo stomaco gli impediva di pensare ad altro.
Quasi cadde addosso all’uomo quando quello si fermò per bussare alla porta. Attesero per qualche istante e dall’interno non venne nessuna risposta. 
L’uomo aprì la porta e annunciò Alex mentre lui si precipitava all’interno.
«Li hanno arrestati!» esclamò, avanzando verso la poltrona su cui era seduta Emily. 
Lei sollevò il capo, poi guardò l’uomo ancora fermo sullo stipite: «Puoi lasciarci soli?»
Lui annuì e se ne andò accostando la porta.
Alexander nel frattempo si era guardato attorno, notando di trovarsi in una piccola stanza arredata da mobili in legno su tutte le pareti. Davanti alle due poltrone era posto un piccolo televisore, sintonizzato su un tg locale.
«Siediti» gli disse Emily, che se ne stava rannicchiata tra i cuscini.
«Mi hai sentito?» ribatté Alex. «Hanno arrestato…»
«Chiunque in questa casa ti ha sentito, Alexander. Siediti e ascolta.»
Lui fece come gli era stato detto e si mise a guardare il televisore insieme a lei.
«…la grossa quantità di sostanze stupefacenti è ora sotto sequestro della polizia e i due coniugi sono stati arrestati, risultando entrambi positivi al test antidroga. Tra due giorni il processo, mentre già si discute…»
«Dove ti sei procurata tutta quella droga?» chiese Alex voltandosi verso la ragazza.
Le labbra di lei si sollevarono in un sorriso divertito: «Non fare domande di cui non vuoi sapere la risposta.»
Tornarono a guardare la tv, ma il servizio era finito.
«Quando hanno fissato il processo?» domandò Emily.
«Tra due giorni.»
«Credi usciranno?»
Alex annuì: «Sono abbastanza benestanti da potersi permettere la cauzione, ma la loro reputazione è ormai rovinata. Durante il processo potremo insistere sull’affidamento senza problema.»
Quando Emily si voltò a guardarlo, lui notò che i suoi occhi brillavano per le lacrime. Alex allungò una mano e riuscì a sfiorare quella di lei sul bracciolo della poltrona.
«Ci riprenderemo Noah».
Le labbra di Emily stavano tremando mentre tentava di frenare il pianto.
«Non piangere, Em, ci siamo quasi.»
Lei non riuscì a trattenersi e si alzò per andare a sedersi accanto a lui sulla poltrona. Lo spazio era così ristretto che finì per stendersi su di lui, rannicchiandosi sul suo petto.
Alex, colto alla sprovvista, non poté far altro che prenderla tra le braccia tentando di consolarla. La sentiva stringere il suo maglione tra le mani, con la guancia poggiata sullo sterno.
Pareva così piccola e indifesa da somigliare a malapena alla donna che pochi giorni prima gli aveva dato istruzioni precise per attuare la sua vendetta. Lei si sarebbe preoccupata di piazzare la droga nell’auto dei Fairbanks e di fare una soffiata alla polizia, mentre lui avrebbe dovuto far mangiare loro dei dolci contenenti una quantità sufficiente di stupefacenti da essere individuata con controlli, ma abbastanza innocua perché i due non se ne accorgessero. Emily era stata fredda e metodica mentre aveva illustrato il suo piano, come se lo avesse ripetuto così tante volte da averlo interiorizzato.
«Forse non sarà sufficiente per metterli in carcere, ma a questo ci penseremo dopo. Un’accusa del genere farà perdere loro ogni credibilità e li renderà inadatti all’affidamento. So per esperienza quanti requisiti debba rispettare una coppia per avere un bambino» gli aveva detto.
Quando Alex le aveva chiesto quale sarebbe stata la mossa successiva, lei aveva sorriso divertita come se si trattasse di una partita a scacchi: «Un passo alla volta e lo scoprirai»
Tra le sue braccia, Emily si ricompose e si raddrizzò, asciugandosi gli occhi con i lembi delle maniche.
La sua espressione mutò e il suo volto prese una piega risoluta. Si alzò in piedi, come se niente fosse e tornò a rintanarsi nella sua poltrona.
Un suono deciso indicò che qualcuno aveva bussato alla porta della stanza. 
«Non rispondi?» domandò Alex, quando si accorse che Emily se ne stava muta.
«Sa che se non rispondo può entrare» rispose lei e infatti lo stesso uomo che aveva accolto Alexander si fece avanti.
Si avvicinò ad Emily e le mostrò il sacchetto di plastica che aveva tra le mani: «È stato consegnato a nome di Jack Simmons».
«Va bene, grazie. Lascialo pure qui» rispose lei indicando il tavolino davanti a lei.
L’uomo eseguì e se ne andò in silenzio.
«Lo conosci?» chiese Emily, voltandosi verso Alexander.
«Il nome non mi è nuovo»
Lei strinse le labbra e fissò l’involucro di plastica meditabonda.
«È l’avvocato dei Fairbanks. Una mia vecchia conoscenza.»
Nei margini del suo campo visivo, Emily riuscì a vedere Alex agitarsi all’udire la sua risposta.
«Non sono ancora usciti dal carcere» le disse.
La ragazza lo guardò beffarda: «Sei un avvocato, sai come funzionano queste cose. Durante il colloquio gli avranno dato indicazioni di recapitarmi questo»
«Quindi sanno che ci sei tu dietro al loro arresto» constatò lui ed Emily sentì il peso del suo sguardo attraversarla.
Scrollò le spalle: «Chi altro avrebbe motivo di accanirsi contro di loro?»
Alexander allungò il collo verso l’oggetto sul tavolino ed Emily gli fece cenno di servirsi pure. Con fare esitante, l’uomo si alzò dalla poltrona e sollevò delicatamente l’oggetto. Rimosse l’involucro, rivelando due dischi argentei senza scritte.
«Cosa significa?» domandò, guardandola in cerca di spiegazioni.
«C’è un lettore lì sotto» Emily gli indicò il mobile di legno sotto al televisore.
Lui aprì il mobile e inserì un disco nel lettore. Lo schermo del televisore si oscurò, poi comparì una schermata che indicava che il dvd conteneva un solo file. Alex si abbassò per avviare filmato, poi si raddrizzò e fece un passo indietro, ponendosi accanto alla poltrona di Emily.
Sullo schermo apparve una camera da letto, ripresa dall’esterno e da un’angolatura bassa. Si vedeva il letto bianco circondato da un alto baldacchino e le tende che contornavano la vetrata. Per qualche secondo non accadde nulla, finché nella stanza entrò un giovane alto, i cui capelli ossigenati rivelavano che si trattava, senza ombra di dubbio, di Roman. Il giovane si voltò verso quello che doveva essere l’ingresso della stanza e continuò a parlare con una figura nascosta alla telecamera, dopodiché cominciò ad arretrare e la seconda persona entrò nell’inquadratura. Si trattava di una donna bionda, che gettò le braccia intorno al collo di lui e i due si baciarono con passione. Le mani di Roman corsero lungo il corpo della donna, per poi finire sulla zip del suo abito chiaro, che presto scivolò a terra.
Prima che altro potesse accadere, Alex si sporse in avanti e bloccò il filmato.
Quando si voltò verso Emily, non lesse alcuna sorpresa sul suo volto, ma solo collera e sdegno.
«Che cazzo significa?» domandò, esterrefatto.
«È una minaccia» replicò lei. «O confesso la verità o diffonderanno questo video.»
Alex si sentì mancare il respiro e annaspò in cerca delle parole. 
«Questo lo avevo capito» ansimò, «la mia domanda era un’altra: cosa ci fa la madre di Camille insieme a Roman?»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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